La febbre dell’oro

Fin dai tempi più remoti l’oro è stato considerato un bene prezioso dagli uomini tanto da diventare un elemento distintivo nell’appartenenza alle classi sociali più elevate.

Addirittura verso la fine del XIX secolo si verificò la cosiddetta “Febbre dell’Oro” con la scoperta di notevoli quantità del metallo prezioso nei territori nordamericani che portò a una febbrile migrazione di lavoratori in queste aree alla ricerca dell’oro e quindi di un riscatto sociale e di un arricchimento in breve tempo.

Da quando poi l’oro viene usato dai vari Stati come “riserva monetaria”, a fronte dell’emissione della carta moneta, svolge addirittura una funzione di danaro.

Così, durante le varie crisi economiche verificatesi nel corso degli anni, dove l’incertezza del futuro regna sovrana, risparmiatori e risparmiatrici si sono orientate sempre di più verso beni sicuri tra i quali, appunto, l’oro.

Si può investire nell’oro o attraverso strumenti finanziari o nell’oro fisico.

Nel primo caso di possono acquistare ETF, Azioni, Opzioni ma qui entriamo nel campo del fai da te che ci guida più a scelte emotive che razionali. Oppure si può farlo attraverso i Fondi di Investimento specializzati, delegando a figure professionali ben precise le nostre scelte.

Nel secondo caso si possono acquistare monete e lingotti. Al riguardo, operatrici e operatori del settore si sono messi subito all’opera dando la possibilità di acquistare, anche tramite sportelli automatici, dei piccoli lingotti con una spesa veramente irrisoria, tanto da divenire una moda.

Bisogna comunque tenere ben presente che investire nell’oro significa scommettere su un rialzo o un ribasso del suo valore (quotazione) nel tempo. In tempi di crisi si assiste a una corsa a questo tipo di investimento, con il raggiungimento di quotazioni elevate, mentre in momenti di tranquillità sui mercati finanziari il prezzo si abbassa.

Quindi, come tutte le altre tipologie di investimento anche quella nell’oro richiede una razionale diversificazione e un orizzonte temporale medio lungo.

 




I fondi comuni di investimento

I fondi comuni di investimento sono stati regolamentati con la legge n.77 del 23 marzo del 1983  e, a seguire, con il decreto 24 febbraio 1998 n.58, che li definisce un patrimonio autonomo, suddiviso in quote, di pertinenza di una pluralità di partecipanti gestite a monte.

Si tratta di strumenti tramite cui gli istituiti finanziari raccolgono piccoli e medi risparmi di investitori e investitrici, li investono come unico patrimonio in attività finanziarie (azioni, obbligazioni, titoli di stato…) e li ripartiscono in quote.

Il principale vantaggio per chi investe sta nel poter affidare il proprio denaro a operatori specializzati in grado di accedere a mercati solitamente inaccessibili al singolo soggetto, sia per mancanza di competenze, sia e soprattutto per insufficienza di capitali.

La diversificazione di un fondo, che può avere in pancia tantissimi titoli, protegge dal rischio credito, poiché il fallimento di una società costituirebbe una percentuale di perdita molto bassa per chi possiede quote di fondo.

Il patrimonio dei fondi è giuridicamente separato dal patrimonio della società di gestione, il che rende impossibile qualsiasi aggressione da parte dei creditori della società stessa e inoltre è soggetto a una serie di controlli sia pubblici (Consob*, Banca d’Italia) che privati (Società di revisione della società o banca depositaria**).

Come sempre, anche per la scelta di un fondo bisogna valutare il proprio grado di rischio e il tempo di impiego del proprio risparmio: una scelta che non tenga conto degli obiettivi individuali potrebbe rendere inefficaci tutte le qualità del fondo.

Esistono fondi aperti, che possono essere acquistati o venduti in qualsiasi momento e chiusi,che possono essere sottoscritti soltanto in un periodo di collocamento e quasi sempre rimborsati in una data certa a scadenza.

I fondi si suddividono in:

azionari–  investono prevalentemente in azioni;

obbligazionari –  investono in obbligazioni o titoli di Stato;

bilanciati-possono investire in azioni o obbligazioni secondo la percentuale scritta nel prospetto informativo;

monetari –  investono in strumenti del mercato a breve termine molto spesso chiamati fondi  di liquidità.

 

Ogni fondo prevede costi di sottoscrizione, di gestione e anche di performance, che è opportuno valutare attentamente prima di sottoscrivere affinché non gravi in modo eccessivo sul rendimento.

Investitori e investitrici potranno monitorare quotidianamente il proprio capitale in quanto il valore della quota dei fondi è riportato in rete e sui principali quotidiani.

*Consob: Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

**Banca  depositaria è la banca che fornisce il servizio di custodia e controllo alle SGR (Società di gestione del risparmio)

 

 

 

 

 




Mollare l’ancora

Nel 2002 lo psicologo Daniel Kanheman vinse il premio Nobel per l’economia. I suoi studi sono alla base della Finanza Comportamentale, la disciplina che studia i meccanismi che guidano le scelte effettuate dalle persone in condizioni di incertezza.

In campo economico le teorie ipotizzavano un essere umano razionale in grado di effettuare la scelta più conveniente ma nella realtà l’individuo è tutt’altro che perfetto e le sue scelte sono guidate spesso da regole intuitive che nella vita quotidiana ci aiutano ma che ci fanno commettere errori in ambito finanziario.

Vediamo la prima di queste che vengono anche definite “trappole mentali”: l’ancoraggio.

L’ancoraggio è la tendenza a crearci delle “ancore mentali”, cioè dei punti di riferimento che il nostro cervello utilizza come appigli in situazioni di incertezza; quando dobbiamo compiere una scelta, formulare una previsione o emettere un giudizio partiamo da questi e in funzione di questi decidiamo.

Nel campo degli investimenti una tipica ancora mentale è il prezzo pagato per acquistare un titolo. Quel prezzo diventa spesso per noi il punto di partenza per giudicare in futuro se il titolo è “caro” o “a buon mercato” facendo passare in secondo piano elementi ben più importanti per valutare se è il caso di mantenerlo in portafoglio, venderlo o acquistarne degli altri. Sarebbe sicuramente più utile analizzare la storia della società, l’andamento nel tempo di fatturato e utili, le prospettive dei mercati in cui opera e altri elementi oggettivi prima di decidere.

Tale meccanismo scatta anche nella valutazione del valore degli immobili. Se ho acquistato un immobile e dopo alcuni anni ne vedo in vendita uno simile a un prezzo sensibilmente più basso sarò portato a ritenerlo un “affare” senza considerare altri fattori per valutarne l’effettiva potenzialità come investimento.  Anche in questo caso è opportuno valutare l’andamento dei prezzi degli immobili in quella zona, considerarne i costi connessi all’acquisto, le imposte che gravano sugli stessi sia al momento dell’acquisto che dopo (ricordiamoci che le seconde case non godono delle agevolazioni fiscali previste per le abitazioni principali ), l’andamento del mercato degli affitti  se vogliamo affittarlo.

In conclusione l’ancoraggio è una scorciatoia che il nostro cervello prende inconsciamente per spendere poca energia quando dobbiamo fare delle scelte. Se le scelte riguardano i nostri risparmi è opportuno non cadere nella trappola, mollare l’ancora e impegnarci di più per  prendere decisioni ponderate.