Trentotto anni d’emergenza: le mani sui terremoti

I terremoti In Italia possono considerarsi un’emergenza in tutti i sensi, perché quando la terra trema non crollano solo le case, ma da essa emergono anche mostruosità: il malaffare, la delinquenza, la mafia, la piovra che avvinghia gli appalti.

Quando le calamità si susseguono a distanza di pochi anni la morsa si fa più stretta e uscirne è quasi impossibile.

In Basilicata distribuiscono ancora finanziamenti per i terremoti del 1980 e del 1990. Dopo trentotto anni, le case, dove la gente ha continuato a vivere, sono considerate inagibili o pericolanti e chi è in grado di procurarsi una relazione tecnica che lo attesti percepisce ancora oggi finanziamenti pubblici per la ristrutturazione, mentre gli ultimi terremotati continuano a dormire nelle roulotte, al gelo e al caldo insopportabili, in condizioni igieniche indicibili.

Durante gli anni si sono inseriti interessi loschi  che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne hanno diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti.

Mentre si finanzia l’edilizia privata chiudono gli ospedali sostituiti da piccoli centri di assistenza o di recupero.

Il terremoto del 2002 a San Giuliano di Puglia confermò che la messa in sicurezza degli edifici pubblici avviene solo a tragedia conclusa mai per prevenirla.

Del terremoto che nel 2009 colpì l’ Abruzzo si parlò tanto per lo sperpero dei finanziamenti europei.

A Sud la Camorra e il clientelismo, a Nord l’ ‘ndrangheta. I soldi viaggiano tra gli sportelli delle banche cooperative raggiungendo le imprese del settentrione e moltiplicando i costi per le infrastrutture.

A Modena, dal 2012, gli appalti pubblici sono ormai patrimonio della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata è affiorata in superficie rendendo una delle città più vivibili d’Italia un inferno.

La faglia, che aprendosi ha scosso l’Umbria e le zone limitrofe nel 2016 ha lasciato centinaia di persone senza un tetto.

Centinaia di ragazzi sull’isola di Ischia attendono di ritornare a studiare nelle aule delle scuole chiuse dopo il terremoto dell’estate scorsa.

Le risorse vanno sempre nella direzione e nelle mani sbagliate. Perché dopo trentotto anni si aprono ancora cantieri e si continua a considerare emergenza e di primo intervento una situazione che non richiede provvedimenti urgenti e finanziamenti, mentre altrove la gente sopravvive negli accampamenti in pessime condizioni igieniche?

La legge anticorruzione e il Codice degli appalti in Italia non bastano.  In poco più di un decennio il verificarsi di continue catastrofi ha reso evidente la necessità di una gestione diversa dei fondi per le emergenze, di verifiche idonee e professionalità imprenditoriale.

E mentre in questi giorni i neoeletti non riescono neppure a formare il governo e si preoccupano della propria fama, di scrivere nere e inutili pagine di storia, a discapito della specie umana e dell’ambiente, l’unico uso sensato che si potrebbe fare di carta e calamaio sarebbe la stesura di nuove norme per frenare questo scempio e aiutare concretamente gli italiani a rinascere dalle macerie.

 

 




Dove l’inglese non è british

Sarà che quando un inglese o un nordico qualsiasi ama la cultura italiana e decide di trasferirsi nel Bel Paese ne accetta anche la mafiosità, sarà che il contatto con il nostro paese macchia anche loro, sta di fatto che le scuole di lingua inglese in Italia non sono trasparenti ed efficaci come dovrebbero. Un manager italiano o inglese inserito nell’english  business non fa la differenza.

Corsi erogati senza fatturazione, programmi e metodi lontani mille miglia dall’efficacia didattica e, quando il corso è fatto pagare attraverso un finanziamento, l’imbroglio si sposta su altri piani: promozioni attraenti per truffare la gente (biglietti aerei in omaggio, lezioni gratuite e numerose trovate accattivanti).

C’è anche l’inglese che fonda associazioni culturali, che tali non sono, per vendere corsi teatrali e campi estivi in Italia e all’estero.

Gli inglesi nel nostro paese non si fanno mancare nulla e il fenomeno è evidente nelle regioni in cui le lingue sono più studiate.

Milioni di introiti a nero e un’offerta didattica scadente di cui solo il Miur non è a conoscenza. Gli altri tacciono. Soprattutto quelli per cui pagare la retta della scuola privata inglese per il proprio figlioletto è molto chic, pertanto, perché denunciare? Anzi, se non fatturano risparmio e faccio il figo.

Proprio quelli che, quando si tratta di scuola pubblica, spianano la strada ai propri figli insultando i docenti: tanto non si paga, il dirigente non risponde con il suo avvocato e incolpa il docente che non adirà le vie legali e così la passo liscia e ottengo quello che voglio.

Questa è l’Italia. Questo è il paese dove la delinquenza si fa internazionale sostenuta dalle istituzioni che approvano le leggi senza riordinare il sistema. Perché, è ormai noto, ci sono il Clil e la Carta del docente, i punteggi per i trasferimenti assegnati a chi ha le certificazioni linguistiche, i punteggi per i concorsi pubblici… Dunque,  ci sono le scuole di lingua accreditate dal Miur per l’utilizzo della Carta del docente. Ma secondo quali criteri? Resta un mistero. Di sicuro non quelli della trasparenza e dell’efficacia.

Oltre a  finanziare le scuole paritarie, il Ministero della Pubblica Istruzione in Italia ha creato un losco indotto economico per le scuole private di lingue straniere, l’inglese è solo la più studiata e praticata, costringendo il proprio personale ad alimentarlo. Vergogna!

Questa è solo una delle possibili fotografie dell’Italia dei ricatti.

 

 

 

 

 

 




17 OTTOBRE – Giornata mondiale contro la povertà: il progetto “Diritti per le nostre strade”

Riceviamo e pubblichiamo:

“Anche come “Diritti per le nostre strade” vogliamo aderire e contribuire alle iniziative volte a mettere al centro la lotta alla povertà. E lo vogliamo fare col solito taglio radicale che abbiamo espresso durante questi mesi di lavoro:
– andare alla radice dei processi di impoverimento, per dichiarare illegale la povertà e non i poveri (guerra ai poveri);
– inquarare la povertà in termini di disuguaglianza e ingiustizia sociale e lavorare per contrastare ogni concessione al dramma della guerra tra poveri;
– superare il pietismo compassionevole sui poveri per rivendicare una cittadinanza inclusiva ed eguale come garanzia di pienezza di diritti;
Il riferimento all’articolo 3 (secondo comma) della Costituzione è anche per noi il perno di una politica e una cultura seriamente orientate a rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

Su di esso abbiamo costruito il progetto “Diritti per le nostre strade” e ad esso sono ispirati i 12 principi del nostro recente “Manifesto dei diritti”.
Per questo ora sosteniamo lo sforzo che “Libera”, con la campagna “Miseria Ladra”, sta mettendo in questa direzione e invitiamo a passare presso il banchetto all’interno di Equa – Festa delle Interazioni solidali (16-17-18 ottobre, c/o Arsenale di Verona) per raccogliere materiale e sostenere la campagna.
E vi invitiamo a partecipare alle altre iniziative che in questi mesi stiamo proponendo a Borgo Nuovo, presso la sede dell’Associazione per la pace tra i popoli (Casa della Pace “Filippo De Girolamo”, via Enna 12):

> venerdì 23 ottobre, ore 20.45: parlando con Tiberio Bentivoglio di lotta alla mafia come lotta all’impoverimento morale e civile di una comunità;
> venerdì 30 ottobre, ore 20.45: condividendo con gli amici di Self Help le possibili forme di riscatto dall’impoverimento sociale, relazionale e di diritti;
> sabato 28 novembre, ore 16.30: riflettendo con Angela Milella di povertà educativa, impoverimento della scuola e precarietà dei docenti”.

“LA POVERTA’ RUBA LA SPERANZA, LA DIGNITA’, I DIRITTI”
(Miseria Ladra)

“DICHIARIAMO ILLEGALE LA POVERTA'”
(Banning Poverty)

“IL POVERO CHE NON ORGANIZZA LA PROPRIA RIBELLIONE NON MERITA COMPASSIONE PER LA SUA SORTE”
(Thomas Sankara)

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Chiesa allo sbando: esequie per gli assassini, ma negate agli eutanasici

La morte non rende tutti uguali o almeno non chi decide di far celebrare il  funerale nella chiesa Don Bosco a Cinecittà. La parrocchia non è nuova alle cronache. Sormontata da una caratteristica cupola, è la stessa che nel 2006 negò i funerali a Piergiorgio Welby.  Malato di Sla, in fase terminale, Welby chiese ai sanitari di staccare la spina (fu eretto a simbolo dell’eutanasia) e gli furono vietati i funerali religiosi.

Non abbiamo bisogno di spiare dal buco della serratura i nuovi santi e le nuove star di Cinecittà, queste figure boccaccesche possono improvvisare un colossal infischiandosene anche del parere degli spettatori. Un funerale show con carrozza d’epoca trainata da 6 cavalli con il pennacchio nero, 12 Suv e limousine, il tutto coronato da una cascata di petali di rosa piovuti dal cielo (con la partecipazione straordinaria di un elicottero privato). Un set cinematografico a tutti gli effetti la cui sapiente regia è rimasta nell’ombra, sconosciuta addirittura al prete che ha celebrato la messa  e che, alla richiesta di spiegazioni, è caduto dalle nuvole: le sue competenze – come hanno spiegato anche dal vicariato – sono circoscritte a quanto accade all’interno della chiesa, non all’esterno, dove l’anonimo “scenografo” aveva posizionato gigantografie del malavitoso e dato il via a musiche evocative (tra l’altro la colonna sonora del Padrino).

Vittorio Casamonica, 65 anni, uno dei maggiorenti dell’omonimo clan che viene ritenuto responsabile di attività illecite come usura, racket e traffico di stupefacenti nell’area sud est della città, è stato omaggiato. Sulla bara un’immagine di padre Pio.

“Hai conquistato Roma, ora conquista il paradiso”,  “Vittorio Casamonica re di Roma” recitavano alcuni manifesti apparsi davanti la parrocchia che lo ritraevano a mezzo busto con una corona in testa, il Colosseo e il cupolone sullo sfondo. Una folla di persone ha voluto portargli l’ultimo saluto.

“Era una brava persona, corretto” hanno commentato alcuni conoscenti al termine della messa. Commozione all’uscita del feretro che è stato salutato da una “pioggia” di petali lanciati da un elicottero. Dopo la funzione, la bara è stata trasportata in una Rolls-Royce mentre la banda musicale ha suonato la colonna sonora di un altro celebre film “2001 odissea nello spazio”.

Mentre le esequie di Vittorio Casamonica a Roma in stile “Il Padrino” diventano un caso politico, il prete dichiara: “Rifarei il funerale di Vittorio Casamonica? Probabilmente sì, faccio il mio mestiere”.

All’ indomani delle esequie del boss è tornato a parlare a Sky Tg24 il parroco della chiesa Don Bosco, don Giancarlo Manieri. “Io qui ho fatto il prete, non spettava a me bloccare un funerale. La chiesa può dire no a un funerale? – si chiede rispondendo a una domanda – Ecco, questo è un problema. Le scomuniche del Papa ai mafiosi? Bisogna chiederlo in alto, non a me”. “L’esponente di un clan è comunque dentro la Chiesa…”,dice don Manieri.

Con il mondo politico allarmato dai “segnali mafiosi”, interpretati come una “sfida allo Stato”, la Chiesa non si esprime.

“Roma sfregiata, fatto inquietante”, hanno attaccato dal Pd mentre Sel ha investito del caso il Parlamento chiedendo al ministro Alfano spiegazioni sull’aspetto legale della vicenda, chi è stato il regista dell’operazione, chi ha concesso le autorizzazioni. Preoccupato anche il sindaco Marino che ha chiamato il Prefetto perché siano condotti accertamenti con estremo rigore.

Si è attivato pure il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha chiesto a Franco Gabrielli una “relazione dettagliata” sulla vicenda.

“Certamente si poteva e si doveva evitare. Se non si è evitato è perché Roma non ha ancora gli anticorpi necessari per comprendere e prevenire cose di questo tipo: l’esistenza della mafia è stata negata fino a pochissimo tempo fa”,  dice l’assessore alla legalità di Roma Alfonso Sabella.




ITALIA – Xylella: nuovi tagli a Oria (Br). Fiaccolata in attesa del Commissario europeo

Il rumore sordo delle motoseghe è tornato a farsi sentire in contrada Frascata, a Oria. Un cordone di sicurezza protegge le motoseghe dalle possibili contestazioni.

Ma in attesa dell’incontro tra i vertici della Regione Puglia, gli scienziati e il  Commissario Europeo Vytenis Andriukaitis in visita in Puglia il prossimo 20 luglio il comitato #difendiAMOgliulivi, per il quale “la responsabilità della devastazione del patrimonio olivetato compiuta a Oria ricade sulla Commissione Tecnica Regionale”, che “agisce sulla base di teorie e ipotesi scientifiche senza tuttavia aver mai prodotto alcuna pubblicazione ufficiale riguardante il ceppo pugliese del batterio Xylella, l’eventuale patogenicità dello stesso ed una diagnosi che consideri tutti i fattori inerenti al complesso del disseccamento rapido degli olivi”, ha organizzato  la fiaccolata “Fuori la mafia della Xylella dallo Stato”.

Mentre infine la Procura leccese ha chiesto altri sei mesi di proroga per le sue indagini, sembra che la partita politico-istituzionale sulla Xylella si stia invece giocando proprio in queste settimane, se non in questi giorni. Tant’è che il commissario europeo per la Salute, Vytenis Andriukaitis, lunedì prossimo verrà qui in Salento a vedere la situazione. Ma lo hanno già “blindato”: ad ora le autorità italiane non hanno permesso alla Ong “Peacelink” (accreditata a Bruxelles) e neanche ai comitati locali d’incontrarlo.

Nella sua “Relazione sullo stato di attuazione delle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa in Italia”, datata 6 luglio 2015, il ministero per le Politiche agricole certifica che dall’ottobre 2014 al giugno scorso sono stati effettuati 26.755 analisi campionarie su piante in provincia di Lecce e a Oria (Brindisi), l’87 per cento delle quali su ulivi, il resto su mandorli, oleandri e viti. E tra quelle piante esaminate, 23.867 non mostravano sintomi di contagio da Xylella. Risultati? La positività è stata riscontrata in 612, la negatività in 24.381.
A proposito, annota poi il ministero che “complessivamente in tutta Italia sono state portate a termine quasi 33.600 ispezioni” e “si può dichiarare l’intero territorio italiano ufficialmente indenne da Xylella, a eccezione delle aree delimitate delle Province di Lecce e Brindisi”.
Così adesso si spiega un certo, crescente, malumore a Bruxelles e la richiesta, che stanno mettendo a punto in Commissione, di dettagliati chiarimenti sull’intera faccenda.
Là qualcuno non pensa certo, almeno a stretto giro, di farlo sapere ufficialmente, ma comincia a sentirsi preso in giro. E non solamente per questi numeri. Perché, ad esempio, fin dal maggio scorso l’esito delle analisi effettuate su cinque dei sette ulivi tagliati a Oria il 13 aprile perché “infetti” era risultato sorprendente: solamente due avevano tracce di Xylella e solamente sulle fronde.
E allora, proprio sulla base di queste analisi, a Bruxelles ci si chiede quale senso avesse spedire a far diventare legna da ardere altri quarantacinque ulivi sempre di Oria. Poi, caso Oria a parte, l’Ue si domanda soprattutto perché si sia parlato d’epidemia, di milioni di ulivi da tagliare e di catastrofe agricola. Perché, insomma, il governo italiano descriva, appunto, una “situazione di emergenza non fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.
La domanda ovviamente resta tutta: cosa sta disseccando parecchi ulivi salentini? Visto pure che sempre il nostro governo e sempre nella sua Relazione mette nero su bianco che è stata “esclusa qualsiasi forma inquinante del terreno e dell’ambiente” a fronte del “quadro sintomatologico fitosanitario alquanto complesso tale da definire un nuovo temine tecnico Complesso del disseccamento rapido dell’olivo”.

Sono in ballo finanziamenti da milioni di euro.

E le associazioni sostengono una “verità diversa da quella “finta” e “gonfiata” ufficiale”. Affermano che non si tratta di una epidemia che richiede uno stato di emergenza, che richiede aiuti per centinaia di milioni di euro.

​Il sipario va alzandosi. E la scena via via è sconfortante. Che nemmeno il 2 per cento (quasi l’1,8) del campione degli ulivi salentini analizzati sia risultato positivo alla Xylella ha dovuto adesso metterlo nero su bianco il governo italiano, nella sua relazione ufficiale consegnata una settimana fa alla Commissione europea. Eppure annota anche “la notevole criticità per la gestione di questa emergenza fitosanitaria, unica per la sua specificità” e, addirittura, una “situazione di emergenza che, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.

Fonti ufficiali sostengono che l’estensione dei focolai in Puglia è stata aggravata dalle condizioni climatiche dell’inverno 2013-2014, la cui particolare mitezza non è stata in grado di compiere un abbattimento di massa del vettore sufficiente a contenere la diffusione dell’infezione. Come concausa viene segnalato l’eccessivo sfruttamento agronomico del suolo, il cui humus si è impoverito; che nel 2015 alla distribuzione puntiforme dei focolai della provincia di Lecce se ne è aggiunto anche uno in provincia di Brindisi, nel comune di Oria, che attesta il travalicamento a nord dei precedenti limiti territoriali.

La Xylella è fortemente dannosa e, essendo anche non nativa dell’Europa, i protocolli la classificano come un patogeno da quarantena.

In California, ma anche in altri stati americani e in altri paesi come il Brasile, la Xylella è un problema rilevante, responsabile di numerosi danni agronomici. Non esistono cure.

L’ Europa non ospitava la Xylella  anche se ci fu una segnalazione non confermata in Kosovo nel 1998.

Non si sa come sia sbucata in Italia. Con i traffici commerciali è possibile che un microrganismo possa essere trasportato oltremare mentre tutti sono ignari. La pista investigativa ha poi negli anni successivi portato al Costa Rica, perché la Xylella analizzata ha un profilo genetico che appartiene a quello della sottospecie pauca, proveniente proprio da lì, a quanto pare arrivata tramite una pianta da caffè. Il batterio è trasportato da un insetto particolare che funge da vettore.

Qualcuno ipotizza che ci sia lo zampino della Monsanto.

La magistratura ha anche aperto un’indagine sul fatto che a fini sperimentali sia stato importato un ceppo a Bari, che non si sa come non si sa quando sarebbe stato rilasciato per sbaglio nel Salento. Il fenomeno ha iniziato a manifestarsi nel 2009/2010 nell’entroterra di Gallipoli e nella parte occidentale della penisola salentina. Focolai puntiformi molto virulenti del Complesso del disseccamento rapido dell’olivo sono segnalati su ulivi in tutto il Salento e nella provincia di Lecce, con centinaia di impianti già appassiti e morti.

Vedremo cosa concluderà, mentre il parere degli esperti è che non ci siano stati rilasci.

Immediatamente le autorità scientifiche si sono concentrate su di essa e hanno disposto l’allarme per la contaminazione, che si potrebbe estendere rapidamente, e per la ricerca del vettore. L’esportazione delle barbatelle da vigna è stata proibita in via precauzionale, per esempio. La Regione Puglia ha iniziato a emettere comunicati, forse poco cauti dato che nella popolazione si diffondono agitazione e allarmismo.

La rilevazione di Xylella fastidiosa nei tessuti vegetali viene effettuata presso il laboratorio Basile Caramia di Locorotondo, con un protocollo dell’Istituto di virologia vegetale, dal Cnr e dall’Università di Bari.

Ogni risultato positivo viene messo poi a conferma presso il laboratorio di riferimento a Bari. In media vengono analizzati 150 campioni al giorno, ciascuno pagato 10 € dal Servizio Fitosanitario Regionale. I test per la presenza di Xylella sono stati confermati non solo per gli ulivi, ma anche per verbena odorosa, oleandro, ciliegio, mandorlo, alcune varietà di mirto, ranno lanterno e rosmarino (generi Aloysia, Nerium, Prunus, Myrtus, Rhamnus, Rosmarinus). Si contano numerosi focolai sparsi a macchia di leopardo. Anche per questo le reazioni degli agricoltori del luogo sono contrastanti: alcuni lamentano morie impressionanti, altri praticamente cascano dalle nuvole.

Il vettore invece è stato scoperto dopo pochi mesi: è la sputacchina media (Philaenus spumarius), ordine Rhynchota.

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In Italia ormai l’unica logica che sembra contare è quella che vede come unico fine la sicurezza, nessuno si pone domande e cerca risposte, metodi alternativi all’abbattimento degli alberi.

Qualcuno ha forse pensato che per eliminare la Xylella sia innanzitutto necessario ripulire i terreni lasciati all’incuria dove è possibile che trovi condizioni ideali per riprodursi e diffondersi? Nessuno.

Gli abbattimenti sono ripresi dopo quelli del 13 aprile scorso e guarda caso stanno interessando alcuni alberi piantati nella stessa zona di quelli che, pochi mesi fa, hanno avuto lo stesso destino. Alcuni di questi ulivi erano centenari e le loro coltivazioni sono più che una fonte alimentare ed economica: sono oltre 2000 anni di storia e cultura, simbolo dell’identità italiana e pugliese.

Il Corpo Forestale dello Stato, invece di essere impiegato per far mantenere pulite e in ordine le campagne, che solitamente si trasformano in discariche pericolose perchè facilmente infiammabili, ha predisposto un cordone di sicurezza che impedisce a chiunque di avvicinarsi alla zona delle eradicazioni al fine di evitare eventuali disordini da parte di manifestanti contrari alle misure che si stanno adottando per contrastare la diffusione della Xylella Fastidiosa, il batterio che provocherebbe l’essiccazione degli ulivi.

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Tutte le vie di accesso ai campi siti lungo la Oria-Carosino, zona in cui le motoseghe stanno abbattendo gli alberi in questo momento, sono bloccate.

Si sa a malapena come contenere la diffusione della malattia e le zone colpite sono solo una parte della produzione olivicola regionale. Il timore è che l’infestazione giunga ai centri di Andria-Cerignola-Bitonto, e da lì in poi continui a propagarsi nella penisola (il che sarebbe una catastrofe).

Per questo il piano proposto fin da subito è totalmente drastico: estirpare le piante in una zona di quarantena con fascia-cuscinetto di sicurezza circostante.  Sono tanti i terreni con ulivi non coltivati  pieni di sterpaglie su cui non si agisce. Mentre vengono  stabilite varie “misure agronomiche da attuare negli uliveti” (arature, potature regolari, falciature) e un “piano di controllo degli insetti vettori e potenziali vettori” mediante l’applicazione di insetticidi sistemici sull’intero ecosistema agrario.

Anche l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha rilasciato un parere tecnico-scientifico che porta a cercare di impedire ogni possibilità di contaminazione al di fuori delle zone colpite, temendo che il vettore non sia contenuto e che le misure agronomiche abbiano effetti deleteri sull’ambiente; mentre l’Unione Europea vuole mettere in quarantena buona parte del Salento. Il caso mediatico cresce.

A opporsi, oltre ad alcuni gruppi di agricoltori, sono i responsabili dei parchi naturali, poiché i trattamenti generali sono eccessivi per le aree protette secondo la legislazione.
Chi ci guadagna? Chi ci rimette?

Ci sono finanziamenti comunitari sia per il miglioramento della condizione di uliveti mal curati (e che facilmente vengono contagiati e quindi destinati all’espianto) sia per il piano di contenimento regionale (“bonifica” delle zone demaniali ed estirpazione, demaniale e privata). Per le estirpazioni non ci sono risarcimenti, mentre i fondi per i ricercatori a Bari languono. Sono domande che rappresentano una situazione di preoccupazione, confusione, timore e sensazione di essere presi in giro, diffusa fra gli abitanti. I produttori locali sono piuttosto sconfortati per varie ragioni:

la gestione del problema ha una cattiva tempistica ed emergono notizie confuse di primi focolai di disseccamento rinvenuti già nel 2010 se non nel 2008 (molto prima dell’outbreak ufficiale);
la prevalenza della Xylella negli alberi affetti dalla malattia manca all’inizio di dati chiari con pubblicazione esclusiva di quelli sui primi campionamenti totali, i quali erano stati fraintesi nei rilevamenti a campione (che confermavano circa 400 campioni positivi su 16.000 campioni casuali totali riguardanti piante sia sane che malate);
c’è impazienza sull’esito dei test di patogenicità;
mancano risposte su una possibile cura e sui stanziamenti per la ricerca i cui fondi languono;
l’ingente utilizzo di insetticidi e l’inquinamento della falde suscitano preoccupazione per la salute pubblica, nonché per il danneggiamento della fauna;
attualmente non ci sono indennizzi per i proprietari di oliveto che stanno andando incontro a espianto forzato.

Intanto il tempo passa e la situazione si fa sempre più caotica nei comunicati: ora eradicare, ora solo trattare, ora estirpare di nuovo, ora lasciar stare. I coltivatori locali si spazientiscono dopo tanti allarmismi. Ma a oggi, il Corpo Forestale definisce la situazione  fuori controllo.




ITALIA – Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (dopo Napolitano)

Non deve essere stato facile andar via, come non lo è stato, tre anni fa, restare.  Se non altro per abitudine. Dopo quasi nove anni, unico presidente della storia repubblicana rieletto alla carica più alta dello Stato,  Giorgio Napolitano, il 15 gennaio, ha lasciato il Quirinale. Alcuni affermano che,considerando i tempi, sia stato il miglior presidente che potessimo avere, altri sostengono che sia, invece, stato il peggiore dei presidenti della Repubblica italiana.

E’ certo che non è stato il presidente della Giustizia e della Legalità: in nove anni ha fatto distruggere le intercettazioni Stato-mafia, ha firmato il Lodo Alfano e il Legittimo impedimento; non è stato nemmeno il presidente del Popolo che lavora e produce: ha firmato  la Riforma Fornero, il Job act e lo Sblocca Italia.

La corsa alla successione è già iniziata: il primo voto è previsto il 29 gennaio,  il 31 potrebbe essere eletto il nuovo Capo dello Stato, a maggioranza semplice. Da ambienti Pd filtra intanto la prima rosa di nomi. Sono in sei: Amato, Fassino, Finocchiaro, Mattarella, Padoan e Veltroni.

Possiamo solo augurarci che vinca il migliore!