Lotta alla plastica, dall’India all’Italia

A distanza di pochi giorni dalla Giornata dell’Ambiente del 5 giugno, dedicata alla lotta per l’eliminazione della plastica, due notizie mi hanno colpita, entrambe dall’India.

Dopo la carriera in una casa farmaceutica, la trentaseienne di Nuova Delhi Rhea Singhal è la protagonista diun’importante svolta ambientalista con la più grande azienda di stoviglie e packaging alimentare “eco” di tutta l’India: Ecoware è, infatti, una società che produce piatti, bicchieri, vassoi e contenitori per il cibo biodegradabili al 100%; al posto della plastica si usano biomasse e soprattutto gli scarti agricoli, che finirebbero bruciati nei campi a fine raccolta, per produrre prodotti che, utilizzati per congelare e cuocere alimenti nel microonde, possono poi essere buttati nel secchio dell’umido. Qualora finissero in discarica, si decomporrebbero senza lasciare inquinanti. I prodotti costano un po’ di più, ma dal 2009, data nella quale è nata, l’azienda è cresciuta notevolmente sia perché serve anche hotel di lusso e compagnie aeree sia perché la gente ha compreso le implicazioni dannose delle plastiche per ambiente e salute.

Sempre in India, l’avvocato Afroz Shah nell’ottobre del 2015 ha avuto la semplice idea di iniziare a pulire i 100 chilometri di spiaggia di Mumbay soffocata da ogni tipo di plastica e immondizia, e seguendo il suo esempio, attualmente il sabato e la domenica si contano trecento persone, di età e provenienze diverse, a ripulire per quattro ore la costa.

Le Nazioni Unite hanno definito l’iniziativa come la più grande opera di pulizia della spiaggia del mondo.

Qui da noi WWF e Legambiente sono note per queste azioni di pulizia e da qualche tempo si aggiunge anche Clean Sea Life.

Inoltre, proprio quest’anno è partito il “Plastic radar” di Greenpeace, un’iniziativa che invita a segnalare via whatsapp i rifiuti in plastica su spiagge e mari.In tal modo sarà possibile conoscere le tipologie di imballaggi e rifiuti più comuni nei mari italiani e scoprire da quali località arriva il maggior numero di segnalazioni. Ogni segnalazione, un grazie, e con 25 segnalazioni un ringraziamento nel report finale.

Ma il ringraziamento più rilevante arriva da parte delle spiagge e del mare tutto!




POLO NORD – Greenpeace: “Ciò che accade nell’Artico non resta nell’Artico”

Ghiaccio artico, a maggio nuovo record negativo. E’ allarme per il Polo Nord ma anche per il Pianeta. Gli esperti del National Snow and Ice Data Center (NSIDC), parte integrante del Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences (CIRES) presso l’Università del Colorado a Boulder e il supporto della NASA, hanno annunciato, qualche mese fa, il nuovo record (per il secondo anno consecutivo) “negativo” per il Polo Nord: “il ghiaccio Artico è ai minimi storici a causa del riscaldamento globale”.

Greenpeace – Ciò che accade nell’Artico non resta nell’Artico. La fragile regione polare si sta infatti scaldando due volte più in fretta di qualsiasi altra area del mondo, con conseguenze che pesano sull’intero clima terrestre. Nell’emisfero nord del Pianeta, in particolare, potranno aumentare i fenomeni meteorologici estremi.

Un rapporto scientifico pubblicato da Greenpeace svela che l’Artico si sta scaldando due volte più in fretta che qualsiasi altra regione del mondo, con possibili gravi ripercussioni sull’intero clima terrestre.
Come infatti suggerisce il titolo del nuovo rapporto, “What happens in the Arctic doesn’t stay in the Arctic”, ciò che accade nell’Artico non resta confinato nell’Artico, l’alterazione di questo ecosistema unico e prezioso può aggravare gli effetti dei cambiamenti climatici e avere ripercussioni anche sulle nostre vite.

Facendo riferimento alla Terra il termine Polo Nord può indicare diversi punti geografici posti sulla superficie terrestre la maggior parte dei quali sono situati nel Mar Glaciale Artico. Spesso il termine polo nord è anche utilizzato per riferirsi in maniera generica a quella regione del mondo denominata Artide o in alcuni casi al territorio compreso all’interno del circolo polare artico. Ti potrebbe interessare: Emergenza Polo Nord: potrebbe svanire quest’anno? La previsione choc di un climatologo…

La calotta polare artica è un elemento fondamentale del sistema climatico del nostro pianeta. La sua funzione più importante è quella di isolare l’acqua dell’oceano artico, relativamente calda, dall’aria polare soprastante che è invece molto più fredda. Nello stesso tempo, la calotta impedisce l’assorbimento dei raggi solari: l’albedo dei ghiacci polari è 0,6, che sale a 0,8 se sono coperti di neve, mentre l’acqua di mare ha un’albedo di solo 0,15. L’effetto complessivo quindi è quello di mantenere freddo il polo nord, bloccando nello stesso tempo il trasferimento del calore dall’oceano all’atmosfera.

GREENPEACE – A causa del riscaldamento globale, negli ultimi 30 anni l’area artica coperta di ghiacci si è ridotta in modo sostanziale estate dopo estate, diminuendo la capacità della superficie ghiacciata di riflettere la luce solare (un fenomeno conosciuto come albedo) e aumentando il calore assorbito dal mare, che a sua volta contribuisce allo scioglimento dei ghiacci, in un circolo vizioso molto pericoloso.

Come se non bastasse, il ritiro dei ghiacci agevola lo sfruttamento delle risorse naturali nel Mar Glaciale Artico: pesca, trasporto marittimo e trivellazioni fanno gola a molti e minacciano la sopravvivenza di questo fragile ecosistema.

Per questo chiediamo che le acque internazionali che circondano il Polo Nord diventino un Santuario Artico in cui sia vietata qualsiasi attività industriale estrattiva e proprio tra poche settimane l’OSPAR, la commissione internazionale deputata alla conservazione dell’Artico, potrebbe decidere di istituire un’area protetta di oltre 226 mila chilometri quadrati, realizzando così il primo pezzo del Santuario.

Non siamo i soli a voler difendere questo splendido e fondamentale ecosistema: con noi ci sono quasi otto milioni di persone che hanno già firmato la petizione internazionale per mettere fine allo sfruttamento dell’Artico! E tu, hai già firmato?
Gli effetti dello scioglimento dei ghiacci nel resto del pianeta
La letteratura scientifica più recente, cui fa riferimento Greenpeace, suggerisce l’esistenza di un collegamento causale diretto tra il declino del ghiaccio marino e le fluttuazioni sempre più estreme delle temperature nell’emisfero nord. Ecco gli effetti del surriscaldamento del Polo nel mondo.

Estati più calde in Usa e Canada – Dallo scioglimento dei ghiacci del Polo Nord dipende il surriscaldamento della parte orientale degli Usa e del Canada. Entro la fine del secolo le estati vedranno temperature del 20% più variabili rispetto ad ora, e diventeranno più comuni le ondate di calore. Un quadro corroborato dai risultati di 29 modelli predittivi sui cambiamenti climatici che interesseranno la fascia delle Great Plains americane.

Mediterraneo bollente – Le evidenze raccolte dimostrano che durante le estati con meno ghiaccio al Polo Nord, le temperature di superficie delle acque del Mediterraneo (ma anche dei mari del sud-est asiatico) tendono a salire e vengono modificati anche i modelli di andamento atmosferico.

Inverni sempre più rigidi e nevosi alle medie latitudini – Nord America, Europa e Asia orientale: ormai gli scienziati sono concordi nell’affermare che le ondate improvvise di freddo e copiose precipitazioni nevose sono strettamente legate allo scioglimento dei ghiacci artici durante le estati.

Piogge in nord Europa, siccità in America e Asia – Nel nostro continente le 6 estati tra il 2007 e il 2012 sono state più umide e piovose della norma. Anche questo è un effetto dei cambiamenti climatici in corso al Polo Nord. Viceversa, America del nord e Asia orientale potrebbero vedere siccità sempre più frequenti in futuro.

Innalzamento del livello delle acque – Lo scioglimento dei ghiacci artici è ormai considerato a livello internazionale un fattore con alta probabilità di causare l’aumento dei livello dei mari.

Sparirà la tundra artica – Gli incendi in questi ecosistemi sono un fatto ciclico e naturale. Ma estati più calde e secche li intensificheranno, liberando in atmosfera CO2 e minacciando gli equilibri della regione.




Salviamo il mare nostrum e anche quello degli altri: i No Triv a Bari

E’ trascorso quasi un anno da quando sette capodogli si sono arenati  sulla spiaggia di Vasto, nella riserva di Punta Penna. Tre non ce l’hanno fatta mentre gli altri quattro sono riusciti via via a riguadagnare il largo con l’aiuto di diversi volontari, in azione con il sostegno del personale della Capitaneria di Porto e della protezione civile di Vasto.

I cetacei erano stati seguiti per qualche giorno nell’Adriatico dopo essere stati avvistati per la prima volta in Croazia.

E’ stato uno  dei disastri ambientali più pesanti della regione.  Non è difficile capire come siano giunti i capodogli fino a Vasto   scegliendo di andare a morire in una delle più belle spiagge d’Italia all’interno della riserva di Punta Aderci.

Dopo che i primi due capodogli sono stati aiutati a tornare in mare, al terzo che ha riguadagnato l’acqua alta è scattato un lungo applauso di centinaia di persone che hanno affollando la spiaggia. Sulla collina che domina la spiaggia all’interno della riserva di Punta Aderci in migliaia hanno “fatto il tifo” per i volontari che dalle 8 della mattina sono stati impegnati per consentire ai cetacei di riprendere il largo.

Tutti e sette erano di sesso maschile e facevano parte di un branco che era stato avvistato qualche giorno prima a largo dell’isola Vis, in Croazia. A dare manforte agli uomini della Capitaneria di Porto, della Protezione Civile di Vasto e di tanti volontari, sono giunti da Riccione anche i soci della Fondazione “Cetacea”.

Il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti informato dello spiaggiamento dei sette capodogli è stato in costante contatto con il Reparto Marino Ambientale della Guardia Costiera, che ha coordinando le operazioni per cercare di salvare i cetacei.  E’ intervenuta anche l’Unità Speciale dell’Università di Padova diretta dal professor Mazzariol, che opera in convenzione con il Ministero dell’Ambiente proprio per i casi di spiaggiamento dei cetacei. Erano state inoltre allertate la “Banca Tessuti per Mammiferi”, diretta dal professor Cozzi dell’Università di Padova, la direzione generale per la sanità animale del Ministero della Salute e gli “Istituti Zooprofilattici Sperimentali”, coordinati dalla dottoressa Casalone.
Esperto, attività estrattive tra possibili cause.

“È un vero e proprio grido d’allarme, gravissimo in un bacino chiuso e di piccole dimensioni, che dovrebbe indurci a rivedere profondamente il nostro atteggiamento nei confronti del mare Adriatico”. Questo fu il primo commento del Wwf, secondo il delegato regionale per l’Abruzzo Luciano Di Tizio, dopo lo spiaggiamento di sette capodogli a Punta Aderci, a Vasto. “Il nostro pensiero, anche se è chiaramente da confermare, – sottolinea Fabrizia Arduini, referente energia per il Wwf Abruzzo – va all’intensa attività di ricerca geosismica attraverso l’air-gun da parte delle compagnie petrolifere, attualmente utilizzato soprattutto sulle coste dell’altra sponda dell’Adriatico.

L’air-gun è una pratica che per l’intensità di suono prodotto nel sottofondo marino diviene micidiale per i cetacei e non solo, come dimostra una ampia letteratura a riguardo”. Il Wwf spiega che “anche i sonar militari, in particolare quelli a bassa frequenza, hanno conseguenze devastanti per il mare e sono causa diretta di spiaggiamenti di massa e di emorragie per la risalita eccessivamente rapida degli animali spaventati da suoni mai sentiti in mare”. Le ricerche petrolifere, al di là del micidiale air-gun provocano danni anche con altre attività nel sito della not attivista ambientalista Maria Rita D’Orsogna, ad esempio, si legge che nel 2008 circa 100 balene si spiaggiarono e morirono lungo le coste del Madagascar in conseguenza, come venne acclarato da uno studio indipendente, di stimolazioni acustiche connesse appunto alla ricerca di giacimenti nel fondo marino. Basta progetti inerenti gli idrocarburi in mare Adriatico, basta fiumi che riversano quotidianamente veleni: facciamo appello alle forze politiche e a tutte le Regioni che si affacciano su questo mare perché si attivino immediatamente per avviare la tutela, concretamente e non a chiacchiere, di un fragilissimo ecosistema, fonte di vita di moltissime specie viventi compresa la nostra.

Nonostante le tante proteste, il governo Renzi, subito dopo le scorse elezioni regionali, ha deciso di dare il via libera alle ricerche di idrocarburi anche in Puglia. Dei 16 permessi di ricerca e prospezione rilasciati, ben 11 riguardano proprio le nostre coste.

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Le multinazionali del petrolio potranno così devastare i nostri mari, prima attraverso l’invasiva tecnica di ricerca denominata air-gun, successivamente attraverso l’estrazione del petrolio.

È inutile sottolineare il tremendo impatto che tale scellerata scelta avrà sulla bellezza dei nostri territori, sulla salute delle popolazioni, sull’economia e sul turismo locali.

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Qualche giorno fa un gruppo di attivisti di Greenpeace ha protestato pacificamente davanti alla piattaforma petrolifera offshore Sarago Mare A, posizionata a soli tre chilometri dalla costa di Civitanova Marche. Gli attivisti hanno steso a pelo d’acqua, proprio sotto la struttura gestita dalla Edison un grande striscione galleggiante con la scritta “STOP TRIVELLE”. Poi si sono finti turisti di un possibile futuro prossimo, in cui le vacanze balneari potrebbero svolgersi all’ombra delle piattaforme petrolifere. La protesta di Greenpeace fa parte della campagna TrivAdvisor (trivadvisor.greenpeace.it): in poche settimane, più di 43 mila persone hanno già firmato la petizione di Greenpeace per chiedere una radicale revisione della strategia energetica basata sull’estrazione di petrolio e gas dai fondali marini. Accordo all’unanimità tra le sei regioni Adriatiche di centro e meridione riunite a Termoli per ribadire il ‘no’ alle trivellazioni in mare. Dopo un’ora e mezzo di confronto governatori e assessori presenti (Abruzzo, Molise, Puglia, Marche, Basilicata e Calabria) hanno confermato la “contrarietà unanime” alle trivellazioni. Il 29 luglio ci sarà un primo incontro con il governo a Palazzo Chigi. Il Coordinamento delle regioni coinvolte si riunirà dopo il 18 settembre a Bari.

Il 28 luglio in piazza Eroi del mare, a Bari (Puglia), si terrà un’assemblea pubblica No triv per un confronto sulla situazione attuale e sulle proposte da mettere in campo per reagire al piano che vogliono propinarci come piano di sviluppo economico. Le trivellazioni rientrano, invece, in un preciso piano di devastazione del nostro territorio. Il profitto di pochi, come sempre, a danno di molti.