MESSICO – Carovane in memoria dei 43 studenti scomparsi, ma il caso non è chiuso
E’ giallo sulla notte del 26 settembre 2014 a Iguala, quando sei studenti sono stati assassinati, cinque sono stati feriti e altri 43 sono scomparsi. Tutti appartenevano alla scuola rurale di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero.
Quattro mesi dopo la loro scomparsa, il 27 gennaio, l’allora procuratore generale della repubblica, Jesús Murillo Karam, ha informato la società messicana che gli studenti di Ayotzinapa sono stati confusi con un gruppo di narcotrafficanti della zona (Los Rojos) e che per questo sono stati uccisi da un gruppo rivale. Per il procuratore, i corpi dei 43 studenti scomparsi sono stati incendiati in una discarica di Colula e le ceneri sono state gettate nel fiume San Juan.
A sette mesi di distanza ci sono più dubbi che certezze e altre inchieste giornalistiche e scientifiche hanno smentito una a una le prove ufficiali. Per esempio è stato dimostrato che i testimoni ascoltati dalla procura sono stati torturati e inoltre, secondo la squadra di antropologi forensi che sta lavorando con i familiari degli scomparsi, il dna dei resti identificati dalle autorità non corrisponde a quello dei 43 studenti scomparsi.
Gli esperti hanno manifestato dubbi sulla versione del rogo dei morti a Cocula: se i corpi fossero stati distrutti in un falò, l’incendio sarebbe durato diversi giorni, cosa impossibile se si pensa che in quei giorni in città pioveva, secondo le testimonianze del servizio meteorologico nazionale.
Anche se il governo messicano ha insistito fin dal principio sul fatto che l’esercito non ha partecipato in nessun modo ai fatti, le ultime inchieste giornalistiche mostrano il contrario. Secondo i sopravvissuti, che hanno anche ripreso l’accaduto con i telefoni, sono stati i militari a sequestrare i ragazzi e a consegnarli ai narcotrafficanti.
I diritti umani devono venire prima degli investimenti privati, ricorda Román Hernández, del Centro dei diritti umani della montagna Tlachinollan che in questi giorni ha cominciato il giro Eurocaravana 43 in 13 paesi europei, insieme a Omar García, studente di Ayotzinapa, ed Eleucadio Ortega, padre di uno dei giovani scomparsi.
Ayotzinapa si è caratterizzata da decenni per il suo lavoro di lotta, come quasi tutte le scuole rurali nel paese. Per questo rappresenta una minaccia, che si vuole sottomettere con la violenza.
Il tour attraverso le 13 città europee continuerà fino al 19 maggio. Prima c’è stata un’altra carovana negli Stati Uniti, e se ne pianifica una in Canada e in America Latina.
Queste carovane sono possibili grazie all’aiuto di reti, associazioni e collettivi internazionali con esperienza in zone di conflitto o in aree degradate a causa di cattive politiche sociali. “Ad Ayotzinapa e a Guerrero stiamo cercando di organizzarci, di costruire garanzie affinché questi episodi non si ripetano. E non possiamo chiederlo allo stato, che allo stesso tempo è colpevole. Questo tour serve affinché i fatti di Ayotzinapa non si ripetano. Una parte di quello che abbiamo imparato è che i diritti non si chiedono, si esercitano”.
Milano, una città che è quanto di più distante da Ayotzinapa, è stata scelta come prima tappa del giro. Circondati da Versace, Escada, Harmont Blaine, Prada e Louis Vuitton, Omar, Roman e don Eleucadio saranno accompagnati da cittadini messicani che da anni vivono in Italia. Ma all’incontro sono arrivati anche gli italiani, coinvolti nella lotta dei messicani, gli stessi che in questi mesi hanno organizzato cene e incontri per raccogliere fondi e raccontare quello che è successo in Messico.
Lo studente di Ayotzinapa, Omar, dice: “Chiunque di noi potrebbe scomparire. Oggi sappiamo che la cosa più importante è portare avanti una lotta collettiva”.