Dottor Jekyll o mister Hyde? Ecco chi ha vinto le primarie

L’analisi dell’Istituto Cattaneo sulle primarie del Partito Democratico di domenica 30 aprile che hanno assegnato la schiacciante vittoria al segretario uscente Matteo Renzi (a fronte di un calo di partecipazione di un terzo rispetto alla consultazione precedente)  conferma quanto già sottolineato da diverse analisi dei flussi: l’invecchiamento del popolo democratico.

Dal 70% l’ex premier passa al 69,2% (1.257.091 i voti ottenuti). Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che aveva contestato i conteggi, recupera uno 0,5% e sale al 20% (con 362.691 voti). Mentre il governatore della Puglia Michele Emiliano conferma un pieno 10,9% (con 197.630 voti).

In totale gli elettori sono stati 1.839.000, circa un milione in meno rispetto alla precedente tornata del 2013. I voti validi sono stati 1.817.000. In tutta Italia, ad eccezione di Puglia, Basilicata e Abruzzo, si è registrato un forte calo di votanti, specialmente nelle regioni rosse. Ai gazebo del Pd quattro votanti su dieci erano over 65. La base del partito invecchia.

Quanto all’Assemblea nazionale del Pd, che domenica 7 maggio dovrà ratificare il voto delle primarie e proclamare formalmente Renzi segretario, l’attribuzione su base regionale dei 1.000 componenti eletti al supremo organo rappresentativo del partito  è la seguente: Renzi 700 delegati, Orlando 212, Emiliano 88.

Tra gli ulteriori 100 delegati di diritto scelti fra i parlamentari, il gruppo dem al Senato ha eletto 24 senatori: Ignazio Angioni, Teresa Bertuzzi, Daniele Borioli , Massimo Caleo, Laura Cantini, Rosaria Capacchione, Valeria Cardinali, Roberto Cociancich, Emilia De Biasi, Camilla Fabbri, Emma Fattorini, Elena Fissore, Nicola Latorre, Sergio Lo Giudice, Andrea Marcucci, Pina Maturani, Venerina Padua, Giorgio Pagliari, Annamaria Parente, Raffaele Ranucci, Francesco Russo, Roberto Ruta, Maria Spilabotte e Stefano Vaccari.




ITALIA – Strasburgo processa l’Italia. Primo rinvio dell’udienza Ilva

La Corte europea dei Diritti dell’uomo accusa lo Stato italiano di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini. Primo rinvio,invece, per il dibattimento in Corte d’Assise. Prossima udienza il 14 giugno. Sono 44, tra persone fisiche e società, gli imputati alla sbarra nel processo per disastro ambientale. Molti gli «eccellenti».

Il processo sul presunto disastro ambientale prodotto dall’Ilva di Taranto subisce il primo rinvio. Per un difetto di notifica evidenziato dall’avvocato di un funzionario dell’azienda, la Corte d’Assise di Taranto presieduta dal giudice Michele Petrangelo, dopo una camera di consiglio durata tre ore, ha aggiornato il dibattimento al prossimo 14 giugno. A dire il vero il processo nei giorni scorsi ha rischiato un altro stop, a fronte della ricusazione del giudice Petrangelo da parte di uno degli imputati, l’ex assessore provinciale all’Ambiente Michele Conserva. Il cui avvocato aveva posto eccezione di legittimità, in quanto Petrangelo e il giudice a latere Fulvia Misserini avevano fatto parte in passato del collegio del Riesame che in due momenti diversi, aveva respinto i ricorsi presentato dallo stesso contro il suo arresto avvenuto il 26 novembre del 2012.

Lo scorso dicembre il processo sull’Ilva, iniziato il 20 ottobre, dopo due udienze tornò all’udienza preliminare, in quanto la Procura aveva sollevato eccezione di nullità per un errore procedurale. Ovvero la mancata indicazione nel verbale del difensore d’ufficio per dieci imputati sprovvisto in quella occasione del legale di fiducia. Dopo il nuovo rinvio a giudizio di tutti gli imputati deciso lo scorso 29 febbraio, ieri è iniziato il nuovo dibattimento nell’aula «Enrico Alessandrini» del tribunale di Taranto.

Sono 44 tra persone fisiche e società gli imputati di quello che viene definito il più grande ed importante processo per disastro ambientale in Italia e in Europa. Tra gli imputati eccellenti ci sono i fratelli Fabio e Nicola Riva, l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, l’ex presidente della Provincia Gianni Florido, l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, gli ex direttori di stabilimento Luigi Capogrosso e Adolfo Buffo, l’ex direttore di Arpa Puglia Giorgio Assennato, e il deputato di Sel (ex assessore regionale) Nicola Fratoianni. L’elenco delle contestazioni comprende, tra gli altri, i reati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento delle acque o di sostanze alimentari, concussione aggravata, corruzione in atti giudiziari, getto pericoloso di cose, omissione di atti di ufficio, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e due omicidi colposi.

In aula era presente anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Il governatore ha dichiarato di aspettarsi che il processo faccia giustizia e soprattutto sveli la verità sulle vicende Ilva. Durante l’udienza si è affacciato anche l’ex storico procuratore di Taranto, Franco Sebastio, che ha guidato il pool che ha condotto l’inchiesta. L’aula non è riuscita a contenere tutte le parti processuali e il pubblico, davanti alla Corte d’Assise. Anche oggi alcune decine di nuove costituzioni di parti civili (oltre mille quelle già accettate), tra cui quella dell’Asl di Taranto, sono state presentate: contro le quali l’avv. Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, ha presentato eccezione di nullità perché si tratta di richieste di costituzione in giudizio non presenti nell’atto di citazione del nuovo processo. L’unico imputato presente in aula è stato l’avv. Francesco Perli, uno dei legali della famiglia Riva ai tempi della gestione dell’Ilva.

E proprio nella giornata di ieri, è arrivata da Strasburgo la notizia che lo Stato italiano è formalmente sotto processo di fronte alla Corte europea dei diritti umani, con l’accusa di non aver protetto la vita e la salute di 182 cittadini di Taranto dagli effetti negativi delle emissioni del siderurgico tarantino. La Corte ha infatti ritenuto sufficientemente solide, in via preliminare, le prove presentate, e ha così aperto il procedimento contro l’Italia. A rivolgersi a Strasburgo sono stati, nel 2013 e nel 2015, 182 cittadini che vivono a Taranto e nei comuni vicini. Il primo gruppo di 52 persone, ha presentato ricorso attraverso il comitato cittadino Legamjonici, mentre il secondo di 130 è capeggiato dall’attuale consigliere comunale di Taranto, Lina Ambrogi Melle, dei Verdi.




ITALIA – Regioni del Sud al limite sul fronte accoglienza: decessi e proteste

Trecentonovantacinque migranti di diverse nazionalità, tra cui siriani e subsahariani, sono sbarcati  a Crotone dal rimorchiatore di altura norvegese “Siem Pilot St Avangar”. Tra loro 150 minori, tanti bambini e alcuni neonati, 24 donne di cui due incinte. Dopo il controllo da parte degli agenti della polizia, gli immigrati sono stati prima accolti dai volontari per il primo soccorso e poi trasferiti al centro d’accoglienza di Sant’Anna.

La Prefettura di Crotone, che ha coordinato le procedure per il primo soccorso e l’accoglienza, informa che sono già stati fermati 10 presunti scafisti.

Temporaneamente ospitati presso il C.D.A./C.A.R.A. di Isola di Capo Rizzuto ai fini della pre-identificazione, saranno nei  trasferiti – secondo un piano di riparto del Ministero dell’Interno – in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Campania.

PUGLIA – E’ stata eseguita  nell’Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari l’autopsia sul corpo del 52enne tunisino morto martedì scorso in un’azienda di Polignano a Mare. Il pm Grazia Errede ha affidato l’incarico al professor Francesco Introna il quale dovrà stabilire le cause del decesso e se siano la conseguenza di un infortunio sul lavoro. Stando alla ricostruzione l’uomo si è sentito male alla fine del turno di lavoro nei campi dove caricava cassette di uva.

Al termine di un turno di otto ore all’aperto, avvertendo un malore l’uomo ha deciso di prendere un caffè al distributore dell’azienda. Giunto davanti alla macchinetta, il 52enne si è accasciato al suolo privo di sensi.

Soccorso da una collega, all’arrivo del 118 per il bracciante non c’era più nulla da fare. Residente a Fasano da diversi anni, dai primi accertamenti l’uomo risultava assunto con regolare contratto dall’azienda, anche se i Carabinieri stanno eseguendo verifiche sul contratto per verificarne la validità. Il gip ha disposto l’autopsia sul corpo del 52enne per verificare l’origine del malore che ha causato la morte e capire se poteva essere evitata.

LECCE – Tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati della Procura di Lecce per la morte di Mohamed, il 47enne sudanese stroncato da un malore mentre lavorava come bracciante irregolare, sotto il caldo torrido – la temperatura sfiorava i 40 gradi – in un campo di pomodori fra Nardò e Avetrana. Gli indagati sono i titolari dell’azienda agricola Mariano, marito e moglie, e il caporale sudanese che avrebbe svolto il ruolo di intermediario fra gli imprenditori e i lavoratori.

Il sostituto procuratore Paola Guglielmi ipotizza per ora il solo reato di omicidio colposo, ma è probabile che altre ipotesi si aggiungeranno presto all’elenco delle imputazioni: i primi controlli effettuati dai carabinieri della compagnia di Campi Salentina – guidati dal maggiore Nicola Fasciano – stanno portando alla luce un quadro di diffusa illegalità. Mohamed, stando alle prime ricostruzioni, era in possesso di permesso per stare in Italia in quanto richiedente asilo, ma non aveva un contratto di lavoro.

Irregolari anche altre due braccianti straniere, che quando l’hanno visto accasciarsi sulla terra hanno cercato di soccorrerlo. In regola con il contratto, ma non con altre norme sulla sicurezza sul lavoro, le altre 28 persone che lavoravano nella stessa porzione di terreno. Per questo gli accertamenti saranno effettuati a 360 gradi, sia sotto il profilo penale sia sotto quello prettamente professionale, tramite una serie di verifiche affidate anche agli ispettori dell’Inps.

L’azienda in cui è avvenuto l’incidente, del resto, già nel 2012 era finita nel mirino della Procura con l’arresto del titolare Giuseppe Mariano, coinvolto nell’operazione ‘Sabr’ sullo sfruttamento dei braccianti nei campi, insieme con tutti i più grossi imprenditori della zona. Da allora, e nonostante gli arresti, nulla è cambiato nelle campagne di Nardò e dell’hinterland.

I migranti continuano a lavorare in condizioni disumane, i caporali a fungere da intermediari e molti imprenditori a non rispettare completamente le regole. La situazione in cui lavoravano Mohamed e i suoi compagni lo dimostrerebbe in pieno: per ore chinati sotto il sole, con temperature che nei giorni scorsi hanno toccato i 40 gradi. Quelli che segnavano appunto i termometri nelle campagne verso Avetrana.

Cordoglio per la scomparsa del 47enne è stato espresso dal governatore Michele Emiliano: “Si tratta dell’ennesimo incidente sul lavoro, questa volta ancora più angosciante per la dinamica, visto che il bracciante, cittadino sudanese, probabilmente è morto a causa del gran caldo che imperversa in questi giorni, ancor di più sensibile nei campi di pomodori del Salento dove stava guadagnando la giornata. Il tragico episodio ci ricorda che a svolgere determinati lavori sono in gran parte immigrati da Paesi lontani”.

“Mohammed aveva i documenti in regola e faceva proprio il bracciante per professione – ha proseguito il governatore – Lo vogliamo ricordare a chi guarda a questi operai come ladri di lavoro, mentre con il loro sacrificio fanno funzionare pezzi di un’economia che vogliamo sempre più sana e sicura”. Emiliano si è detto sicuro “che magistratura e investigatori faranno luce sulle condizioni di lavoro in quella azienda agricola, perché a volte l’intreccio fra manodopera irregolare e poca chiarezza sulle imprese è fatale per gli anelli più deboli della catena”.

Sulla vicenda interviene anche Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil: “Questa morte non può restare un fatto di cronaca estiva, è un atto di accusa verso un mercato del lavoro agricolo colpito in modo forte dalla piaga dello sfruttamento”.

SALENTO – A Torre Chianca due salentini si sono accaniti su un ambulante 17enne in spiaggia: indagati per tentato omicidio, uno è sorvegliato speciale. Cori razzisti dei bagnanti contro la vittima e i poliziotti

Prima gli hanno rubato un paio di occhiali. E quando l’ambulante diciassettenne originario della Nuova Guinea ne ha chiesto la restituzione, lo hanno picchiato selvaggiamente, trascinato in mare e tenuto con la testa sott’acqua per diversi minuti. Il tutto sotto gli occhi dei bagnanti, che non solo non hanno aiutato il ragazzo, ma all’arrivo della polizia hanno circondato le volanti, facilitando la fuga di uno dei due aggressori e inveendo contro gli agenti e la vittima con frasi pesanti dal chiaro contenuto razzista.

Il pomeriggio di ordinaria follia ha avuto come teatro la spiaggia di Torre Chianca (a pochi chilometri da Lecce) e come protagonisti due giovani del capoluogo già noti alle forze dell’ordine, Federico Ferri e Mirko Castelluzzo, rispettivamente di 25 e 37 anni, arrestati per tentato omicidio al termine di un’indagine lampo della squadra volante della polizia di Stato, guidata dalla dirigente Eliana Martella. Entrambi vengono ritenuti vicini a gruppi della criminalità leccese che operano nel capoluogo: Castelluzzo è un sorvegliato speciale con obbligo di dimora, che non aveva remore a scontare sulla spiaggia in compagnia degli amici.

I due uomini, stando alla ricostruzione effettuata, avrebbero mercanteggiato con il venditore ambulante per qualche minuto e poi avrebbero sottratto un paio di occhiali dalla sua cesta. Il ragazzo se ne sarebbe accorto, chiedendone la restituzione e scatenando così la furia dei due leccesi. Alle botte è seguito il trascinamento in mare e poi quel tenerlo sott’acqua, che ha configurato l’ipotesi di tentato omicidio, condita da minacce rivolte ai presenti affinché si facessero “i fatti loro”.

Il migrante sarebbe poi riuscito a liberarsi e a scappare, chiedendo aiuto ai bagnanti, nessuno dei quali gli ha dato un cellulare per poter avvisare le forze dell’ordine. Una telefonata anonima al 113 ha determinato l’intervento delle volanti, ai cui agenti la vittima ha raccontato tutto con dovizia di particolari: “Mi tenevano con la testa sott’acqua, credevo di morire”.

Quando è riuscito a uscire dall’acqua, il diciassettenne era molto dolorante, essendo stato colpito in diverse parti del corpo (faccia, testa, collo, zigomo sinistro), comprese quelle intime, tanto che è stato condotto in ospedale, dove è stato sottoposto alle cure del caso e poi dimesso con una prognosi di dieci giorni. Al termine della brutta avventura il ragazzo è stato riaccompagnato a casa, dove abita con la famiglia, composta da lavoratori, tutti in regola con i permessi di soggiorno.

Le indagini dei poliziotti hanno inoltre consentito di identificare e denunciare per offese a sfondo razziale altre tre persone (una di loro anche per furto), che durante le fasi concitate di intervento della polizia, hanno inveito contro l’immigrato, rubandogli anche altre cinque paia di occhiali e i 40 euro, magro guadagno di un’intera giornata di lavoro sotto il sole.

Nella notte – poche ore dopo l’arresto di Ferri e Castelluzzo – un ordigno è esploso nei pressi dello stabilimento balneare ‘La Cambusa’ davanti al quale è avvenuta la brutale aggressione, danneggiando gravemente alcune cabine e magazzini. Difficile ipotizzare, al momento, se i due episodi siano collegati e se la presenza della bomba sia stata un segnale intimidatorio rivolto ai proprietari del lido in relazione a quanto accaduto il pomeriggio. Gli investigatori della squadra mobile diretti da Sabrina Manzone, però, non escludono alcuna possibilità e hanno già acquisito le immagini delle videocamera di sorveglianza installate nella zona.

SARDEGNA – Mentre prosegue la protesta a Cagliari dei migranti eritrei che vogliono lasciare l’isola,  sono sbarcati a Sant’Antioco e Teulada altri 15 nordafricani. Secondo i primi accertamenti si trovavano a bordo di due barchini, uno dei quali è stato già trovato, mentre il secondo sarebbe stato avvistato da una motovedetta. Cinque dei profughi sono stati intercettati dai carabinieri a Sant’Antioco, mente gli altri dieci sono stati rintracciati poco più tardi nella zona delle saline di Teulada. Sono tutti giovani nordafricani e in buone condizioni di salute, una parte dei migranti è stata già trasferito al centro di prima accoglienza di Elmas.

PROFUGHI ERITREI – E’ ripresa poco dopo  la protesta dei migranti eritrei davanti agli ingressi dei traghetti al porto di Cagliari. I profughi – 80/100 tra uomini e donne – che si trovavano in piazza Matteotti e nella zona del porto dove hanno trascorso la notte, sono tornati ai cancelli dei traghetti e chiedono di poter lasciare la Sardegna, come fatto  dai 56 connazionali. La Polizia sta controllando la situazione. Per molti di loro la partenza non sarebbe possibile a causa della mancanza di documenti e di denaro per acquistare i biglietti della nave Tirrenia. Chi invece è in possesso di documentazione e biglietto, come già accaduto, in giornata potrebbe lasciare l’isola. Alcuni dei profughi avrebbero già detto di essere disponibili a tornare nelle strutture di accoglienza, visto che molti di loro arrivano da altre province dell’isola.

IN 56 HANNO GIA’ LASCIATO LA SARDEGNA – Sono partiti  con il traghetto della Tirrenia diretto a Civitavecchia, 56 dei 120 migranti eritrei che ieri mattina si sono presentati davanti ai cancelli degli imbarchi del porto di Cagliari, chiedendo di poter lasciare la Sardegna e raggiungere altre nazioni europee. Tra di loro ci sono 25 donne e un minorenne. Quattordici dei profughi erano arrivati nello sbarco del 18 luglio scorso, mentre gli altri fanno parte dei 435 arrivati a Cagliari dalla nave della Marina tedesca sabato scorso. I 56 migranti, che erano ospiti di strutture ricettive nel Cagliaritano, sono in possesso di biglietto e di documenti validi. Da valutare la posizione degli altri arrivati da altre province dell’isola.

Il QUESTORE DI CAGLIARI – “Bisogna prendere atto che si tratta di un fenomeno storico epocale che non riguarda certo l’Italia, ma tutta l’Europa, soprattutto il nord Europa. L’Italia sta dando prova di essere un paese di grande umanità e accoglienza”. Lo ha detto all’ANSA il questore di Cagliari, Filippo Dispenza, commentando la protesta dei profughi eritrei al porto del capoluogo. “E’ un fenomeno epocale e storico dettato da guerre, carestie e condizioni di vita impossibili – ha evidenziato ancora Dispenza – bisogna puntare sui sistemi di sviluppo economici, sociali e politici nei paesi di origine e puntare sulla pacificazione”. In riferimento ai migranti che chiedono di lasciare la Sardegna ha aggiunto: “Sono persone che sono sottoposte a forme di protezione internazionale, non sono prigionieri ma sono ospitati in strutture di accoglienza della Regione e, una volta identificati, sono liberi di uscire e rientrare. Devono rispettare chiaramente certe regole, come l’assenza prolungata (tre giorni) dalle strutture in cui sono alloggiati, per non perdere il diritto all’ospitalità. Devono poi rispettare le norme del vivere civile, le regole e le leggi vigenti”, ha concluso il questore.

CAMPANIA – La Campania è la quarta regione in Italia, dopo Lombardia, Sicilia e Lazio per il numero di profughi da accogliere. L’epicentro della protesta è Varcaturo dove i residenti hanno protestato davanti all’Hotel di Francia, un albergo di lusso, come ricorda linkiesta, trasformato in centro di accoglienza. Lo scenario si è ripetuto a Licola Mare nei pressi dell’Hotel Panorama. Anche lì dopo le proteste dei residenti davanti all’Hotel Panorama è scoppiata una rissa tra profughi che è stata sedata dalle forze dell’ordine. La situazione appare fuori controllo a Giugliano. Circa 900 su 2300 sono concentrati in 8 centri. Il sindaco ha chiesto al Prefetto di Napoli di bloccare nuovi arrivi.

“Il Prefetto, su mia sollecitazione, – ha dichiarato Poziello – ha escluso il Comune di Giugliano dalle nuove gare in corso per la collocazione in strutture ricettive di migranti richiedenti asilo. Ciò in considerazione dell’elevato numero di richiedenti già presenti sul territorio”. Intanto altri venti immigrati sono stati “dirottati” sabato scorso per motivi di ordine pubblico da Acerra all’Hotel Bella Mbriana, altro centro di accoglienza nel giuglianese, dopo che gli acerrani avevano protestato per l’arrivo del bus carico di profughi. “Siamo stanchi e spaventati, – affermano alcuni cittadini giuglianesi a Linkiesta – è un’invasione. Ormai loro sono diventati più di noi e quindi si sentono forti, non è la prima volta che avvengono episodi del genere come la rissa di martedì”. La rabbia degli italiani e dei campani diventa sempre più pressante.




ITALIA – Sperimentazione e ricerca per sconfiggere la Xylella. Gli esiti di Corigliano

L’europarlamentare Rosa D’Amato e il consigliere regionale Cristian Casilli del M5s hanno riunito, presso la masseria Appidè di Corigliano d’Otranto, un folto gruppo di ricercatori.

Secondo quanto riportato da “LecceCronaca”, c’ erano il professor Pietro Perrino, ex dirigente del CNR di Bari, il batteriologo Marco Scortichini, e pure il ricercatore noto all’universo scientifico internazionale Cristos Xiloiannis. Non solo ricerca e sperimentazione: ad infoltire il gruppo degli invitati anche uomini di legge di spicco nella questione xylella fastidiosa, con avvocati come Giovanni Pesce e Luigi Paccione. Invitato anche il Presidente della Regione Michele Emiliano il quale, non potendo presenziare, ha inviato ad assistere e a intervenire un suo delegato, Gabriele Papa Pagliardini. Presente anche Rosario Centonze, Presidente dell’Ordine degli Agronomi e Forestali di Lecce.

Ad accogliere l’invito Copagri, nella persona di Fabio Ingrosso, Federbio, contadini, uomini e donne dei presidi, cittadini attivi, giornalisti e tutti coloro i quali hanno a cuore il futuro della terra salentina.

Assenti illustri: Giuseppe Silletti e i ricercatori del CNR di Bari e dell’EFSA che,  invitati, non si sono presentati all’incontro.

Sono emerse soluzioni alternative al taglio volte alla salvaguardia del territorio e della biodiversità.

Se gli avvocati Pesce e Paccione hanno offerto la loro esperienza tecnica per dimostrare quanto la burocrazia che ruota attorno a questa vicenda, sebbene intricata, sia assolutamente impugnabile perché pregna di lacune, dall’altro il rappresentante regionale Gabriele Papa Pagliardini ha sottolineato come la Regione Puglia non intenda procedere allo sterminio, ed è disponibile ad una ricerca aperta a 360°. Inoltre, sottolinea Gagliardini Papa come la Regione, la quale ha disponibili due milioni di euro per finanziare la ricerca, sia interessata a pubblicare dei bandi per far sì che lo studio sulla questione xylella sia libero ed accessibile a chiunque, associazioni o comitati compresi.

Quanto mai vicino a chi difende il territorio salentino e la sua stessa salute, è stato l’intervento del professor Pietro Perrino, ex direttore del CNR di Bari ormai in pensione.

Il professor Pietro Perrino è stato illuminante: innanzitutto parla di complesso di disseccamento rapido, e questo è un fatto molto significativo, perché nessuna delle ricerche eseguite sulla questione salentina prevede come soluzione ultima l’abbattimento. Dice Perrino: “Ma allora è un fatto politico. E’ una scelta di interessi, di lobby economiche, politiche!”

Secondo il professor Perrino così come la soluzione non può essere l’abbattimento degli ulivi, non può e non deve allo stesso modo essere la sostituzione delle varietà suscettibili con varietà resistenti. La biodiversità è un elemento che deve essere tutelato e difeso, e se esistono delle varietà d’ulivo più suscettibili deve essere il ricercatore, l’agronomo, lo stesso contadino a renderle resistenti,  attraverso buone pratiche agronomiche. Chi ha proposto la sostituzione delle piante più suscettibili con altre più resistenti ha l’unico scopo di non cambiare modello agricolo, ha quindi l’obbiettivo di mantenere inalterata una metodologia agricola che si fonda sull’uso di pesticidi, erbicidi, acaricidi, rientrando a pieno titolo in un business mondiale che non si vuole in alcun modo intaccare.

I pesticidi, infatti, continua il proessor Perrino, ed in particolar modo il glifosate, distruggendo i microrganismi, abbattono gli organismi necessari a produrre nutrienti indispensabili alla pianta per vivere. Non solo. Il RoundUp, glifosate per eccellenza, ossida gli elementi presenti nel suolo, pertanto la pianta non riuscendo a nutrirsi si indebolisce, rendendosi più suscettibile ai patogeni.

Il ricercatore Cristos Xiloiannis, sulla stessa scia di Perrino, prosegue sostenendo l’insensatezza di continuare a parlare solo di batterio e vettore. E’ necessario che una ricerca libera ed aperta si occupi dell’ecosistema e dell’emergenza di sostenibilità.

Perché non limitare il batterio potando le piante? Perché non si è pensato di utilizzare il compost e le acque reflue urbane per migliorare la sostenibilità agricola pugliese? Domande essenziali secondo il ricercatore Xiloiannis che con il cambio politico necessitano di risposte forti, a partire da un ampliamento del comitato tecnico scientifico, che migliori la qualità e le competenze di quello esistente.

Interessante il punto di vista espresso nell’intervento telefonico del batteriologo Marco Scortichini, il primo batteriologo interpellato ad oggi sulla questione. Sino a questo momento, infatti, fra tutti i ricercatori e gli esperti, primo fra tutti il professor Donato Boscia, che si sono occupati della fitopatia dall’inizio, non esiste un batteriologo, ma solo virologi. Il batteriologo sta sperimentando una soluzione alla fitopatia e sta ottenendo risultati incoraggianti: il principio seguito dal professor Scortichini è il medesimo seguito per contrastare, come lui stesso sostiene, altre importanti fitopatie. La soluzione che brevetterà, è a base fra gli altri di rame, zinco, idracidi ed acido cidrico. E’ un prodotto che migliora la resistenza della pianta ed allo stesso tempo ha un’azione battericida, molto simile ad un prodotto che si usa comunemente in agricoltura biologica.

Anche Fabio Ingrosso, Presidente di Copagri, ha presentato la ricerca e la sperimentazione che il suo team sta eseguendo, sottolineando come sia una cura “omeopatica” per gli ulivi. Una cura, che Fabio Ingrosso ammette, dopo soli quaranta giorni ha prodotto una risposta positiva sulle piante.

E quindi cosa causa la patogenicità negli ulivi? Xylella, qualcos’altro o l’uomo stesso?

Molti i quesiti emersi da questo incontro “alternativo”.

Perché questi agronomi, questi ricercatori, questi studiosi, questi professori che più e più volte hanno chiesto alla ricerca barese di cercare soluzioni alternative all’abbattimento, che hanno sottolineato come l’abbattimento non fosse la soluzione, che hanno evidenziato come l’uso di pesticidi avrebbe avuto come ultimo effetto la malattia e la morte dell’ambiente e dell’uomo, non sono mai stati prese in considerazione?

Perché questi uomini non sono stati inclusi nella ricerca, né in nessuno dei convegni organizzati sino a questo momento dalla Regione Puglia?

Perché l’intervento dello stesso Marco Scortichini, unico batteriologo intervenuto sulla questione e richiesto da Peacelink, è stato evitato durante l’incontro in Prefettura? Perché il Ministro Martina ha ritenuto la sua autorità più alta e quindi più competente di un esperto in materia?

E’ lecito pensare che gli interessi in questo paese siano sempre al primo posto e che quando si parla di finanziamenti da milioni di euro, qualunque sia la questione diventa sempre un affare riservato a pochi intimi, anche se le conseguenze riguardano tutti.




ITALIA – Tragedia nel barese: 6 morti e 10 feriti. Esplode la Bruscella Fireworks

foto Milella copia

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso il “suo profondo dolore” per le vittime della grave esplosione avvenuta in una fabbrica di fuochi d’artificio di Modugno (Puglia), che è costata la vita di sette persone e il ferimento di altre cinque, e si è augurato che “si faccia al più presto piena luce sulla dinamica dell’incidente”.

L’impianto si trova poco fuori dell’abitato di Modugno, in direzione di Bitritto, ed è in una zona di campagna circondata da un boschetto che ha preso fuoco in seguito all’esplosione. Sul posto, oltre alle squadre dei vigili del fuoco al lavoro da terra, sono arrivati anche due Canadair. Secondo una prima ricostruzione, ad esplodere per primo sarebbe stato un furgone e successivamente la deflagrazione si sarebbe estesa a tutta la fabbrica.

Prima uno scoppio in un furgone carico di fuochi d’artificio, poi altre esplosioni a catena in tutta la fabbrica che diventa un rogo mentre le fiamme si propagano anche a un bosco vicino. E’ arrivata così la morte per sei operai che lavoravano nella fabbrica di fuochi di artificio Bruscella Fireworks alla periferia di Modugno, a due passi da Bari. Fra le vittime ci sono anche due indiani e un albanese. Sono una decina le persone rimaste ferite nell’esplosione della fabbrica di fuochi d’artificio Bruscella di Modugno. Cinque feriti sono stati trasportati in diversi ospedali della zona, ma le condizioni di uno di loro sono poi peggiorate e l’uomo è tra le vittime accertate. Lo si è appreso dal coordinamento del 118 di Bari. Al Policlinico sono ricoverati tre feriti, due nel reparto di Rianimazione e uno nel Centro Ustioni con il 40% del corpo interessato dalle bruciature. Altri due feriti, che presentano ustioni profonde diffuse su gran parte del corpo, sono in fase di trasferimento al Centro grandi ustionati dell’ospedale Perrino di Brindisi e al Centro Ustioni di Napoli. Alcune persone rimaste ferite in modo lieve, invece, sono state medicate da personale del 118 nell’area adiacente a quella interessata dalla esplosione.

Due suoi fratelli, co-titolari dell’azienda, Antonio e Vincenzo, erano in fabbrica al momento dell’esplosione: il primo è rimasto illeso, l’altro ha riportato ferite lievi. Illesa anche un’altra sorella, Angela, che lavorava nell’amministrazione, ma fra le vittime ci sarebbe suo marito che si trovava lì per caso. La tragedia è avvenuta attorno a mezzogiorno, mentre in fabbrica si lavorava a pieno regime per preparare i fuochi destinati alle feste patronali che si susseguono in questo periodo in Puglia. L’esplosione è stata tremenda e ha provocato un boato che è stato sentito anche nei paesi vicini. Tanto che alcuni testimoni hanno pensato a un terremoto o al crollo di un palazzo.

La fabbrica è andata completamente distrutta: ci sono volute ore perché fossero raggiungibili i corpi carbonizzati degli operai. Lo spostamento d’aria ha investito anche un vicino centro sportivo in cui una settantina di bambini che partecipavano a un campo estivo. Il campo è stata evacuato: sono caduti quadri e alcune suppellettili, ma ai piccoli non è successo niente.

Mentre si soccorrevano i superstiti e si faceva la conta dei morti, gli artificieri hanno provveduto a mettere in sicurezza la zona provocando esplosioni controllate del materiale depositato nella fabbrica. Sul posto sono intervenuti vigili del fuoco, polizia e carabinieri, personale della Protezione civile e del 118. Sono arrivati subito anche i sindaci di Modugno, Nicola Magrone e della città metropolitana, Antonio Decaro, seguiti poi dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Bisognerà attendere per capire la dinamica del’incidente. Il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, che ha coordinato i lavori sul posto, ha anticipato che bisognerà aspettare 24 ore per poter accedere al luogo della esplosione e fare i rilievi.

La tragedia ha suscitato cordoglio unanime nel mondo politico e sindacale. La Bruscella Fireworks, azienda a conduzione di familiare, è attiva  da generazioni ed è molto nota. Fornisce fuochi d’artificio per le feste di tutta Italia. Nel 1959 era stata completamente ricostruita dopo una esplosione analoga in cui persero la vita nove persone.




Le tre Italie dell’astensionismo

Una vittoria di Pirro per il Pd che ha portato a casa un 5 a 2 molto sofferto. La sfida politica regionale ha visto  prendere la Liguria da Forza Italia e il Veneto dalla Lega Nord. Un risultato determinato da un’affluenza al 52,2% e dall’affermazione del Movimento 5 Stelle, che in tutta Italia si stanzia sul 20%, con punte in alcune zone come Genova, dove la più giovane candidata governatrice, Alice Salvatore, sfiora un sorprendente 25%,  e in Puglia con Antonella Laricchia.

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In Veneto il leghista Luca Zaia ha doppiato Alessandra Moretti del Pd e ha lascia molto più indietro il fuoriuscito Flavio Tosi.

La sorpresa è arrivata però dalla Liguria dove il consigliere politico di Silvio Berlusconi, Giovanni Toti, ha vinto con il 34,4%, seguito a una certa distanza dalla Dem Raffaella Paita con la M5S Alice Salvatore terza e Luca Pastorino, candidato della sinistra, quarto. Con il Pd che, come lo stesso premier Matteo Renzi aveva avvertito nei suoi comizi, paga la prima vera scissione a sinistra. “Il cinico disegno di Cofferati, Civati, Pastorino si realizza compiutamente”, ha commentato la candidata del Pd Raffaella Paita.

In Umbria vittoria per Catiuscia Marini (centrosinsitra) anche se nelle prime proiezioni sembrava che potesse aprirsi una chance per il candidato di centrodestra Claudio Ricci.

In Campania, dopo un testa a testa che lo ha visto, comunque, sempre in testa anche se di misura si afferma il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca primo (al 39,9% contro il 38% di Stefano Caldoro), superando di fatto anche la ‘black list’ stilata dalla presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi e ultimo pomo della discordia all’interno del Pd.

In Puglia la vittoria scontata per Michele Emiliano il nuovo governatore e tra i primi a salutarlo il presidente uscente Nichi Vendola: “Complimenti sinceri affettuosi Emiliano per una vittoria così netta, forte, e auguri calorosi di buon lavoro, un lavoro che sarà durissimo, di una complessità incredibile”.

Per cinque regioni la vittoria è sembrata netta già dalle prime proiezioni: in Toscana, Puglia e Marche fa il pieno di voti il centrosinistra.

Ma il dato che va analizzato per comprendere la realtà politica italiana è l’astensionismo.

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L’affluenza alle urne nel nostro Paese – seppur negli anni in costante diminuzione – è sempre stata piuttosto alta. Alle politiche del 2008 superava l’80% e in quelle del 2013 si attestava pur sul 75%.  Ora poco più del 50% si è recato alle urne.

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Quasi 12 punti in meno rispetto al 64,1% delle precedenti consultazioni.

Gli elettori sono sempre più scettici e disillusi di fronte agli schieramenti politici, che per quanto frammentati in molti partiti e correnti politiche sono composti da un ceto politico identico e trasformista a destra e a sinistra. Il cattivo costume è confermato dai risultati delle manovre di governo. La Riforma delle pensioni  e la “Buona scuola” hanno fatto perdere elettori. Nell’Italia del Nord chi non ha votato Pd, se non si è astenuto, ha votato Lega Nord e definito ladroni tutti gli altri.

Alle ultime elezioni europee la vittoria del Pd ha, di fatto, rafforzato la leadership di Renzi nel partito e nel Paese, accrescendo la forza e la convinzione con cui il leader toscano ha perseguito il suo progetto egemonico illegittimo, perchè  non votato dagli italiani.

La stessa cosa è accaduta con il consenso dato al Pd attraverso queste elezioni regionali.

Ma chi ha scelto di astenersi evidentemente non ha potuto dimenticare  che il Pd ha sostenuto il governo Monti e le sue politiche di austerità , ha fatto inserire il fiscal compact in costituzione, ha varato il jobs act, sta portando a termine una pessima riforma della Scuola e si appresta a firmare il ttip, un trattato di commercio transatlantico che  penalizzerà il nostro paese. Tutto questo in uno scenario di omologazione e totalitarismo dilagante. Ogni tipo di opposizione è bollata come sterile riflessione da contrapporre al “fare”, ogni obiezione valutata con sufficienza e arroganza.  L’astensione si spiega con il venir meno della tensione ideologica che aveva contraddistinto il sistema dei partiti proprio della Prima e della Seconda Repubblica.

Nel M5S, la scelta post-ideoologica ha finito per occultare la mancanza totale di una reale posizione politica: tutta l’attenzione si concentra sulla necessità di moralizzare la vita pubblica (lotta alla “casta”, riduzione dello stipendio, etc.). Anche il reddito di cittadinanza può essere letto come una posizione populista e non politica.

A Destra, spostare tutto sulla lotta contro l’immigrazione sembra una battaglia persa.

Renzi commenta: “Il risultato del voto è molto positivo, andiamo avanti dunque con ancora maggiore determinazione nel processo del rinnovamento del partito e di cambiamento del paese”.




Io c’ero. Vi presento il Mattarella interventista, tra bombe all’uranio e Missione Arcobaleno

Le guerre, è noto, alimentano e rafforzano la criminalità organizzata, ma nel 1999, il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, ex magistrato, sembrava non saperlo, quando con il presidente del Consiglio Massimo D’Alema appoggiò la partecipazione dell’Italia all’operazione Allied Force, con la quale la NATO era intervenuta nella guerra del Kosovo.

Il governo italiano,   messo duramente alla prova da un’opinione pubblica che si mostrava quantomeno scettica nei confronti del primo vero episodio di interventismo militare italiano dal secondo dopoguerra (se ovviamente si fa eccezione della prima guerra del golfo, in occasione della quale l’apporto dell’aeronautica italiana si limitò ad una funzione logistica e d’appoggio), iniziò a vacillare e a mostrare sintomi di incoerenza e paradossalità nell’azione, impegnandosi contemporaneamente sui fronti militare e umanitario di uno stesso conflitto. Decise prontamente di intervenire, gettando sin dal 28 marzo, le basi di una grande missione di relief a favore dei profughi kosovari, denominata Missione Arcobaleno, anche in risposta all’allarme lanciato dall’UNHCR, preoccupato dall’entità dell’esodo di massa, la cui misura eccedeva le proprie capacità operative.

Prendendo atto della vastità delle proporzioni dell’emergenza e della debolezza del tessuto socio-economico nel quale stava avvenendo, caratterizzato da “forti carenze di infrastrutture primarie” (Dossier Protezione Civile), si decise per un’azione che si imperniasse nelle consolidate relazioni bilaterali con l’Albania. In un primo momento (almeno dalla prima presentazione esposta dal Ministro dell’Interno Iervolino) sembrava che la Missione Arcobaleno dovesse limitarsi ad un ruolo di coordinamento istituzionale (Protezione civile e Prefetture), sotto la guida del Ministero dell’Interno e del Ministero della Sanità, per l’accoglienza di 25.000-30.000 profughi nel territorio italiano. Tuttavia le dimensioni dell’esodo instradarono il Governo verso l’ipotesi di una raccolta fondi privata, la cui gestione sarebbe stata attribuita ad un esperto esterno, figura immediatamente individuata nel Prof. Vitale.

La campagna di sottoscrizione fu imponente e accompagnata da un lato dalla grande solidarietà degli italiani, dall’altro da forti proteste provenienti dalla società civile, soprattutto quella di matrice pacifista, la quale obiettava l’incoerenza dell’azione di Governo.

Con la missione circa 5.000 kosovari furono trasferiti dalla Iugoslavia alla ex-base Nato Comiso di in Sicilia dove alloggiarono in quelli che furono gli alloggi dei soldati americani che vi stanziarono durante la guerra fredda.

Lo scandalo scoppiò dopo un servizio di Striscia la Notizia effettuato dagli inviati Fabio e Mingo ed un articolo pubblicato dal Corriere della Sera e ripreso dal settimanale Panorama, che denunciò furti e sprechi nell’ambito della missione Arcobaleno pubblicando un’ampia inchiesta il 20 agosto 1999. Ciò diede vita ad un’indagine guidata dall’allora pubblico ministero Michele Emiliano, che portò al rinvio a giudizio di 19 delle 24 persone coinvolte nelle indagini.

Il 17 maggio 2012 la seconda sezione penale del tribunale di Bari ha concluso la vicenda dichiarando il “non luogo a procedere per intervenuta prescrizione di tutti i reati”. Nessuno degli imputati è stato condannato.

Nell’estate del 1999, c’era Sergio Mattarella a Palazzo Chigi, quando l’Italia ricevette dalla Nato un documento con cui si mettevano in guardia i paesi dell’Alleanza contro i rischi possibili di metallo pesante residuale in veicoli corazzati. Infatti, i militari italiani inviati nei Balcani,  senza istruzioni e protezioni, si sono ammalati a causa dell’uranio impoverito.

I metalli pesanti sono stati generati dall’esplosione delle bombe  che la Nato ha utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia poco prima dell’ intervento italiano nei Balcani come Forza Multinazionale di pace.

I nostri uomini stanno morendo lentamente, come candele al vento, in seguito alla mutazione cancerosa delle cellule. E sono oggi curati da medici-ricercatori italiani in Inghilterra. Sono state riconosciute cause e fatti di servizio, ma le vittime devono costantemente scontrarsi con la burocrazia italiana, perchè le terapie devono essere autorizzate dall’Italia e questo comporta un percorso burocratico che in molti casi rende impossibili le cure. Ritardare anche di un solo giorno significherebbe compromettere per sempre l’effetto delle cure e dunque andare in modo irreversibile verso la morte. In Inghilterra ci sono professori italiani,  che sanno curare i militari colpiti da patologia dell’uranio impoverito e che potrebbero  farlo in Italia, ma si tagliano continuamente i fondi per la sanità, mentre si continua a sprecare denaro pubblico in armamenti.

Negli stessi giorni il ministro della Difesa, Mattarella, approvava la legge di riforma delle Forze Armate che aboliva di fatto il servizio di leva obbligatorio. Una lama a doppio taglio, perchè esempi negativi di milizie mercenarie la storia ne ha dati molti. In questi mesi, il governo Renzi, ha riproposto la Naia, il servizio di leva obbligatorio. Che il Bel Paese si stia preparando a un grande conflitto? Perchè ripristinarlo proprio ora?