La Nuoro di Grazia

Ai piedi del monte Ortobene, nella Sardegna continentale, si estende Nuoro, città natale di Grazia Deledda1.

Mi aspetta davanti alla scuola elementare del centro, con i capelli bianchi raccolti e quei tratti così marcati da conferirle un’apparente, perenne severità.

“Buongiorno signora Deledda!”

“Buongiorno a te! Prima volta a Nuoro?”

“Sì, sono stata più volte in Sardegna ma Nuoro mi mancava…”

“Dai, allora ti faccio fare un giro in città! Partiamo da qui: questa è stata la mia scuola elementare, nonché l’unica che io abbia mai frequentato.”

“Come mai si è fermata negli studi?”

“Non mi sono fermata, ho solo proseguito per conto mio! L’istruzione superiore qui a Nuoro, e non solo, era ancora preclusa alle ragazze, quindi, finita la quarta elementare, i miei genitori mi hanno fatto prendere lezioni private di italiano, latino e francese. Dopo di che ho continuato a studiare totalmente da autodidatta.”

“Non aver frequentato il liceo le ha mai creato problemi durante la sua lunga carriera?”

“Assolutamente sì, la nomea di “illetterata” ha gravato sulle mie spalle come un macigno! Pensa che, agli esordi, ho fatto molta fatica ad essere presa in considerazione, perché molti editori si rifiutavano anche solo di leggere ciò che scrivevo.”

“Poi però i suoi romanzi hanno ricevuto gli apprezzamenti di personaggi del calibro di Verga e Capuana, no?”

“Sì, ma non credere… Il marchio di non istruita me lo sono portato sempre appresso, anche quando ho vinto il Nobel del ‘26 c’è stato chi gridava all’ingiustizia, proprio a causa dei miei studi!

La vedi quella chiesa che sbuca lì in cima? È il mio posto preferito di tutta Nuoro, è la Chiesa della Madonna della Solitudine.”

Lo vedo nei suoi occhi quanto è innamorata di quest’isola.

“Cosa c’è della Sardegna in ciò che ha scritto?”

“C’è tanto, tantissimo: direi che è la protagonista indiscussa dei miei romanzi. C’è la sua meravigliosa natura, i suoi paesaggi ancestrali, ma c’è anche la società fortemente patriarcale che a me è sempre stata così stretta. Anche il sardo è un elemento importante, perché credo che, anche se stemperato dall’italiano letterario, abbia contribuito molto a rendere veri e realistici i miei personaggi.”

“E la Sardegna come ha reagito al successo raggiunto con ‘Elias Portolu’ prima e ‘Canne al vento’ poi?”

“Da una parte credo ci sia stato il classico orgoglio regionale, dall’altra, ti dirò, ho suscitato un’antipatia generale, dovuta al fatto di aver restituito un’immagine poliedrica della Sardegna, mettendone in luce il bene e il male. Io credo di averla descritta con autenticità, c’è chi crede io l’abbia invece dipinta più arretrata di quanto non fosse.”

“Secondo lei, c’è qualcosa che lega i personaggi dei suoi romanzi, a prescindere dalle vicende?”

“Sì, se ci fai caso, i protagonisti sono in questo stato di smarrimento, consapevoli della fatalità della vita umana, ma incapaci di arrendersi ad essa. L’uomo è così: si dimena tra angosce e pulsioni e, nel frattempo, incassa i colpi della sorte, proprio come una canna al vento.”

 

 

1GRAZIA DELEDDA: nata a Nuoro nel 1871, è stata una scrittrice italiana, vincitrice del Premio Nobel per la letteratura del 1926.

L’esordio letterario avvenne a soli 17 anni, quando inviò alla rivista romana “Ultima moda” il primo scritto “Sangue sardo”, chiedendone la pubblicazione.

Il suo primo romanzo di successo fu “Elias Portolu”, ma fu consacrata al grande pubblico da “Canne al vento”, del 1913.

L’ultimo romanzo “La chiesa della solitudine” venne scritto nel 1936. La protagonista è, come l’autrice, ammalata di tumore.

Di lì a poco, il 15 agosto dello stesso anno, Grazia Deledda si spense.Lasciò un’opera incompiuta, che verrà pubblicata l’anno successivo a cura di Antonio Baldini con il titolo “Cosima, quasi Grazia”.




ITALIA – Gallura: percorso al femminile fra mito, storia e devozione

di Laura Candiani (testo e foto)

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FOTO 0. La Gallura

La Gallura (Gaddura in gallurese, Caddura in sardo) è la parte all’estremo nord della Sardegna e costituisce una regione storica e geografica comprendente ventuno comuni, dei quali venti appartenenti alla provincia di Olbia-Tempio, uno (Viddalba) a quella di Sassari. Il nome ha una origine incerta; secondo alcune teorie deriverebbe da una popolazione seminomade preromana, per altre dal gallo sullo stemma pisano dei giudici Visconti, oppure sembra significhi “rocciosa, sassosa” e in effetti -sia nella parte propriamente costiera sia nell’interno ricco di rilievi montuosi- le conformazioni bizzarre delle rocce rendono questa area straordinariamente pittoresca: quelle di Capo Testa, ad esempio, fecero esclamare al celebre scultore Henry Moore: «Ho trovato chi sa scolpire meglio di me!» E poi la roccia dell’Orso, l’incredibile Valle della Luna, i massicci granitici modellati dal vento, dal mare e dalle piogge nel corso di millenni. Affascinante la vegetazione, che unisce oleandri, macchia mediterranea, boschi di querce da sughero, pinete e olivi millenari. Una terra aspra, spesso battuta dal maestrale, come la vicinissima Corsica con cui ha molte somiglianze (anche linguistiche), ma piena di colori e profumi, specie durante la primavera.

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Arzachena

  1. via Eleonora d’Arborea. La figura di Eleonora è talmente immensa da meritare ben più di un cenno, ma è sempre opportuno ricordare colei che – in un mondo totalmente maschile – per quasi vent’anni portò avanti il sogno irredentista del padre Mariano IV che avrebbe voluto unificare la Sardegna in un unico regno. E’ anche colei che in anni lontanissimi (intorno al 1392), con la Carta de Logu (rimasta in vigore in Sardegna fino al 1827) fa segnare una tappa fondamentale del diritto. La Carta – di 198 articoli- presenta straordinarie novità come la distinzione fra dolo e colpa, la centralità del bene comune, la mancanza totale di leggi contro ebrei ed eretici, il rifiuto della vendetta privata, i risarcimenti in denaro a una donna violentata (il matrimonio è previsto solo se LEI è d’accordo), la collegialità della giustizia; emerge inoltre, fra le righe, l’assenza di rapporti feudali, comune a tutta la Sardegna ed eredità del modello bizantino.Secondo Carlo Cattaneo Eleonora «è la figura più splendida di donna che abbiano le storie italiane, non escluse quelle di Roma antica».
  2. via Regina Elena. Elena del Montenegro (Cettigne 8.01.1873-Montpellier 28.11.1952) fu moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia; bella donna, molto alta e robusta, dette nuova linfa al sangue malato di emofilia dei Savoia e fu madre di cinque figli, fra cui Umberto II, il “re di maggio”. Regina dal 1900 al ’46, riservata, amante delle arti, dotata per le lingue, attiva e generosa verso il suo popolo, ricevette la laurea “honoris causa” in Medicina e fu molto apprezzata per la sua dedizione alle opere caritatevoli e assistenziali tanto che Pio XI le conferì la “Rosa d’oro della cristianità” e nel 2001 è stata nominata “Serva di Dio”.

La storia ha lasciato profonde tracce che precedono la civiltà nuragica: questa area fu abitata dall’uomo fin dal neolitico e la sua posizione certamente favorì gli scambi con il continente, passando attraverso l’arcipelago toscano: doveva essere, infatti, il corridoio dell’ossidiana e della ceramica, l’oro nero e l’oro bianco dell’antichità. Qui si trovano nuraghi importanti, tombe, siti in parte ancora da studiare; i Romani -mai del tutto tranquilli in Sardegna e circondati dal pericolo costante di rivolte -trovarono il modo di sfruttarne l’abbondanza di granito: sulla spiaggia delle Colonne sono ancora ben visibili gli abbozzi di quelle abbandonate, là dove ora giocano i bambini in acque calme e piatte come meravigliose piscine naturali. I Pisani lasciarono evidenti impronte nell’architettura religiosa e gli Aragonesi nelle imponenti strutture difensive. I Piemontesi -con i loro ingegneri militari- hanno tracciato l’urbanistica di alcune cittadine (Santa Teresa), costruite a scacchiera con le strade perfettamente rettilinee che si incrociano, mentre le case talvolta mantengono la tipica struttura gallurese a un solo piano.

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Aglientu

  1. piazza Sirenella (villaggio Rena Majore). La piazzetta centrale del villaggio (in cui quasi tutti i nomi di strade sono legati al mare oppure alla vegetazione) è dedicata alla Sirenella, con esplicito riferimento nell’immagine di ceramica dipinta alla Sirenetta di Andersen più che alle sirene che incantarono Ulisse.

Oggi è la regione con il più alto reddito pro-capite della Sardegna grazie ad una florida economia in parte ancora agro-pastorale e all’importante risorsa del turismo, non solo perché comprende l’arcipelago della Maddalena, la Costa Smeralda e note località come Budoni e San Teodoro, ma anche per la costa in gran parte incontaminata; afferma il giornalista Beppe Severgnini, abituale frequentatore di Rena Majore: «ancora oggi penso che i venti chilometri tra Santa Teresa e Vignola siano il tratto di mare più spettacolare, affascinante – e rispettato- del Mediterraneo».

Venendo alla odonomastica, emergono alcuni elementi interessanti: per primo la presenza quasi ovunque di due nomi ricorrenti in Sardegna, ovvero Grazia Deledda ed Eleonora d’Arborea; il secondo dato si riferisce alle intitolazioni di tipo devozionale; alle Madonne (d’Itria, di Pompei, del Carmelo) si affiancano le sante di epoca e provenienza davvero varia: Caterina, Rita, Lucia, Anna, Chiara, Cecilia, Ilaria, Giusta, Degna, Barbara, Agnese, Margherita fino alla marchigiana Maria Goretti e alla lucchese Gemma Galgani, a testimoniare una fede popolare che si è rinnovata nel tempo. Un terzo elemento riguarda il frequente ricordo delle donne della famiglia Savoia: dalla amata prima regina degli Italiani, Margherita, alla regina Elena, fino alle principesse Iolanda e Mafalda, morta nel lager di Buchenwald nel ’44. Altre presenze sono legate al periodo risorgi-mentale: Anita Garibaldi (alla Maddalena, a Tempio Pausania e a Olbia) e la fervente patriota mazziniana Giuditta Bellerio Sidoli (Olbia); rimandano alla Resistenza e alla storia più recente i nomi di Nilde Iotti (Olbia) e Luigina Comotto, fucilata a settanta anni il 1° novembre del ’44 (Tempio Pausania). Un altro dato riguarda le donne attive in vari ambiti culturali: oltre alla già ricordata Deledda, compare più volte Maria Montessori, cui si affiancano la pittrice Artemisia Gentileschi, l’attrice Eleonora Duse, la cantante folk Maria Carta, la studiosa locale Maria Azara, autrice di un libro sulle tradizioni galluresi edito nel 1943. Nei comuni di Santa Teresa, Palau, Golfo Aranci, Aglientu fanno poi la loro comparsa nomi tratti dal mito e dall’epica: troviamo, infatti, Penelope, la maga Circe, la ninfa Calipso, Clitemnestra, Galatea, le Sabine, Sirenella (forse più fiabesca e disneyana nella raffigurazione che si accompagna al nome, nel villaggio di Rena Majore).

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Santa Teresa di Gallura

  1. via Circe (località Conca Verde). Secondo una credenza popolare presso il vicino Porto Pozzo si troverebbe il mitico paese dei Lestrigoni, giganti antropofagi che nell’”Odis-sea” distrussero la flotta di Ulisse e uccisero tutti gli uomini, eccetto quelli della sua nave, rimasta fuori dal porto. Proseguendo il viaggio Ulisse avrebbe incontrato nell’isola di Eea la maga Circe che li trasformò in animali. La maga fa parte della mitologia greca e, oltre che nel poema omerico, compare anche nel mito degli Argonauti.
  2. via Calipso (località Conca Verde). La ninfa (o dea del mare) vive nell’isola di Ogigia e trattiene Ulisse presso di sé per sette anni, promettandogli inutilmente l’immortalità.
  3. via Nausicaa (località Conca Verde). La fanciulla -figlia del re dei Feaci- soccorre l’eroe omerico e lo aiuta a ripartire fornendogli una nave.
  4. via Penelope (località Conca Verde). Ulisse,  dopo mille peripezie, riesce a ritornare a Itaca e alla amata sposa che lo ha atteso fedelmente per venti lunghissimi anni.
  5. via Maria Teresa. La cittadina di Santa Teresa fu fondata nel 1808 per controllare il contrabbando lungo la costa (Bocche di Bonifacio) e creare un avamposto contro le mire espansionistiche di Napoleone; era l’epoca del re Vittorio Emanuele I di Savoia che la volle dedicare (attraverso la santa omonima) alla moglie, Maria Teresa d’Austria-Este (1773-1832).
  6. biblioteca comunale Grazia Deledda. Grazia Cosima Deledda (Nuoro 27.09.1871-Roma 15.08.1936) è stata l’unica italiana a ricevere il premio Nobel per la letteratura (1926). Nelle sue opere la Sardegna non è altro che uno spaccato del mondo e dell’eterno conflitto fra male e bene: i drammi sono gli stessi ovunque; scrive: «L’uomo è, in fondo, uguale dappertutto». I suoi romanzi della maturità (Canne al vento, Elias Portolu, La madre, L’edera, Marianna Sirca) sono spesso incentrati sul senso di colpa, sulla potenza del peccato, sulla forza implacabile del destino, sul caos morale, ma «i suoi colpevoli e i suoi delinquenti» – scrisse Momigliano – incutono in noi lettori un «interesse intenso», «rispetto», «senso di pietà e di elevazione»: la colpa non viene rappresentata in modo superficiale o semplicistico, ma porta «a meditare sul drammatico destino che a tutti è imposto di peccare per poter sapere veramente che cosa è il bene e che cosa è il male». Sempre Momigliano ebbe a dire: «Nessuno dopo il Manzoni ha arricchito e approfondito come lei, in una vera opera d’arte, il nostro senso della vita».
  7. via e piazza Santa Lucia. In alto rispetto al paese, sul lato est, vicino all’antico mulino a vento, sorge la graziosa chiesetta di Santa Lucia nella piazza omonima. La devozione per la martire siracusana (283-304) -uccisa durante le persecuzioni di Diocleziano- è presente ovunque nei paesi cattolici e ortodossi, ma anche presso i luterani in Svezia; è la patrona di molte città e protettrice degli occhi e degli oculisti. Si festeggia il 13 dicembre, secondo la credenza popolare “il giorno più corto dell’anno”.

Per concludere, merita una breve riflessione a parte l’odonomastica di Olbia: quarantatré donne ricordate a fronte di 484 uomini, ma che donne! Oltre ai nomi citati e alle undici sante, vanno per forza evidenziate alcune scelte interessanti e poco comuni, iniziando dalla medica Ernestina Paper, prima laureata dopo l’unità (1877); troviamo poi la scienziata Maria Sklodowska Curie (unica ad aver ottenuto il Nobel in due diversi campi: la fisica e la chimica), le scrittrici Joyce Lussu, Maria Bellonci, Jane Austin, Matilde Serao, Sibilla Aleramo, e infine due giovani vittime della violenza di diversa matrice: la poliziotta Emanuela Loi e la giornalista Ilaria Alpi.

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La Maddalena

piazza Santa Maria Maddalena. Qui sorge la chiesa parrocchiale, dedicata alla patrona dell’isola; i lavori per la costruzione iniziarono nel 1780, ma poi nel 1814 l’edificio ebbe una radicale trasformazione in stile neoclassico; in seguito subì ampliamenti e rimaneggiamenti, fino al recente ripristino della vecchia facciata e l’eliminazione di stucchi e affreschi.

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Tempio Pausania

via Madonna di Pompei. Il santuario a Pompei -dedicato alla Beata Vergine del Rosario- è uno dei più visitati del culto mariano con quattro milioni di pellegrini all’anno; i lavori di costruzione iniziarono l’8 maggio 1876 per volere del beato Bartolo Longo e della pia contessa Marianna de Fusco. Per rinvigorire presso i fedeli la pratica del rosario si cercò un dipinto adatto che fu trovato in un convento napoletano, in pessime condizioni; tuttavia, dopo vari restauri, la tela ora mostra l’opera di un valente artista della scuola di Luca Giordano e l’immagine continua a essere venerata come miracolosa




ITALIA – A Cagliari, tra regnanti, artiste e letterate di Villanova

Di Agnese Onnis

 Nella prima metà del XX secolo, la città di Cagliari ha visto espandere il suo abitato a partire dai due quartieri storici di Villanova, ad est di Castello, e Stampace, ad ovest, che già da secoli accoglievano le famiglie contadine emigrate dalla vicina pianura del Campidano.

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FOTO 1. MAPPA

La parte più antica di Villanova si riconosce dalle sue casette basse e colorate, che nascondono orti e giardini interni, e da ciò che resta delle minuscole botteghe artigianali sopravvissute alla crisi. Le vigne e i frutteti che circondavano l’area fino alla prima metà dello scorso secolo hanno lasciato gradualmente posto dapprima a villini liberty e palazzine discrete, e infine ad alti edifici abitativi e chiassose strade.

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FOTO 2. VILLANOVA VECCHIA

A fungere da raccordo fra il quartiere arroccato di Castello e il piano di Villanova è il Terrapieno, utilizzato nel XVIII secolo come avamposto delle fortificazioni militari legate ai Savoia e trasformato, negli anni Trenta, in passeggiata panoramica, a un metro e mezzo di altezza al di sopra del viale Regina Elena.

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FOTO 3. TERRAPIENO

La regina Elena è dunque la prima figura femminile che s’incontra nel percorso, cara al popolo e rispettata per la sua generosità. Non amava la vita di corte: indossava il grembiule per dirigere le cameriere, curava personalmente tutti i particolari dei ricevimenti, insegnava alle figlie a cucire, a lavorare a maglia, a fare i dolci. Aveva un gran senso del dovere e della dignità, tanto che per il tragico terremoto di Messina del 1908, si dedicò personalmente ai soccorsi. Durante la prima guerra mondiale fece l’infermiera a tempo pieno e trasformò il Quirinale in un ospedale.  Si interessò alla medicina, fino a meritare una laurea ad honorem; ancora oggi molti ospedali e reparti ospedalieri portano il suo nome. Finanziò opere benefiche e sembra fosse anche intervenuta presso il re a favore degli ebrei, ai tempi delle leggi razziali.

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FOTO 4. VIALE REGINA ELENA

Il Terrapieno si chiude con l’ingresso ai Giardini pubblici, dove, nella palazzina della ex Polveriera, ha sede la Galleria Comunale d’arte diretta da Anna Maria Montaldo, che l’ha valorizzata e fatta emergere a livello nazionale guadagnandole, per la buona gestione, il titolo di secondo museo civico.

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FOTO 5. GALLERIA COMUNALE D’ARTE

La Galleria espone, tra le tante opere, alcune produzioni di artiste. Al piano terra sono in mostra diverse tele della pittrice umbra Deiva De Angelis (Veduta romana, Paesaggio con alberi, Nudo femminile).

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FOTO 6. TESTA DI CONTADINA

Al primo piano sono presenti lavori di Antonietta Raphael Mafai (Testa di contadina, foto 6), Rosanna Rossi (Composizione), Mirella Mibelli (Bagnante), Maria Lai (Ritratto di Salvatore Cambosu), Rita Thermes (Coro a tre voci, foto 7).

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FOTO 7. CORO A TRE VOCI

Per ritrovare tracce femminili nella toponomastica dell’area bisogna procedere a ritroso e percorrere viale Regina Elena in direzione della piazza Costituzione. Da lì, imboccata via Garibaldi e voltato subito a destra su via San Lucifero, s’incrocia la strada dedicata alla grande giudicessa Eleonora d’Arborea, a cui è peraltro intitolato anche l’Istituto Magistrale, oggi Liceo psico-pedagogico.

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FOTO 8. ELEONORA (foto di Daniela Serra)

Alla morte di suo padre, il giudice Mariano IV, Eleonora esercitò il ruolo di reggente per i figli minorenni nel giudicato di Arborea.

La sua forte personalità le permise di ottenere il consenso popolare e di imporsi come legislatrice saggia e capace che alla ‘sardesca repubblica’’ applicò nuove regole e leggi incorporate ai Codici paterni, nella famosa Carta de Logu.

Eleonora detiene, insieme a Grazia Deledda, il primato di intitolazione di strade e piazze nei comuni sardi.

A Cagliari, tra le due protagoniste della storia e della cultura isolana, la distanza è breve.

Imboccata la via Iglesias verso piazza Gramsci, e attraversata via Sidney Sonnino (un tempo via Nuova), s’incontra via Grazia Deledda, di poco esterna all’area originaria di Villanova.

Merita una piccola nota la prima traversa di via Iglesias (oggi via Oristano), un tempo conosciuta come arruga de is Panetteras, la via delle panificatrici, di cui purtroppo non è rimasta traccia.

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FOTO 9. DELEDDA (foto di Daniela Serra)

 Con la Deledda l’Isola entra a far parte dell’immaginario europeo, scrive Dino Manca nella sua introduzione critica e filologica al romanzo L’edera.

Grazia, premio Nobel per la letteratura, nacque nel 1871 a Nuoro. La sua biografia è nota e i suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo.

Quale riconoscimento alla fama della scrittrice, la città di Nuoro ha trasformato la sua casa natale nel bel Museo Grazia Deledda.

Anche Cagliari, con l’intitolazione della strada, testimonia il suo omaggio alla grande scrittrice.

La passeggiata si conclude con un’altra dedica letteraria che compare nella seconda traversa destra di via Deledda.

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FOTO 10. ADA NEGRI

Beneficiaria ne è Ada Negri, lodigiana di umili origini che rivolse gran parte delle sue liriche ai temi sociali, tanto da essere definita la poetessa del Quarto Stato. Vicina alle posizioni mussoliniane, e dunque intellettuale di regime, non rinnegò mai le sue idee. Morì nel 1945 a Milano.

Seppure esuli dal tema del percorso e non abbia riferimenti diretti al mondo femminile, va segnalata, a breve distanza dall’ultima meta, la basilica di San Saturnino e l’adiacente necropoli, considerata uno dei più importanti complessi paleocristiani dell’isola. Anche qui, come sempre, si cela una presenza femminile significativa: furono soprattutto tre donne – Renata Serra, Tatiana Kirova, Letizia Pani Ermini – a fissare e divulgare la datazione della fabbrica originaria tra il V e il VI secolo.

Villanova conserva molti edifici di culto interessanti per la storia e l’architettura cittadina, ma nessuno dei tanti è intitolato a donne. Sarà invece il quartiere di Stampace, oggetto della prossima passeggiata, a riportarci nel mondo delle sante.

 




ITALIA – A Cagliari, tra le donne di Castello

Di Agnese Onnis

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FOTO 1. Castello

Posta a sud dell’isola, di cui è capoluogo, Cagliari si caratterizza per i suoi sette colli da cui prendono nome alcuni quartieri: Castello, Tuvumannu/Tuvixeddu, Monte Claro, Monte Urpinu, Colle di Bonaria, Colle di San Michele, Calamosca/Sella del Diavolo e da zone pianeggianti laddove a partire dall’Ottocento sono sorti quelli nuovi.

Anche le targhe delle strade e delle piazze – una vera risorsa per la memoria della città insieme ai suoi luoghi, ai suoi monumenti, ai segni lasciati dai popoli antichi e dominatori – consentono una lettura curiosa della storia delle città attraverso fonti scritte nel circuito urbano.

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FOTO 2. Porta Cristina

Nel quartiere medioevale di Castello si entra attraverso la porta Cristina, costruita nel 1815, quale omaggio del re Carlo Felice di Savoia a sua moglie Cristina di Borbone, regina del Regno di Sardegna.

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FOTO 3. Targa Porta Cristina

Carolus Felix Rex viam planiorem brevioremque a Castro Caralis ad portam arcis regiam aperuit Maria Cristina Regina – Porte egressus in apertam viam nomen suum imposuit – MDCCCXXV. Januario Rotario regni Praeside. “

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FOTO 4. Scuola Santa Caterina

In Castello domina sul bastione Santa Caterina l’edificio della scuola pubblica di quartiere che assume lo stesso nome, costruita nel 1910 sui ruderi del vecchio convento domenicano. La scuola si affaccia sulla piazza Santa Caterina, verso il panorama del porto, della laguna e del mare del Poetto. A destra della scuola, salendo verso la via Fossario, si trova la piazza Palazzo con la cattedrale di Santa Maria edificata in stile romanico-pisano nel 1258, sulle rovine della più antica chiesa di Santa Cecilia, e rimaneggiata alla fine del ‘600 in stile barocco.

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Foto 5. Cattedrale di Santa Maria

Attraversata la piazza Indipendenza verso via Lamarmora, al civico 63 di un palazzo settecentesco una targa ricorda l’abitazione della nobildonna Francesca Sanna Sulis, la prima imprenditrice del ‘baco da seta’ in Sardegna. Nelle sue proprietà terriere del Sarrabus avviò e consolidò le bachicolture produttive fin dalla metà del Settecento ricavando una seta di qualità e di pregio.

Francesca Sulis agli inizi dell’800 anticipò nuove formule d’impresa nell’isola. Nei suoi laboratori di Quartucciu, la cui Biblioteca comunale oggi è a lei intitolata, predilesse la manodopera femminile, introdusse nei suoi progetti sociali la scuola per le operaie e organizzò i corsi professionali di filatura e tessitura. La sua produzione venne valorizzata da creazioni di alta sartoria.

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Foto 6. Francesca Sanna Sulis

Dal mondo lontano dei fili di seta di Francesca Sulis ad un’altra grande artista sarda, Maria Lai, creatrice dell’arte dei fili di telai.

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Foto 7. Maria Lai

Il progetto espositivo “Ricucire il mondo” ha ospitato numerose sue opere nelle stanze del Palazzo di città, sede municipale dal medioevo fino ai primi anni del XX secolo e oggi spazio museale.

La città le ha intitolato l’aula Magna del Dipartimento delle Facoltà giuridiche, un edificio contiguo all’anfiteatro e all’Orto botanico della città.

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Foto 8. Palazzo di città

Ciò che appare del mio lavoro, cioè la cultura contemporanea, che senz’altro ho acquisito fuori dalla Sardegna e che mi permette un dialogo col mondo, è solo la punta dell’iceberg… Ho dietro di me millenni di silenzi, di tentativi di poesia, di pani delle feste, di fili di telaio.

Il sole illumina una piazzetta di Castello dedicata alla poetessa Mercede Mundula, nata nel 1890 a Cagliari e ivi vissuta nei suoi anni giovanili con le sorelle.

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Foto 9. Piazzetta Mercede Mundula

Le altre città secondarie d’Italia hanno più o meno vicina la grande città che le fa impallidire: Cagliari no, Cagliari, città madre dell’Isola, si specchia solitaria nel suo mare che le dà una specie di “splendid isolation” per suo uso e consumo.

Con il matrimonio si trasferisce a Roma, approfondisce i suoi interessi artistici e culturali, frequenta diversi circoli letterari ricchi e stimolanti e collabora con alcune riviste nazionali. Svolge una ricca attività letteraria, recensisce libri e pubblica saggi tra cui spiccano le protagoniste delle opere di Grazia Deledda, di cui fu amica per vent’anni. Mercede pubblica monografie su Eleonora d’Arborea e Adelasia di Torres; scrive racconti per ragazzi e soprattutto poesie, di cui molte in lingua sarda.

Dopo il disastro dei bombardamenti del 1943, volle rivedere la sua amata città natale, che le appare come un bel viso con dolorose cicatrici ma dove il sangue già rifluiva copioso (…). Una buona plastica facciale fatta da eccellenti chirurghi, e sarebbero spariti i segni delle ferite.

Un’altra piazzetta di Castello ha per protagonista una donna. Si tratta di Mafalda di Savoia.

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Foto 10. Piazzetta Mafalda di Savoia

Mafalda figlia di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, benchè fosse figlia del re d’Italia, fu principessa tedesca per matrimonio con Filippo Kassel d’Assia, principe ma anche ufficiale tedesco. Nel 1943 dopo l’Armistizio e il disarmo delle truppe italiane, Mafalda, di ritorno da Sofia attraversa pericolosamente l’Europa con aerei per diplomatici, raggiunge Roma ma qui in circostanze poco chiare viene arrestata dal comando tedesco e deportata nel lager di Buchenwald. Nell’agosto del ‘44 il campo fu bombardato dagli anglo-americani e la baracca dove alloggiava fu distrutta, la principessa subì ustioni e ferite su tutto il corpo. Dopo quattro giorni di atroci dolori, operata per cancrena, ormai abbandonata e priva di soccorsi, morì dissanguata nel campo. Il suo corpo oggi è sepolto nel cimitero del castello degli Assia vicino a Francoforte sul Meno.

 




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – In Puglia trend negativo di intitolazioni a figure femminili. In attesa del giusto tributo le Tabacchine uccise a Tricase e Calimera

La Puglia o le Puglie? Forse sarebbe più corretto usare il plurale e pensare alla nostra regione, con la ricchezza e diversità paesaggistica, culturale e storica che la definiscono, dal Gargano proteso verso l’Adriatico alle Murge (quella alta, quella bassa, quella dei trulli), fino ai paese assolati del Salento, come a un piccolo continente che riunisce identità plurali cercando di legare insieme tradizioni così diverse.

In questo territorio così vasto e molteplice, la toponomastica di genere costituisce un comune denominatore tra tutte le province, evidenziando come nelle altre regioni italiane, il trend in negativo di intitolazioni alle figure femminili, con preferenza verso nomi di sante, religiose e madonne e che conferma, come indice di femminilizzazione, il valore medio nazionale dell’8% tranne poche eccezioni. Le strade maschili celebrano invece politici, statisti, scienziati, eroi nazionali.

Il lavoro di ricerca è partito subito con la nascita del progetto Toponomastica femminile nel 2012, e ha interessato tutti i 258 comuni pugliesi, utilizzando nei primi tempi soprattutto fonti eterogenee e poi, per rimediare alla scarsità di dati ufficiali, il software sviluppato ad hoc per il nostro lavoro, che attinge alle banche dati delle Agenzie del Territorio e che ha impresso un carattere sistematico e di omogeneità all’indagine in tutte le regioni. Ci saremmo aspettate una maggiore collaborazione da parte dei Comuni della Puglia, ai quali era stato richiesto lo stradario ufficiale con un massiccio quanto capillare invio di email, ma le risposte arrivate sono state molto limitate. D’altro canto Toponomastica femminile era agli esordi e non aveva ancora raggiunto i livelli di popolarità attuali che l’hanno resa conosciuta ormai a tutti. E così è stato anche per la prima campagna lanciata nel 2012 ‘8marzo/3strade/3donne’, che ha ricevuto dalla regione un timido interesse, con l’esclusione di pochi comuni come Locorotondo, Manfredonia, Valenzano, Bari, Taranto e Lecce, che hanno risposto con una presa d’impegno a compensare la carenza di visibilità nelle strade, con l’inserimento di intitolazioni femminili nei programmi futuri. Il comune di Castellana Grotte, ha anticipato addirittura di un giorno il nostro invito superando le nostre intenzioni, con l’intitolazione di 4 strade a 4 donne.

Siamo ancora lontane dagli obiettivi che ci eravamo prefisse e consapevoli che anche questa, come tutte le operazioni culturali che introducono elementi di novità e di rottura con consuetudini consolidate, richiedono tempi di elaborazione e assimilazione molto lunghi. Tuttavia ci sono segnali positivi e che fanno ben sperare. La città di Bari che su 2263 strade ne ha più della metà dedicate agli uomini e appena 87 alle donne, in questi due anni ha intitolato un giardino alle vittime di femminicidio, una alla giovane vittima Santa Scorese, una alla prima avvocata del Foro di Bari Letizia Abbaticola e da pochissimi giorni ha deliberato l’intitolazione dello spiazzo antistante il Teatro Kismet alla scrittrice e saggista americana Susan Sontag, che proprio con la nostra città aveva un particolare legame grazie al professor Paolo Dilonardo, docente di Letteratura inglese dell’Università Aldo Moro di Bari e traduttore italiano di tutte le sue opere.

Anche la città di Foggia con appena 22 strade femminili su 850 e un indice inferiore alla media che non riesce a raggiungere il 5%, sta lentamente cercando di recuperare il divario esistente con la recente intitolazione a un’archeologa e studiosa foggiana Marina Mazzei. Vale la pena di ricordare le altre poche figure di rilievo che vengono ricordate a Foggia e che faticano ad emergere nel ben più vasto panorama di sante e madonne: la celebre politica e scrittrice pugliese vincitrice del Premio Strega nel 1995 con il romanzo Passaggio in Ombra Maria Teresa Di Lascia, la deputata Anna De Lauro Matera, Ester Loiodice studiosa di fama internazionale di etnografia e la giornalista Ilaria Alpi uccisa in Somalia.

La ricerca condotta lascia affiorare un dato abbastanza chiaro e diffuso un po’ ovunque: le donne della scienza sono perlopiù ignorate, se si esclude Marie Curie che viene spesso citata con il marito, e quelle della storia stentano ad affermarsi. In questo quadro sconfortante si distinguono nella provincia Andria-Barletta-Trani, i comuni di Canosa e di Trani che ricorda Giustina Rocca (considerata la prima avvocata al mondo) e alcune eroine protagoniste degli episodi di sacrificio dei moti del 1799, quando le truppe francesi misero a ferro e fuoco la città.

In un quadro toponomastico che potremmo definire a misura di chiesa, altre figure della storia locale sono ricordate nelle province di Taranto e Lecce come l’eroina risorgimentale Antonietta Di Pace e la contessa Maria D’Enghien, principessa di Taranto. Lecce celebra Euippa prima regina dei Messapi, oltre che su una strada anche in una iscrizione sulla Porta Rudiae, ma in uno slancio di apertura oltre confine, rende omaggio anche ad Anna Maria Mozzoni pioniera del femminismo, e personalità di respiro internazionale come la rivoluzionaria Anna Kuliscioff.

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Tra le letterale vengono diffusamente commemorate un po’ in tutta la regione Grazia Deledda, Ada Negri e Matilde Serao. In misura minore compaiono gli odonimi che ricordano gli antichi mestieri come nella città di Brindisi con via delle Balie, via delle Sartine e via delle Ricamatrici o via delle Caterinette a Bisceglie. Mentre un’altra categoria di lavoratrici del Salento, impegnate in una delle attività tra le più faticose e insostenibili, quella della lavorazione e produzione del tabacco, attende ancora di essere ricordata. Le vogliamo rievocare in questo spazio, in attesa che ricevano il giusto tributo dalla Storia. Sono le Tabacchine uccise a Tricase, negli scontri con le forze dell’ordine durante le manifestazioni di piazza del 1935, quando si raccolsero per protestare contro il trasferimento del locale tabacchificio ACAIT e le Tabacchine di Calimera uccise in un incendio scoppiato nel corso di lavori di disinfestazione. Sono le Tabacchine di Neviano, Novoli, Poggiardo, Trepuzzi, Soleto, Salve, Tiggiano che furono fermate, denunciate ed arrestate per aver protestato e manifestato contro lo sfruttamento cui erano sottoposte e la cui memoria non merita di perdersi nel fumo. Per loro, Toponomastica femminile Puglia ha inoltrato nel 2013 una proposta di intitolazione alla Commissione consultiva toponomastica del comune di Casarano.