GINEVRA – Le Società Nazionali di Croce Rossa contrarie all’accordo tra UE e Turchia

Alcune Società Nazionali di Croce Rossa della zona Europa, tra cui l’Italia con il Presidente Francesco Rocca, esprimono forti preoccupazioni per le conseguenze sul piano umanitario in seguito  per arginare i flussi migratori verso l’Europa.

Le Società, pur apprezzando gli sforzi compiuti dai paesi dell’UE nell’affrontare l’enorme crisi umanitaria in corso, sottolineano che l’accordo rischia di violare i diritti umani dei rifugiati, nonché il diritto internazionale ed europeo. In sintesi si chiede di garantire la possibilità di richiedere asilo agli aventi diritto, e di accedere a procedure eque ed efficaci per la determinazione dello status di rifugiato, nonché di garantire la protezione contro i respingimenti.

In Grecia è in corso una terribile emergenza umanitaria. Si tratta di una crisi europea che richiede atti concreti e autentici di solidarietà tra gli Stati. Né la Grecia né la Turchia possono prendersi cura esclusivamente di tutti i migranti che arrivano sul loro territorio. Nonostante gli sforzi dell’Unione Europea per fermare i flussi migratori, sulle isole greche continuano ad arrivare ogni giorno circa mille migranti che, come testimoniato dalla Croce Rossa Ellenica e dalle altre Società intervenute sul posto, ad oggi sono bloccati in condizioni spaventose, vivendo in tende esposti alle intemperie, e con condizioni igieniche e sanitarie molto precarie, così come precario è l’accesso al cibo, ai generi di prima necessità e all’istruzione.
In seguito all’accordo UE-Turchia, migliaia di persone sono state trasportate dalle isole greche sulle terraferma, creando confusione e panico che aggravano ulteriormente le condizioni già insicure di questi vulnerabili.

“Non bisogna dimenticare – dicono le Società Nazionali della Croce Rossa della zona Europa – che dietro alle trattative politiche su numeri e accordi finanziari, c’è la situazione disperata di centinaia di migliaia di persone vulnerabili, uomini, donne, padri, madri e figli, che rischiano la vita ogni giorno per cercare la salvezza in Europa. Riteniamo che l’accordo UE-Turchia rifletta una mancanza di empatia e umanità rispetto alla vera natura della disperazione che ha spinto molte persone ad intraprendere questi viaggi pericolosi. Secondo la nostra esperienza, le politiche di deterrenza e le chiusure dei confini hanno avuto un effetto limitato nel ridurre la vulnerabilità delle persone di fronte alla disperazione.

I controlli indiscriminati alle frontiere e la criminalizzazione della migrazione irregolare tendono a esporre i più vulnerabili, in particolare donne e bambini, a rischi sempre maggiori, come la separazione familiare, gli abusi sessuali, la tratta, le violenze e la morte.

Come abbiamo visto più volte, quando si chiude un confine, si creano rapidamente nuove rotte. Abbiamo a che fare con le ripercussioni enormi di conflitti irrisolti e con la povertà estrema, che richiedono urgentemente soluzioni politiche e azioni concrete come creare percorsi sicuri e legali in Europa, facilitare il ricongiungimento familiare, impostare operazioni di ricerca e soccorso nell’intero bacino del Mediterraneo garantendo assistenza ai migranti in difficoltà, dare priorità alla collaborazione tra Stati per garantire senza ostacoli la sicurezza e l’assistenza umanitaria alle vittime di conflitti e violenze.
Mentre Croce Rossa e Mezzaluna Rossa continueranno a fornire assistenza e protezione ai migranti vulnerabili lungo le rotte migratorie, gli Stati dell’UE devono assumersi congiuntamente le loro responsabilità e trovare soluzioni durature e più umane. In base alla nostra esperienza, oltre il 40 per cento dei Siriani che arrivano sulle isole greche vogliono riunirsi ai familiari già presenti in altri Stati europei. È importante sottolineare che le misure attuate non devono essere a scapito dei rifugiati provenienti da altri paesi, come l’Afghanistan, l’Iraq e l’Eritrea, che oltretutto stanno compiendo pericolose traversate in mare per ottenere la protezione internazionale in Europa.
Siamo consapevoli delle sfide che la situazione provocata dalla grande ondata migratoria in corso comporta per i governi dell’UE. Tuttavia, siamo convinti che le Società Nazionali di Croce Rossa e gli Stati membri dell’UE dovrebbero affrontare questo sforzo insieme. Ci aspettiamo di più da parte dei nostri governi e allo stesso tempo siamo pronti a fornire il nostro supporto”, concludono in una nota congiunta le Società Nazionali di Croce Rossa zona Europa.
La nota è sottoscritta dalle Società Nazionali di Croce Rossa dei seguenti Paesi: Austria, Belgio, Regno Unito, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Olanda, Norvegia, Slovenia, Spagna, Svezia e Svizzera.




GRECIA – Pierre Moscovici: “Le Istituzioni Ue stanno lavorando per le misure fiscali”

La Grecia appare sempre più debilitata dal crollo finanziario e il lemma Grexit coniato nel 2012, quando si prospettava l’uscita della nazione ellenica dalla zona Euro in maniera forzata, conseguente alla disastrosa situazione economica, pare essere prepotentemente tornato alla ribalta.
Il Pil nell’ultimo trimestre ha mostrato un calo dello 0,6 %, dato preceduto dal 1,4% segnato nei tre mesi antecedenti. Nonostante l’ipotesi del Greek Exit si faccia largo tra gli economisti, l’Unione Europea attraverso Pierre Moscovici, ossia il Portavoce del Commissario Ue agli Affari Economici ha dichiarato che “Le Istituzioni Ue stanno ancora lavorando a un pacchetto di misure per raggiungere gli obiettivi fiscali concordati nel memorandum” e la “Grecia deve ancora adottare un pacchetto molto significativo per arrivarci”, inoltre “la scala di questi sforzi è in linea con quanto stabilito la scorsa estate”.
Nel frattempo gli scontri e gli scioperi non si arrestano nella capitale, il 12 febbraio gli agricoltori sono scesi in piazza a causa della riforma delle pensioni e degli eventuali aumenti delle tasse. La polizia ha lanciato dei lacrimogeni contro la folla, per contrastare il dissenso degli agricoltori che hanno distrutto alcuni vetri del palazzo del ministero dell’agricoltura, lanciando pietre e pomodori contro la struttura.
Della democrazia greca, lontana dal modello esemplare della polis, sembrano rimasti solo i meravigliosi e unici reperti archeologici, testimoni di un tempo ormai lontano ed effettivamente utopistico.




EUROPA – Profughi: interviene l’Ue. Scontri a Mantova e in Germania, tragedia in Austria

Slogan minacciosi, offese reciproche, tensione che si taglia con il coltello. Finché non arrivano anche le botte: qualche pugno dei manifestanti di estrema destra colpisce gli agenti della polizia e questi, per tenere i neofascisti a distanza, alzano i manganelli e li fanno indietreggiare.

Da una parte circa 150 manifestanti scesi in piazza Sant’Isidoro per dire no all’accoglienza dei profughi ospitati all’ex hotel Maragò, dall’altra una quarantina di esponenti di associazioni di sinistra (La Boje, Mantova Antifascista). In mezzo gli agenti della polizia in tenuta antisommossa. Fuori dal palcoscenico della serata di violenza  sono rimasti loro, i profughi: un convitato di pietra attorno al quale si è sviluppata una serata che la città non è certo abituata a vivere.
La questura aveva autorizzato entrambe le manifestazioni ma con un veto preciso: nessun contatto tra i due gruppi né, naturalmente, tra i neofascisti e la struttura che ospita i migranti. Ma che non tirasse una buona aria si era capito già quando, in favore di telecamera, erano partiti i primi slogan da destra. In piazza – al di là del sedicente comitato apartitico per “Mantova ai virgiliani” – esponenti di Fronte Skinheads e Forza Nuova, guidati dal coordinatore del Nord Luca Castellini, e più di una voce che inneggiava al leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Gruppi che, lo avrebbero spiegato loro stessi nel corso della serata, muovono soprattutto da Brescia e Verona e si spostano di città in città per protestare contro l’accoglienza dei profughi.

Poco dopo le 21 il momento di maggior tensione. I neofascisti hanno provato a superare il limite imposto dalla questura per procedere lungo via Stazione: in quella direzione avrebbero incontrato prima l’hotel dei profughi e poi, poco oltre, il presidio di La Boje. Quando si sono frapposti, alcuni agenti sono stati colpiti: inevitabile a quel punto la reazione della polizia che ha colpito i manifestanti con una rapida serie di manganellate. Non una carica prolungata o particolarmente violenta, ma sufficiente a far arretrare i manifestanti (uno dei quali, riferiscono, sarebbe rimasto ferito alla testa). Una notizia però non confermata. «Vogliamo andare dal titolare dell’hotel e dirgli che è un pezzo di m… – dicono alla cronista della Gazzetta – perché si arricchisce con i soldi dell’accoglienza dei profughi, con i soldi degli italiani».
All’inizio della serata era presente anche Luca De Marchi, consigliere comunale ex leghista. Che poi, visto il tenore della manifestazione, se n’è andato. I neofascisti lo hanno accusato di codardia, ma lui prende nettamente le distanze: «Io sono un uomo delle istituzioni: se la questura dice di rimanere in piazza Sant’Isidoro, io non vado oltre. Sono rimasto lì con il mio popolo, fatto di gente comune che i profughi non li vuole ma che non si scontra con la polizia. Sono volati pugni e manganellate? È una roba penosa che Mantova non merita».
Sempre a distanza la quarantina di simpatizzanti di La Boje e Mantova Antifascista: «Questi neofascisti replicano lo stesso schema in tutte le città in cui vanno – attacca Enrico Lancerotto di La Boje – provano a convogliare la rabbia della gente contro delle persone che hanno la sola colpa di scappare dalle guerre».

Angela Merkel bacchetta Italia e Grecia sull’emergenza profughi: i centri di registrazione dei profughi nei due Paesi vanno realizzati rapidamente, entro l’anno. Parigi e Berlino ritengono che, nell’emergenza attuale, i ritardi siano inaccettabili. Anche sulla gestione dei profughi, una situazione «straordinaria» in cui si trova l’Europa, Angela Merkel e François Hollande hanno accordato le voci, lanciando a Berlino un documento di lavoro comune, affidato ai reciproci ministri dell’Interno. Oltre a un richiamo all’unisono ai Paesi membri che non rispettano la piena comune applicazione del diritto d’asilo in Europa. La bilaterale col presidente francese ha preceduto di poco un incontro a tre con il presidente ucraino Petro Poroshenko sulla situazione nell’Est del Paese per rilanciare gli accordi di Minsk.

Merkel e Hollande hanno chiesto, incontrando la stampa in un primo momento da soli, che la Commissione europea «prema sui Paesi che non rispettano le condizioni del diritto d’asilo, per fare in modo che finalmente si verifichi». «Si tratta della registrazione, degli standard minimi dei centri di accoglienza e degli standard minimi sulle forniture sanitarie», ha puntualizzato la cancelliera. Poi il passaggio che riguarda Roma e Atene: «I capi di governo hanno stabilito che vengano allestiti dei centri di registrazione nei Paesi colpiti dai primi arrivi, come la Grecia e l’Italia, mettendo a disposizione personale comune. Questi centri devono essere fatti velocemente, entro l’anno. Ritardi non possono essere accettati», ha avvertito la cancelliera.
Le ha fatto subito eco Hollande, che ha rivendicato «un’accelerazione» su questo fronte. «È indispensabile» – ha insistito a sua volta il presidente- «che questi centri vengano realizzati, per registrare chi arriva sulle nostre coste e che qui si prendano le doverose decisioni su quelli che hanno diritto e quelli che non possono essere accettati». L’inquilino dell’Eliseo ha poi ribadito l’allarme generale che vive il continente, alle prese con una sfida «molto difficile»: «Ci sono volte in cui l’Europa si trova di fronte a situazioni straordinarie. Questa è una situazione straordinaria», ha affermato, e «nessun Paese può risolvere da solo» il problema. Serve una stretta cooperazione europea. È Stata invece Merkel a ricordare che nell’Ue la «distribuzione (dei profughi) non è ancora equa».
TUMULTI IN GERMANIA – Gli ammonimenti arrivano a ridosso di un week-end difficilissimo in Germania, dove si sono verificati gravi tumulti in Sassonia, con 30 agenti feriti e panico fra i rifugiati. Merkel è alle prese con i numeri inattesi dei richiedenti asilo nel suo Paese – oltre 800 mila quelli stimati per il 2015, il doppio della cifra calcolata fino a qualche giorno fa – e l’insofferenza di frange di popolazione innescate dai populisti anti-immigrati di Pegida e dagli estremisti di destra.

BUDAPEST – Tragedia dell’immigrazione in Austria: da 20 a 50 rifugiati sono stati trovati morti in un tir abbandonato lungo l’autostrada orientale A4 tra il Burgenland Neusiedl e Parndorf. I migranti sarebbero rimasti asfissiati nel cassone. L’episodio arriva dopo l’ennesima strage nel Canale di Sicilia: ieri sono state trovate morte 51 persone su un’imbarcazione diretta dalla Libia all’Italia e nello stesso giorno in cui un nuovo dramma si concretizza in mare, con numerose vittime per un naufragio al largo delle coste nordafricane.

In una conferenza stampa, gli inquirenti austriaci hanno spiegato che c’è il sospetto che i profughi fossero morti già da un giorno e mezzo o due. Sarebbero morti prima di varcare il confine tra Ungheria e Austria. Il camion era fermo su una piazzola d’emergenza sull’autostrada orientale A4, tra le città di Neusiedl e Parndorf. Alla guida non c’era nessuno. La polizia sta dando la caccia al conducente del veicolo, del quale non si ha alcun indizio. Il camion ha richiamato l’attenzione degli agenti perchè da varie ore era fermo. Il capo di Gabinetto del premier ungherese Viktor Orban ha fatto sapere che la targa del veicolo è ungherese, intestata ad un cittadino romeno. La polizia ungherese sta lavorando con le autorità austriache per scoprire che cosa sia accaduto e chi sia responsabile dei decessi dei migranti.

Appello all’unità dalla Ue –  a Vienna i leader europei erano riuniti per un vertice sui Balcani occidentali. E in serata la cancelliera tedesca Angela Merkel ha annunciato: “Abbiamo raggiunto con Italia e Grecia l’accordo sul fatto che i cosiddetti centri di registrazione o Hot Spots debbano essere allestiti entro la fine dell’anno”. Merkel ha anche detto che “Italia e Grecia potranno accettare centri del genere, soltanto se altri Paesi sono pronti ad accogliere la loro quota di asilanti.

Da parte della Commissione Ue, nel pomeriggio, era arrivato un appello all’unità, davanti alla tragedia austriaca. In una nota si invocano “azioni comuni e solidarietà tra tutti”: “C’è la necessità urgente che tutti gli Stati membri sostengano le proposte avanzate dalla Commissione, anche chi sinora è stato riluttante”. Si sottolinea inoltre come ci si trovi di fronte “non a una crisi italiana, greca, franco-tedesca ungherese, ma europea”.

Il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, ha chiesto all’Ue di istituire subito dei centri di accoglienza sui confini dell’Unione europea “per permettere il trasferimento in sicurezza di profughi nei 28 stati membri”. Poi ha aggiunto: “Questo è un giorno buio, è necessaria tutta la forza e tolleranza zero contro i trafficanti di esseri umani”.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha espresso la propria solidarietà, amicizia e vicinanza al Cancelliere austriaco Werner Faymann di fronte alla drammatica notizia dei morti asfissiati nel camion. “Una morte assurda, che sconvolge la coscienza di ognuno di noi e che sottolinea, una volta di più se ce ne fosse ancora bisogna, la centralità e l’urgenza del tema dell’immigrazione in una Europa dove tornano ad erigersi muri”.

Siamo tutti sconvolti dalla notizia agghiacciante dei profughi morti nel tir. Questo è un ammonimento all’Europa a offrire solidarietà e a trovare soluzioni”, ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel, per poi aggiungere: “Troveremo il modo di distribuire il carico e le sfide in modo equo”. Poco prima era intervenuto anche il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maiziere che ha ribadito in una conferenza stampa a Berlino “l’urgenza dei centri in Grecia e Italia” da allestire entro la fine di questo anno. Un invito che era arrivato pochi giorni fa anche dalla stessa Merkel e dal presidente francese Francois Hollande.

“Abbiamo un obbligo morale e legale di proteggere i rifugiati” e serve un “approccio europeo” alla gestione della crisi in corso, ha affermato l’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, che ha rivelato che si sta lavorando a nuove proposte, con l’elaborazione di “una lista comune di Paesi d’origine sicuri e un meccanismo di ricollocazione”.

Record di arrivi in Ungheria. Intanto la rotta balcanica continua ad essere presa d’assalto dai migranti. Le previsioni espresse dall’Unhcr nei giorni scorsi sembrano trovare conferma nella realtà: nelle ultime 24 ore, secondo quanto riferito dalla polizia magiara, tremila migranti (tra cui 700 bambini) hanno raggiunto l’Ungheria. Si tratta del numero maggiore di arrivi in un solo giorno in Ungheria, dove dall’inizio dell’anno sono entrati 140 mila migranti della rotta balcanica, più del doppio rispetto all’intero 2014. Secondo il governo ungherese si potrebbe arrivare alla cifra di 300mila migranti alla fine dell’anno.

Nonostante la decisione di Budapest di erigere la barriera metallica lungo il confine con la Serbia (nei piani del premier Orban dovrebbe essere terminata il 31 agosto) i migranti riescono comunque ad oltrepassare il confine, e per questo le autorità hanno disposto l’invio di ulteriori 2.100 poliziotti alla frontiera, con cani, cavalli e l’appoggio degli elicotteri.

Il partito del premier Viktor Orban intende inoltre chiedere al Parlamento l’autorizzazione all’invio dell’esercito per bloccare l’enorme flusso migratorio. Secondo la polizia tale incremento di arrivi si spiega con il desiderio dei migranti di raggiungere l’Ungheria prima del completamento del muro “difensivo” previsto entro la fine di agosto.

Ieri la polizia ungherese ha lanciato gas lacrimogeni contro i profughi siriani nell’affollato campo d’accoglienza di Roszke, presso la frontiera con la Serbia. Gli scontri sono scoppiati dopo il rifiuto dei migranti di farsi registrare e prendere le impronte digitali, nel timore di essere poi costretti a chiedere asilo a Budapest, mentre il loro obiettivo è raggiungere il nord Europa.

Il grande afflusso di migranti sulla rotta balcanica, iniziato con l’approdo di migliaia di persone sull’isola greca di Kos, ha messo a dura prova Serbia e Macedonia, chiamate a fronteggiare un evento di difficile gestione. Oggi Belgrado e Skopje hanno chiesto un piano d’azione all’Unione Europa per rispondere alla crisi. “A meno che non abbiamo una risposta europea a questa crisi, nessuno si deve illudere che possa essere risolta”, ha detto il ministro degli Esteri macedone, Nikola Poposki, intervenendo al vertice, in corso a Vienna, tra la Ue ed i Paesi balcanici.

La questione dell’immigrazione è ovviamente al centro del “Western Balkans Summit”, secondo vertice del “Processo di Berlino” avviato con la conferenza dello scorso agosto. Vi partecipano capi di Governo e ministri di 6 Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia), di Germania, Austria, Francia, Italia, Croazia e Slovenia, ed inoltre il presidente della Commissione Ue, l’Alto Rappresentante Ue per gli Affari Esteri e il Commissario UE per l’Allargamento. Per l’Italia è presente il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.




GRECIA – Tsipras si dimette con una lettera al popolo greco. Pronto il nuovo partito

Alexis Tsipras si dimette, e cerca un nuovo “forte mandato” del “popolo sovrano” per continuare l’opera riformatrice della quale rivendica i meriti e per fare uscire la nazione dall’austerità: il premier greco ha fatto l’annuncio delle sue dimissioni nel corso di un discorso in diretta tv, aprendo dunque la strada a nuove elezioni. Fonti di governo citate dalla stampa greca parlano del 20 settembre come data più che probabile. Una decisione che sembra sostenuta dalle prime reazioni dalla Ue, che auspica un governo forte che porti avanti il programma di riforme. La Grecia va dunque al quinto voto politico nel giro di poco più di un anno, nel giorno in cui arrivano i primi 13 miliardi dall’Esm, e all’indomani del voto cruciale del Parlamento tedesco che dà il via libera definitivo al mega-prestito da 86 miliardi di euro, in cambio di nuove, stringenti misure di austerità. Una mossa, questa del voto anticipato, che serve a Tsipras a non dare tempo alle opposizioni – che non rappresentano al momento un avversario temibile – di organizzarsi, ma soprattutto a evitare che il blocco di Piattaforma di Sinistra interno a Syriza, che ha votato contro gli accordi con i creditori, abbia tempo di separarsi dal partito, consolidarsi e rappresentare una minaccia alle urne. Il premier conta infatti sulla sua perdurante popolarità: negli ultimi sondaggi oltre il 60% dei greci ne approva l’operato, nonostante la mancata promessa sulla fine dell’austerità. E le misure votate dal Parlamento, notano gli osservatori, non hanno ancora iniziato a farsi sentire sulla già provata società greca. “Andrò dal presidente della Repubblica a presentare le dimissioni. Il mandato che ho ricevuto il 25 gennaio ha fatto il corso. Ora il popolo sovrano deve decidere, voi dovete decidere se siamo riusciti a portare il paese su una strada positiva, voi dovete decidere se siamo in grado di portare il paese all’uscita dal memorandum, se abbiamo avuto coraggio” nel negoziato, ha affermato il premier, sottolineando che forse – con l’arrivo dei primi finanziamenti internazionali – “potremmo esser entrati nella fase finale di questa difficile situazione”. “Voi ci giudicherete – ha proseguito – così come giudicherete quelli che hanno proposto il ritorno alla dracma o che hanno continuato a servire il vecchio sistema”. Ma io “ho la coscienza a posto, in questi mesi ho combattuto per il mio popolo”.

Parlando proprio della difficile intesa raggiunta a luglio con i creditori, il primo ministro ha spiegato ai suoi connazionali che il nuovo piano di aiuti “non è quello che volevamo ma era il migliore che potessimo ottenere date le circostanze”, ed ha citato le ‘vittorie’ ottenute del tavolo negoziale, tra cui il surplus primario allo 0.25% invece che al 3 inizialmente voluto dalla troika, e “i licenziamenti dei dipendenti pubblici, diventati una cosa del passato”. “Siamo obbligati a rispettare l’accordo ma senza che siano colpite le classi meno abbienti”, ha enfatizzato. Tsipras, in quello che è di fatto il suo primo discorso della nuova campagna elettorale, si è quindi rivolto ai greci: “Vogliamo un forte mandato, un governo stabile e la solidarietà con la società che vuole le riforme in senso progressista”. La parola ora passa al presidente della repubblica Prokopis Pavlopoulos. La prassi prevede che il capo dello Stato affidi brevi mandati esplorativi al partito arrivato secondo alle elezioni (Nuova Democrazia) e quindi al terzo (i neonazisti di Alba Dorata) per vedere se è possibile formare un altro governo. Ma ci si aspetta che entrambi rinuncino. La guida ad interim dell’esecutivo che porterà il Paese al voto verrà assunta dal presidente della Corte suprema, signora Vassiliki Thanou. Intanto l’Europa sembra reagire con favore all’annuncio, pur non entrando nel merito. “Rapide elezioni in Grecia possono essere un modo per ampliare il consenso per il programma Esm di sostegno alla stabilità appena firmato dal premier Tsipras a nome della Grecia”, ha commentato su Twitter Martin Selmayr, il capo gabinetto del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. E per la portavoce dell’esecutivo Ue Annika Breidthardt “un ampio sostegno per il memorandum d’intesa” sul terzo piano di aiuti “e il rispetto degli impegni saranno la chiave per il successo”.

TSIPRAS: al popolo sovrano la prima e l’ultima parola
di Alexis Tsipras 20 agosto 2015

Greche e greci,
Negli ultimi mesi abbiamo passato tutti noi momenti difficili e drammatici.
La dura trattativa con i creditori è stata una grande prova per il governo e per il paese.
Le pressioni, i ricatti, gli ultimatum, l’asfissia di credito hanno portato ad una situazione senza precedenti.
Tutti l’ha abbiamo vissuta.
Ma tutti abbiamo vissuto la pazienza, la calma, la resistenza del nostro popolo.
La determinazione popolare che ha registrato il referendum.
La decisione di cambiare le cose, di cambiare il paese, di cambiare tutto ciò che ci ha portato alla crisi e la frammentazione sociale.
Cerchiamo di essere chiari:
Senza questa determinazione popolare i creditori o avrebbero imposto assolutamente la loro volontà o ci avrebbero portato al disastro.
Questa determinazione è stata presente in ogni fase dei negoziati.
Questa determinazione offriva forza alla nostra resistenza, alla nostra battaglia giorno per giorno, con le a volte assurde richieste e le minacce dei creditori.
Oggi questa difficile fase si conclude in modo permanente con la ratifica dell’accordo e l’erogazione della prima tranche di 23 miliardi di euro e il pagamento delle obbligazioni del paese sia all’estero che all’interno.
L’economia si respira. Il mercato sarà normalizzato. Le banche dovranno lentamente trovare il loro ritmo normale.
Non si tratta, naturalmente, della fine della difficile situazione che stiamo vivendo ormai da cinque anni.
Ma ho la convinzione che può essere dimostrata dal lavoro e dalla coerenza di tutti noi, l’inizio della fine di questa situazione difficile.
Il passo decisivo verso la normalizzazione del finanziamento della nostra economia.
Un principio che non è facile, ma che ci offre prospettive e opportunità.
Basta che la società resta in piedi e presente.
Calma ed esigente come tutto il periodo precedente.

Greche e greci,
Voglio essere assolutamente sincero con voi.
Non abbiamo avuto l’accordo che abbiamo voluto prima delle elezioni di gennaio.
Non abbiamo affrontato pero anche la reazione che avevamo aspettato.
In questa battaglia abbiamo fatto concessioni.
Ma abbiamo portato un accordo che date le circostanze prevalentemente negative in Europa e dato che abbiamo ereditato dal governo precedente l’assoluto aggancio del paese alle condizioni dei memorandum, era il migliore che si poteva avere.
Questo accordo siamo obbligati a rispettarlo, ma contemporaneamente di dare la battaglia per ridurre al minimo le conseguenze negative.
Nell’interesse dei molti.
Al fine di riconquistare al più presto la nostra sovranità di fronte ai creditori.
Senza accettare come verità infallibili le loro interpretazioni.
Senza accettare tagli orizzontali, le atrocità sui diritti del lavoro, il dissanguare sempre le più deboli forze sociali.
E abbiamo già dimostrato che sappiamo e possiamo lottare per raggiungere molte cose.
Ricordate solo quale era la posizione dei partner prima di questo accordo:
Una proroga di cinque mesi del programma precedente, piena applicazione degli impegni del governo precedente e dopo nuovi prerequisiti per il finanziamento del paese.
A questo momento e dopo il referendum abbiamo approvato un accordo triennale, con un finanziamento assicurato.
Ricordate anche che ci avevano chiesto, l’abolizione immediata delle pensioni EKAS, privatizzazione la rete di energia elettrica e della “piccola DEH – Enel”.
Queste cose non le abbiamo accettate e abbiamo vinto.
Avevano chiesto anche l’applicazione immediata della clausola per il deficit pari a zero per i fondi integrativi dei pensionati.
Nell’accordo vi è un riferimento esplicito alla ricerca di misure equivalenti e siamo pronti a dare questa battaglia.
Anche il ritorno dei rapporti di lavoro e l’impedendo dei licenziamenti collettivi nel settore privato, sono nel nostro obiettivo irremovibile e penso che raggiungeremo anche questo.
I licenziamenti nel settore pubblico sono ormai alle spalle e hanno tornato i guardiani delle scuole, le donne delle pulizie e il personale amministrativo nelle università.
Negli ospedali non c’è più il ticket dei 5 euro, mentre si fa strada la procedura per assumere 4.500 tra medici ed infermieri che sono assolutamente necessari attraverso un concorso pubblico ASEP.
Non dimentichiamo che abbiamo concordato a drammaticamente inferiori surplus primari da quelli del governo precedente, con il risultato il risanamento dei conti pubblici, cioè le misure necessarie, di essere inferiori di 20 miliardi di euro.
Inoltre, il nuovo accordo di finanziamento non è sottoposto al Diritto Inglese con caratteristiche coloniali che avevano accordato i governi greci nei accordi precedenti, ma si riferisce al Diritto Europeo ed Internazionale, mentre il nostro paese mantiene tutti i privilegi e le immunità che proteggono la proprietà pubblica.
Ed infine, per la prima volta con modo cosi esplicito ed inequivocabile, di determina la procedura per la riduzione del valore del debito greco, che è forse il nodo più importante per risolvere il problema greco.
Abbiamo guadagnato allora terreno significativo, senza che ciò significhi che abbiamo ottenuto quello che noi e la gente ci aspettavamo.

Greche e greci,
Ora che questo ciclo difficile si conclude.
E a differenza del solito atteggiamento di molti che considerano purtroppo che sono autorizzati a mantenere i posti, gli offici, gli incarichi indipendentemente dalle condizioni e circostanze sento profondo obbligo morale e politico di mettere al vostro giudizio tutto quello che ho fatto.
Le cose giuste e gli errori.
Gli successi e le omissioni.
Per questo ho deciso di recarmi presto al Presidente della Repubblica a presentare le mie dimissioni e le dimissioni del governo.
Il mandato popolare che ho preso il 25 gennaio ha esaurito i suoi limiti.
E ora deve prendere di nuovo la parola il popolo sovrano.
Voi, con il vostro voto deciderete se abbiamo rappresentato il paese con la determinazione e il coraggio che richiedevano i difficili negoziati con i creditori.
Voi, con il vostro voto, deciderete se l’accordo ottenuto offre le condizioni per superare l’attuale impasse, di recuperare l’economia, per entrare infine alla strada per lasciare indietro i memorandum e la crudeltà che loro comportano.
Voi, con il vostro voto, deciderete chi e come può portare la Grecia nella difficile ma alla fine promettente strada che si apre davanti a noi.
Chi e come potrà negoziare meglio la diminuzione del debito.
Chi e come potrà procedere con passo sicuro e costante alle necessarie, profonde e progressiste riforme che abbiamo bisogno.
È, infine, con il vostro voto, voi vi giudicherete tutti.
Tutti coloro che abbiamo dato la battaglia dentro e fuori il paese, per non trovare la Grecia al plotone di esecuzione.
E quelli che invocando la coerenza ideologica e proponendo pertanto l’opinione che la Grecia ha bisogno dei crediti, cioè memorandum, ma con la dracma, commettono l’estrema incoerenza di convertire in minoranza parlamentare la maggioranza che il nostro popolo ha dato per prima volta al paese, il governo di Sinistra.
Ma anche quelli del vecchio sistema politico e i centri d’intreccio, che per tutto questo tempo ci chiamavano e ci facevano pressioni, coordinati con i più duri centri dei creditori, di firmare qualsiasi cosa che ci mettevano davanti a noi.
Calunniando anche la nostra resistenza come fosse ostruzionismo.

Greche e greci,
mi lascio al vostro giudizio con la mia coscienza tranquilla.
Orgoglioso per la battaglia che io e il mio governo abbiamo dato.
Mi sforzai tutto questo tempo per attenersi a ciò che abbiamo promesso.
Abbiamo negoziato duramente e con persistenza per lungo tempo.
Abbiamo resistere alle pressioni e ai ricatti.
Siamo arrivato è vero in situazioni limite per il popolo e per l’economia.
Abbiamo fatto, tuttavia, il caso della Grecia una questione globale.
Abbiamo fatto la resistenza del nostro popolo bandiera e incentivo di lotta per gli altri popoli europei.
E l’Europa non è la stessa dopo questi difficili sei mesi.
L’idea che si possa finalmente mettere fine all’austerità guadagna terreno.
Le differenze tra le forze democratiche e progressiste europee sono sempre più sentire.
E noi, la Grecia, con prestigio e un raggio di azione molte volte più grande della nostra dimensione abbiamo giocato e giochiamo un ruolo di primo piano nei cambiamenti a venire.
Nel dibattito per il futuro dell’Europa la Grecia sarà in prima linea.
Ieri con una mia lettera ho chiesto dal presidente del Parlamento europeo che il Parlamento europeo acquisisce come istituzione con una legittimazione democratica diretta, un ruolo attivo nel programma di finanziamento greco.
La trasparenza, l’aperto dibattito democratico, il fatto democratico di rendere conto delle azioni di tutti, la valutazione dell’impatto che hanno, dovrà essere ormai parte integrante dell’applicazione del nostro accordo con i partner.

Greche e greci,
Per tutto questo il tempo, nonostante le condizioni dure e difficile del negoziato abbiamo ottenuto anche di lasciare dietro di noi un esempio diverso di governare.
Abbiamo legiferato il pagamento dei debito arretrati allo stato in cento rate, abbiamo preso le misure per la crisi umanitaria, abbiamo riaperto la televisione pubblica ERT, abbiamo presentato il disegno di legge per le frequenze radiotelevisive, abbiamo votato la legge per gli immigrati, abbiamo fatto un intervento decisivo per fermare me miniere d’oro a Skouries e fermare un crimine ambientale, e decine di altre misure e iniziative, che dimostrano questo nuovo modo di governare.
E dimostrano inoltre la nostra decisione di cambiare con coraggio e fiducia il paese, utilizzando il sostegno sociale in obiettivi di riforma.
Davanti a noi abbiamo ancora di dare molte battaglie difficili, questa volta all’interno del paese.
La battaglia contro gli interessi loschi ed intrecciati, contro la corruzione, è appena iniziata.
La battaglia per far pagare finalmente gli eterni vincitori, che nessuno fino ad oggi ha avuto il coraggio di toccare.
La battaglia per portare alla giustizia coloro che fino ad ora sono al di sopra della legge.
La lotta contro l’evasione fiscale, per un sistema fiscale giusto e stabile.
La battaglia delle battaglie per cambiare lo stato e farlo diventare ogni giorno più efficiente.
Più amichevole per il cittadino
Più ostile ai favori politici e clientelari, il favoritismo del partito che governa e la corruzione.
E tutte queste cose richiedono un mandato chiaro, un governo forte, stabile e senza un vacillante percorso.
E soprattutto richiedono di tener lo stesso passo con la società.
Con tutti coloro che vogliono cambiamenti con democrazia, riforme con segno progressista, trasparenza e giustizia.
Greche e greci,
Nonostante le difficoltà, rimango ottimista.
Credo che i giorni più belli non gli hanno ancora vissuti, intrappolati dentro la tanaglia del negoziato.
Chiederò il voto del popolo greco, per governare e per sventolare tutti gli aspetti del nostro programma di governo.
Più esperti, più preparati, più terra terra, ma sempre impegnati per l’obiettivo finale di una Grecia libera, democratica e socialmente giusta, saremo diritti in piedi e coerenti alle nuove condizioni e sfide.
Vi assicuro, che non mi consegnerà e non consegneremo lo scudo delle nostre idee e dei nostri valori.
In nessuno e di fronte a nessuna difficoltà.
E vi invito, tutti insieme, con calma e con decisione di combattere la difficile battaglia per rimettere la nostra patria ai suoi piedi.
Per tenere questi tempi difficili, la Grecia e la democrazia nelle nostre mani.
E di alzarla in alto.
Vi ringrazio….

Traduzione: Argyrios Argiris Panagopoulos

L’ala radicale di Syriza, il movimento del premier greco Alexis Tsipras, è pronta a fondare un nuovo partito, Unità popolare (Leiki Anotita), con almeno 25 ‘ribelli’. Lo scrive la Bbc online citando i media greci, precisando che il leader sarà l’ex ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis. Ma l’ex ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, non è presente nella lista dei 25 dissidenti di Syriza.

Dijsselbloem – “E’ cruciale che la Grecia rispetti gli impegni presi verso l’eurozona”. Così il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem alla tv olandese Nos. “Ricordo”, ha aggiunto, “che c’era ampio sostegno nel parlamento greco per il nuovo programma e il pacchetto di riforme”, quindi “spero che le elezioni porteranno a ulteriore sostegno”.




UNGHERIA – Posizioni xenofobe del premier Orban, barriera al confine con la Serbia

Dopo che l’immagine di uomini, donne a bambini stipati in treni diretti verso campi profughi ha fatto il giro del mondo, sollevando l’indignazione della società civile, l’Ungheria torna a far parlare di sé per le proprie posizioni razziste e xenofobe.

Secondo il premier Viktor Orban, infatti, l’immigrazione illegale è una “minaccia per l’Europa”, in quanto mette a rischio “l’identità culturale europea”. Ciononostante, s’è lamentato il presidente, l’Ue non fa nulla per difendersi dalle “masse di clandestini” che contribuiscono “a far prosperare terrorismo, disoccupazione e criminalità”.

Proprio a fronte di simili convinzioni, il governo ha già deciso di realizzare una barriera sul confine con la Serbia: “Questa gente doveva essere fermata e registrata già in Grecia, perché sono entrati in Ue da lì”, ha tuonato il vicepremier Janos Lazar. “A quel che mi risulta, nei Balcani non c’è attualmente alcuna guerra. Hanno pagato dei trafficanti, in Serbia, e vengono trasportati a bordo di autobus fino al confine ungherese. Costruiamo una barriera proprio per farla finita con tutto questo”.

Intanto, il passaggio illegale in Ungheria sarà qualificato come reato invece che come semplice contravvenzione, come accadeva fino ad oggi.

Sono attorno a 1400-1500 gli immigrati sbarcati in Sicilia negli ultimi giorni. Gran parte e’ approdata nel porto di Palermo a bordo di un rimorchiatore norvegese inserito nel dispositivo Triton: ben 785, africani e siriani, molte donne e molti minori, per lo piu’ non accompagnati. Dei nuovi arrivati, un centinaio restera’ nell’Isola; per gli altri e’ stato disposto il trasferimento nelle altre regioni del Paese. A Pozzallo sono arrivati invece in 468, a bordo di una nave militare irlandese. Tra loro sette donne in gravidanza. E poi 102 arrivati a Trapani; tra loro 24 donne (di cui tre in gravidanza), 12 minori non accompagnati, e due neonati. Cinque migranti sono stati trasferiti all’ospedale Sant’Antonio Abate di Trapani per accertamenti sanitari. Nel frattempo sembra aggravarsi il bilancio del naufragio al largo della Libia. Alle circa quaranta vittime di cui hanno parlato i superstiti, se ne aggiungerebbero altre cinque, in base alle testimonianze raccolte dalle organizzazioni umanitarie presenti sul posto. Sarebbero dunque 45 le vittime, secondo le loro ricostruzioni. Tra le ipotesi della tragedia, anche quella di un possibile incidente in mare nelle concitate fasi dei soccorsi: il panico e la foga per mettersi in salvo avrebbe provocato il dramma.

Dei 785 giunti a Palermo sulla nave norvegese Siem Pilot, 133 sono donne, due delle quali in stato di gravidanza e 27 bambini. La maggior parte proviene dall’Eritrea (766) gli altri da Siria, Bangladesh, Etiopia e Sudan. In particolare, tra i profughi in condizioni fisiche piu’ delicate, sono scesi un non vedente e un uomo e una donna in iperglicemia acuta che hanno avuto bisogno dell’intervento immediato dei sanitari dell’Asp. Gli altri migranti, alcuni con problemi dermatologici, sono complessivamente tutti in buone condizioni di salute. La gran parte dei migranti saranno trasferiti nei centri di prima accoglienza delle varie regioni italiane. Circa una settantina , per pochi giorni, verranno accolti dal centro San Carlo e Santa Rosalia della Caritas.

Al porto, sotto il sole cocente, ad attivarsi anche 28 volontari della Caritas con due operatori. Si tratta di persone, giovani e non, che hanno risposto all’appello lanciato nei giorni scorsi dalla Caritas che invitava i cittadini a farsi avanti per partecipare attivamente alla distribuzione di cibo, acqua e scarpe ai profughi durante lo sbarco. Sono stati preparati all’alba e distribuiti al Porto dalla Caritas ben 2800 sacchetti con il pasto che i migranti porteranno con loro nel viaggio per le diverse destinazioni e oltre cento paia di scarpe. “Continuiamo a verificare con piacere – afferma Anna Cullotta, coordinatrice dei volontari della Caritas – che, nonostante il sole cocente, tanti giovani e meno giovani si stanno spendendo, in pieno spirito di gratuita’ con grande energia, nei confronti dei primi bisogni dei migranti. L’invito che continuiamo a rivolgere alla cittadinanza e’ quello di partecipare attivamente al porto, non soltanto per rispondere al bisogno che abbiamo ma anche per potere fare un’esperienza umana molto forte”. Tra i migranti giunti a Pozzallo, invece, 41 sono donne e 42 i bimbi. Nove donne in gravidanza sono state trasferite per controlli, negli ospedali di Ragusa, Vittoria e Modica. Un uomo e’ stato ricoverato a Ragusa. I migranti provengono da Bangladesh, Nigeria, Etiopia, Siria, Senegal, Costa D’Avorio, Guinea, Marocco e Somalia.




GRECIA – La Germania vota l’accordo. Voto favorevole per salvare Atene

«So che ci sono molti dubbi sul fatto che la Grecia possa stare di nuovo sulle sue gambe, ma sarebbe irresponsabile non tentare questa strada e non dare una nuova chance alla Grecia». Esordisce così Angela Merkel al Bundestag riunito per pronunciarsi sull’apertura dei negoziati per un terzo pacchetto di aiuti alla Grecia. Il voto favorevole è dato per scontato malgrado la crescente opposizione all’interno della maggioranza. Nel corso di una riunione che si è svolta ieri, 48 esponenti del blocco conservatore dei 311 deputati che fa capo alla cancelliera hanno annunciato l’intenzione di votare contro.

Per il premier greco Alexis Tsipras l’intesa raggiunta è il risultato di una “dura battaglia” che pone il popolo greco “di fronte a decisioni difficili”. Ma queste decisioni, ha insistito, “permetteranno di mantenere la stabilità finanziaria della Grecia e daranno la possibilità del rilancio. L’applicazione non sarà facile”.

L’accordo in 5 punti:

1 – Un prestito dell’European Stability Mechanism (il fondo salva-stati) da 82-86 miliardi in tre anni.
L’accordo prevede che se il programma economico concordato rispetterà i dettagli e il calendario, sarà possibile prevedere un alleggerimento del debito con scadenze più lunghe e un periodo di grazia sui pagamenti.

2 – Creazione di un fondo indipendente di circa 50 miliardi stabilito in Grecia.
Si tratta di una piccola ma importante vittoria per Tsipras. Il fondo, infatti, non avrà sede in Lussemburgo, come inizialmente ipotizzato, sarà gestito dai greci anche se con la continua supervisione dell’istituzioni europee. Nel fondo saranno trasferiti dal governo asset da privatizzare: 25 miliardi saranno usati per la ricapitalizzazione delle banche, 12,5 miliardi per la riduzione del debito e 12,5 miliardi per investimenti per il rilancio della crescita.

3 – Riforme urgenti, entro mercoledì.
Il governo greco dovrà tradurre in legge tra domani e mercoledì alcune riforme urgenti. Solo da quel momento si definirà negli aspetti più tecnici l’intervento dell’Esm. Tra gli interventi più duri e immediati che il governo ellenico dovrà mettere in opera ci sarà la modifica delle aliquote Iva, con l’allargamento della relativa base fiscale, e la riforma del sistema pensionistico con l’abolizione delle baby-pensioni. Entro il 22 luglio, Atene dovrà anche intervenire sull’adozione del nuovo codice di procedura civile e la trasposizione delle norme europee per la risoluzione bancaria.

4 – I settori di intervento
Ci sarebbero altri settori d’intervento previsti dall’accordo e già al centro delle trattative nelle scorse settimane: l’apertura dei settori commerciale, della proprietà delle farmacie, di certe professioni come il trasporto via mare; la privatizzazione dell’operatore di trasmissione dell’elettricità Admie “a meno che non ci siano misure con effetti equivalenti sulla concorrenza”; revisione della contrattazione collettiva comprese le norme sui licenziamenti “con un calendario e un approccio concordato con le istituzioni”; misure per il settore finanziario in particolare per i crediti in sofferenza e per eliminare “le interferenze politiche soprattutto nelle nomine”.

5 – la nuova Troika
Torna uno degli elementi più contestati da Tsipras. Nel testo dell’accordo viene chiarito come il controllo dei creditori diventerà invasivo e spalmato su tutte le principali scelte pubbliche. Il governo greco, infatti, dovrà necessariamente consultare i creditori “su tutte le leggi sulle aree rilevanti prima della discussione in parlamento”.




GRECIA – Il no stravince al referendum. Tsakalotos Nuovo ministro delle Finanze: “Non possiamo accettare una soluzione non praticabile”

Solo una trentina di righe in cui viene chiesto un prestito triennale e in cambio vengono promesse una serie di riforme. Questa la proposta della Grecia di Tsipras e del neo ministro Euclid Tsakalatos all’Europa dei creditori, inviata al fondo salva-stati “Esm”.

“La repubblica greca è pronta a varare un comprensivo pacchetto di riforme e misure incentrato ad assicurare la sostenibilità del bilancio, la stabilità finanziaria e la crescita economica di lungo periodo”. Oltre alle riforme immediate di fisco e pensioni, il governo promette di includere anche delle “misure aggiuntive per rafforzare e modernizzare l’economia”. “Per evitare ogni dubbio questa missiva sovrascrive le nostre precedenti richieste inviate nella lettera datata 20 giugno 2015” conclude la lettera.

Riportiamo  le ana­lisi del suc­ces­sore di Yanis Varou­fa­kis dei pro­blemi che affronterà come nuovo mini­stro delle Finanze di Atene:

“La nostra tesi prin­ci­pale è che la crisi greca non sia asso­lu­ta­mente da con­si­de­rarsi un caso par­ti­co­lare. Al con­tra­rio, essa costi­tui­sce il para­digma di una più gene­rale crisi dell’assetto poli­tico ed eco­no­mico neoliberista.

In que­sto senso, è neces­sa­rio non solo com­pren­dere le ori­gini della crisi eco­no­mica glo­bale ma anche capire per­ché la strut­tura eco­no­mica e isti­tu­zio­nale dell’eurozona si sia rive­lata ina­de­guata per affron­tare gli effetti della crisi esplosa nel 2008.

Le poli­ti­che di auste­rità che hanno domi­nato la scena sin dall’avvento della crisi hanno raf­for­zato l’impostazione neo­li­be­ri­sta dell’economia e della società. Lo spa­zio per rispon­dere alle domande pro­ve­nienti dagli strati più bassi della società si sono andati dram­ma­ti­ca­mente ridu­cendo, anche rispetto al periodo, comun­que con­tras­se­gnato dall’egemonia neo­li­be­rale, pre­ce­dente la crisi.

Tale irri­gi­di­mento ha coin­ciso con un sem­pre mag­giore distacco tra le élite la realtà sociale o, alter­na­ti­va­mente, con una cre­scente inca­pa­cità delle mede­sime élite di rece­pire pro­po­ste di solu­zione ai pro­blemi pro­ve­nienti dall’esterno dei loro circoli.

La riso­lu­zione finale della pre­sente crisi non potrà por­tare alla rico­stru­zione delle con­di­zioni vis­sute delle eco­no­mie neo­li­be­rali prima del 2008 né, tan­to­meno, con­durre verso il ritorno di un sistema social­de­mo­cra­tico di tipo Key­ne­siano. Dovremmo ricor­dare che non vi fu nes­sun ritorno agli sta­tus quo pre­ce­denti in seguito alle due grandi crisi degli anni ’30 e ’70.

Dun­que, da que­sta crisi si muo­verà o nella dire­zione di un’economia capi­ta­li­stica carat­te­riz­zata da un sostan­ziale auto­ri­ta­ri­smo oppure verso un lungo periodo di tra­scen­denza rispetto ad alcuni degli ele­menti fon­da­men­tali del capitalismo.

La nostra visione rispetto alla situa­zione attuale può essere sin­te­tiz­zata nelle quat­tro tesi che seguono.

La crisi che ha inve­stito la Gre­cia non pre­senta alcun carat­tere di eccezionalità
La nar­ra­tiva che vor­rebbe la Gre­cia come un caso iso­lato ed ecce­zio­nale si fonda su tre ele­menti tra di loro inter­con­nessi. In primo luogo, l’irresponsabilità fiscale dei poli­tici greci. In secondo luogo, le dina­mi­che clien­te­lari che afflig­gono il sistema poli­tico greco. Infine, sia l’irresponsabilità della classe poli­tica che il clien­te­li­smo dif­fuso sareb­bero da ricon­durre a una gene­rale inca­pa­cità di moder­niz­zarsi del paese.

Tutto ciò dovrebbe con­durre a una giu­sti­fi­ca­zione dell’austerità fon­data sulla favola cal­vi­ni­sta cara ad Angela Mer­kel, per la quale i pec­ca­tori deb­bono essere puniti per gli sba­gli da loro com­messi nel pas­sato. La nostra visione non potrebbe essere più lon­tana da quella appena sintetizzata.

La Gre­cia, all’alba dell’esplosione della crisi, era com­ple­ta­mente posi­zio­nata all’interno di un’impostazione neo­li­be­ri­sta sia dal punto di vista eco­no­mico che da quello poli­tico. Il paese si tro­vava a con­di­vi­dere con gli altri Stati mem­bri tutti i tratti carat­te­riz­zanti le eco­no­mie fon­date su basi neo­li­be­ri­ste, così come tutti i fal­li­menti spe­ri­men­tati dalle stesse eco­no­mie. In altre parole, la crisi greca è com­pren­si­bile solo se la si guarda come una mani­fe­sta­zione della crisi glo­bale del neo­li­be­ri­smo piut­to­sto che come una crisi dovuta all’incapacità di appli­care, in modo effi­cace, le ricette pro­prie dello stesso sistema neoliberale.

Siamo di fronte ad una crisi glo­bale del neo­li­be­ri­smo e del capitalismo
La nostra seconda tesi è con­fer­mata dal fatto che l’epicentro della crisi è loca­liz­za­bile nei paesi più avan­zati dal punto di vista dell’applicazione delle ricette neo­li­be­ri­ste, piut­to­sto che in paesi ‘sta­ta­li­sti’ quali la Fran­cia o la Gre­cia. La nostra inter­pre­ta­zione della crisi, inol­tre, rifiuta net­ta­mente l’interpretazione orto­dossa sulla base della quale il mal­fun­zio­na­mento dei sistemi eco­no­mici sarebbe da ricon­durre a ragioni eso­gene al sistema stesso. Le radici della crisi sono, altresì, legate all’incertezza e all’instabilità endo­ge­na­mente pro­dotta dal sistema capitalistico.

La crisi ha messo a nudo la fra­gi­lità del sistema poli­tico post 2008.
Dopo una breve fase in cui i prin­ci­pali ele­menti carat­te­riz­zanti l’impostazione neo­li­be­ri­sta – la dere­go­la­men­ta­zione del sistema finan­zia­rio, i super­bo­nus dei mana­ger, gli squi­li­bri macroe­co­no­mici tra paesi o gli effetti dell’individualismo sulla coe­sione sociale – sono stati messi in discus­sione dalle stesse élite, vi è stato un rapida e rin­no­vata con­ver­genza verso lo sta­tus quo ideologico.

In tale con­te­sto, la domanda da un milione di dol­lari è stata: per quale motivo la crisi del 2008 non è stata colta, dalla social­de­mo­cra­zia, come un’opportunità per riaf­fer­mare le pro­prie ragioni sull’ideologia neoliberista?

Per­ché la crisi del 2008 non è stata colta dalla social­de­mo­cra­zia come un’opportunità per riaf­fer­mare le pro­prie ragioni sull’ideologia neo­li­be­ri­sta?

La nostra ipo­tesi è che i social­de­mo­cra­tici siano intrap­po­lati in quel che viene defi­nito da Blyth nel 2002 il «cogni­tive loc­king». Dopo tanti anni di ege­mo­nia cul­tu­rale neo­li­be­ri­sta i social­de­mo­cra­tici si son sco­perti non più in grado di guar­dare il modo da un’altra prospettiva.

Dalla crisi attuale non è pos­si­bile tor­nare indietro.
La nostra tesi con­clu­siva è che dalla crisi che stiamo spe­ri­men­tando non è pos­si­bile tor­nare indie­tro. Le strade pos­si­bili sono due. Una svolta verso una forma di capi­ta­li­smo auto­ri­ta­rio o una tra­scen­denza di alcuni degli ele­menti fon­da­men­tali del capi­ta­li­smo. Nel secondo caso si avrà un disve­la­mento degli effetti cor­ro­sivi pro­dotti da una visione inge­gne­ri­stica della eco­no­mia in cui un unico modello è valido per tutte le società.

Il razionalismo-tecnocratico fa di con­cetti quali la «com­pe­ti­ti­vità» o la «fles­si­bi­lità del mer­cato del lavoro» ele­menti di per sé pre­gni di valore e sulla base dei quali i paesi ven­gono costan­te­mente clas­si­fi­cati. Que­sta visione ha avuto un effetto deva­stante sullo stato di salute delle demo­cra­zie occi­den­tali. E sulla capa­cità di costruire una nar­ra­tiva basata sulle domande cre­scenti pro­ve­nienti dagli strati più bassi della società.

Il legame fon­da­men­tale tra la demo­cra­zia e il fun­zio­na­mento del sistema eco­no­mico dovrà, dun­que, essere posto al cen­tro della rispo­sta della sini­stra alla pre­sente crisi.”

* Quello qui è pre­sen­tato è un estratto da «Cru­ci­ble of resi­stance. Greece, the Euro­zone and the World Eco­no­mic Cri­sis» di Euclid Tsa­ka­lo­tos e Chri­stos Laskos (Plu­to­Press 2013).

E’ uno dei testi migliori sulla crisi tra Gre­cia e Europa e pre­senta le ana­lisi del suc­ces­sore di Yanis Varou­fa­kis sui pro­blemi che ora affronta come nuovo mini­stro delle finanze di Atene.

Tra­du­zione di Dario Guarascio

LE POSIZIONI DELL’EUROGRUPPO:

Taglio del debito? Non se ne parla, ma la Grexit è cosa buona

LETTONIA: «Se in un sistema c’è un elemento che non funziona, rimuovere quell’elemento può essere positivo» per l’insieme dell’Eurozona. Il ministro delle Finanze della Lettonia, Janis Reirs, non ha lasciato alcun dubbio sulla sua posizione. E arrivando all’Eurogruppo straordinario sulla Grecia ha ricordato che il suo Paese ha fatto grandi riforme strutturali che comprendevano anche «il taglio del 30% del personale e dei salari» nel settore pubblico.
ESTONIA –  Il 6 luglio con un provocatorio tweet il presidente estone Toomas Hendrik Ilves aveva proposto di chiedere con un referendum negli altri 18 paesi se i cittadini vogliono aumentarsi la tasse per un altro salvataggio della Grecia.
FINLANDIA –  I piccoli Paesi del Nord sono più duri della Germania, aveva dichiarato qualche giorno fa il ministro delle Finanze francese Michel Sapin. E tra i più duri c’è la Finlandia. Il ministro di Helsinki Alexander Stubb ha chiarito subito: «Non vogliamo alleggerire il debito greco, è stato già fatto nel 2011 e 2012». E ha chiuso anche al progetto di un prestito ponte da elargire attraverso lo European Stability mechanism (Esm).Tuttavia il 6 luglio aveva spiegato di essere disponibile a discutere di una eventuale estensione dei prestiti. La linea morbida nei confronti della Grecia rischia in Finlandia di alimentare il partito euroscettico.
SLOVACCHIA –  La ristrutturazione del debito «è la questione più delicata per la maggior parte dei Paesi» dell’eurozona e per la Slovacchia «è assolutamente impossibile», sono state invece le parole nette del ministro slovacco delle Finanze Peter Kazmir.

LA GERMANIA E I SUOI ALLEATI: NO ALLA  GREXIT

GERMANIA – In Germania non c’è solo il falco delle finanze Wolfgang Schauble a imporre la linea dura. Ma anche i nomi più in vista della Spd, che fa parte della Grosse Koalition di governo. I tedeschi sulla carta vogliono evitare la Grexit, ma le posizioni sono distantissime. Schaeuble ha dichiarato: «Chi conosce i trattati Ue sa che il taglio del debito è vietato». Mentre la cancelliera Angela Merkel ha avvertito: «Mancano ancora le basi per negoziare». E al termine dell’Eurosummit ha aggiunto: «Stasera molti attorno al tavolo hanno detto che un haircut del debito greco non avrà luogo perché questo è vietato nell’euro zona». «Prima di parlare di una ristrutturazione del debito», ha concluso, «vediamo quel che la Grecia può fare».
LITUANIA –  La Lituania chiede riforme, ma è disponibile al negoziato: «Siamo qui per ascoltare il nuovo ministro greco Tsakalotos» in quanto è «necessario rendere le cose più chiare e trovare una strada da seguire», perché «in politica c’è sempre spazio per un compromesso», ha detto il ministro delle finanze lituano Rimantas Sadzius. La Grexit, ha sottolineato, «per noi non è un’opzione per noi».
AUSTRIA –  Il giorno successivo al referendum, il cancelliere austriaco Werner Faymann, considerato nell’ultimo periodo ben disposto verso Atene, aveva spiegato: «Non vedo una strategia» del governo greco, «Un ponte si può costruire solo se anche l’altra parte contribuisce un po’».

SPAGNA – Il governo Rajoy era tra i più intransigenti verso Atene, ma il 7 luglio il ministro delle Finanze De Guindos che aspira al ruolo di presidente dell’Eurogruppo sostiene che Madrid «rispetta l’esito del referendum» ed è «aperta» ad un «nuovo round di aiuti». «Non contemplo l’uscita della Grecia dall’euro».

IL CASO: L’ITALIA

ITALIA –  L’Italia dovrebbe essere, a guardare le sue condizioni finanziarie, tra i migliori alleati della Grecia. Ma per ora si tiene strategicamente ben distante. Il premier Matteo Renzi ha institito sulla necessità di una maggiore integrazione politica europea. E per l’apertura di una fase sempre più necessaria di crescita e investimenti che superi le rigidità dell’euroburocrazia. Ma il primo ministro ha cercato in questi mesi di dialogare direttamente con Berlino. E il carico del nostro debito rende la sua posizione assai scomoda in questo frangente. Uscendo dall’Eurosummit, Renzi ha dichiarato: «Rispetto all’ultima volta non mi pare ci siano le condizioni per parlare ‘in modo strategico del debito’ della Grecia». «La palla», ha aggiunto, «ora è nel campo del governo greco, che domenica dovrà presentare le sue proposte: se saranno ritenute accettabili, si troverà l’intesa, come credo e spero».

SI’ ALL’ACCORDO

IRLANDA – Stupisce la totale apertura irlandese. La nazione Smeraldo che ha subito i colpi duri della crisi del debito si è schierata a fianco dei greci. La ristrutturazione del debito «fa parte delle discussioni» sulla Grecia, ha detto il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan. Il premier Enda Kenny è stato ancora più caloroso: «È giunto il momento ora di dare un po’ di speranza al popolo greco».

LUSSEMBURGO – Il Lussemburgo membro fondatore dell’Unione e Paese del presidente della Commissione Jean Claude Juncker è aperto a tutti gli scenari: «Dobbiamo ascoltare tutte le opzioni», inclusa quella della ristrutturazione del debito, «anche se questo non vuol dire che io sia d’accordo», ha dichiarato il ministro delle finanze del Gran Ducato, Pierre Gramegna.
BELGIO – Il Belgio fa parte del gruppo dei Paesi più concilianti nei confronti di Atene. Eppure il premier Charles Michel non nasconde la stanchezza: «Aspettiamo da parte di Tsipras proposte concrete, precise e convincenti, e innanzitutto ascolteremo quello che ha da dire». Per fare un accordo, ha aggiunto Michel, «bisogna essere in due».
FRANCIA: «Tsipras faccia proposte serie e credibili», chiede il presidente Hollande, che sempre a fianco della cancelliera tedesca ha definito «urgente per la Grecia e l’Europa» che si arrivi a un’intesa. Altri esponenti francesi si sono sbilanciati di più. Il ministro dell’Economia Emmanuel Macron, subito dopo il risultato del referendum di Atene, aveva invitato i governi europei a essere ragionevoli: «Sarebbe un errore storico schiacciare il popolo greco». Lo stesso ha ribadito il collega alle Finanze Michel Sapin: il posto della Grecia «è in Europa ed è nell’euro», h affermato Sapin, dicendosi convinto che Atene sia «capace di fare proposte concrete, solide, durevoli, che sono indispensabili per il dialogo con i partner». Il ministro ha inoltre sottolineato che la Francia, considerata da alcuni più accomodante della Germania, ha «le stesse esigenze degli altri in materia di serietà delle proposte», ma «ha forse un po’ più il senso della storia dell’Europa».




GRECIA – Il Coniglio di Stato boccia il ricorso. Il 5 luglio si andrà al voto

Il referendum sul programma di aiuti proposto dai creditori è costituzionale. Il Consiglio di Stato boccia il ricorso contro il quesito e cade così anche uno degli ultimi ostacoli sulla strada della consultazione popolare in Grecia: domenica 5 luglio gli elettori potranno esprimersi a favore o contro il piano.

Al popolo greco è chiesto di decidere se accettare o meno una bozza di accordo tra la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale avanzata all’incontro dell’Eurogruppo del 25 giugno e che consiste in due documenti: il primo si chiama “Riforme per il completamento dell’attuale programma e per andare oltre” mentre il secondo si chiama “Analisi preliminare della sostenibilità del debito”.
– Se si rifiutano le proposte delle istituzioni, votare Non Approvo / NO.
– Se si accettano le proposte delle istituzioni, votare Approvo / SI.

Nel caso di una vittoria dei Sì  il governo di Alexis Tsipras sarebbe politicamente nei guai: avendo fatto campagna per il No e avendo criticato l’accordo oggetto della consultazione, ne uscirebbe sconfitto e sconfessato dagli elettori. Il ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha già annunciato che se vinceranno i Sì lascerà il suo incarico; Tsipras non è stato altrettanto esplicito ma ha fatto capire di non essere “un uomo per tutte le stagioni”. La vittoria del Sì renderebbe praticamente inevitabile un accordo con l’UE sulla base delle condizioni richieste a giugno, ma non è detto che Tsipras abbia intenzione di firmarlo: è plausibile che dopo un’eventuale sconfitta al referendum si dimetta e che a quel punto i partiti che hanno fatto campagna per il Sì formino un nuovo governo di unità nazionale, con l’obiettivo minimo di concordare le condizioni per il prestito.

Se vincessero i No Il governo Tsipras uscirebbe dal referendum immediatamente rafforzato e potrebbe ripresentarsi davanti alle autorità europee con una nuova legittimazione popolare, chiedendo e sperando di ottenere modifiche favorevoli alle richieste dei creditori per ottenere un nuovo prestito. La vittoria del No sarebbe anche una sconfitta politica per i leader europei che hanno sostenuto la linea più dura, come la cancelliera tedesca Angela Merkel, e che hanno scommesso su un indebolimento del governo Tsipras e delle posizioni della Grecia.
Tsipras ha detto che la vittoria del No farebbe ripartire i negoziati e permetterebbe di ottenere un accordo migliore per la Grecia, ma non sarebbe comunque facile: la ragione è che in ogni caso la Grecia sta finendo i soldi e senza un prestito internazionale è destinata alla bancarotta, che vinca il Sì o che vinca il No.

A poche ore dalla chiamata alle urne, mentre i sostenitori dei due schieramenti opposti scendono in piazza per le ultime manifestazioni, cresce la tensione sul fronte Atene-Bruxelles. Fonti dell’agenzia Reuters hanno rivelato che le potenze europee avrebbero cercato di bloccare il report del Fmi (poi diffuso giovedì 2 luglio) in cui si chiedeva di tagliare il debito greco: un documento che è subito diventato uno dei punti a cui si aggrappa il premier Tsipras nelle sue argomentazioni per il “no” e che mette in difficoltà l’Ue. Dal punto di vista finanziario, le banche greche hanno fatto sapere di avere la disponibilità di un miliardo di euro fino a lunedì. Poi, in base al risultato del voto, sarà la Bce a decidere come comportarsi. Il vicepresidente della Banca centrale europea Vitor Constancio ha già fatto sapere che “se vincerà il sì, si potrebbe allentare la stretta sui fondi della liquidità d’emergenza. Se vincerà il no, allora sarà più difficile per l’intesa essere raggiunta”.

L’ennesima giornata di passione per i greci si chiude con due manifestazioni ad Atene dei due schieramenti opposti per il referendum. Circa 25mila le persone a piazza Syntagma, per sostenere il fronte del ‘no’. Qui non sono mancate le tensioni poco prima dell’inizio dell’evento: circa 300 persone con il volto coperto dai passamontagna hanno cercato di forzare un cordone di poliziotti posto all’inizio di via Ermou. Nei pressi dello stadio Panathenian, invece, il raduno di coloro che propendono per il ‘sì’: stando alla polizia, 17mila i partecipanti.

Dopo la diffusione dei risultati di un sondaggio ancora incompleto sulle intenzioni di voto dei greci, la cautela è d’obbligo. Mentre il premier greco Alexis Tsipras invita i cittadini a non farsi suggestionare (“È meglio stare calmi e aspettare che il popolo prenda nelle sue mani il suo futuro. Andiamo a votare tranquilli”), il presidente della commissione Ue Jean-Claude Juncker continua a schierarsi per il “sì” (“Se i greci rifiuteranno il programma di aiuti, la posizione della Grecia sarà drammaticamente indebolita”). Il leader greco poi attacca il Fondo monetario internazionale: “Ora l’Fmi afferma che il debito greco può essere sostenibile solo con un taglio del 30 per cento e un periodo di grazia di 20 anni”. Ma questo rapporto, diffuso nelle scorse ore, “non è mai stato condiviso con le istituzioni nei cinque mesi in cui abbiamo negoziato”.

Tutti gli occhi sono puntati però sul risultato. Per il momento sono i numeri stessi a non consentire un’analisi: i nuovi rilevamenti aggiornati a venerdì 3 luglio, quando in Grecia mancano due giorni alla consultazione, fotografano una situazione in bilico, con l’elettorato diviso quasi perfettamente a metà tra favorevoli e contrari. Secondo quello realizzato dalla società Alco per il quotidiano Ethnos, i sì sarebbero al 44,8% mentre i no si attesterebbero al 43,4%. Gli indecisi scendono all’11,8%. In compenso il 74% dei greci vuole che il paese resti nell’eurozona e solo il 15% vorrebbe tornare ad una moneta nazionale. Spaccatura degli elettori e sostanziale parità sono confermate anche da un sondaggio commissionato da Bloomberg all’università della Macedonia: no al 43%, sì al 42,5.

Considerato il numero degli indecisi e il margine di errore di qualsiasi poll, impossibile trarre conclusioni. Il sostegno al no, cioè la posizione sostenuta dal governo, è comunque calato rispetto allo scorso sabato, quando si attestava a oltre il 50%. Nella notte il premier Alexis Tsipras ha parlato di nuovo in tv garantendo: “Il giorno dopo il referendum sarò a Bruxelles e un accordo sarà firmato” entro 48 ore dal voto. Mentre il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis ha detto che non solo un accordo è in vista” anche con la vittoria del no, ma “è più o meno fatto”. Da Bruxelles, puntuale, è arrivata la smentita: se vincesse il ‘no’ “la posizione greca ne uscirebbe drammaticamente indebolita“, ha detto il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. E “anche in caso di vittoria del ‘sì’- in seguito alla quale iTsipras ha fatto capire di essere pronto a dimettersi – dovremmo affrontare negoziati difficili”. Parole smentite duramente anche dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem: “Un accordo già fatto? Affermazione totalmente falsa”.

Il fondo salva Stati: “Grecia ha fatto evento di default ma non chiediamo restituzione immediata dei prestiti” – Intanto il Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) ha diffuso un comunicato in cui attesta che Atene, non avendo pagato martedì la rata da 1,6 miliardi dovuta al Fondo monetario internazionale, ha fatto quello che viene definito un “evento di default”. Di conseguenza i Paesi dell’Eurozona che ne sono azionisti “si riservano il diritto di richiedere prima della scadenza il rimborso di 130,9 miliardi di euro di prestiti”. Vale a dire che per ora, come auspicato due giorni fa dal vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, hanno deciso di non chiedere il pagamento immediato, cosa che avrebbe accelerato il percorso della dichiarazione di default delle Gracia. Il capo dell’Efsf, Klaus Regling, ha detto però che “questo evento di default è motivo di profonda preoccupazione. Si rompe l’impegno assunto da parte della Grecia di onorare i suoi obblighi finanziari verso tutti i suoi creditori, e si apre la porta a gravi conseguenze per l’economia greca e il popolo greco”. L’Efsf resta “in stretto coordinamento con gli Stati membri dell’area dell’euro, la Commissione europea e il Fondo monetario internazionale per decidere le sue azioni future”. In ogni caso il mancato pagamento greco “non ha alcuna influenza sulla capacità dell’Efsf di rimborsare i propri obbligazionisti. Gli investitori sanno che le obbligazioni Efsf beneficiano di una struttura di garanzia solida”.

Forniture problematiche nelle Cicladi a causa delle limitazioni ai pagamenti verso l’estero – Nel frattempo la popolazione, al quinto giorno con le banche chiuse e tetti ai prelievi ai bancomat, è sempre più in difficoltà. Secondo l’edizione online di Kathimerini, diverse isole dell’arcipelago delle Cicladi sono già alle prese con problemi di approvvigionamento, soprattutto per alcune categorie di generi alimentari, come la carne, e per le medicine. Alla base del problema, secondo la Camera di Commercio, c’è il fatto che le imprese locali non possono pagare i fornitori esteri a causa del limitazioni ai movimenti dei capitali. L’associazione ha chiesto al governo di intervenire per evitare ripercussioni sul turismo. Il vice ministro competente, Elena Kountoura, ha assicurato che da lunedì sono stati fatti tutti gli sforzi per dare priorità all’invio dei pagamenti di alberghi e ristoranti e limitare questi problemi. L’Associazione delle agenzie turistiche elleniche (Sete) calcola però che negli ultimi giorni il calo delle prenotazioni, rispetto alle attese, è stato superiore al 30 per cento.




FRANCIA – Tensione al confine di Ventimiglia per i 40mila. Grande attesa per il vertice del 25 giugno

“Quello che sta accadendo a Ventimiglia è un pugno in faccia all’Europa”, ha denunciato Alfano. Anche il presidente del consiglio italiano Matteo Renzi ha criticato la chiusura della frontiera decisa da Parigi e le resistenze di alcuni paesi dell’Unione ad aderire al piano che prevede che ogni stato accolga una quota di profughi.

La Francia chiarisce la sua posizione, senza concedere nulla. Secondo il responsabile dell’interno francese Cazeneuve, prima di chiedere aiuto ai paesi vicini, il governo italiano deve aprire dei centri per identificare e registare i migranti, in modo da separare chi può chiedere asilo e ha quindi diritto di essere accolto e circolare in Europa, da chi è arrivato per motivi economici e, senza permesso di soggiorno, deve essere respinto, secondo i trattati comunitari.

Senza questa selezione a monte, ha detto Cazeneuve, non può funzionare il principio di distribuzione dei profughi tra tutti i paesi europei proposto dalla Commissione europea e sostenuto dall’Italia.

Mentre cresce l’attesa per il 25 giugno, quando i leader Ue si incontreranno per discutere dell’emergenza immigrati e approvare il piano licenziato dalla commissione Ue per distribuire fra i membri dell’Unione i 40mila arrivati in Italia e Grecia, sale la tensione al confine di Ventimiglia tra Italia e Francia. Lì infatti la polizia transalpina impedisce ai migranti di varcare la frontiera e, secondo quanto risulterebbe allo stesso sindaco di Ventimiglia, alcuni di quelli che erano riusciti nelle ultime ore ad entrare in Francia sarebbero stati riportati nel nostro Paese. Intanto fonti governative preannunciano che Matteo Renzi affronterà l’emergenza immigrazione a livello europeo nei colloqui con i capi di governo francese François Hollande e inglese David Cameron nel corso dei colloqui già previsti in occasione delle loro rispettive visite all’expo di Milano nei prossimi giorni. Per quello che riguarda una soluzione comunitaria all’emergenza, al momento il fronte contrario alle quote obbligatorie è piuttosto vasto e annovera Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Paesi dell’est e baltici, Spagna e Francia. Quest’ultima, insieme alla Polonia, starebbe però cambiando idea. Prima del cruciale appuntamento, è atteso il via libera da parte dei ministri degli Esteri – il prossimo 22 giugno – alla missione per colpire i barconi in acque internazionali e libiche. In Italia intanto l’emergenza, culminata con le situazioni estreme delle stazioni Tiburtina a Roma e Centrale a Milano, ha esacerbato ulteriormente la polemica politica tra il governo e le forze che, come Lega e M5s, contestano la politica di Palazzo Chigi in materia. Nel dibattito si è inserita anche la Chiesa italiana, attraverso il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, il quale ha sottolineato che “sicurezza e legalità sono un dovere preciso di uno Stato democratico e civile, ma questo dovere non può essere chiusura e non accoglienza verso chi è disperato”.

Beppe Grillo intanto parla di un’Italia diventata “un bivacco permanente di sfollati nelle stazioni e ai confini con gli altri Stati” e chiede di modificare in fretta il regolamento Ue di Dublino che impone di ospitare il profugo nel Paese in cui viene identificato. Parlando da Milano, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha attaccato indirettamente la Lega di Matteo Salvini: “Ci sono tanti che abbaiano alla luna – ha detto – vivono sulle paure e pensano che l’unica dimensione sia chiudersi a chiave in casa. Non è così. Serve un ideale comune, non limitarsi a vivacchiare e alimentare paure. Vorrei che provassimo – ha aggiunto – a dare assieme il nome al futuro che non sia rabbia e paura, ma coraggio e speranza”. Picchia duro, dal canto suo, il Carroccio che, con il governatore del Veneto Luca Zaia, ribadisce la linea di chiusura netta sulle assegnazioni a regioni e municipi del Nord di migranti da alloggiare. In una lettera inviata ai prefetti, Zaia intima di sgomberare le strutture occupate dai migranti nelle località turistiche della regione, mentre il segretario Salvini, intervenendo in tv, ha dichiarato di voler “prendere il treno tranquillamente senza prendere la scabbia e senza quelli con il machete”.

Presso la sede della prefettura veneziana, si è tenuto il tavolo di coordinamento della gestione dell’emergenza profughi in Veneto. Oltre a Luca Zaia, erano presenti sindaci, assessori e prefetti provenienti da tutto il Veneto. A illustrare le modalità per gestire l’accoglienza dei profughi, Mario Morcone, capo del dipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno. Per Verona erano presenti il sindaco Flavio Tosi, l’assessora ai servizi sociali Anna Leso, il comandante della polizia municipale Luigi Altamura e il prefetto vicario Iginio Olita.

Morcone ha annunciato che entro qualche settimana il Veneto dovrà dotarsi di un hub per immigrati, cioè un centro di smistamento per valutare che chi ha diritto alla protezione internazionale e chi no. Come riportato dal quotidiano L’Arena, il dirigente ministeriale ha posto il problema di dover far sorgere questo centro: “Abbiamo già una lista di 38 caserme, ma vogliamo che la soluzione sia condivisa con chi ha il governo del territorio”.

Tuttavia, il Veneto non ci sta e anche il sindaco di Verona ha manifestato il proprio dissenso: “Siamo contrari al progetto del governo di realizzare in Veneto un hub inteso come centro di smistamento con libertà di andare e venire, perché aumenterebbe il degrado e l’insicurezza. Ma cambieremmo opinione se il modello di riferimento fosse il Cie, il Centro di identificazione ed espulsione”. Il prefetto Morcone, però, ha risposto di non essere interessato alla creazione di un luogo detentivo“.




SIRIA – L’Isis rapisce ancora: 86 eritrei e una bambina assira

In Libia si regista un altro rapimento di cristiani da parte dell’Isis, lo annuncia Meron Estefanos, la direttrice della ong svedese Eritrean Initiative on Refugee: 86 migranti eritrei, tra i quali 12 donne e bambini, di religione cristiana sarebbero stati sequestrati mentre erano in viaggio verso Tripoli. I jihadisti avrebbero separato i cristiani dai migranti musulmani dopo averli interrogati sul Corano, e hanno lasciato questi ultimi liberi.

Sono stati 3480 i migranti salvati  in 15  barconi alla deriva al largo della Libia in un’operazione congiunta alle quale hanno partecipato navi italiane e straniere. Le richieste di soccorso erano giunte in mattinata alla centrale operativa della Guardia Costiera tramite telefono satellitare. Le imbarcazioni, 9 barconi e 6 gommoni, si trovavano in un tratto di mare a circa 45 miglia dalle coste libiche. In particolare, SkyNews ha riferito che la nave inglese Hms Bulwark, con a bordo il ministro della Difesa, Michael Fallon, ha fatto rotta «a tutta velocità» verso la Libia per prendere parte a un’operazione di salvataggio di «migliaia» di migranti alla deriva nel Mediterraneo su 14 barconi, ciascuno con a bordo decine o centinaia di persone.

Si è trattato di un’operazione senza precedenti, con tutte le navi europee dell’area che hanno ricevuto l’ordine di lanciarsi al soccorso, sostiene Skynews. Fallon aveva comunque chiesto che anche «altre marine europee vengano nel Mediterraneo ad aiutare». La maggioranza dei migranti sarà sbarcata in Italia, in Grecia, a Malta o in altri paesi rivieraschi: proprio la Gran Bretagna, infatti, si è già chiamata fuori da ogni ipotesi di ripartizione di quote di migranti.
Anche Moas e Medici senza Frontiere al lavoro: 2000 già in salvo
Alle operazioni di soccorso hanno partecipato tre motovedette e un aereo ATR42 della Guardia Costiera, unità della Guardia di Finanza e della Marina Militare Italiana, il rimorchiatore Phoenix, le navi della Marina militare tedesca Hessen e Berlin e la nave Le Eithne appartenente alla Marina militare irlandese, ma anche le unità di Moas (Migrant Offshore Aid Station, l’Ong maltese fondata da Christopher e Regina Catrambone) e Medici Senza Frontiere, e proprio il Moas segnala che il coordinamento dei soccorsi tra navi italiane, tedesche e irlandesi ha salvato 2000 persone da 5 scafi. Di queste, 372 provenienti dall’Eritrea sono ora imbarcate sulla Phoenix e già dirette verso la Sicilia.

Tra gennaio e maggio l’Italia ha registrato circa 46.500 arrivi, registrando un incremento del 12% rispetto allo stesso periodo del 2014. Lo ribadisce lo stesso Unhcr. Le proiezioni per il 2015 riguardano circa 200.000 persone, contro il 170.000 dello scorso anno. E domenica, nel primo pomeriggio, arriveranno altri 650 migranti al porto di Palermo: sono stati soccorsi nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia e saranno ospitati nei centri di accoglienza di Palermo e provincia. Altri 105, prevalentemente nigeriani, somali o del Burkina Faso, sono giunti a Pozzallo già sabato pomeriggio con una nave militare, mentre altri 106 sono sbarcati a Lampedusa dopo essere stati soccorsi dalla Guardia di finanza. Non fanno parte del conteggio dei circa 3.000 in difficoltà.

SIRIA – «I miliziani avevano intimato a tutti i cristiani di lasciare il villaggio, altrimenti sarebbero stati uccisi. Nonostante questo, noi avevamo deciso di rimanere nella nostra casa. Il 22 agosto ci hanno fatti salire con la forza su un autobus dicendo che ci portavano nella clinica di Qaraqosh. Dopo, hanno aperto le nostre borse in cerca di soldi e di gioielli. Un uomo dell’Isis si è accorto che tenevo Cristina tra le braccia e l’ha presa con la forza. Supplicavo di riavere mia figlia ma l’unica risposta è stata: “Sali sull’autobus o ti ammazzo”. Non ho potuto fare niente». Aida Ebada appartiene alla comunità dei cristiani assiri della piana di Ninive, in Iraq, culla storica del cristianesimo mesopotamico. Il Califfato li ha derubati e umiliati, cacciati dalle case e dalle chiese, e in alcuni casi portato via anche i loro bambini, come Cristina di tre anni.
L’appello
A Erbil, in un campo profughi dove alla fine Aida è scappata con il marito e gli altri quattro figli, una delegazione di frati della Basilica di San Francesco d’Assisi ha ascoltato la sua testimonianza. Il dolore di questa madre li ha spinti a lanciare un appello con l’hashtag #savecristina: Salvate Cristina. Le missioni e le mense francescane d’Italia intanto hanno attivato il numero solidale 45505 dal 7 al 26 giugno per aiutare i profughi in Iraq.

Con la foto incorniciata della bambina in mano e il volto quarantatreenne sfigurato da rughe centenarie e occhiaie profonde, la madre ripete da dieci mesi il racconto del rapimento. L’ha denunciato alla tv irachena, ne ha parlato a numerosi siti cristiani, lo ha spiegato agli attivisti di Amnesty International. Non ha intenzione di smettere. La vicenda di Cristina è una delle numerose violenze contro i minorenni avvenute in questi mesi nel califfato.

Lo scorso febbraio, diciotto esperti del Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia hanno denunciato che «i bambini delle minoranze etniche e religiose vengono uccisi sistematicamente dall’Isis: ci sono stati ripetuti casi di esecuzioni di massa, come pure notizie di decapitazioni, crocifissioni e di minorenni sepolti vivi». Le vittime appartengono soprattutto a minoranze, come gli yazidi e i cristiani, ma sono anche sciiti e sunniti. Il rapporto denunciava la vendita dei bambini come schiavi e le violenze sessuali sistematiche. Secondo alcune testimonianze, i piccoli schiavi al mercato di Mosul vengono «esposti con i cartellini con il prezzo» e quello più alto è riservato a maschi e femmine di età compresa tra uno e nove anni (proprio come Cristina). La madre chiede al mondo di non restare indifferente. «Queste cose che stanno succedendo in Iraq, come rapire una bambina innocente, e questi crimini come rubare il denaro, togliere tutto alla gente… che cos’è tutto questo? Questo non è umano. Che cosa abbiamo fatto di male? Restituitemi mia figlia».