Scrittrici italiane per ragazzi e ragazze: da Emma Perodi a Bianca Pistorno

La letteratura destinata alle generazioni in erba è stata spesso definita una letteratura di serie B senza considerarne l’importanza culturale e pedagogica e l’obiettiva difficoltà che si incontra per suscitare in loro interesse e partecipazione.

Come sosteneva la scrittrice piacentina Giana Anguissola (Piacenza 1906- Milano, 1966), la letteratura per ragazzi e ragazze dovrebbe seguire regole ben precise: essere portatrice di valori etici, essere divertente/accattivante; avere una forma comunicativa salda e vivace.

E la stessa, rivolgendosi agli autori, li esortava dicendo: “Beati coloro che sulle loro ali sollevano i piccoli lettori….”.

In Italia la letteratura giovanile vera e propria (senza considerare le favole della tradizione orale, spesso di origine contadina), trova il suo inizio nella seconda metà dell’Ottocento quando sempre maggior attenzione si presta all’infanzia e al suo armonioso sviluppo psico-fisico e quando una sempre maggiore scolarizzazione aumenta il numero di potenziali lettori e lettrici.

In questo campo compaiono nomi insigni come quello di Carlo Collodi, Emilio Salgari, Giuseppe Fanciulli, Vamba, ecc. ma non mancano le figure di scrittrici, anche se spesso tenute in ombra da una prevalenza maschile dilagante in questo come negli altri campi delle lettere, delle arti, della scienza.

Nomi, da rivalutare e far conoscere, di autrici che furono spesso insegnanti e quindi a diretto contatto con l’universo infantile e adolescenziale di cui conoscevano bisogni e gusti. Furono anche educatrici, spesso pedagogiste, impegnate a trasmettere, attraverso i loro scritti, valori etici e morali.

Furono giornaliste, spesso direttrici di giornalini per la fascia giovanile, autrici di opere teatrali per i più piccoli muovendosi in un universo variegato e complesso con grande professionalità e passione.

Attraverso brevi biografie e accenni ai loro romanzi più famosi si procederà alla loro riscoperta partendo dalle prime e più famose scrittrici della seconda metà dell’ottocento, come Emma Perodi e Ida Baccini, continuando con le varie autrici del Novecento, da Giana Anguissola a Lina Schwrtz, fino ad arrivare alle attuali: da Bianca Pistorno a Paola Mastrocola.




Eugenia di Anna Maria Ortense

Nel 1953, per i tipi di Einaudi, nella Collana “I Gettoni”, diretta da Elio Vittorini, appare un libro sul quale da allora e poi ancora fino a tempi recentissimi, si è riversata la critica aspra e, lo dico subito, incomprensiva e a volte strumentalmente ostile, del mondo intellettuale napoletano.

Il titolo stesso della breve raccolta di racconti, cinque soltanto, Il mare non bagna Napoli, è apparso e tuttora appare come una provocazione intollerabile a chi si è ostinato in passato e persiste oggi nel vedere nella città del libro un’immagine realistica e provocatoria verso la classe intellettuale della città, quella classe molto fortunata, politicamente e sul mercato pubblico e librario, la classe di Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Michele Prisco, Domenico Rea e di alcuni loro ideali eredi, primo fra tutti Erri De Luca.

A ben poco servì l’apprezzamento più generale, che valse all’opera il Premio Viareggio, la città  disconobbe ed escluse Ortese, che ben presto andò via per sempre da quella Napoli in cui non era nata, ma che aveva eletto a sua propria città. A queste ragioni va ricondotta la solitudine morale e materiale in cui ella visse poi per sempre, ostracismo da una parte e sua delusione e paura del mondo intellettuale che, dopo averla accolta nell’immediato caotico dopoguerra di Napoli, dopoguerra, pure animato da speranze e tentativi di riscatto politico, morale e civile, prima ancora che sociale ed economico (e forse fu anche questo un grave errore, una debolezza del tessuto della città e del Mezzogiorno tutto) per esempio anche con l’operazione della rivista “Sud”, fecero cadere su di lei attacchi, ma subito dopo una ancor più violenta “congiura del silenzio”, sì che oggi davvero pochi sono i napoletani che la conoscono, se non vagamente, e i più quelli che non conoscono il suo amore, mai dimenticato, ma anzi ribadito in quasi ogni altro suo libro, per quella che è forse una delle più contraddittorie città del mondo.

Il primo racconto della raccolta, Un paio di occhiali, apre sul tema che sottostà in realtà all’intero libro quello dello sguardo prima velato, poi aperto nitidamente sulla città. La piccola Eugenia, poverissima bambina quasi cieca, vive nella parte più povera della città, fra umiliazioni, fame, botte sempre immeritate, nella sua famiglia, dove la durezza delle parole e dei comportamenti della maggioranza dei miseri adulti non è cattiveria, ma esasperazione per un’ingiustizia che patiscono senza riconoscerla. Il mondo appare ad Eugenia attraverso un velo, nel quale colori e luci a volte intravisti le fanno credere che il mondo dev’essere pur bello finalmente il suo desiderio di ‘chiarezza’ può realizzarsi perché la zia Nunziata che ha un po’ di denaro da parte si offre di comprarle gli occhiali. Nunziata è la sorella del padre di Eugenia, zitella che vive con Eugenia, i suoi genitori e i due fratelli piccoli (le sorelle grandi sono state avviate alla monacazione),  nel piccolissimo basso, umido e sporco che affaccia su un cortile pieno di tanta altra umanità sofferente e ferita nel corpo e nell’anima da una povertà senza speranza di riscatto, mentre ai piani alti stanno i signori egoisti e privi di pietà, loro sì, davvero ciechi sul mondo.

Eugenia esce con la zia, manesca e brusca, e con lei si reca a via Toledo, una strada di signori, dove, dopo la visita oculistica, l’ottico poggia sul naso della bambina, emozionata e con le gambe che le tremano, le lenti correttive a lei adatte. E la bambina guarda fuori e il mondo che vede appare pieno di luce e di colori, le signore dai capelli lucenti come l’oro sedute ai bar della strada, le vetrine degli altri negozi piene di abiti dalle stoffe fine fine, financo le persone che passano nei grandi autobus verdi sono ai suoi occhi elegantissime, il mondo è bello, si dice Eugenia, è bello assai.

Quasi in estasi, umilmente grata alla zia che brontola per la spesa enorme di ottomila lire a cui si è impegnata, Eugenia torna a casa, e piena di ansia gioiosa attende gli otto giorni che ancora la separano dalla consegna degli occhiali, senza curarsi delle botte della zia, delle allusioni cattive della signora del palazzo, delle umiliazioni quotidiane che nulla e nessuno le risparmiano, a lei, come agli altri abitanti dei miseri tuguri della città che per quelli come lei non ha sole né mare. E finalmente il giorno atteso arriva. Sarà la mamma, pur malata e piena di dolori per la spaventosa umidità del misero tugurio che per loro è casa, a recarsi a ritirarli. Al suo ritorno, non solo Eugenia, ma tutta la famiglia e tanti vicini dei bassi, informati dell’evento si affollano intorno alla madre e alla bambina. Rosa, la madre, entrata nel basso, estrae dall’astuccio gli occhiali, che appaiono come uno strano insetto e li inforca alla figlia … che subito prende a tremare, vede piccolo piccolo e tutto nero…vacillando esce nel cortile, senza provare più gioia, anche se si sforza di sorridere, ma le affiora sul volto pallidissimo una smorfia ebete.

Improvvisamente i balconi cominciarono a diventare tanti, duemila, centomila; i carretti con la verdura le precipitavano addosso; le voci che riempivano l’aria, i richiami, le frustrate, le colpivano la testa come se fosse malata; si volse barcollando verso il cortile, e quella terribile impressione aumentò. Come un imbuto viscido il cortile, con la punta verso il cielo e i muri lebbrosi fitti di miserabili balconi; gli archi dei terranei, neri, coi lumi brillanti a cerchio intorno all’Addolorata; il selciato bianco di acqua saponata, le foglie di cavolo, i pezzi di carta, i rifiuti, e, in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterati dalla miseria e dalla rassegnazione, che la guardavano amorosamente. Cominciarono a torcersi, a confondersi, a ingigantire. Le venivano tutti addosso, gridando, nei due cerchietti degli occhiali.

Eugenia non regge e vomita, vomita fino a non avere più nulla nel povero stomaco affamato. E nello sconcerto generale, nella pena della madre e della zia, nelle parole di conforto della vicina, si leva la voce afferrata della bambina, che di nuovo senza  occhiali, che provvidamente una vicina, donna Mariuccia, le ha tolto, si aggrappa alla madre e le chiede perdutamente <<Mammà, dove stiamo?>>, quasi tutti sorridono di sollievo: è mezza cecata, è mezza scema. Solo donna Mariuccia, ancora lei, capisce, è la sola che sa dare parole di comprensione alla sua amarezza:<<Lasciatela stare, povera creatura, è meravigliata>> fece donna Mariuccia, e il suo viso era torvo di compassione, mentre rientrava nel basso che le pareva più scuro del solito.

Insieme ad Eugenia, amaro nome, così in contrasto con la nascita e il destino di questa creatura atrocemente indifesa e deprivata,  Ortese apre gli occhi sulla città, ma quel che vede non permette una visione, un’analisi, razionale, non sembra profilarsi soluzione: la città distorta e spaccata fra bellezza e orrore, altera lo sguardo, dà il capogiro, angoscia e spezza. E’ la Napoli del secondo dopoguerra, già tradita dalla sua classe politica e intellettuale, quella che nei decenni successivi, ha più volte tentato un riscatto, fra luci e ombre, speranze brevi e delusioni amare, una città che ancora oggi ci appare nella sua bellezza, nelle sue zone di miseria, una luogo difficile in cui vivere, dove ancora tanti ogni giorno si inventano la giornata, sono delusi, a volte obbligati alla fuga: giovani intellettuali e professionisti, operatori degli affari, del mondo informatico ed editoriale, operai specializzati.

Oggi i tempi per una più attenta e, vorrei dire, riconoscente lettura dell’intera opera di Ortese sembrano maturi.

 

 




Attualità di “Violetta la timida” (parte prima)

Introduzione

Un romanzo secondo la definizione di Italo Calvino,[1]  si può considerare classico quando ha ancora tanto da dire ai suoi lettori. Questo vale sia nel caso di romanzi per adulti che nel caso di romanzi per ragazzi.

Rileggendo il romanzo di Giana Anguissola, “Violetta la timida” scritto nel 1963 e che vinse il Bancarellino nel 1964, ci si può rendere conto dell’assoluta validità di questa definizione.

Il romanzo è ambientato nella Milano degli inizi degli anni  Sessanta , e parla delle avventure di una ragazzina di tredici anni, Violetta Mansueti, di una famiglia di media borghesia composta da un padre, una madre ed un fratello più grande, che frequenta una seconda media ( rigorosamente tutta femminile) e che si trova ad affrontare ogni giorno il problema della sua congenita timidezza ( o come lei dice “coniglite”) per nulla aiutata dalle compagne che la prendono costantemente in giro chiamandola “Mammola Mansueta”.

 

Piani di lettura

Un primo piano di lettura, il più immediato, diverte ed intrattiene il lettore con la briosa [2] ironia della scrittrice che descrive le disavventure della giovinetta e la sua iniziale incapacità a reagire.

Ma un piano di lettura più approfondito fa riflettere su come certi atteggiamenti e certe tendenze siano sempre esistite e sempre esisteranno. Nei primi anni Sessanta, quando erano ancora molto lontane le contestazioni studentesche ed il gap intergenerazionale, non si parlava, ovviamente , di “bullismo”[3] ma la tendenza a prendere in giro i più deboli, i timidi, quelli che per il loro aspetto fisico si prestavano ad essere oggetto di burle e scherzi ( vedi il grasso Terenzio amico di Violetta) era comunque presente.  E la sofferenza esistenziale di chi doveva subire quelle prese in giro e quelle vessazioni era la stessa.

La particolarità di questo romanzo e che, se da un lato si parla del problema, dall’altro si offre una soluzione, il che permise alle tante “ Violette” che lo lessero di affrontare e, spesso, risolvere la loro timidezza e di darne testimonianza con immutata gratitudine all’Autrice che le aiutò così validamente  a superare la loro mancanza di autostima.[4]

Influenza della pedagogia steineriana

Non si può escludere che l’Autrice, che nonostante il suo carattere brillante e determinato, era per sua stessa ammissione  molto timida,[5]  si sia rifatta, per  aiutare la protagonista  ad affrontare tutte le sue  difficoltà, alla pedagogia di Rudolf  Steiner, noto in Italia tramite le traduzioni della scrittrice Lina Scwartz[6], che era una grande amica di Rinaldo Kufferle[7], marito di Giana Anguisola

Rudolf Steiner (Murakiraly, 25/1/1861 – Dornach, 30/3/1925) è stato un filosofo e pedagogista austriaco. Fu il fondatore dell’ Antroposofia, intesa come percorso spirituale e filosofico,  una “ via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo” ( STEINER Rudolf , Anthropological Leading Thoughts, London, Rudolf Steiner Press, 1924). Fu anche il fondatore della Pedagogia Wardolf ( la prima scuola ad essa ispirata nacque a Stoccarda nel 1919 su richiesta di Emil Milt, direttore della fabbrica di sigarette Wardolf Astoria, per i figli degli operai.)

Lo scopo di questa pedagogia è quello di educare in modo armonico e di sviluppare le facoltà cognitive-intellettuali (pensiero), quelle creativo-artistiche ( sentimento) e quelle pratico- artigianali (volontà) dell’allievo. Gli insegnanti hanno l’obiettivo di adattare continuamente le modalità di insegnamento ad una più profonda comprensione dell’individualità dell’allievo di cui  intendono sviluppare sentimenti, volontà ed intelligenza.

Nel romanzo i principi pedagogici steineriani sono  seguiti  dalla mentore di Violetta, la Signora A, sotto il cui pseudonimo si nasconde la stessa Autrice. Scegliendo Violetta come giovane collaboratrice del Corriere dei Piccoli per scrivere una pagina su quello che interessa le ragazzine, la Signora A le offre di poter realizzare il suo sogno che è quello di diventare giornalista. Inoltre le propone una Pagella della Timidezza, dove le darà  di volta in volta il  voto in base al suo comportamento in varie situazioni.  Questo le permetterà di esercitare la sua volontà sempre più atrofizzata e di controllare la timidezza a cui per troppo tempo ha lasciato campo libero.

Così, un passo alla volta, Violetta affronta situazioni che prima l’avrebbero vista paurosa e ritrosa: dal fronteggiare l’eterna antagonista, la compagna di classe Calligaris, ad ottenere dal ricco zio della sua giovane supplente di matematica la promessa di  finanziare gli studi post laurea della nipote che vuol fare la ricercatrice. Dal riuscire ad ottenere il permesso per una festicciola in casa tra amiche al costituire addirittura un Club dei Timidi per i ragazzi e le ragazze della scuola che, per vari motivi, soffrivano del suo stesso problema.

 

[1] Italo Calvino (Santiago del Las Vegas de La Habana, Cuba, 15/10/1923 – Siena, 19/9/1985) è stato un grande scrittore e giornalista italiano. Questa definizione di romanzo classico si trova nel suo volume Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano, 1995.

[2][2] Il termine  <<briosa>> riferita alla scrittrice si trova nel volume di Sabrina Fava  <<Dal Corriere dei Piccoli >> Giana Anguissola scrittrice per ragazzi, Vita e Pensiero, Milano, 2009.

[3] IL termine <<bullismo>> ed i primi libri sull’argomento compaiono a partire dagli anni settanta. Tra i primi quello dell’autore norvegese Dan Olweus  Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Giunti, Firenze, 1996

[4] Una per tutte la scrittrice Tiziana Colosimo, vincitrice del Primo Premio, III Ed. del Concorso Letterario Nazionale Giana Anguissola, Travo, 2012 che lo scrive in Giana Anguissola: tra le sue pagine profumo di modernità, AA.VV Giana Anguissola alla riscoperta di una grande scrittrice per ragazzi   Atti del Convegno, Roma 10 marzo 2014, Mursia, Milano, 2015.

[5] In alcuni ricordi inediti dell’Autrice si legge: “ …il mio temperamento timidissimo […]Come tutti i timidi che si sforzano di superarsi finivo poi per sembrare sfrontata, spiritosa […]la “tanto vivace”, di ritorno da Milano, riposava mezza giornata al buio, con una fascia di acqua e aceto intorno alla testa, per lo sforzo d’apparire disinvolta davanti a quegli uomini importanti che in realtà le mettevano una soggezione maledetta”. Gianfranca Mursia Re, Presentazione, in Storie di ragazze, Mursia, Milano, 1973.

[6] Lina Schwarz ( Verona, 20/3/1876 – Arcisate, 24/11/1947) è stata una scrittrice e traduttrice italiana.

[7] Rinaldo Kufferle (S. Pietroburgo, 1° novembre 1903  – Milano, 20 febbraio 1955) fu giornalista, poeta e soprattutto traduttore di grandi Autori russi come Dostoievski e  di libretti d’opera . Negli anni trenta si avvicina agli ambienti dell’antroposofia milanese e nel 1946 fonda la rivista «Antroposofia. Rivista mensile di scienza dello spirito».




ITALIA – Benigni? Non ha mai vinto il Nobel

Non è vero, non è come riferiscono http://l0specchio.altervista.org e edicola24.altervista.org Roberto Benigni non ha vinto il Nobel ne’ nel 2007 ne’ quest’anno.

I due siti suddetti hanno inventato la notizia che non trova riscontro su fonti ufficiali, nemmeno sul sito del Premio, per intenderci. Quello che maggiormente indigna è la presenza nell’articolo in questione di virgolettati che fanno intendere che l’attore sia stato intervistato e che l’Accademia si sia espressa.

“L’Accademia di Svezia ha deciso di assegnargli il tanto agognato Nobel che verrà assegnato nel mese di Dicembre. La motivazione data in merito a questa scelta è molto esplicativa: “Per il suo incredibile contributo a favore della divulgazione culturale, per la sua genuinità intellettuale, per la sua cultura encomiabile e per le sue opere indimenticabili”. Parole forti queste che, ne siamo sicuri, metteranno tutti d’accordo.”

E il riferimento a fonti inesistenti:

” Secondo fonti affidabili, però, Benigni avrebbe detto: “Sono molto contento, in pochi credevano che potessi vincere davvero il premio Nobel per la letteratura, ma c’erano scettici anche prima che vincessi gli Oscar per la vita è bella. Inoltre se l’ha vinto Dario Fo anche io, che nasco come uomo di spettacolo, posso vincerlo”. Non possiamo che fare tanti auguri a Roberto Benigni che si conferma sempre di più un simbolo per il quale l’Italia può sentirsi orgogliosa.”

Quello che più preoccupa sono i mila like che i  due siti hanno ottenuto e continuano a ricevere e che nessuno abbia denunciato. Perché nessuno li ferma? Cosa spinge i lettori a far circolare simili notizie?

È giunta l’ora di far della rete un luogo intelligente.




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.