ITALIA – Milano combattente

Di Nadia Boaretto

Milano è medaglia d’oro fra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione. E ne va fiera. Tale orgoglio si riflette nelle intitolazioni stradali, che anche quando celebrano figure risorgimentali, risalenti quindi a più di un secolo addietro, alludono a un perdurante spirito libertario e alla lotta contro l’oppressore straniero. I personaggi femminili non sono numerosi, ma la disparità fra nominativi maschili e femminili sta a poco a poco migliorando.

 

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Cristina Trivulzio di Belgioioso è relegata un po’ lontano dal centralissimo palazzo Belgioioso, ma molti angoli di Milano portano le sue tracce. L’atto di battesimo venne registrato nella parrocchia della chiesa di Sant’Alessandro. Il suo matrimonio con il giovane ed avvenente principe Emilio Barbiano di Belgiojoso avvenne nella chiesa di S. Fedele il 24 settembre 1824. La più ricca ereditiera d’Italia vantava una dote di 400.000 lire austriache. Aveva allora solo 16 anni. Fu un’unione infelice, che aggiunse pene ai problemi di epilessia e di salute cagionevole. Divenuta fervente patriota, Cristina viaggiò in Italia, in Svizzera, in Francia, ebbe i beni confiscati dagli Austriaci, tanto che la sua firma sui bozzetti dei parlamentari francesi, che le erano stati commissionati, divenne La Princesse ruinée (La principessa rovinata). Avversa ai progetti mazziniani, che riteneva fallimentari, non sempre godette di simpatie tra i fuoriusciti italiani a Parigi. La sua vita avventurosa anche dopo la nascita della figlia Maria la condusse da Locate a Napoli, in Turchia, sempre in ristrettezze. Il che non le impedì di aiutare le donne più umili e i loro figli, e di pagare il viaggio a 200 patrioti che volevano partecipare alle 5 giornate di Milano.

Morì nel 1871, a 63 anni. Aveva sofferto di varie malattie, vissuto molte peripezie, tra le quali anche un tentativo di omicidio, cosa che le lasciò diverse ferite. Fu sepolta a Locate di Triulzi, dove la sua tomba si trova tuttora. Al suo funerale non partecipò nessuno dei politici dell’Italia, che lei così generosamente aveva contribuito ad unire.

 

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Al suo periodo si lega Costanza Arconati Trotti Bentivoglio (Vienna 1800-1871), attiva durante i moti carbonari del 1821. Successivamente costretta dall’esilio del marito a soggiornare tra il Belgio e Berlino, può tornare in Italia grazie all’amnistia del 1838. Dopo una breve permanenza a Milano si stabilisce a Pisa, mantenendo i contatti con intellettuali liberali. Costanza non riesce a capire perché i governanti piemontesi non si pongano all’altezza del compito che il destino ha loro riservato: guidare un esercito alla liberazione dell’Italia. Tesse così una fitta rete di corrispondenza con i patrioti in prigione, in particolare con Federico Confalonieri e con Giorgio Pallavicino e dietro il ruolo di “cronista culturale”, come viene definito il suo impegno, cela un’intensa attività patriottica di messaggera; ella porta infatti a destinazione i dispacci dei carbonari, in Francia, in Belgio, in Germania, ovunque. Al momento delle 5 Giornate (1848) arriva a Milano, dove si pone a fianco del marito che si batte per l’immediata unione del Lombardo-Veneto al Piemonte, sotto il comando di Carlo Alberto. Dopo il 1849, al ritorno degli austriaci, si trasferisce a Torino e di qui a Firenze e Vienna, seguendo sempre le vicende italiane e applaudendo Roma capitale d’Italia. Il 21 Maggio 1871 Costanza non regge al dispiacere della notizia dell’imminente morte del suo secondogenito, Gianmartino, per una malattia incurabile contratta in un viaggio e muore in un edificio adiacente alla reggia di Francesco Giuseppe, che tanto si era opposto all’unità d’Italia. È sepolta ad Arconate, feudo della famiglia del marito.

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Giuditta Bellerio Sidoli fu a sua volta fervente patriota, legata a Mazzini, con cui nel 1832 fondò il giornale politico La Giovine Italia, assumendone il ruolo di responsabile e contabile.

A causa delle sue idee rivoluzionarie fu allontanata dai figli per volere del suocero e trascorse anni in un continuo peregrinare per gli Stati d’Italia e d’Europa, alla ricerca dei figli e nelle partecipazioni ai vari moti rivoluzionari e cospirazioni a Livorno, Firenze, Roma, Milano e Bologna. Nel dicembre 1849 fu arrestata e incarcerata a Modena e trasferita a Milano nel febbraio 1850 su ordine del generale Radetzky. Scampata al carcere e trasferitasi definitivamente a Torino sul finire del 1852, diede vita ad un salotto politico frequentato dalle maggiori personalità risorgimentali dell’epoca, contribuendo a preparare il terreno culturale per la seconda guerra di indipendenza.

Nel 1868 Giuditta Bellerio si ammalò gravemente di tubercolosi e il 28 marzo 1871 si spense a Torino, stroncata da una polmonite, dopo aver rifiutato i sacramenti religiosi, coerentemente con la sua dichiarazione di «credere liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa».

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Matilde Viscontini, altra patriota, dopo il matrimonio con il militare polacco Jan Dembowski visse in un appartamento di famiglia in via San Maurilio e anni dopo la separazione dal marito, la cui brutalità entro le mura domestiche era cosa risaputa, andò ad abitare in piazza Belgioioso. Quando si dice il destino! Qui creò un salotto frequentato da intellettuali. Di lei s’innamorò Stendhal, ma forse Matilde aveva una relazione con il conte Giuseppe Pecchio; entrambi erano affiliati alla Società dei Federati, un circolo cospirativo legato ai liberali piemontesi, che si proponeva di suscitare un’insurrezione a Milano contando sull’appoggio del principe di Carignano. Le donne affiliate erano chiamate «maestre giardiniere». Arrestata, la Viscontini diede prova di grande coraggio e intelligenza, negando ogni coinvolgimento e preoccupandosi soprattutto di non denunciare gli amici. Morì di tabe nel 1825, a soli 35 anni.

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Il filo rosso della storia tesse una bella trama di intelligenza e coraggio nelle figure di Rosa Luxemburg e Anna Kuliscioff, ben presenti in due targhe stradali.

Rosa Luxemburg (Zamość, 5 marzo 1871 – Berlino, 15 gennaio 1919), è una politica, filosofa e rivoluzionaria polacca naturalizzata tedesca, teorica del socialismo rivoluzionario marxista. Di famiglia ebrea, ricevette una buona istruzione, fino alla laurea in giurisprudenza.

Rosa Luxemburg convinta che un programma rivoluzionario non potesse accogliere temi nazionalistici quali l’autonomia della Polonia, credeva comunque nel diritto all’auto-determinazione dei popoli, restando «la liquidazione del capitalismo internazionale» il fine dei partiti socialisti.

Fece parte del fronte pacifista all’inizio della prima guerra mondiale e assieme a Karl Liebknecht nel 1915 creò il Gruppo Internazionale.

Il 28 giugno 1916 Rosa, assieme a Karl, venne arrestata in seguito al fallimento di uno sciopero internazionale e condannata a due anni di reclusione, dopo essere già stata in carcere per un intero anno a partire dal febbraio 1915.

Partecipò alla Rivoluzione Tedesca del novembre 1918 e contribuì a fondare il Partito Comunista di Germania, tra il dicembre 1918 e il gennaio 1919. Nel corso della rivolta iniziata il 6 gennaio 1919, venne rapita ed in seguito assassinata, insieme con Liebknecht, dai soldati dei cosiddetti Freikorps, i gruppi paramilitari agli ordini del governo del socialdemocratico Friedrich Ebert e del ministro degli Interni Noske.

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Anna Kuliscioff (Sinferopoli, 9 gennaio 1855 – Milano, 29 dicembre 1925), anarchica, rivoluzionaria italo-russa, è una fondamentale esponente e fondatrice del Partito Socialista Italiano. Di ricca estrazione ebrea, si laureò in medicina e si specializzò in ginecologia, prima a Torino, poi a Padova. Con la sua tesi scoprì l’origine batterica della febbre puerperale, aprendo la strada alla scoperta che avrebbe salvato milioni di donne dalla morte dopo il parto. Si trasferì poi a Milano, dove cominciò a esercitare l’attività medica, meritandosi il titolo di “dottora dei poveri”. Come già avvenuto in passato a Firenze, nel 1898 andò in carcere con l’accusa di reati di opinione e di sovversione. Dopo qualche mese venne scarcerata per indulto. Elaborò poi una legge a tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal Partito Socialista Italiano, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, nº 242.

Anna Kuliscioff, assieme alla sindacalista Maria Goia, ebbe parte attiva nella campagna per l’estensione del voto alle donne tanto che con il suo sostegno nel 1911 nacque il Comitato Socialista per il suffragio femminile. Ma nel 1912 una legge di Giolitti istituiva il suffragio “universale” solo maschile, estendendo il voto anche agli analfabeti che avessero compiuto i trent’anni. Si continuava così a escludere le donne da un diritto basilare. Per Anna iniziò un periodo di scoramento, durante il quale anche il rapporto con Filippo Turati si incrinò.

Morì a Milano nel 1925 e il funerale venne funestato da alcuni fascisti. Sepolta nel Cimitero Monumentale, ha una via dedicata in zona Bisceglie e una targa che accomuna il suo nome a quello di Turati in piazza Duomo, sotto i portici di accesso alla Galleria Vittorio Emanuele.

Queste donne impavide hanno lasciato il segno. Nel corso dell’occupazione tedesca altre hanno raccolto il testimone.

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Tra queste Gina Galeotti Bianchi, una delle protagoniste della lotta nel nord Italia. Già all’età di 16 anni entrò nel movimento antifascista, prese poi parte agli scioperi di Milano, con il nome di battaglia di Lia e venne catturata e interrogata per ben 33 volte. Denunciata al Tribunale speciale il 25 luglio 1943 venne liberata, tornò a Milano, dove prese parte al Comitato provinciale dei Gruppi di difesa della donna, e continuò la propria attività, dedicandosi all’assistenza delle famiglie delle vittime della lotta di Liberazione. Il 25 aprile 1945 nella giornata di insurrezione nazionale mentre si recava a Niguarda per prendere contatto con alcune infermiere dell’ospedale incaricato di curare i partigiani feriti fu colpita da una raffica di colpi che uccise lei e il bimbo di otto mesi che portava in grembo. A soli 33 anni morì dopo un’intensa vita di lotta antifascista. Le fu poi assegnata la medaglia d’oro alla memoria dal Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Il 19 novembre 2005, nella zona di Niguarda, nei giardini tra via Val di Ledro e via Hermada, il Comune di Milano le ha intitolato l’area.

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Teresa Noce, «sola, affamata e ribelle» per sua stessa definizione, s’impegnò nel Partito socialista italiano (PSI), fondando nel 1919 con altri compagni il circolo giovanile socialista torinese. In Italia militò contro il fascismo e in Francia fondò la rivista Noi Donne con Xenia Sereni ed entrò in clandestinità. Fu rinchiusa in campo di concentramento a Ravensbrück e infine liberata da forze polacche. Il suo nome va annoverato fra quelli delle madri costituenti e come parlamentare per l’impegno esercitato a favore della parità salariale e per la promozione della legge 26 agosto 1950, n. 860 a tutela delle lavoratrici madri. Dopo un periodo doloroso di rottura con il marito Luigi Longo e con il partito comunista morì a Bologna il 22 gennaio 1980.

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A tutte le Donne Partigiane il consiglio di zona 6 ha dedicato una piazza di Milano.




ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

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Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

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Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

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Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

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Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

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Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

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Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

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Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

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Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

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Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

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Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.