La schiava migliore non ha bisogno di essere picchiata, si picchia da sé

Goethe diceva con lucida saggezza Nessuno è più schiavo di colui che si ritiene libero senza esserlo. 

Una delle intuizioni originali del femminismo è stata rendersi conto che per un tempo lunghissimo le donne hanno dovuto far propria la visione maschile del mondo, con adattamenti, resistenze, ma anche continui tentativi di strappare qualche potere, in primis quello di rendersi indispensabili nella vita quotidiana: l’unico concesso e praticato per secoli, come rilevava John Stuart Mill ne L’asservimento delle donne.

Scrive Lea Melandri:

Le donne non hanno solo cura dei bambini, dei neonati: forniscono cura a uomini in perfetta salute, uomini che si possono curare da soli. Questo non è di poco conto: vuol dire che le donne, nella cura, hanno strappato qualche potere, che è l’indispensabilità all’altro.

La battaglia più dura da affrontare riguarda la psicologia delle donne stesse, che devono riconoscere e superare gli stereotipi e i pregiudizi propri della cultura patriarcale rinunciando a modelli introiettati che le hanno inglobate in una bolla rassicurante ma soffocante.

Nella Mistica della femminilità fin dal 1963 Betty Friedan parlava del “problema senza nome”, del “comodo campo di concentramento” fatto di gratificazioni paternalistiche, che chiude tante donne nella gabbia delle aspettative sociali, nell’adesione a stereotipi che ne incanalano l’esistenza entro pareti sicure ma asfittiche.

È dolorosa, questa complicità: ogni infrazione – vera o presunta – a doveri così tassativi scatena non solo stigmi sociali ma feroci sensi di colpa, con annessi rimorsi e frustrazioni (il senso di colpa è utilissimo agli addomesticatori di coscienze).

Virginia Woolf lo chiamava il potere ipnotico del dominio, le psicanaliste il predatore interiore. Lea Melandri parla di violenza invisibile: la vittima parla la stessa lingua dell’aggressore, è talmente de-individuata da aver perso la capacità di riconoscersi preda di un carnefice perché si identifica con lui e con i suoi bisogni piuttosto che con se stessa e con le proprie esigenze. Come le è stato insegnato, chiama tutto questo ‘amore’. La subordinazione e questo tipo di amore non sono affatto esclusivi. 

Persino nella violenza di genere c’è una verità che fa male: una parte delle donne ritiene di meritarsela almeno un po’. Nel profondo pensa che se quegli schiaffi sono arrivati un motivo doveva esserci. Ritiene di non fare mai abbastanza. 

L’ho provocato. Avrei dovuto lasciarlo in pace. Ho iniziato io. Poverino, non lo fa apposta. In fondo mi vuol bene, a modo suo mi dimostra affetto. Però con i bambini è buono. Ha un sacco di problemi al lavoro …

Un amore che è frutto di suggestioni, idealizzazioni e proiezioni non riconosce il soggetto. 

Darei qualsiasi cosa per te. L’amore richiede sacrificio. Senza di te io non sono niente. Mi sei indispensabile. Noi due siamo una cosa sola. Tu sei la mia metà.

Povere e analfabete, ricche e colte, vecchie e giovani: la dipendenza emotiva non distingue tra classi sociali, etnie, religioni, età. Sono tante, in tutto il pianeta, le donne cresciute nel mito dell’unione fusionale e intrappolate in relazioni abusanti: si sottomettono alla tirannia della sopportazione per amore, mentre la loro autostima si dissolve nella continua ricerca di riconoscimenti affettivi. 

Perché noi siamo state le serve che hanno amato i loro padroni, le prigioniere che hanno amato i loro carcerieri, le oppresse che hanno amato i loro despoti, lungo tutto il corso della storia, con poche eccezioni.

È difficile, è faticoso affrancarsi da modelli che per millenni ci hanno trasmesso il bisogno di un uomo e della sua approvazione per sentirci complete.




ITALIA – Da Venezia in marcia scalzi per cambiare le politiche migratorie globali

La Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi è un lungo cammino di civiltà. E’ l’inizio di un percorso di cambiamento che chiede a tutti gli uomini e le donne del mondo globale di capire che non è in alcun modo accettabile fermare e respingere chi è vittima di ingiustizie militari, religiose o economiche che siano. Non è pensabile fermare chi scappa dalle ingiustizie, al contrario aiutarli significa lottare contro quelle ingiustizie.
Dare asilo a chi scappa dalle guerre, significa ripudiare la guerra e costruire la pace.
Dare rifugio a chi scappa dalle discriminazioni religiose, etniche o di genere, significa lottare per i diritti e le libertà di tutte e tutti.
Dare accoglienza a chi fugge dalla povertà, significa non accettare le sempre crescenti disuguaglianze economiche e promuovere una maggiore redistribuzione di ricchezze.

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Oggi Venezia lancia la Marcia delle Donne e degli Uomini Scalzi.
In centinaia camminano scalzi fino al cuore della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica.
Invitando tutti ad organizzarne in altre città d’Italia e d’Europa per chiedere con forza i primi quattro necessari cambiamenti delle politiche migratorie europee e globali:

1. certezza di corridoi umanitari sicuri per vittime di guerre, catastrofi e dittature
2. accoglienza degna e rispettosa per tutti
3. chiusura e smantellamento di tutti i luoghi di concentrazione e detenzione dei migranti
4. Creare un vero sistema unico di asilo in Europa superando il regolamento di Dublino.




EGITTO – La morte di Shaimaa, uccisa da un proiettile mentre lottava per la dignità

Questo fiore è per te Shaimaa, che hai sempre lottato per la libertà e la dignità del tuo popolo, senza aver mai la pretesa di essere un’eroina, sebbene a modo tuo lo fossi diventata. Nascere donna in un paese in cui i diritti delle donne vengono spesso calpestati e divenire un’attivista, dà prova di possedere grande forza d’animo e coraggio. Shai¬maa El-Sabbagh, 32 anni,attivista del par¬tito dell’Alleanza socia¬li¬sta, uccisa da un proiettile di gomma, sparato da un poliziotto da 8 metri di distanza. La pallottola gli ha perforato il cuore e i polmoni e lei è morta tra il rumore assordante del pianto di suo figlio Bilal, di soli 5 anni. Suo marito Osama ha raccolto il suo corpo insanguinato e ha cercato di prestarle soccorso, quando l’hanno condotta in ospedale, secondo la testimonianza di una sua amica ,Reem Gamal, hanno chie¬sto ai fami¬liari di dire che si è trat¬tato di sui¬ci¬dio, per poter dare l’autorizzazione alla sepoltura. Cos’ha fatto Shaimaa di talmente terrificante da meritare di morire in questo modo? Nulla,partecipava ad una manifestazione in memoria della rivolta del 24 gennaio 2011, in cui il popolo egiziano scese in piazza Tahrir per urlare tutto il suo disprezzo verso una dittatura che sembrava non potesse mai cessare. La ribellione venne repressa nel sangue, centinaia di persone persero la vita e migliaia furono arrestate. Quell’anniversario fa paura, tanto che il governo egiziano dal novembre 2013,ha vietato qualsiasi forma di protesta. Durante la manifestazione sabato scorso altre 15 persone hanno perso la vita.

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Nella borsa di Shaimaa è stata rinvenuta una poesia, che pubblicheremo a seguire:

“Non sono sicura
Davvero, non era altro che una borsa
Ma da quando l’ho persa, sono guai
Come affrontare il mondo senza di lei
Specialmente
Perché le strade ci ricordano insieme
I negozi conoscono più lei che me
Perché era lei a pagare
Riconosce l’odore del mio sudore e le piace
Conosce tutti gli autobus
E ha un rapporto diverso con ogni autista
Ricorda il prezzo del biglietto
Ed ha sempre gli spiccioli giusti
Una volta ho comprato un profumo che non le piaceva
Me l’ha fatto versare tutto così non potevo mettermelo
A proposito
Ama anche la mia famiglia
E si porta sempre dentro una fotografia
Di tutti i suoi cari
Chissà cosa prova ora
Forse è piena di paura?
O disgustata dalla puzza di sudore di un’estranea,
Infastidita dalle nuove strade?
Fermandosi in uno dei negozi dove entravamo insieme
Sceglie ancora gli stessi articoli?
Comunque le chiavi di casa le ha lei
E allora sto qui ad aspettarla”.

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Libertà, libertà, libertà! Sulla Francia sarò breve

Libertà è una grande parola, nel suo astrattismo metafisico è diventata religione, ma sotto la bandiera della libertà  si sono fatte le guerre piú sanguinose, si sono compiuti i più grossi ladrocini, si sono violati sistematicamente i diritti universali.

L’impiego che oggi si fa dell’espressione ” libertà di opinione, di critica ” implica lo stesso falso sostanziale:  tutti gridano alla libertà di stampa anche i censori.

La guerra in Afghanistan cominciò il 7 ottobre del 2001 (ed è ancora in corso) e la guerra in Iraq il 20 marzo 2003. Il 90% dei morti sono stati civili, la maggioranza bambini e donne . “La guerra in Afghanistan costa ancora oggi 250 milioni di euro al giorno, cioè la stessa cifra che servirebbe per costruire finanziare e far funzionare dieci centri ospedalieri di prima eccellenza per tre anni” (Gino Strada). Senza considerare le cifre della guerra in Iraq, il mantenimento di Guantanamo. Se la coalizione internazionale avesse riposato una settimana o invece del 7 ottobre fosse partita, ad esempio, il 15 ottobre (cioè otto giorni dopo), avremmo avuto i soldi per costruire 80 ospedali di prima eccellenza e farli funzionare per tre anni. E, rimandando la partenza di un’altra settimana ancora, avremmo potuto costruire 800 asili. Immaginate cosa avremmo potuto fare evitando del tutto le guerre, seguendo il movimento per la pace. Invece quel giorno del 2001 vinse le linea politica di Oriana Fallaci, di George Bush,  di Massimo D’Alema e Berlusconi.

«Abbiamo iniziato con l’operazione in Francia, per la quale ci assumiamo la responsabilità. Domani saranno la Gran Bretagna, l’America e altri», ha affermato l’imam Abu Saad al-Ansari, un religioso vicino allo Stato islamico (Is), in un sermone a Mosul, in Iraq, annunciando che l’organizzazione guidata da Abu Bakr al-Baghdad è responsabile dell’attacco alla sede di Cahrlie Hebdo a Parigi. Questo è il messaggio che è stato rivolto a tutti i paesi che partecipano alla coalizione internazionale guidata dagli Usa, che ha ucciso i militanti dello Stato islamico.

Il direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier detto Charb, morto nell’attentato di Parigi, aveva scritto nella sua ultima vignetta: “Oggi nessun attentato in Francia. Attendete. Avete ancora tutto gennaio per farvi gli auguri”.

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Viva la pace! Viva Charlie Hebdo! In alto le matite!




Anche i non-luoghi hanno barriere. “Impagine” le supera rispettando le direttive W3C

Quando si pensa a una barriera generalmente si immagina qualcosa di solido e possente  che impedisca l’accesso a un luogo.  I luoghi in cui dovrebbe svolgersi la vita democratica di tutti i paesi del mondo hanno molte barriere, che impediscono non solo l’accesso, ma anche la diffusione di informazioni verso l’esterno.

Sino alla metà del secolo scorso, per svolgere la propria  funzione, al giornalismo bastava superare queste barriere. Ma con l’avvento delle nuove tecnologie e la nascita del web gli ostacoli si sono innalzati all’ennesima potenza: le barriere non riguardano più soltanto i luoghi fisici, ma soprattutto quelli virtuali, i non-luoghi, i cosiddetti social. Paradossalmente , nella società dei social network, il non-detto è molto più di quanto viene comunicato.

La sfida del giornalismo contemporaneo sta nell’abbattere le barriere che si frappongono tra il lettore e la fruizione democratica delle notizie, che impediscono alle minoranze di diversa origine (socio-economica, socio-culturale, psico-fisica, etnica, ecc.) di avere accesso all’informazione.

Il nostro gruppo editoriale si è posto un obiettivo molto alto e difficile da perseguire: garantire l’accesso ai contenuti del proprio webzine al maggior numero di persone possibile non di meno ai diversamente abili.

Raggiungere utenti con disabilità e permettere loro la navigazione è possibile attraverso un’interfaccia grafica progettata rispettando le direttive W3C.

Impagine  è un giornale  per chi ama  la libertà di opinione, di parola, di espressione, di stampa: la Democrazia. Perchè divulgare nel modo più completo le notizie di cui è a conoscenza è il primo dovere di un giornalista che voglia distinguersi da un imbrattacarte.