Il Kurdistan a Roma

Biji berxwedana Afrine (Viva la resistenza di Afrin) scandiscono insieme le centinaia di persone che danzano in cerchio mentre le punte delle fiamme illuminano la stella al centro della bandiera rossa issata sull’ex mattatoio della capitale. Siamo ad Ararat, centro culturale e luogo di ritrovo della comunità curda nel quartiere romano di Testaccio, dove si celebra il Newroz, il tradizionale capodanno curdo. Arrivando ad Ararat l’atmosfera è accogliente e calorosa, non manca mai qualcuno pronto a offrire a chi arriva un çay, l’immancabile tè caldo, e a raccontare la propria storia, spesso facendosi capire pur non sapendo una parola di italiano né d’inglese. Molti dei presenti ad Ararat vivono in Italia con lo statuto di rifugiati, dato che nella propria terra sarebbero perseguitati in quanto curdi.

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Oggi il Kurdistan si presenta diviso in quattro Stati (Turchia, Siria, Iraq e Iran), in ognuno dei quali è vietato parlare il curdo e celebrare le proprie tradizioni, prima fra tutte il Newroz, ed è imposta la fede musulmana; eppure, in nome dello stesso Corano cui si appellano gruppi di fanatici ed esaltati terroristi, il popolo curdo ha costruito una società basata sul rispetto dell’ambiente, sull’emancipazione delle donne e sulla convivenza pacifica tra i popoli.

Nel Kurdistan turco (Bakur), da cui proviene la maggior parte delle persone che si incontrano ad Ararat, l’ostilità verso l’identità curda è sempre stata forte. Il principale soggetto guida della lotta in Bakur è il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), fondato da Abdullah Öcalan nel 1978 e dichiarato illegale dal governo di Ankara. Negli ultimi anni il governo sunnita di Erdogan si è fatto sempre più autoritario e la repressione sempre più spietata ma il PKK, pur avendo abbandonato le idee marxiste-leniniste di partenza e rinunciato a uno Stato curdo indipendente, continua la lotta armata perché il popolo curdo possa vivere in pace e dignitosamente sulle proprie montagne. Recentemente, Erdogan ha dato il via a una campagna di arresti di magistrati, docenti, giornalisti e deputati e varato una nuova Costituzione che aumenta enormemente i propri poteri. I deputati e le deputate del Partito Democratico dei Popoli (HDP), principale opposizione parlamentare al regime turco, sono attualmente in carcere con l’accusa di costituire il braccio legalitario del PKK.

FOTO 2. CARTA DEL KURDISTAN

Allo scoppiare della guerra civile in Siria contro il tiranno Bashar Al Assad, la popolazione del Kurdistan siriano (Rojava) ha approfittato della difficoltà del governo di Damasco per attuare il sistema di democrazia diretta ecologista e femminista, noto come confederalismo democratico, proposto da Abdullah Öcalan, recluso in un carcere turco dal 1998. Frequentando la comunità curda è evidente il rispetto e la centralità di cui le donne godono, elementi che costituiscono una lezione di civiltà per l’Occidente tanto evoluto, dove centinaia di donne vengono assassinate ogni anno anche dentro le mura domestiche. Jin Jiyan Azadî (Donna Vita Libertà), recita uno dei principali slogan curdi.

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In Rojava sono nate le YPG, unità di difesa del popolo curdo, e le YPJ, milizie femminili. Ma il confederalismo democratico ha attirato l’ostilità degli islamici più intolleranti. La questione delle donne in particolare è stata molto rilevante: scardinare il patriarcato ha infastidito non solo la Turchia sunnita ma anche gli integralisti sciiti di Daesh, gruppo terroristico nato in seno alla guerra civile siriana ma con armi e finanziamenti occidentali.

Noto per la sua brutalità, Daesh ha attaccato il Rojava spingendosi fino al confine turco-siriano, il che ha portato le milizie curde sotto i riflettori di tutto il mondo durante i mesi dell’assedio di Kobane. Con l’appoggio solo formale della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, le YPG e le YPJ hanno cacciato Daesh da Kobane e ripreso la città da sole. Nel frattempo, Kobane era attaccata anche alle spalle, dal lato turco. Insieme alle Forze Democratiche Siriane, un esercito misto arabo-curdo, le milizie curde hanno lanciato l’offensiva che ha portato a liberare anche la città di Raqqa, ultima roccaforte di Daesh.

Sembrava che i sogni curdi stessero vincendo. E invece, violando a sorpresa il diritto internazionale, secondo il quale il Rojava è sotto la giurisdizione esclusiva di Damasco, Erdogan ha iniziato a bombardare il cantone di Afrin, dove avevano trovato rifugio migliaia di civili in fuga dalla guerra. L’ONU è intervenuta chiedendo un immediato cessate il fuoco ma il dittatore turco continua indisturbato la carneficina. La cosa più eclatante è che ad attaccare Afrin è non soltanto la Turchia da Nord-Ovest, ma anche da Sud-Est le bande jihadiste di Al Qaeda, Al Nusra e ciò che resta di Daesh. Un Paese della NATO è alleato dei gruppi terroristici che hanno costituito il pretesto per cui la NATO stessa ha dato inizio alle guerre in Medio Oriente.

In simili occasioni di gravi crisi internazionali la Chiesa è intervenuta a tutelare la pace ma stavolta il Papa ha stretto la mano al dittatore turco responsabile del genocidio in corso. Il Pontefice, di solito tanto attento ai casi di pedofilia, non ha criticato nemmeno la nuova legge turca che autorizza il matrimonio delle bambine a partire dai nove anni di età.

L’altra realtà che ha gravemente taciuto sui fatti di Afrin è l’Unione Europea, che ha firmato un accordo con Erdogan in base al quale la Turchia blocca i flussi migratori dal Medio Oriente verso l’Europa in cambio di sei miliardi di euro all’anno e del silenzio sulla questione curda: sotto la continua minaccia di rompere l’accordo e far affluire i profughi in Europa, Bruxelles e Strasburgo non possono ricordare al sultano il rispetto dei diritti umani. Lo Stato italiano in particolare, oltre a sostenere diplomaticamente la Turchia e a venderle armi, cerca di impedire ogni iniziativa di solidarietà con il popolo curdo: domenica scorsa un corteo spontaneo di poche decine di persone che tentavano di raggiungere l’ambasciata turca a volto scoperto e a mani nude è stato fermato dalla polizia, che ha ferito alla testa una giovane manifestante.

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Il 24 marzo a Roma è una giornata importante perché ricorre l’anniversario dell’eccidio nazista delle Fosse Ardeatine. La mattina un corteo cittadino ha attraversato la Garbatella, quartiere popolare dove abitavano numerosi partigiani, ed è giunto fino al luogo della strage.

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La comunità curda si è unita alla commemorazione portando l’attenzione sulla pulizia etnica in corso oggi in un Paese in cui, di nuovo come nell’Europa degli anni Quaranta, le opposizioni sono in carcere e un’intera etnia viene sterminata.

La sera ad Ararat si balla intorno al fuoco e vari gruppi musicali sia italiani che curdi intrattengono le persone presenti. L’aria è festosa e allegra, il Newroz è un momento importantissimo nella vita curda. Eppure una notizia recentissima crea nell’aria un’amarezza di fondo: dopo alcune settimane di cannonate turche e colpi di mortai jihadisti, Afrin è caduta. Tra un çay e l’altro ci si chiede cosa fare, come continuerà la resistenza.

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L’esercito turco ha mandato i superstiti di Daesh e le bande di Al Nusra (sorella siriana dell’araba Al Qaeda) in avanscoperta e solo dopo, fuggita quasi tutta la popolazione civile, i carri armati di Ankara sono entrati nella città. Fonti militari turche si vantano di aver annientato alcune migliaia di «terroristi», ovvero civili inermi, prevalentemente minori. Ora su Afrin sventola la bandiera turca con la mezzaluna al posto dei vessilli delle milizie popolari.

Difficile prevedere cosa accadrà da adesso in poi. Stando a quanto dichiarato dalle YPG, una cosa è chiara: la resistenza continua.

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Servizio fotografico realizzato a Roma, il 24 marzo 2018




SIRIA – Raid aereo: gli Usa colpiscono dalla Turchia. Assemblea generale ONU in settembre

Cacciabombardieri Usa hanno compiuto per la prima volta un raid aereo “letale” sul Nord della Siria decollando da una base nel Sud della Turchia. Lo riferisce la Cnn citando due fonti diverse della Difesa statunitense. Poco prima, il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva affermato che Turchia e Stati Uniti “hanno fatto progressi” riguardo all’uso della base militare turca di Incirlik e che “gli aerei americani stanno cominciando ad arrivare. Presto – ha aggiunto – lanceremo una completa lotta contro Daesh”, l’acronimo arabo per Stato islamico.

Come in passato, la Casa Bianca ambisce alle dimissioni del presidente siriano Bashar Assad ed è favorevole al sostegno dei gruppi armati di opposizione. Tuttavia Mosca considera questo approccio disastroso, soprattutto in considerazione della mancanza di progressi nella lotta contro i terroristi di ISIS. La coalizione internazionale creata dagli USA con i suoi alleati nella regione finora non è riuscita a fermare lo slancio del gruppo fondamentalista. Contemporaneamente la Russia e gli altri Paesi che sostengono il regime di Damasco non sono pronti a collaborare con questa coalizione fino a quando la sua missione non godrà del sostegno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attraverso l’approvazione di una risoluzione speciale.
Tale coalizione dovrebbe costituirsi “su una solida base giuridica internazionale”, — si afferma nel comunicato del ministero degli Esteri russo rilasciato dopo la visita di Sergey Lavrov in Qatar.
Per Mosca è essenziale che la coalizione riceva ufficialmente il mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Secondo il “Kommersant”, il presidente russo ha intenzione di dedicare particolare attenzione a questo tema nel suo discorso di apertura della 70esima sessione dell’Assemblea generale dell’ONU a New York alla fine di settembre.
In una conversazione con i giornalisti Sergey Lavrov ha criticato la posizione degli Stati Uniti sulla Siria ed ha esternato le sue idee in merito al segretario di Stato USA John Kerry.
“Quando gli Stati Uniti un anno fa avevano annunciato la creazione di una coalizione per combattere ISIS in Iraq e in Siria, Washington si è assicurata l’accordo del governo iracheno, ma non ha chiesto nulla a Damasco. Abbiamo già sottolineato l’illegittimità e l’inefficacia di tale approccio,” — ha detto.
Secondo il capo della diplomazia russa, le azioni degli Stati Uniti si configurano come “un ostacolo alla formazione di un fronte comune contro ISIS” e la strategia di sostenere l’opposizione siriana con l’aviazione può “complicare ulteriormente la lotta contro il terrorismo.”
“L’addestramento sul territorio degli Stati vicini da parte degli istruttori americani sui combattenti della cosiddetta opposizione moderata è degenerato quando molti degli uomini addestrati sono finiti dalla parte degli estremisti”, — ha dichiarato il ministro russo.
Mosca ritiene che “gli attacchi aerei da soli non bastano”, “ed è necessario formare una coalizione di persone che la pensano allo stesso modo” e sul campo “si oppongono con le armi alla minaccia terroristica.”
“Sono interessati l’esercito siriano e iracheno e i curdi,” — ha detto Lavrov, aggiungendo che in questa iniziativa è stata promossa dal presidente della Federazione Russa.
Allo stesso tempo Lavrov ha ammesso che la posizione di Mosca non ha trovato la comprensione di Washington.
“Non penso di essere stato in grado di far scricchiolare la posizione degli Stati Uniti. Su questo tema le nostre posizioni divergono chiaramente,” — ha detto dopo l’incontro.

ROMA –  “Da diversi giorni il governo turco bombarda villaggi civili e postazioni militari del popolo curdo. In tutti questi mesi, Erdogan ha sostenuto e appoggiato l’ISIS. Dal confine turco sono passate autobombe dirette a Kobane, miliziani dello Stato Islamico sono stati curati negli ospedali turchi, mentre si continua a tenere chiusa la frontiera con la città curda liberata da YPG/YPJ. Anche nel recente attentato che ha causato la morte di decine di giovani socialisti e anarchici a Suruc, le responsabilità del governo dell’AKP stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza.

Il dittatore turco Erdogan ha annunciato di voler combattere l’ISIS solo perché si sente estremamente debole, sia all’interno, che all’esterno del Paese. Dopo le ultime elezioni non è in grado di ottenere la maggioranza necessaria a formare un governo, anche grazie alla straordinaria affermazione dell’HDP, partito capace di parlare ai curdi e a tutta la sinistra turca. Inoltre, è stato messo alle strette dall’accordo sul nucleare iraniano e, soprattutto, ha paura che l’esperienza di democrazia radicale del Rojava possa consolidarsi e diventare contagiosa.

Per queste ragioni, dietro la maschera della lotta all’ISIS, Erdogan ha lanciato una campagna contro la resistenza curda e contro le opposizioni interne. Su circa 800 arresti, meno del 10% riguardano presunti membri dello Stato Islamico: tutti gli altri sono militanti curdi o membri delle opposizioni.

Questa operazione è condotta con la complicità degli USA e dei Paesi dell’Unione Europea, mentre i media internazionali, che fino a pochi giorni fa esaltavano le gesta delle eroiche guerrigliere curde capaci di fermare l’avanzata dell’ISIS, adesso descrivono le stesse persone e le stesse organizzazioni come “terroriste”.

Dopo mesi di solidarietà attiva nei confronti della popolazione curda e delle sue unità di autodifesa, oggi vogliamo rompere il muro di silenzio e menzogne creato intorno all’aggressione militare che stanno subendo. Vogliamo denunciare il terrorismo di Erdogan e dello Stato turco. Vogliamo affermare che in Turchia e nel Kurdistan HDP, PYD, PKK, insieme ai movimenti sociali esplosi negli ultimi anni, sono gli unici garanti della democrazia e dei valori umani.
Per la fine dei bombardamenti e la pace in Kurdistan e in tutta l’area medio-orientale.

Per il rilascio immediato di tutti gli oppositori al regime autoritario turco.

Per l’eliminazione del PKK, unico fronte all’avanzata dell’ISIS e unico garante possibile per un processo di pace nell’area, dalle liste del terrorismo internazionale.

Per il riconoscimento del confederalismo democratico del Rojava, per una possibilità di pace e libertà per i popoli del Medio Oriente”.
Roma per il Kurdistan

(Attivisti solidali con il popolo curdo e la sinistra curda e turca si sono incatenati all’ambasciata della Turchia per denunciare la guerra del governo di Erdogan contro il confederalismo democratico del Rojava, il Pkk e i movimenti sociali turchi).

ERDOGAN – “Pur di bloccare le ambizioni dei curdi di creare un proprio territorio autonomo nel Nord della Siria, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ora è determinato addirittura ad allearsi con la filiale siriana di Al Qaida”. Così Mustafa Bali, portavoce delle Unità a Difesa del popolo curdo (Ypg), il quale condanna i piani di Ankara di creare una “zona di sicurezza” nel Nord della Siria. E teme che gli Usa possano appoggiarli.

Continuano, incessanti, i bombardamenti dell’aviazione turca contro le postazioni del Pkk sulle montagne del nord dell’Iraq e del sud –est della Turchia, e il numero delle vittime aumenta di ora in ora. Non si hanno finora notizie precise sul bilancio ma da numerose delle zone bombardate giungono allarmanti dati sul numero delle vittime. L’agenzia di stampa ufficiale turca, Anadolu, evidentemente imbeccata dal regime, parla di circa 260 membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan uccisi e di centinaia di feriti in una settimana di attacchi aerei sulle postazioni della guerriglia. Il bollettino fornito dalla Anadolu afferma che anche Nurettin Demirtas, fratello del leader del Partito Democratico dei Popoli Sehattin, sarebbe rimasto ferito durante i raid, centinaia, che avrebbero colpito e distrutto 65 tra depositi di armi e rifugi della resistenza curda.

Cifre che, come scrivevamo già, sono probabilmente gonfiate per dare la sensazione all’opinione pubblica islamista e reazionaria turca che la nuova strategia bellicista intrapresa pochi giorni fa dall’asse Davutoglu-Erdogan stia dando i suoi frutti e che le perdite inflitte ai ‘terroristi’ – per ora solo quelli curdi, perché di attacchi contro lo Stato Islamico non si è sentito più parlare – siano molto ingenti. Il Pkk finora ha dato notizia solo di cinque morti tra i combattenti ma ha ammesso che da giorni ha perso il contatto con alcune delle aree bombardate.
Naturalmente i bollettini ufficiali turchi non fanno alcuna menzione delle numerose vittime civili causate dalle bombe sganciate dagli F-16 e dagli F-4 di Ankara sui villaggi. Notizie di vittime civili e di distruzioni arrivano da numerose zone, ma il bilancio più alto sembra arrivare finora dal villaggio di Zergelê, sui monti di Qandil, nel kurdistan iracheno, dove i caccia turchi avrebbero ucciso almeno 9 civili, compresi donne e bambini. I bombardamenti, raccontano i testimoni, sono iniziati durante la notte, intorno alle 4: quattro missili hanno preso di mira le case nel villaggio distruggendone molte e facendo strage degli abitanti. Oltre ai morti ci sarebbero anche 15 feriti, di cui alcuni in gravissime condizioni, molti dei quali non sono stati condotti in ospedale a causa della continuazione dei raid che rendono insicuri gli spostamenti. “Stavamo dormendo quando i caccia turchi hanno colpito il nostro villaggio”, ha raccontato uno dei civili feriti.
Di fronte alla violazione della propria sovranità e alla strage di oggi documentata dalle immagini scattate da un reporter dell’agenzia Rojnews – che ne annuncia sicuramente altre nei prossimi giorni – la leadership della regione autonoma dell’Iraq del Nord ha incredibilmente chiesto ai guerriglieri del Partito Curdo dei Lavoratori di lasciare le proprie postazioni nella regione “per non esporre ulteriormente i civili ai raid aerei turchi”, di cui però non ha per ora chiesto la cessazione ad Ankara.
“Il Pkk deve tenere il campo di battaglia lontano dalla regione del Kurdistan perché i civili non diventino vittime di questa guerra”, ha affermato il presidente della regione autonoma, Massud Barzani in un comunicato diffuso dal suo ufficio.
“Non crediamo che ci possa essere una soluzione militare – si è limitato a dire il ministro degli Esteri del governo di Erbil, Falah Mustafa Bakir – Speriamo che le parti tornino al negoziato perché stabilità e sicurezza è quello di cui abbiamo bisogno ai nostri confini”.
In un suo comunicato-appello urgente, invece, il Congresso Nazionale Curdo (Knk) – che riunisce partiti e movimenti di liberazione curdi di diversi paesi – parla apertamente di terrorismo di stato turco e di aperta collaborazione di Ankara con lo Stato Islamico che pure afferma di voler combattere.
A vedere le strazianti immagini provenienti da Qandil la sensazione che i jihadisti abbiano finalmente a disposizione una loro aviazione – gli F-16 di Ankara – è davvero forte.

Per Bali, che ha parlato con askanews da Kobane, città curda siriana liberata a gennaio scorso dopo un lungo assedio dei jihadisti dell’Isis, le operazioni militari appena lanciate dall’esercito turco contro le milizie jihadiste dello Stato Islamico (Isis) oltre il confine con la Siria sono “una farsa turca” con altri obbiettivi rispetto a quando dichiarato: in primis “colpire i curdi”. Il vero obiettivo sarebbe bloccare la creazione di un territorio autonomo dei curdi siriani, separando due zone da loro controllate.

La zona indicata per la creazione della cosiddetto “zona cuscinetto” voluta da Ankara è lunga circa 50 chilometri, parte da Kobane a Est e arriva ad Afrin a Ovest; entrambe città curdo siriane. “Si tratta di una zona mista controllata dall’Isis e abitata da curdi, arabi e turcomanni”, afferma Bali, secondo cui parò l’esercito turco ha “bombardato solamente villaggi curdi”.

“Dopo aver capito che l’Isis non è un partner vincente – prosegue il portavoce di Ypg, che accusa senza mezzi termini Ankara di connivenza con l’Isis – Erdogan punta ora sulla carta dei qaedisti, definendoli ‘opposizione moderata’” al regime di Bashar al Assad.

Un quadro che non corrisponde a realtà, secondo l’esponente curdo. “Intanto non esiste un’opposizione moderata, basti pensare che gli Usa dopo tre anni non sono riusciti a reclutare più di 60 combattenti da addestrare contro Damasco”, argomenta Bali, spiegando che “oggi la cosiddetta opposizione moderata è composta da soli gruppi terroristi di stampo islamista come il Fronte al Nusra, Jeish al Fatah, Beit al Islam e Ahrar al Sham”. Insomma gruppi islamisti “che in comune con Erdogan hanno l’avversione per i curdi”.

Quindi “non capiamo la politica di Washington”, che pare tacitamente assecondare il piano di Ankara per la creazione della zona di sicurezza, afferma il portavoce, sottolineando che “sarà difficile che gli americani possano accettare un’alleanza con terroristi islamici camuffati da opposizione siriana”.

Tuttavia, “le forze curde non cambiano strategia: noi combattiamo i terroristi a prescindere dal nome che portano, che sia Isis o al Qaida. In fondo il Fronte al Nusra ha cominciato a sgozzare la genet prima di quelli del Califfato nero”.

Di recente la Turchia è stato colpita, per la prima volta, da attacchi da parte di milizie jihadiste legate all’Isis. Un attentato ha fatto 32 morti nella città di confine di Suruc la scorsa settimana. Per Ankara, i militanti del PKK sono terroristi, così come lo sono gli uomini del Califfo .

Con una conferenza stampa congiunta del YPG (Peoples’ Protection Units) e della sua componente femminile, il YPJ, le forze curde che combattono contro lo Stato Islamico hanno annunciato la liberazione della città di Hasaka dopo una battaglia che durava da oltre un mese.

Secondo quanto si è appreso durante l’operazione sono stati uccisi almeno 386 terroristi appartenenti al Daesh tra i quali molti comandanti di alto grado. E’ l’ennesima vittoria delle forze combattenti curde nel difficile teatro della guerra in Siria, una vittoria che arriva nonostante gli attacchi dell’aviazione turca contro i combattenti curdi.

Durante la conferenza stampa ha parlato Azima Deniz, una comandante delle forze femminili curde (YPJ) la quale nel ricordare il fondamentale apporto delle combattenti donne curde ha sottolineato come nella battaglia siano stati uccisi il “sovrano” di Hasaka nominato dai vertici dello Stato Islamico, il sindaco della città e diversi suoi assistenti.

I combattenti curdi hanno sequestrato anche una grande quantità di armi e munizioni che andranno a rinforzare le milizie curde dato che le potenze occidentali non le riforniscono adeguatamente di armi a causa della opposizione delle Turchia. La conquista della città di Hasaka porta le forze curde ancora più vicino a Raqqa, capitale del Daesh.

Intanto  la Turchia ha ammesso che durante i raid dell’aviazione turca contro obbiettivi curdi hanno perso la vita diversi civili. Il Ministero degli Esteri turco ha emesso un comunicato dove si dice “rattristato” per l’uccisione di civili e che “la Turchia farà di tutto per evitare l’uccisione di civili” confermando tuttavia che i raid contro le forze curde, in particolare contro il PKK (ma non solo), continueranno fino a quando la Turchia lo riterrà opportuno.