La Guerra franco-prussiana e le sue conseguenze. La III Repubblica francese, la Comune di Parigi e la presa di Roma
Nel 1848 anche in Prussia c’erano stati dei fallimentari moti insurrezionali con il sogno di unire democraticamente i popoli tedeschi. A metà Ottocento la Prussia è la potenza militare più forte del mondo e il secondo polo industriale dopo la Gran Bretagna. La grande Confederazione Germanica ha un enorme peso economico ma manca di unità politica. Il neoeletto Cancelliere Otto Von Bismarck, sotto il Re Guglielmo I, si propone di realizzare una volta per tutte questa unificazione. Bismarck viene dalla nobiltà terriera ed è un uomo autoritario e spregiudicato, poco fiducioso nei cambiamenti dal basso e convinto che i grandi problemi internazionali si risolvano necessariamente col sangue: senza consultare il Parlamento, aumenta drasticamente le spese militari. Nel 1866 usa l’Italia, militarmente poco preparata, per disperdere sul fronte veneto le forze austriache e conquistare le zone tedesche meridionali: il suo obiettivo è la costruzione del Secondo Reich, l’Impero tedesco (il primo era il Sacro Romano Impero Germanico medievale). Per completare tale sogno mancano due regioni fondamentali: l’Alsazia e la Lorena, che si trovano in Francia, delimitate dai Vosgi e dal fiume Reno, da sempre contese tra Francia e Germania in quanto abitate da popolazione mista franco-tedesca e soprattutto ricchissime di materie prime utili per le industrie. È per queste terre che nel 1870 scoppia la Guerra franco-prussiana, breve e con esiti schiaccianti. L’esercito prussiano è il più forte del mondo e quello francese non ha speranza di tenergli testa.
Il 1° settembre 1870 inizia la battaglia di Sedan, l’indomani l’esercito francese sta già clamorosamente crollando e l’Imperatore Napoleone III in persona viene fatto prigioniero. Il 4 settembre Parigi insorge e proclama la III Repubblica Francese, ricorrendo di nuovo alla Guardia Nazionale, il corpo armato autonomo costituito anche nelle precedenti insurrezioni.
Appena la notizia della capitolazione di Napoleone III arriva a Firenze, il governo italiano ne approfitta: il 20 settembre, appena due settimane dopo l’insurrezione di Parigi, quando in Francia regna lo scompiglio totale e i pochi soldati di stanza nel Lazio sono stati richiamati per combattere a Sedan, l’esercito sabaudo apre a cannonate una breccia nelle mura vaticane e occupa la città di Roma, nonostante il patto con la Francia prevedesse di non toccarla.
1. La breccia di Porta Pia in una litografia del tempo
Violando alle spalle gli accordi internazionali, Roma diventa capitale d’Italia. Pio IX sceglie di non difendersi, militarmente sarebbe inutile, e la popolazione romana non si mobilita, né con il Papa né con il nuovo sovrano.
Intanto in Francia si tengono nuove elezioni, vinte dai moderati. Il nuovo governo repubblicano, capeggiato dal conservatore Adolphe Thiers, ratifica un armistizio con la Germania, unita nel Secondo Reich. I tedeschi dopo la vittoria infieriscono sulla Francia e la umiliano: come luogo per l’incoronazione a imperatore, Guglielmo I sceglie la reggia di Versailles, simbolo dello splendore francese seicentesco. E la pace prevede condizioni pesantissime: cessione di Alsazia e Lorena, pagamento di cinque miliardi di franchi come risarcimento di presunti danni di guerra (quando l’esercito francese non è riuscito a entrare in Germania quindi danni concreti non ha potuto farne) e occupazione con un contingente militare tedesco a tutela del pagamento.
Thiers accetta passivamente tutte le condizioni; inoltre sposta il Parlamento da Parigi, città operaia eccessivamente turbolenta, a Versailles. Ma la goccia che fa traboccare il vaso è la decisione di Thiers di requisire i cannoni della Guardia Nazionale parigina. A questo punto la capitale francese insorge ancora una volta.
Viene proclamata la Comune di Parigi e indette nuove elezioni, stavolta a suffragio universale maschile e femminile, vinte da un largo fronte rivoluzionario: democratici, socialisti, comunisti giacobini marxisti e blanquisti, anarchici bakuniniani e proudhoniani convivono insieme sotto il grido di «Vive la Commune!». Le donne hanno importanti spazi di partecipazione: tra queste si distingue la figura dell’anarchica Louise Michel, a capo della Guardia Nazionale nel quartiere collinare di Montmartre.
2. Parigi. Square Louise Michel
I rivoluzionari occupano le Tuileries e la Conciergerie, che diventano i luoghi di gestione della Parigi occupata; per provocazione viene scelto come simbolo della città in rivolta al posto del tricolore repubblicano la bandiera rossa, che prima era il segnale militare che ordinava ai soldati di sparare sulla folla in caso di rivolta da reprimere; la Colonna Vendôme, simbolo delle conquiste compiute dalla Francia sotto Napoleone I, viene abbattuta in quanto affermazione del militarismo e dell’imperialismo precedenti. Viene creato un Consiglio con potere esecutivo e legislativo di 90 membri (fra cui molti operai, donne, artigiani) eletti a suffragio universale maschile e femminile, ognuno dei quali è sempre revocabile su richiesta dell’Assemblea popolare e riceve uno stipendio pari a quello di un operaio; il potere giudiziario appartiene alla stessa assemblea popolare; la Guardia Nazionale è un corpo a sé che prevede la leva obbligatoria per tutte le cittadine e tutti i cittadini maggiorenni, «per difendere i cittadini dal potere e non aiutare il potere contro i cittadini», come recita uno dei manifesti con i proclami della Comune, e sono istituiti anche corpi armati volontari di sole donne per tutelarle da eventuali violenze maschili. Vengono inoltre concretizzate riforme sociali importanti, per le quali gli operai e le organizzazioni socialiste di tutto il mondo stavano lottando già da decenni: la più importante di queste è la riduzione della giornata lavorativa, portata a un massimo di dieci ore giornaliere; viene inoltre vietato il lavoro notturno (prima obbligatorio per alcune categorie) e sospeso il pagamento degli affitti, sono bloccati gli sfratti, le fabbriche abbandonate dai vecchi padroni sono occupate dagli operai e il lavoro è portato avanti in autogestione, l’istruzione è effettivamente resa obbligatoria e gratuita per tutti i minorenni di entrambi i sessi e vengono affidati incarichi prestigiosi all’interno del Consiglio anche a intellettuali stranieri. Oltre al settore pubblico, a Parigi nasce il concetto di bene comune: ciò che la società gratuitamente deve fornire a ognuno pur non appartenendo a nessuno, di cui, in caso di mancata distribuzione è diritto dei cittadini e delle cittadine appropriarsene, dato che non è proprietà dell’istituzione statale ma della collettività.
Le riforme sociali della Comune culminano con l’abrogazione del Codice Civile Napoleonico, che prevedeva la famiglia come istituzione rigidamente patriarcale e maschilista. Il Codice è sostituito con una legge che assicura pari diritti ai coniugi e potere familiare equiparato, garantito anche dagli aiuti economici che la Comune dà alle donne disoccupate in caso di eventuale separazione dal marito. Non c’è solo una formale parità dei sessi scritta su carta ma anche un’uguaglianza effettiva e sostanziale: questa è la vera tutela delle donne, ben più concreta del movimento suffragista. Il tutto in poco più di due mesi.
A questo proposito è importante tenere a mente la forte differenza di connotazione sociale tra Parigi e il resto della Francia: la capitale è una città operaia fortemente ribelle abitata da un bel numero di “teste calde” ed è il luogo dove tutte le Rivoluzioni hanno avuto inizio, mentre le altre aree del Paese sono zone agricole popolate da gente di indole prevalentemente conservatrice e poco incline a tentare le strade rischiose dei cambiamenti e degli eccessi. Il principale motivo di fallimento dell’esperienza della Comune è proprio questo: nonostante i continui appelli proudhoniani alla confederazione, Parigi viene lasciata sola.
Il sistema sociale della Comune (la «struttura», per usare termini marxisti) non è mai andato in crisi, ma il buon funzionamento politico ed economico non basta per resistere a un attacco militare sproporzionato. Il 21 maggio Thiers cinge d’assedio la città con le ingenti forze reazionarie francesi e con l’aiuto dei cannoni di Bismarck. La Guardia Nazionale organizza come può la resistenza ma i rapporti di forza sono insostenibili. Peraltro difendere una metropoli di fine Ottocento non è facile: i grands boulevards, appositamente costruiti sotto l’impero di Napoleone III, impediscono la costruzione di barricate in varie parti della città.
3. Parigi. Mosaico a Louise Michel (Montmartre, rue Véron)
A Montmartre, Pigalle e Glignancourt Louise Michel dà prova di una strenua resistenza, testimoni oculari dichiarano di non averla vista posare il fucile per l’intera «settimana di sangue», insieme a donne e uomini di tutte le età, ma niente è sufficiente contro una repressione così spietata.
Il 28 maggio Parigi crolla sotto i cannoni tedeschi. I comunardi vengono fucilati nel cimitero di Père Lachaise o deportati nelle colonie francesi d’oltreoceano (tra questi ultimi vi è anche Louise Michel, deportata in Nuova Caledonia).
4. Parigi. Cimitero di Père Lachaise
Subito dopo il crollo della Comune si scioglie la I Internazionale per gli scontri intestini tra marxisti e anarchici. Il primo a essere cacciato è Giuseppe Mazzini, democratico romantico che auspica che pace e giustizia sociale convivano senza lotta di classe; poi tocca a Mikhail Bakunin, anarchico che teorizza la Rivoluzione di nullatenenti, poverissimi e sottoproletari in Paesi non industrializzati, contrariamente alla dottrina marxista che pone il proletariato urbano dei Paesi già industrializzati come unico soggetto rivoluzionario possibile. Finché, dilaniata dai dissidi interni e dalle espulsioni, muore tutta l’Internazionale. Uno degli elementi che hanno determinato la rottura è stato proprio il giudizio sulla Comune, troppo disorganizzata secondo Marx ed Engels e troppo rigida, accentratrice e verticista secondo le correnti più libertarie.
La II Internazionale, fondata, tra gli altri, da Paul Lafargue, genero di Karl Marx, sarà costituita solo da comunisti ortodossi, e così le altre a venire.
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