Trentotto anni d’emergenza: le mani sui terremoti

I terremoti In Italia possono considerarsi un’emergenza in tutti i sensi, perché quando la terra trema non crollano solo le case, ma da essa emergono anche mostruosità: il malaffare, la delinquenza, la mafia, la piovra che avvinghia gli appalti.

Quando le calamità si susseguono a distanza di pochi anni la morsa si fa più stretta e uscirne è quasi impossibile.

In Basilicata distribuiscono ancora finanziamenti per i terremoti del 1980 e del 1990. Dopo trentotto anni, le case, dove la gente ha continuato a vivere, sono considerate inagibili o pericolanti e chi è in grado di procurarsi una relazione tecnica che lo attesti percepisce ancora oggi finanziamenti pubblici per la ristrutturazione, mentre gli ultimi terremotati continuano a dormire nelle roulotte, al gelo e al caldo insopportabili, in condizioni igieniche indicibili.

Durante gli anni si sono inseriti interessi loschi  che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne hanno diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti.

Mentre si finanzia l’edilizia privata chiudono gli ospedali sostituiti da piccoli centri di assistenza o di recupero.

Il terremoto del 2002 a San Giuliano di Puglia confermò che la messa in sicurezza degli edifici pubblici avviene solo a tragedia conclusa mai per prevenirla.

Del terremoto che nel 2009 colpì l’ Abruzzo si parlò tanto per lo sperpero dei finanziamenti europei.

A Sud la Camorra e il clientelismo, a Nord l’ ‘ndrangheta. I soldi viaggiano tra gli sportelli delle banche cooperative raggiungendo le imprese del settentrione e moltiplicando i costi per le infrastrutture.

A Modena, dal 2012, gli appalti pubblici sono ormai patrimonio della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata è affiorata in superficie rendendo una delle città più vivibili d’Italia un inferno.

La faglia, che aprendosi ha scosso l’Umbria e le zone limitrofe nel 2016 ha lasciato centinaia di persone senza un tetto.

Centinaia di ragazzi sull’isola di Ischia attendono di ritornare a studiare nelle aule delle scuole chiuse dopo il terremoto dell’estate scorsa.

Le risorse vanno sempre nella direzione e nelle mani sbagliate. Perché dopo trentotto anni si aprono ancora cantieri e si continua a considerare emergenza e di primo intervento una situazione che non richiede provvedimenti urgenti e finanziamenti, mentre altrove la gente sopravvive negli accampamenti in pessime condizioni igieniche?

La legge anticorruzione e il Codice degli appalti in Italia non bastano.  In poco più di un decennio il verificarsi di continue catastrofi ha reso evidente la necessità di una gestione diversa dei fondi per le emergenze, di verifiche idonee e professionalità imprenditoriale.

E mentre in questi giorni i neoeletti non riescono neppure a formare il governo e si preoccupano della propria fama, di scrivere nere e inutili pagine di storia, a discapito della specie umana e dell’ambiente, l’unico uso sensato che si potrebbe fare di carta e calamaio sarebbe la stesura di nuove norme per frenare questo scempio e aiutare concretamente gli italiani a rinascere dalle macerie.

 

 




Oltre la piazza: Modena parking

 

Se pensi che la vita abbia un senso se non trascendentale almeno concreto, sei capitato nella città sbagliata.

Se pensi che pagando le tasse comunali ti spetti di diritto un posto dove poter parcheggiare la tua auto senza subire atti vandalici, inizia anche a pensare di cambiare città.

Perché a Modena  non puoi proprio lasciare l’auto e rimanere tranquillo.

Non puoi nemmeno fartene una ragione attribuendo la colpa della tua preoccupazione alla caotica vita cittadina tipica di una grande città, di una metropoli, perchè Modena non lo è.

Puoi solamente avvelenarti il fegato quando vai a riprendere l’auto e la trovi sfregiata con raschi e ammaccature di dimensioni varie.

Puoi ammalarti di gastrite a forza di pagare multe per la segnaletica impazzita.

Possedere un auto a Modena costa più di quanto dovrebbe.

Guardiamo questo tratto di via Francesco Selmi.

Un senso di qua

E l’altro in direzione opposta, verso il semaforo posizionato all’estremità della stessa strada.

Ma quello che proprio non va sono i divieti di sosta. Ci sono e nessuno li rispetta. Incomincia così il dramma del povero visitatore che, non conoscendo le zone e chi vi abita, pensa che anche questi segnali siano stati posizionati erroneamente.

Sarà vero? Si domanda, senza poter ricevere risposta.

La multa è assicurata. L’unica cosa certa in una vita senza senso.

Qualcuno si vendica imbrattandoli con la vernice, ma niente, l’illegittimità regna sovrana e non l’annulli con nessun mezzo.

Con un’amministrazione comunale assente diventa legittimo creare la propria segnaletica. Ed ecco che qualcuno delimita il proprio posto auto abusivo.

Questa è la situazione in via San Paolo, a due passi da Piazza Grande e dalla Ghirlandina, patrimonio dell’Umanità.

A cosa servono queste videocamere? Soltanto a multare i residenti che non pagano il pass per transitare  e per parcheggiare! Nel centro storico. Un modo come un altro per fare cassa e non fornire servizi.

I ciottoli del selciato sono gli stessi della piazza ma, la tutela ambientale e dei cittadini, il benessere, finiscono dove termina il marketing per il turismo.

 

Dove saranno finiti i vigili urbani? Cosa fa tutto il giorno la polizia municipale di Modena?

Questo resta un grande mistero.

Il confronto con altre città nasce spontaneo: pensiamo alla vigilata, ordinata, pulita e ben gestita Verona.

Eppure i modenesi si paragonano ai veneziani. “Anche a Modena c’erano i canali”, dicono. “Modena era come Venezia”. Era.. Secoli fa!

Sta di fatto che i veneti la segnaletica non l’hanno venduta.

 

Ed ecco qui le strisce abusive grigie, metallizzate e  fluorescenti in via San Paolo.

 

Queste, invece, sono strisce e segni lasciati con tutt’altra finalità sull’auto del malcapitato che ha parcheggiato dove non doveva.

Diciamolo pure, Modena lascia il segno!

Insomma, più che un “Modena Park” sarebbe servito e servirebbe un Modena parking!  Sicuramente la vita avrebbe un senso, almeno per chi si sposta in auto!




BARI – Vita da cani, una lettrice fotografa il degrado urbano

Quando ti ritrovi di fronte a due realtà completamente diverse il confronto nasce spontaneo.

E’ stato così anche nel momento in cui abbiamo deciso di pubblicare nella rubrica “Tell me” le fotografie inviateci da una lettrice.

Lo scenario che è passato sotto i nostri occhi lo mettiamo a vostra disposizione.

E vi raccontiamo anche la storia per immagini che Maria ci ha consegnato.

“In una città dove non è difficile trovare cani abbandonati legati ai pali o vicino ai cassonetti, l’Amministrazione comunale rende ancora più difficile il gesto benevolo di adottarne uno. A Bari, infatti, mancano aree destinate agli amici a quattro zampe. E nei parchi dove è vietato il loro passeggio, si trovano escrementi e urine di persone incivili”.

Dagli scatti della nostra amica lettrice potete notare lo stato di abbandono e di degrado del giardino di Piazza Garibaldi. Una vergogna che abbiamo voluto mettere a confronto con i parchi urbani di Modena.

“Ancora più vergognoso – afferma Maria –  è che con i soldi delle multe il Comune non ha riqualificato il vecchio giardino, ma la ricca e dignitosa via Sparano!

Le immagini parlano da sole.

MODENA

16837900_10210331697961182_1030655703_n

16900053_10210331697441169_382869152_n

16923766_10210331692201038_4813716_n

BARI

16934298_10210331708401443_1396213033_n

16923691_10210331704841354_1909620139_n

16923564_10210331703561322_1594393909_n

16924257_10210331709481470_1535549331_n

16901750_10210331702961307_594105242_n

16933420_10210331704361342_2013896064_n

16933580_10210331703401318_674533075_n

16901790_10210331709561472_1499254797_n

16899947_10210331708681450_690085505_n

16923351_10210331709081460_470957677_n

16934035_10210331708121436_315784302_n

16933527_10210331707961432_730829980_n

16900028_10210331704481345_240762503_n

16934298_10210331708401443_1396213033_n

16901724_10210331697881180_473208741_n

16933514_10210331708321441_261654302_n




ITALIA – Un Jingle per “Beacon Waves”. A sorprendere il Liceo di Roberta Pinelli

MODENA – Sarà il Liceo musicale Carlo Sigonio a comporre il jingle per Beacon Waves, un progetto coinvolgente in continua espansione. Il gruppo di improvvisazione guidato dal professor Ivan Valentini è già al lavoro e ha promesso di sorprendere. La collaborazione con il Liceo musicale  condurrà gli ascoltatori alla scoperta di nuovi itinerari storici nel territorio modenese. L’intervista, della 3A AFM dell’Ites Barozzi, alla preside Roberta Pinelli, storica e toponomasta.

D – Perché ha deciso di collaborare al progetto Beacon waves?

Perché credo che sia un progetto valido per avvicinare in modo consapevole gli studenti all’uso dei mass media.

D – Ha scelto una canzone da abbinare al progetto?

Il gruppo di improvvisazione del Liceo Musicale sta componendo il jingle per la radio.

D – Perché ha deciso di far parte dell’associazione Toponomastica femminile? Di cosa si occupa l’associazione Toponomastica?

L’associazione Toponomastica Femminile si occupa della condizione delle donne nel mondo di oggi, condizione che giudico ancora troppo discirminante. Questo è il motivo per cui ho aderito all’associazione.

D – Perché ha deciso di intraprendere la carriera di dirigente scolastica? Esercita altre professioni? Prima di fare la preside ha fatto qualche lavoro? Da quanti anni è preside? Preferirebbe insegnare ai ragazzi? Perché si, perché no?

20 anni fa ho deciso di tentare il concorso da Dirigente perché avevo in testa un’idea di scuola e volevo provare ad attuarla. Ho superato il concorso al primo tentativo e da allora sono Dirigente, prima in un Istituto Comprensivo in provincia di Reggio E., poi per 5 anni a Vignola in un Istituto Tecnico e infine, dal 2003, al liceo Sigonio. Ho iniziato la carriera come maestra e ho insegnato nella scuola primaria per 13 anni; sono poi passata alle superiori come docente di lettere (8 anni) e infine sono diventata Dirigente. L’insegnamento mi piaceva molto, soprattutto quello di Storia, ma non mi manca perché comunque il contatto con gli studenti per me non è mai venuto meno.

D – È difficile coordinare la scuola? Quali problemi riscontra nella direzione generale della scuola? Cosa pensa del sistema scolastico italiano? Come pensa che possa migliorare?

Dirigente una scuola è come dirigere qualunque altra organizzazione; è faticoso perché mancano i soldi, mancano le norme (oppure ci sono e sono poco chiare), non puoi scegliere i docenti né licenziare quelli che non funzionano, ci scontriamo continuamente con un sistema scolastico rigido e con una struttura organizzativa vecchia, che non è più adatta ai ragazzi di oggi.

D – Ha passioni particolari?

Mi piace moltissimo leggere: leggo in media 10 libri al mese ; compro molti libri ma frequento anche le biblioteche modenesi, che funzionano benissimo e sono abbastanza aggiornate.

D – Sappiamo che ha scritto dei libri, di cosa parlano?

Ho pubblicato quasi esclusivamente libri di ricerca storica, tranne uno, che si occupa dei nomi di persona

D – Suona qualche strumento?

Ho studiato Pianoforte per 4 anni (ai miei tempi per le maestre era obbligatorio) ma non ho mai imparato bene, per cui adesso non riesco più a suonare. In compenso ho sempre cantato come mezzo soprano e poi come contralto, nel coro della Cappella Musicale del Duomo di Modena, poi in una mia band e infine, fino al 2013, in un coro di canto popolare, diretto dalla maestra Bruna Montorsi.

D – Come è nata la sua passione per la musica? Che emozioni Le trasmette? Che generi musicali le piace di più ascoltare?

La mia passione per la musica non è nata in età precoce ma piuttosto tardi. Oggi la musica ha per me un’importanza vitale, non posso non ascoltare musica a qualunque ora del giorno e della notte. Non ho preferenze particolari, la musica mi piace tutta, da quella classica al pop. L’unico genere che non riesco tanto ad apprezzare è il jazz.

D – Musicisti o cantanti che secondo lei hanno rivoluzionato il mondo della musica.

Non sono un’esperta, ma direi che quelli che hanno cambiato di più la musica siano stati i Beatles, i Rolling Stones, David Bowie, Sting, gli U2, Bruce Springsteen. In Italia i cambiamenti più significativi sono stati apportati dai cantautori.

D – Ascolta la radio? Le piace? Quale stazione radiofonica ascolta di più?

Non ho tanto tempo per ascoltare la radio. Di solito la ascolto in auto, limitandomi ai giornali radio e a poco altro. Ascolto quasi esclusivamente Radio 3

D – Secondo lei, con le generazioni future, il trattamento delle donne varierà o rimarrà come oggi?

Posso e debbo sperare che le cose per le donne cambino in meglio, nel senso di una maggiore equità, ma dipende da come educheremo i maschi.




ITALIA – Beacon waves, un ponte che ha unito 4 scuole diverse

clip_image004

MODENA – Con “Beacon Waves” quattro scuole viaggiano sulla stessa onda.  Sulla stessa frequenza l’Ites Jacopo Barozzi,  il Liceo musicale Carlo Sigonio, il Liceo artistico Adolfo Venturi   e l’Istituto comprensivo statale Jacopo Barozzi di Milano. Di seguito l’intervista  degli studenti della 3AAFM dell’Ites Barozzi a Daniela Lippera,  referente del progetto Barozzisifastoria dell’ Istituto milanese.

D – Come è venuta a conoscenza del progetto “Beacon Waves”?

Sono venuta a conoscenza del progetto “Beacon Waves” grazie ad un’amica di Toponomastica femminile che mi aveva segnalato la collega-giornalista Angela Milella. Sapevo solo che Angela insegnava in una scuola di Modena intitolata a Jacopo Barozzi come la mia e aveva una proposta da farmi. Non sapevo che avrei conosciuto un vulcano di energia e di idee.

D – Perché ha voluto creare il progetto ponte con l’Ites Barozzi di Modena?

Non ho creato il progetto, ma ho aderito, sapendo che per realizzarlo ho bisogno della collaborazione di tutti i colleghi. Al momento quelli con cui ho parlato si sono mostrati molto interessati, quindi spero proprio che riusciremo a partire per questa avventura.

D – Cosa l’è piaciuto di Beacon Waves? Come si potrebbe migliorare? Che ruolo avrà l’IC Barozzi di Milano nel progetto? Quali materiali fornirà?

Il progetto del nostro istituto si intitola Barozzisifastoria e rientra in quella grande fucina di idee e di iniziative dedicate alla storia di Milano che è la rassegna Milanosifastoria, ormai alla terza edizione. L’anno scorso il tema è stato il lavoro e le donne, anche quest’anno il tema è in generale il lavoro, per questo ero, come referente del progetto, alla ricerca di nuove idee per presentare al pubblico i risultati dei lavori degli alunni che non fossero i soliti cartelloni e la proposta di Angela Milella di collaborare con Beacon Waves mi è piaciuta molto.

D – Perché una scuola di Milano porta il nome di Jacopo Barozzi, proprio come la nostra, se Barozzi era di Vignola?

La scuola elementare di via Vignola, terminata nel 1914, è stata dedicata a Jacopo Barozzi, un importante architetto del ‘500. Oggi è la sede di un Istituto comprensivo che raggruppa quattro plessi scolastici. L’Istituto ha il nome della scuola capofila.

D – Cosa pensano i bambini di questo progetto? C’è la possibilità di creare altri ponti con altre città? Quale ruolo avranno i bambini? Quante classi parteciperanno? E quali?

I bambini sono in genere pronti ad accogliere proposte che li coinvolgano in prima persona, sono affascinati dall’idea di fare una radio, soprattutto di poter essere protagonisti e di potersi mettere in gioco. Non sappiamo ancora quante classi parteciperanno, speriamo in un effetto a catena, l’importante è che qualcuno inizi.

D – Qual è la relazione tra la materia che insegna e il progetto? L’infanzia è un passaggio importante e fondamentale per la persona, come si trova e che rapporto ha con i suoi alunni? Cosa l’ha spinta a lavorare con i bambini? Quali emozioni le trasmettono?

Insegno italiano, storia e geografia nella scuola secondaria di primo grado. I miei alunni hanno dagli undici ai tredici anni. Prendo dei bambini e lascio dei ragazzi. E ‘ impressionante vedere quanto cambino nel giro di tre anni. L’emozione principale che provo nei loro confronti è senza dubbio la simpatia.

D – Cosa è importante per i bambini?

Per i bambini è fondamentale essere trattati con rispetto, essere ascoltati e avere la fiducia degli adulti che stanno loro vicini.

D – E’ difficile insegnare ai giovanissimi?

Insegnare ai bambini è un lavoro e come in tutti i lavori devi avere una professionalità. Certo ci sono situazioni o scuole in cui è più difficile insegnare, ma questo dipende dal contesto sociale in cui è inserita la scuola. Allora è necessario che vi sia un buon team di colleghi, con cui lavorare. Non credo nell’insegnante-eroe che si batte da solo contro tutti, credo invece in una scuola come ambiente in cui si collabori, si condividano buone pratiche, si sperimenti, si faccia ricerca e si cresca insieme culturalmente e come cittadini. Credo che lavorare con i bambini significhi aiutarli a individuare nuove strade per il futuro. Insomma è una cosa molto egoista, forse, ma mi domando: come voglio che sia il mio futuro? E allora ecco che cerco e scopro tracce nei giovani.

D – Cosa comporta lavorare a un progetto al quale lavorano ragazzi e bambini?

Il progetto ponte tra i due Istituti può essere una buona occasione per entrambe le scuole. Sicuramente per i più piccoli l’idea di lavorare con i più grandi è molto eccitante. Mi auguro che anche per gli studenti più grandi possa essere un’esperienza positiva, perché sono loro i giovani adulti cui si ispireranno i più piccoli e questa è una grande responsabilità.

D – Sappiamo che Lei è un membro dell’associazione “Milano si fa storia”, ci può parlare di questa associazione in modo più approfondito? Chi ha fondato l’associazione? Com’è nata l’idea di fondarla? Qual è il suo scopo?

Msfs è un progetto, patrocinato dal Comune di Milano, che non ha un unico fondatore. Nasce da un’idea di storia che esca dalle aule universitarie e dal sapere specialistico e coinvolga l’intera cittadinanza; ha come scopo la costruzione di una memoria condivisa, interdisciplinare, intergenerazionale e di ‘genere’. L’Iris , l’istituto che si occupa dell’ insegnamento e della ricerca interdisciplinare di storia, è l’ente capofila di una rete formata da moltissimi soggetti, associazioni, Fondazioni, biblioteche, circoli, sindacati, scuole e cittadini.

D – Realizzerete un programma storico per Beacon Waves? Di quale argomento tratterà? Ci saranno temi della storia di Milano?

Per quanto riguarda il nostro contributo a Beacon Waves abbiamo molte idee, ma non ancora definito un vero e proprio programma. Noi dovremo fare delle ricerche sul tema del lavoro e alcune classi si dedicheranno allo studio delle trasformazioni avvenute nel nostro quartiere negli ultimi ’50 anni dalla fase industriale a quella attuale di terziario avanzato. Altro filone sarà continuare il percorso di ricerca delle grandi assenti dal mondo della storia: le donne. Quindi l’idea dei radioviaggi di Angela Milella. Così i bambini potranno presentare dei luoghi, giardini, scuole, o angoli di Milano che ricordino e parlino delle donne di questa città.

D – Quale metodo utilizza per ottenere e diffondere informazioni storiche?

In genere la prima fase del progetto è preparatoria; mi informo, prendo contatti, leggo, partecipo a delle riunioni, insomma mi preparo, cerco il materiale, parlo con gli alunni, aspetto le loro riflessioni e proposte. Poi pianifico il lavoro e inizia il lavoro in classe con gli alunni. Arrivo quasi sempre ad un punto in cui entro nel panico, perché ogni giorno a scuola nascono problemi imprevedibili. In compenso quando arrivo a quel punto sono i ragazzi ad aiutarmi e il progetto viene portato a termine.

D – E’ facile realizzare progetti di questo tipo? E’ la prima volta che l’IC Barozzi prende parte a un progetto così?

E’ la prima volta che il mio istituto partecipa a un progetto così, anche perché abbiamo poche attrezzature e risorse tecnologiche, quindi dobbiamo davvero arrangiarci.

D – Lei che ruolo svolge? Quanti membri fanno parte del progetto? Che ruolo avranno le persone coinvolte?

Non sono l’unica referente del progetto; io mi occupo dell’indirizzo generale e della scuola media, la mia collega Anna Marin delle elementari e della scuola dell’infanzia. Cerchiamo di portare avanti il progetto e di creare una continuità e un collegamento tra la scuola materna, la primaria e quella secondaria di primo grado.

D – Ha mai suonato o cantato? Che ruolo ha la musica nella sua vita? Ricorda la prima canzone che ha imparato?

La prima canzone che ho imparato? L’elefante con le ghette, se le cava e se le mette che mi cantava mio papà mentre mi insegnava ad allacciarmi le scarpe. Tutte le donne di casa mia cantavano molto bene, io ero considerata la stonata. Mi sono rifatta da grande cantando ‘Nkosi sikelele Africa nel coro dei Vu’ cantà di Martiño Lutero insieme a Miriam Makeba.

D – Ascolta la radio? Pensa sia un mezzo di comunicazione utile? Come è nata la passione per esso?

Adoro la radio. Ho la radio in cucina e l’accendo appena mi sveglio. Non ho molto tempo per ascoltarla, ma è una costante delle mie giornate.

D – Quale collegamento c’è tra Milano si fa storia e Toponomastica femminile?

Tra Msfs e Top Fem il collegamento è molto stretto; l’anno scorso ci siamo occupati di una donna molto importante alla sua epoca e controversa, Regina Terruzzi, direttrice della Regia Scuola Tecnica Femminile T. Confalonieri dal 1896 al 1900, che è la nostra scuola. L’insegnante Patrizia Cortiana con la sua V D ha svolto un bel lavoro sulle strade del nostro quartiere dedicate alle donne, come via Neera, pseudonimo della scrittrice Anna Zuccari Radius. La nostra scuola è dedicata a Teresa Confalonieri e si trova con la gemella J. Barozzi nel Parco Ravizza, Alessandrina Ravizza, che è stata una filantropa e protofemminista dell’800, vissuta qui a Milano. Insomma, girando per le strade di Milano e di tutte le città e i paesi d’Italia si fa storia. Noi siamo il prodotto di questa storia e dobbiamo occuparcene, perché fa parte di noi.

D – Quali strumenti sono utilizzati dai bambini?

Nella mia scuola una sezione ha l’indirizzo musicale. Gli alunni rientrano il pomeriggio per studiare pianoforte, chitarra, flauto o violino, oppure suonano insieme e preparano concerti. Le varie attività pubbliche della scuola sono sempre accompagnate dalla musica e in tutte le classi si suona o si canta in coro. In italiano o in inglese. Nelle classi dove abbiamo l’inserimento dei bambini sordi c’è il coro delle mani bianche e gli alunni cantano non solo usando la voce, ma anche le mani per segnare le parole in Lis ,la lingua italiana dei segni.

D – L’esalta l’idea di creare una radio nazionale? Secondo Lei in che modo questo progetto può influire sui ragazzi?

La radio è un potente mezzo di comunicazione. Una radio può diffondere la ricchezza straordinaria che c’è nelle scuole. In genere il mondo dell’infanzia viene rappresentato in modo edulcorato, secondo l ’idea dell’infanzia che hanno gli adulti, mentre il punto di vista dovrebbe essere capovolto: com’è il mondo e la realtà visti dai ragazzi? Che cosa hanno da dirci e da proporre? Quali sono i loro problemi, difficoltà, aspettative e desideri?

Mi piace l’idea di una radio dei ragazzi; credo che debba essere uno spazio loro; io posso solo creare

l’occasione per fare sentire, o ascoltare, le loro voci; il messaggio è il loro o sono loro stessi il messaggio.

D – La preside e i genitori cosa ne pensano?

La preside è molto interessata a questo progetto, ci crede molto e quando occorre ci aiuta. So che qualche genitore del Consiglio d’ Istituto è interessato a collaborare con gli insegnanti; pure l’anno scorso ci hanno sostenuto, anche economicamente. Questo è il modo per creare una comunità ed è il senso profondo di un progetto d’istituto. Certo a Milano non è del tutto facile, perché siamo sempre di corsa e non è un modo di dire. Venite a trovarci per vedere.




ITALIA – Scelto il logo della nuova radio modenese “Beacon Waves”

Di Martina Cioni

Morselli

MODENA – Il 12 Novembre 2016 si è tenuto, a Napoli,  il V Convegno dell’associazione Toponomastica femminile, che ha indetto il concorso nazionale “Sulle vie della parità”. A concorrere per il premio anche il progetto ideato da alcune scuole di Modena:”Beacon Waves”.

Questo progetto è finalizzato alla realizzazione di una radio web, di cui sono protagonisti i giovani studenti modenesi.

Proprio durante il convegno è stato scelto il logo che rappresenterà la nuova emittente di Modena. La creazione del logo è stata affidata alle ragazze del Liceo Artistico Venturi, ma sono state fornite richieste ben precise per la sua realizzazione, infatti contiene l’immagine della Ghirlandina stilizzata in giallo e in blu in modo da sembrare un’antenna radiofonica e il brand “Beacon Waves”. La Giuria, composta dai rappresentanti di classe della 3A AFM e della 2N dell’istituto Barozzi, dai rappresentanti d’Istituto del Liceo Musicale Sigonio, dalla preside del Sigonio, Roberta Pinelli,  e dalla referente del progetto Angela Milella, durante il Convegno, ha presentato il logo vincitore, creato dalla studentessa Sara Morselli, e il progetto al grande pubblico.




ITALIA – “Beacon waves”: la radio si fa a scuola, tra lavoro e passione. Gli studenti intervistano la giornalista-docente Angela Milella

MODENA – “La radio e la musica fanno parte della mia storia sin dalla nascita”, così la giornalista-docente dell’Ites Jacopo Barozzi, Angela Alessandra Milella,  racconta di “Beacon waves”, nuovo progetto radiofonico da lei ideato, che servirà a potenziare le competenze degli studenti nella cultura musicale, nel cinema e nei media. Questa è l’intervista rilasciata agli studenti della 3AAFM.

D – Il progetto approvato che finalità ha? Ha mai fatto una radio sul web?

R – Il progetto serve a potenziare le competenze degli studenti nella pratica e nella cultura musicale, nel cinema, nelle tecniche e nei media di produzione e diffusione delle immagini e dei suoni anche mediante il coinvolgimento degli altri istituti pubblici e privati operanti in tali settori. Ho collaborato con alcune radio in passato, web e non.

D – Come è nata questa idea? In cosa consiste e qual è l’obiettivo? E’ stata aiutata da qualcuno in questo progetto? Durante la realizzazione si è avvalsa di qualche collaboratore? Da dove ha tratto ispirazione? Chi ha aderito e partecipato con lei a questo progetto?

R – E’ nata in Veneto nella primavera del 2016, quando, gironzolando tra Mestre, Padova, Venezia e Verona, sperimentavo la didattica dei media con un altro progetto e studiavo per mettere a punto altri strumenti. Nella ideazione, nella predisposizione dei metodi, delle strategie e degli obiettivi non mi ha aiutato nessuno. Per la realizzazione mi servirà l’aiuto di molte persone. Il titolo e il brand sono modenesi, per idearli mi sono ispirata alla città, alla Ghirlandina, ero in Piazza Grande quando ho sentito tornare nella mente la parola waves, radio waves, che ho voluto legare al termine beacon: “Onde dal radiofaro”. Amo molto la musica non solo il giornalismo e la letteratura. Ho subito lanciato l’idea. E’ piaciuta alla preside Roberta Pinelli del Liceo musicale Sigonio e alla professoressa Antonella Battilani del Liceo artistico Venturi. Il progetto si rivolgerà a tutte le scuole modenesi.

D – Cosa potrebbero imparare i ragazzi da questo progetto?

R – Sono previsti obiettivi specifici di apprendimento da raggiungere, ma impareranno anche a far parte di una redazione radiofonica, a utilizzare programmi e supporti informatici ed elettronici, a conoscere un’impresa radiofonica.

D – Oltre a essere un’ insegnante ha altre professioni?

R – Sono giornalista, scrittrice e regista.

D – Riesce sempre a gestire due lavori contemporaneamente?

R – Sì, anche più di due, sono sempre stata una donna molto impegnata.

D – Quando si è laureata e quando è iniziata la sua passione per la letteratura? Quale argomento della letteratura le piace di più?

R – Mi sono laureata con anticipo e brillantemente nel 2004. Ho sempre letto molto e scritto bene. Mio nonno mi ha trasmesso la passione per la lettura, per i libri, i giornali e il telegiornale. Le mie zie mi hanno insegnato a leggere e a scrivere, tra i tre e i quattro anni. Mi piace molto il Verismo.

D – Le piace di più la letteratura o la storia?

R – La storia.

D – Che scuola superiore ha frequentato?

R – Il liceo scientifico

D – Perché ha deciso di fare per professione la professoressa?

Lavoro solo per chi mi paga. Nonostante la crisi mi hanno dato da subito 1.200 euro netti.

D – A che età ha iniziato a lavorare? Dove ha lavorato? Ha mai viaggiato all’estero per lavoro?

R – Per me lo studio è stato un grande lavoro, non ho perso tempo e ho conseguito il massimo dei voti a ogni livello. Avevo 25 anni quando ho iniziato a insegnare e a scrivere per i giornali. Ho lavorato sempre nella scuola statale. Ho partecipato al progetto Erasmus in Belgio e sono stata in Grecia per uno stage in un’impresa turistica.

D – Perché si è appassionata al giornalismo? Ha mai scritto per giornali o magazine?

R – La mia maestra elementare è stata la moglie di un noto giornalista barese. A sette anni leggevo i quotidiani che mio nonno acquistava, seguivo il dibattito in Tv, fumavo e bevevo il caffè. Mi sono iscritta all’Ordine dei giornalisti, non ho più tempo per stare con i miei nonni, non fumo e raramente compro caffè.

D – Ha vinto premi per il suo lavoro?

R – Sì, qualche borsa di studio, una medaglia dal Presidente della Repubblica per l’organizzazione di un premio letterario, il premio internazionale “Tra le parole e l’infinito” per ”Precarious”, il primo premio nazionale in comunicazione per un progetto didattico finanziato da “Bando alle ciance” del Comune di Sommacampagna (Vr).

D – Quando era una studentessa ha mai pensato di fare la professoressa e anche la giornalista?

R – Sì, l’ho dichiarato alla Gazzetta del Mezzogiorno. La mia foto è al centro, in alto, nella pagina che riporta i volti dei diplomati con il massimo dei voti.

Quando lo dissi di fronte alla Commissione degli Esami di Stato, tutti mi risposero che sarebbe stato molto difficile. Oggi posso dire di aver vinto una battaglia.

D – Quanto ha studiato per diventare professoressa?

R – Una vita intera. Più intensamente all’Università e per prepararmi al concorso dato che non avevo raccomandazioni.

D – Dopo la laurea, quanto è stato difficile entrare nel mondo del lavoro?

R – Tanto, non avrei scommesso. Otto anni di precariato con spese notevoli per la formazione continua.

D – Ha dovuto spostarsi dal suo paese di nascita per inseguire i suoi sogni da giornalista e da professoressa?

R – Sì, nella mia città ho lavorato solo per un anno scolastico. Ho lavorato 5 anni in provincia di Foggia, 2 in quella di Bari, 2 in quella di Verona e adesso a Modena, come racconto in “Precarious: quello che della scuola non si dice”.

D – Qual è stato il suo primo articolo di giornale? Su che giornale è stato pubblicato?

R – Ho iniziato stando in redazione, dai taccuini di cultura e spettacolo, e dalla cronaca amministrativa. Dopo ho iniziato a seguire eventi e personaggi da inviata e da corrispondente. Il primo articolo l’ho scritto su “Calici di stelle” un evento enogastronomico pugliese. Sono tornata in redazione con una bottiglia di buon vino! Ho iniziato a scrivere per il Quotidiano Puglia di Mario e Rossana Gismondi.

D – Sappiamo che ha scritto un libro, ce ne può parlare? Perché l’ha voluto scrivere? Che messaggio voleva trasmettere ai lettori? Da cosa ha preso spunto? Avremo occasione di leggere un altro suo libro?

R – Ho descritto la scuola e i docenti italiani. E’ un libro di denuncia. Volevo e tuttora desidero migliorarla. Ho raccontato la mia esperienza. Nella penna ho una nuova storia da raccontare. Spero di farlo al più presto.

D – Qual è la cosa più affascinante nel giornalismo?

R – La ricerca della notizia, l’indagine, l’inchiesta. Il giornalismo ti permette di cercare e ascoltare gli altri, di osservare e descrivere la realtà, di raccontarla, di orientare l’opinione degli altri e suscitare reazioni, di far conoscere i fatti che vorrebbero tenere nascosti. I giornalisti consegnano il presente alla storia.

D – Le piace insegnare ai ragazzi?

R – Soprattutto a quelli educati, sensibili e intelligenti, che hanno voglia di imparare, di ascoltare, di studiare con e per gli altri, che sono curiosi. Ho scelto di insegnare nella scuola secondaria di secondo grado perché la scelta dell’indirizzo di studi non è obbligatoria e per questo motivo c’è o meglio ci dovrebbe essere, se le attività di orientamento funzionassero, più consapevolezza e motivazione.

D – Cosa La motiva a introdurre i giovani nel mondo giornalistico? Cosa L’ha motivata nella realizzazione del progetto “Beacon waves”? Che soddisfazione Le dà?

R – Il desiderio di un mondo più vero e migliore. La radio e la musica fanno parte della mia storia sin dalla nascita, come la scuola. Il testimone di nozze dei miei genitori era un dirigente scolastico. Pertanto questo progetto mi dà una grande soddisfazione.

D – Da quanti anni insegna?

R – Insegno da 11 anni.

D – In quali scuole ha insegnato?

R – In scuole di frontiera, Istituti di istruzione superiore ai margini della provincia.

D – Se avesse scelto un’altra strada quale sarebbe stata?

R – La ricerca scientifica.

D – In futuro Le piacerebbe continuare a fare questo lavoro o le piacerebbe fare altro? Ha altri progetti?

R – Ho dei conti in sospeso…




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte prima)

Di Roberta Pinelli

 Se il numero complessivo delle targhe al femminile della città di Modena (48 su oltre 1500 toponimi) è il 2,4% del totale dei toponimi cittadini, in linea con le percentuali del resto d’Italia, è di un certo interesse vedere come nel tempo è cambiata, molto lentamente, l’attenzione verso le donne.

La stessa composizione delle Commissioni Toponomastiche succedutesi nel tempo mostra quale sia stato il ruolo delle donne in queste scelte: la Commissione Toponomastica fu istituita a Modena nel 1861 e la prima donna chiamata a farne parte fu nominata esattamente cento anni più tardi, nel 1961.

 01.Modena mappa XVIII

Il primo stradario ufficiale della città di Modena risale al 1818 e fu voluto dal Duca Francesco IV d’Este nell’ambito di un vasto programma di rinnovamento edilizio. Dalla sua consultazione si deduce che in questa prima fase dell’onomastica stradale regolamentata si afferma il sistema descrittivo, legato soprattutto alle funzioni economiche e sociali delle vie, alla presenza di edifici caratterizzanti o di famiglie residenti. Ed è proprio dal 1818 che a Modena le casse comunali si fanno carico per la prima volta di apporre agli angoli delle strade scritte o targhe per denominare in modo ufficiale gli spazi pubblici urbani

Dopo l’Unità d’Italia, il sistema descrittivo fu sostituito in breve tempo da un sistema celebrativo (con intenti anche pedagogici), che proseguirà praticamente fino ai giorni nostri, con una spiccata preferenza per i personaggi illustri locali, emblemi di orgoglio municipale e di un’identità civica da costruire.

Tutto ciò però va letto solo in relazione ai toponimi maschili, poiché si vedrà come ciò non sia stato seguito per quanto riguarda le donne.

A partire dal 1818 e fino alla fine dell’800 a Modena le targhe stradali al femminile sono infatti praticamente tutte dedicate a sante e suore, nessuna delle quali ha un qualche legame con Modena.

1.Modena-Via Sant'Agata-foto di Roberta Pinelli

2.Modena-Via Santa Chiara-foto di Roberta Pinelli

4.Modena-Via Sant'Eufemia-foto di Roberta Pinelli

3.Modena-Largo Sant'Eufemia-foto di Roberta Pinelli

5.Modena-Via S.Margherita-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Sant'Orsola-foto di Roberta Pinelli

7-Modena-Vicolo delle Grazie-foto di Roberta Pinelli

Con l’inizio del XX secolo compaiono i primi toponimi dedicati ad altre figure femminili. Nel 1911, in occasione del cinquantesimo dell’Unità d’Italia, viene intitolata una strada a Enrichetta Castiglioni, singolare figura di donna e di patriota.

8.Modena-Via Enrichetta Castiglioni-foto di Roberta Pinelli

Dopo un matrimonio combinato, che la lasciò vedova prima dei vent’anni, Enrichetta Castiglioni si innamorò di un patriota modenese e con lui condivise l’organizzazione dei moti carbonari di Modena del 1831. Fallita la rivolta e giustiziatone il capo, Ciro Menotti, Enrichetta seguì il marito nella fuga, ma furono arrestati dagli Austriaci ad Ancona e incarcerati a Venezia. Enrichetta volle condividere il carcere con il marito, ma debilitata dalle pessime condizioni di vita e forse minata da un cancro, morì nel 1832, a soli 29 anni. Quando l’amnistia consentì la liberazione dei patrioti modenesi, il marito raggiunse Marsiglia e volle onorare la memoria di Enrichetta con una cerimonia solenne, durante la quale fu lo stesso Giuseppe Mazzini a pronunciare l’elogio funebre.

 Nel 1931 appare via delle Suore e nel 1932 viene deliberata una serie di toponimi femminili ancora una volta tutti dedicati a sante.

Nel 1945, nell’ambito della revisione della nomenclatura dopo la caduta del regime fascista e la guerra di Liberazione, non viene ricordata nessuna delle tante partigiane, ma viene intitolato un viale all’attrice modenese Virginia Reiter (Modena 1862 – 1937).

9.Modena-Viale Virginia Reiter-foto di Roberta Pinelli

Attrice di grande espressività, esordì in teatro a soli 9 anni in uno spettacolo di beneficenza. Capace di eccezionali prestazioni sia nelle opere brillanti sia nelle tragedie, fu la prima interprete de La Lupa di Giovanni Verga.

Fra il 1900 e il 1902 formò la propria compagnia, con la quale mise in scena il suo cavallo di battaglia, Madame Sans-Gene di Sardou.

Amatissima in Italia, compì anche tournée all’estero, in Sudamerica e in Spagna, riscuotendo sempre enorme successo.

Una lunga sospensione nelle intitolazioni femminili – dal 1945 al 1961 – ci suggerisce di interrompere qui il nostro excursus storico, per riprenderlo nella prossima puntata con il mutare dei costumi portato dal boom economico.