La crisi italiana che vogliono nascondere

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Da quando è iniziata la crisi, in Grecia si sono suicidate 10.000 persone, a riferire questo dato  Theodoros Giannaros, 58 anni, direttore dell’Ospedale Elpis:

“Penso continuamente a quei 10 mila morti che abbiamo seppellito nel silenzio. Penso a mio figlio. E penso che se in Germania un cane muore in malo modo, ecco che il caso finisce sui giornali, se ne dibatte in tv. Ma avete mai sentito parlare dei nostri giovani, dei nostri anziani che si sono suicidati? La guerra civile della Jugoslavia ha fatto 20 mila morti. Quella, però, era una guerra. Che cos’è, invece, questa nostra strage? È una domanda a cui non so rispondere, posso solo dire che in questo momento mi vergogno di essere un europeo”.

In Italia  i morti non si contano, di loro ci giunge notizia attraverso i giornali e  ci sembrano casi isolati e sporadici.

Si è impiccato il giorno prima dell’esecuzione dello sfratto dell’appartamento dove viveva a Casalecchio. L’uomo, un 53enne agente di commercio, secondo quanto riporta l’edizione locale del Resto del Carlino, reduce dal fallimento della propria attività economica – si occupava della gestione di una rete di distributori automatici di acqua ed alimenti – è stato trovato morto dalla madre.

Separato, padre di una figlia piccola, viveva con una nuova compagna e da due anni era tornato ad abitare assieme alla madre 81enne nell’appartamento, venduto all’asta giudiziaria. Il 53enne aveva manifestato anche chiari segni di depressione, tanto che da alcuni anni era seguito dal servizio di igiene mentale dell’Ausl. A Casalecchio sono intervenuti i carabinieri e il 118.

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Tragedia sull’argine del Brenta, un operaio si suicida impiccandosi.
Il corpo della vittima, un padovano 32enne di Piove di Sacco, è stato trovato martedì pomeriggio da un passante nel territorio di Campolongo Maggiore, nella limitrofa provincia veneziana.

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 Costretta a vivere in tenda da giugno dopo essere stata sfrattata, è morta la donna la cui storia disperata era stata raccontata dal Carlino domenica scorsa. Il dramma di Luana Brugè, 45 anni, di Porto Recanati, si è tragicamente concluso lunedì notte nell’abitazione della madre a Loreto, dove la donna si è spenta dopo un malore. Probabilmente sfiancata dalle precarie condizioni in cui si trovava, disidratata, dopo essersi accampata per giorni vicino al fiume Potenza, la 45enne era stata accompagnata a Loreto dal compagno.

 La donna, dopo aver perso l’abitazione perché non riusciva più a pagare l’affitto e senza un lavoro che potesse garantirle un guadagno anche minimo, aveva trovato riparo nella tenda acquistata per una manciata di euro al supermercato, nonostante il caldo torrido di questo periodo. Ma per lei era l’unica soluzione. Aveva detto di aver cercato un’occupazione come donna delle pulizie, ma senza risultati. E anche il compagno, che lavorava come operaio, è disoccupato. Quindi, prima di decidere di rifugiarsi nella tenda, alla coppia non era rimasto altro da fare che affidare la bimba alla nonna. “Almeno mia figlia vive decorosamente – aveva spiegato la 45enne –. Non posso portarla in questo tugurio. Noi ci arrangiamo come possibile ma lei non deve sapere nulla. Appena ho un passaggio vado a trovarla da mia madre. Qui non voglio che venga”.

Brugè aveva abitato, fino ai primi di giugno, in via San Giovanni Bosco, nel centro di Porto Recanati. “Mio marito ha perso il lavoro da mesi e non ha trovato più nulla – aveva proseguito nel racconto delle sue difficili condizioni di vita –. Io non trovo un posto da oltre un anno. Nemmeno come donna delle pulizie. Ho provato anche negli chalet per la stagione estiva, ma già avevano il personale al completo. Ho girato dappertutto e chiesto anche aiuto al Comune, ma senza ottenere qualcosa di concreto. Non mi ha ascoltato nessuno. Il proprietario di casa, che mi aveva garantito di riuscire a farmi rimanere in casa fino a fine mese, mi ha detto che dovevo andarmene”.

La 45enne si era già sentita male sabato scorso, a causa del gran caldo. La donna era stata soccorsa dalla Croce Azzurra che l’aveva trovata in un forte stato di disidratazione. Quella mattina erano intervenuti anche i vigili urbani e gli assistenti sociali che si erano resi disponibili ad aiutare la coppia. Purtroppo non è stato possibile. La 45enne è morta prima per un collasso cardio-circolatorio. Nessun commento da parte della famiglia della donna che si è chiusa nel proprio dolore, per proteggere la nipotina.

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Sono sempre di più le famiglie che non riescono a pagare l’affitto e il dato emerge dall’analisi pubblicata dall’Agenzia di statistica del ministero dell’Interno sull’andamento degli sfratti in Italia nel 2014. Numeri che fanno paura e raccontano una vera e propria emergenza sociale, che di anno in anno si va aggravando.

Nei primi sei mesi del 2014 i nuovi sfratti emessi sono stati 39.427 (di cui 35.257 per morosità), le richieste di esecuzione con ufficiale giudiziario 74.718, gli sfratti eseguiti con la forza pubblica hanno raggiunto la cifra di 18.465. Nei primi sei mesi del 2013 (anno in cui si è raggiunto il picco negativo di 73.385 sfratti) gli sfratti emessi erano stati 38.869, 75.348 le richieste di esecuzione, 16.520 gli sfratti eseguiti con la forza pubblica.
A conti fatti il numero degli sfratti continua costantemente a crescere dal 2008, anno di inizio della crisi economica. Inoltre ad aumentare sempre di più sono gli sfratti per “morosità”, che hanno raggiunto la percentuale del 90%: la maggior parte delle famiglie che perdono casa non possono permettersi di pagarla, spesso perché ha perso il lavoro.
Dal 2014 sembra proprio che l’emergenza abitativa non riguardi più soltanto le grandi metropoli del nostro Paese, come spiega Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini: “Il numero degli sfratti per morosità emessi nelle province ha raggiunto quelli emessi nei capoluoghi e sempre più si sfratta con la forza pubblica. Questo mostra il fallimento delle politiche del governo a partire dalle mirabolanti promesse avanzate nel cosiddetto ‘Piano casa’ del Ministro Lupi. Serve una vera politica sociale della casa che oggi non c’è“.
Ma non solo: pure i fatti di cronaca ci portano a pensare che la questione casa sia ormai una vera e propria emergenza.

Anche una giovane madre di Bologna si è impiccata lasciando orfani i suoi due figli, proprio a pochi giorni dall’arrivo dell’ufficiale giudiziario. Inoltre il 28 giugno è scaduta la proroga di quattro mesi per finita locazione per le categorie protette: “Il nostro non è più un grido d’allarme ma una dichiarazione di guerra” tuonano i movimenti per il diritto alla casa, in protesta davanti al tribunale civile di Roma che promettono una calda estate di mobilitazioni.

E come se non bastasse, nel pieno della crisi,  il Governo Renzi ha pensato bene di opporsi all’impignorabilità della prima casa, bocciando – nel dettaglio – la mozione presentata dal Movimento 5 Stelle che prevedeva “la sospensione per 36 mesi della procedura espropriativa immobiliare” qualora “l’immobile non sia sottoposto a sequestro e a confisca in attuazione della legislazione contro la criminalità organizzata” e l’assunzione di “iniziative per prevedere, al contempo, l’istituzione di un fondo, con dotazione annua di almeno dieci milioni di euro, per la remunerazione degli interessi ai creditori“.

I testi approvati – si legge su http://www.mafia-capitale.it/ – sono molto blandi e impegnano il governo solo a “a valutare l’opportunità di adottare iniziative di rango normativo volte ad individuare misure di natura economica per la gestione dei mutui ipotecari per la prima casa in sofferenza, con particolare riferimento ai nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi, che si trovano in situazione di temporanea insolvenza“.

Si è preferito dare dieci milioni di euro al porto di Molfetta per fare un favore al senatore Azzollini su cui pende una richiesta di arresto. Rinunciando a un F35 si potrebbero salvare 144mila famiglie.

Solo grazie al sito web del Pentagono veniamo a sapere che la Difesa italiana ha firmato a inizio giugno un nuovo contratto con Lockheed Martin ordinando altri quattro F35 e portando così a 14 il totale dei velivoli acquistati finora dal nostro Paese. Il contratto, da circa 35 milioni di euro, è relativo all’ordine di un nuovo lotto di F35 (il decimo) comprendente quattro aerei: due convenzionali e due in ‘versione portaerei’ a decollo corto e atterraggio verticale. La cifra, una sorta di piccola caparra di prenotazione, riguarda solo i componenti a lunga consegna (Long Lead Items), mentre il grosso del pagamento – 150 milioni di euro ad aereo – verrà versato a rate alla conferma d’acquisto (2016) e poi alla consegna. E’ stato firmato anche un altro contratto datato 30 giugno, da circa mezzo milione di dollari: ennesimo pagamento per lo sviluppo del software di bordo che prosegue, con enormi difficoltà e ritardi, dal 2002.

Significa che a questo governo non importa nulla delle famiglie italiane.

In Italia non c’è solidarietà verso chi è in difficoltà, il voto contrario di tutta la maggioranza permette da oggi di perdere la prima casa anche per un piccolo debito, diciamo grazie a Renzi, è lui che porta via il bene primario degli italiani. Siamo un paese dove il Governo porta sempre più alla disperazione e alla povertà le famiglie.

Talvolta è davvero triste scoprire l’esistenza degli emarginati e degli ultimi, che in un silenzio di omissione e noncuranza, vivono abbandonati miseramente dal mondo.

Sono uomini e donne che privati dei diritti essenziali di sopravvivenza trascorrono un’esistenza  peggiore di chi sbarca quotidianamente sulle nostre coste. Tutto ciò dovrebbe far riflettere.




ITALIA – Foibe: per cinquant’anni il silenzio della storiografia

È in queste voragini dell’Istria, cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo, che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani.

La prima ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì a uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico, è la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.

Nel febbraio del 1947 l’Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l’istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia  accoglienza. Non suscita solidarietà chi sta fuggendo dalla Jugoslavia, da un paese comunista alleato dell’URSS, in cui si è realizzato il socialismo reale. La vicinanza ideologica con Tito è la ragione per cui il PCI non affronta il dramma, appena concluso, degli infoibati. Ma non è solo il PCI a lasciar cadere l’argomento nel disinteresse. Come ricorda lo storico Giovanni Sabbatucci, la stessa classe dirigente democristiana considera i profughi dalmati “cittadini di serie B” e non approfondisce la tragedia delle foibe. I neofascisti, d’altra parte, non si mostrano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della seconda guerra mondiale nei territori istriani. Fra il 1943 e il 1945 quelle terre sono state sotto l’occupazione nazista, in pratica sono state annesse al Reich tedesco.

Per quasi cinquant’anni il silenzio della storiografia e della classe politica avvolge la vicenda degli italiani uccisi nelle foibe istriane. È una ferita ancora aperta, “perché – ricorda ancora Sabbatucci – è stata ignorata per molto tempo”. Il 10 febbraio del 2005 il Parlamento italiano ha dedicato la giornata del ricordo ai morti nelle foibe. E’ iniziata solo da un decennio l’elaborazione di una delle pagine più angoscianti della nostra storia.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a Montecitorio durante la giornata del ricordo degli italiani gettati nelle cavità carsiche:

“Il Parlamento con decisione largamente condivisa ha contribuito a sanare una ferita profonda nella memoria e nella coscienza nazionale”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato le vittime delle foibe e l’esodo degli italiani giuliano -dalmati nel corso del Giorno del Ricordo, celebrato a Montecitorio. “Per troppo tempo – ha aggiunto il Presidente – le sofferenze patite dagli italiani giuliano-dalmati con la tragedia delle foibe e dell’esodo hanno costituito una pagina strappata nel libro della nostra storia”.

Alla celebrazione è intervenuta anche il presidente della Camera Laura Boldrini, che ha parlato di “un debito” italiano verso le vittime e “di una violenza brutale” rispetto alla quale “dobbiamo assumerci la responsabilità di aver negato o teso a oscurare la verità”. Il Giorno del Ricordo è stato istituito nel 2004 per ricordare le oltre diecimila vittime gettate nelle cavità carsiche ai confini orientali del nostro Paese tra il 1943 e il 1945 per ordine del dittatore jugoslavo Tito intenzionato a ‘slavizzare’ territori che erano stati a lungo italiani, come l’Istria e Fiume. Nel suo intervento, Boldrini ha lamentato che questo oblio sia stato dovuto “per calcoli diplomatici o convenienze internazionali”. Quella tragedia, ha detto fra l’altro la presidente della Camera, “è un monito per il passato e per il futuro: contro l’intolleranza, le dittature, le guerre e ogni tendenza a nascondere la verità”. Durante la celebrazione, che si è svolta nella sala della Regina della Camera dei deputati, Mattarella ha consegnato i premi alle scuole vincitrici del concorso nazionale ‘La Grande Guerra e le terre irredente dell’Adriatico orientale nella memoria degli italiani’, promosso dal Miur.




Io c’ero. Vi presento il Mattarella interventista, tra bombe all’uranio e Missione Arcobaleno

Le guerre, è noto, alimentano e rafforzano la criminalità organizzata, ma nel 1999, il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, ex magistrato, sembrava non saperlo, quando con il presidente del Consiglio Massimo D’Alema appoggiò la partecipazione dell’Italia all’operazione Allied Force, con la quale la NATO era intervenuta nella guerra del Kosovo.

Il governo italiano,   messo duramente alla prova da un’opinione pubblica che si mostrava quantomeno scettica nei confronti del primo vero episodio di interventismo militare italiano dal secondo dopoguerra (se ovviamente si fa eccezione della prima guerra del golfo, in occasione della quale l’apporto dell’aeronautica italiana si limitò ad una funzione logistica e d’appoggio), iniziò a vacillare e a mostrare sintomi di incoerenza e paradossalità nell’azione, impegnandosi contemporaneamente sui fronti militare e umanitario di uno stesso conflitto. Decise prontamente di intervenire, gettando sin dal 28 marzo, le basi di una grande missione di relief a favore dei profughi kosovari, denominata Missione Arcobaleno, anche in risposta all’allarme lanciato dall’UNHCR, preoccupato dall’entità dell’esodo di massa, la cui misura eccedeva le proprie capacità operative.

Prendendo atto della vastità delle proporzioni dell’emergenza e della debolezza del tessuto socio-economico nel quale stava avvenendo, caratterizzato da “forti carenze di infrastrutture primarie” (Dossier Protezione Civile), si decise per un’azione che si imperniasse nelle consolidate relazioni bilaterali con l’Albania. In un primo momento (almeno dalla prima presentazione esposta dal Ministro dell’Interno Iervolino) sembrava che la Missione Arcobaleno dovesse limitarsi ad un ruolo di coordinamento istituzionale (Protezione civile e Prefetture), sotto la guida del Ministero dell’Interno e del Ministero della Sanità, per l’accoglienza di 25.000-30.000 profughi nel territorio italiano. Tuttavia le dimensioni dell’esodo instradarono il Governo verso l’ipotesi di una raccolta fondi privata, la cui gestione sarebbe stata attribuita ad un esperto esterno, figura immediatamente individuata nel Prof. Vitale.

La campagna di sottoscrizione fu imponente e accompagnata da un lato dalla grande solidarietà degli italiani, dall’altro da forti proteste provenienti dalla società civile, soprattutto quella di matrice pacifista, la quale obiettava l’incoerenza dell’azione di Governo.

Con la missione circa 5.000 kosovari furono trasferiti dalla Iugoslavia alla ex-base Nato Comiso di in Sicilia dove alloggiarono in quelli che furono gli alloggi dei soldati americani che vi stanziarono durante la guerra fredda.

Lo scandalo scoppiò dopo un servizio di Striscia la Notizia effettuato dagli inviati Fabio e Mingo ed un articolo pubblicato dal Corriere della Sera e ripreso dal settimanale Panorama, che denunciò furti e sprechi nell’ambito della missione Arcobaleno pubblicando un’ampia inchiesta il 20 agosto 1999. Ciò diede vita ad un’indagine guidata dall’allora pubblico ministero Michele Emiliano, che portò al rinvio a giudizio di 19 delle 24 persone coinvolte nelle indagini.

Il 17 maggio 2012 la seconda sezione penale del tribunale di Bari ha concluso la vicenda dichiarando il “non luogo a procedere per intervenuta prescrizione di tutti i reati”. Nessuno degli imputati è stato condannato.

Nell’estate del 1999, c’era Sergio Mattarella a Palazzo Chigi, quando l’Italia ricevette dalla Nato un documento con cui si mettevano in guardia i paesi dell’Alleanza contro i rischi possibili di metallo pesante residuale in veicoli corazzati. Infatti, i militari italiani inviati nei Balcani,  senza istruzioni e protezioni, si sono ammalati a causa dell’uranio impoverito.

I metalli pesanti sono stati generati dall’esplosione delle bombe  che la Nato ha utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia poco prima dell’ intervento italiano nei Balcani come Forza Multinazionale di pace.

I nostri uomini stanno morendo lentamente, come candele al vento, in seguito alla mutazione cancerosa delle cellule. E sono oggi curati da medici-ricercatori italiani in Inghilterra. Sono state riconosciute cause e fatti di servizio, ma le vittime devono costantemente scontrarsi con la burocrazia italiana, perchè le terapie devono essere autorizzate dall’Italia e questo comporta un percorso burocratico che in molti casi rende impossibili le cure. Ritardare anche di un solo giorno significherebbe compromettere per sempre l’effetto delle cure e dunque andare in modo irreversibile verso la morte. In Inghilterra ci sono professori italiani,  che sanno curare i militari colpiti da patologia dell’uranio impoverito e che potrebbero  farlo in Italia, ma si tagliano continuamente i fondi per la sanità, mentre si continua a sprecare denaro pubblico in armamenti.

Negli stessi giorni il ministro della Difesa, Mattarella, approvava la legge di riforma delle Forze Armate che aboliva di fatto il servizio di leva obbligatorio. Una lama a doppio taglio, perchè esempi negativi di milizie mercenarie la storia ne ha dati molti. In questi mesi, il governo Renzi, ha riproposto la Naia, il servizio di leva obbligatorio. Che il Bel Paese si stia preparando a un grande conflitto? Perchè ripristinarlo proprio ora?