EUROPA – Un nuovo terrorista ricercato per gli attacchi di Parigi e Brussel. Trentuno le vittime, Undici i dispersi

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C’è un nuovo ricercato, ritenuto coinvolto negli attacchi terroristici sia di Parigi che Bruxelles: si tratta di Naim Al Hamed, siriano originario di Hama, di 28 anni. Il nome compare su una lista di cinque principali sospettati introvabili stilata dalle intelligence occidentali, che si presume siano stati coinvolti negli attentati del 13 novembre a Parigi e in quelli del 22 marzo a Bruxelles. La notizia era stata pubblicata da alcuni media spagnoli ed è stata ripresa La Dernière Heure belga. L’uomo, di cui è stato reso noto un documento con foto, è descritto come «molto pericoloso e forse armato».

L’attentato di  Istanbul è stato organizzato dal gruppo Stato islamico. Lo ha dichiarato il ministro dell’interno turco, Efkan Ala, che ha detto che l’attentatore suicida era un miliziano affiliato ai jihadisti dell’Is. Nell’attacco sono morte quattro persone, tra cui due israeliani e un iraniano. Il ministro ha annunciato che sarà imposto il coprifuoco in diverse città turche.

Dopo aver esplicitamente parlato di armi atomiche, Vladimir Putin rincara. Parlando a un evento del ministero della Difesa, il leader russo ha ordinato all’esercito del suo Paese di “agire in maniera estremamente dura in Siria, distruggendo chi minaccia le forze di Mosca attive per combattere il Califfato”. E ancora: “Ogni obiettivo che minacci unità russe o nostre infrastrutture al suolo sarà distrutto immediatamente”. Ma non è tutto, perché il punto più delicato dell’intervento dello zar è quello che segue: “Un’attenzione particolare – ha rimarcato – sarà prestata al rafforzamento del potenziale bellico delle nostre forze strategiche nucleari”. E ancora: “Marina, aviazione ed esercito verranno dotati di nuove componenti della nostra forza nucleare”. Dunque le parole di Sergei Shoighu, ministro della Difesa di Mosca, che ha ricordato come “il 95% dei sistemi di lancio delle armi nucleari russe sono pronte al combattimento. Le forze armate – ha concluso – hanno ricevuto quest’anno 35 nuovi missili balistici nucleari”.

Nell’inchiesta in corso spuntano intanto nuovi inquietanti particolari sul piano dei fratelli El Bakraoui. Il quotidiano la la Dernière heure, citando fonti di polizia, rivela che i due volevano colpire le centrali nuclearei del Belgio. A far accelerare i due è stata la cattura di Salah Abdeslam e del suo complice Choukri a Molenbeek, circostanza che ha costretto i fratelli El Bakraoui ad abbandonare questo obiettivo e puntare tutto sulle strage in centro. “La situazione è precipitata e si sono sentiti sotto pressione – ha rivelato una fonte della polizia – hanno dovuto optare per l’obiettivo più facile”.

LE VITTIME

Patricia Rizzo, l’italiana tra i morti – Patricia Rizzo, la funzionaria italiana dell’Unione morta negli attentati di Bruxelles, è stata per cinque anni uno dei dirigenti più importanti dell’Efsa, l’Authority Alimentare Europea con sede a Parma. Dal 2003 al 2008, prima di trasferirsi in Belgio, aveva ricoperto il ruolo di assistente di direzione ed aveva abitato nella città emiliana dove molti ancora la ricordano. A confermare la notizia della morte è stato il cugino Massimo Leonora. “Purtroppo Patricia non è più tra noi. Mi manchi, ci manchi”, ha scritto su Facebook.

Tra le vittime una tedesca di origine italiana – Tra le vittime degli attacchi Jennifer Scintu, tedesca 29enne di origini italiane, che mercoledì al momento dell’esplosione era in aeroporto. La donna si trovava al check in di un volo per New York assieme al marito Lars Waetzmann, ora ricoverato in gravi condizioni in un ospedale dalla capitale belga. Jennifer, nata e cresciuta in Germania, aveva i nonni in Sardegna, ad Ales, e spesso tornava a trovarli con la madre Miriana. La morte della giovane è stata confermata dalla polizia di Aquisgrana, città dove la 29enne risiedeva.
Loubna, insegnante che lascia tre figli – Si è infranta la speranza dei parenti di Loubna Lafquiri. La donna, mamma di tre bambini e di professione insegnante, è morta alla stazione della metropolitana Maelbeek, colpita dai terroristi. L’annuncio, carica di rabbia e di dolore, è arrivato dalla famiglia: “Con il cuore spezzato annunciamo la morte di Loubna. Dopo un’attesa interminabile, è arrivata la terribile notizia. Lubna, una madre di 3 magnifici bambini, insegnante esemplare. Strappata alla sua famiglia da dei vigliacchi”.

Bart, 21enne pronto a volare dalla fidanzata negli Usa – Doveva prendere l’aereo per gli Stati Uniti. Un lungo volo per riabbracciare la sua fidanzata, che vive in Georgia. E’ stato investito dall’esplosione mentre era intento a effettuare il check in al banco dell’American Airlines. Bart Migom, 21 anni, è una delle vittime dell’attentato all’aeroporto di Zavenetem.

Donati gli organi di Leopold, studente modello – Una delle vittime è il giovane Leopold Hecht, 20 anni, morto in seguito alle ferite riportate nell’attentato alla metropolitana. La sua famiglia ha autorizzato l’espianto degli organi del ragazzo: “Siamo convinti avrebbe condiviso questa scelta – ha dichiarato commossa la madre -. Speriamo questa decisione possa salvare una vita o aiutare qualche persona in difficoltà”.

David, il britannico che viveva a Bruxelles – Anche David Dixon è morto in seguito all’attentato alla metrò. Il 53enne era originario di Hartlepool, città portuale britannica affacciata sul mare del Nord, ma viveva da tempo a Bruxelles. La notizia del decesso è stata confermata dalle autorità del Regno Unito. “Abbiamo ricevuto la notizia più terribile e devastante”, hanno commentato o i suoi familiari.

Elita, in viaggio per partecipare a un funerale – Drammatica anche la storia di Elita Weah, 41 anni, di nazionalità olandese. Si trovava all’aeroporto di Zaventem per partire alla volta degli Stati Uniti. Avrebbe voluto infatti partecipare al funerale di un familiare. Lascia una figlia di 13 anni.

Frank, un’ora dopo sarebbe stato già in volo – E’ deceduto mentre aspettava di partire il 24enne di origini cinesi Frank Deng. Il volo era in programma un’ora dopo l’esplosione.

Yves lascia due figli – Si sono infrante anche le speranze dei familiari di Yves Ciyombo Cibuabua. Padre di due bambini, è morto nell’esplosione alla fermata Maelbeek della metropolitana di Bruxelles.

I fratelli Sascha e Alexander – Doppia tragedia per la famiglia Pinczowski, di origine olandese. Nell’attentato all’aeroporto hanno infatti perso la vita i fratelli Sascha e Alexander, residenti a New York.

Olivier, morto mentre andava al lavoro – La follia dei terroristi è costata la vita anche al belga Olivier Delespesse, rimasto ucciso mentre si stava recando al lavoro in metropolitana. A confermarlo è stato il governo della Vallonia. Il funzionario del ministero dell’Istruzione, come Leopold, era sul treno sventrato a Maelbeek. “Olivier era una persona simpatica, gioiosa, amichevole, una persona eccezionale per i suoi amici e i suoi colleghi. La sua morte è profondamente scioccante e ingiusta”, scrivono i suoi colleghi.

Adelma, morta sotto gli occhi delle figlie – Il papà che decide di portate le bimbe a giocare pochi metri più in là. La deflagrazione. E mamma Adelma Marina Tapia Ruiz che perde la vita, sotto gli occhi dei suoi familiari rimasti quasi del tutto illesi nell’esplosione avvenuta all’aeroporto. Leggi l’articolo

Fabienne aveva appena concluso il turno – Fabienne Vansteenkiste è un’altra delle vittime dell’esplosione all’aeroporto. 51 anni, al momento della deflagrazione aveva da poco concluso il suo turno di lavoro e stava per tornare a casa. E’ morta mercoledì per le ferite riportate.

I DISPERSI
I nomi dei dispersi – Non si hanno notizie, invece, di Berit Viktorsson, Andrè Adam, la cui moglie è invece ricoverata in ospedale, Johanna Atlegrim, Aline Bastin, Sabrina Fazal, Antonio Monteagudo, Raghavendran Ganesan, Janina Panasewicz, Justin e Stephanie Shults.




TURCHIA – Dopo l’attacco a Istambul raid in Siria e Iraq. Duecento morti

Nelle ultime 48 ore la Turchia ha bombardato postazioni dell’Isis in Siria e Iraq, uccidendo 200 jihadisti, in risposta all’attentato kamikaze di martedì a Istanbul. Lo ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu, specificando anche che «l’artiglieria di Ankara ha colpito 500 postazioni». Ankara, ha poi aggiunto «continuerà a colpire il Daesh via terra e userà le forze aeree se necessario».
E ai bombardamenti condotti da Ankara è arrivata subito la reazione di Mosca: «La politica distruttiva» perseguita dalla Turchia in Siria porta a un ulteriore innalzamento della tensione nella regione» ha detto la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova.

Nell’attacco di martedì nel cuore di Istanbul erano morti 10 tedeschi, l’autore dell’attacco Nabil Fadli, un 27enne siriano nato in Arabia Saudita, almeno questa l’dientità diffusa nelle ore successive all’attentato. Il ministro dell’Interno tedesco Thomas De Maiziere ha però fatto sapere che non ci sono certezze sulla reale identità dell’uomo. Tra mercoledì e giovedì erano state arrestate altre sette persone, tutte legate all’Isis, per presunte responsabilità nell’attentato. Arrestati anche tre cittadini russi, di cui uno, Aydar Suleymanov, classe 1984, è sospettato da Mosca di avere legami con lo stato islamico.




UCRAINA – Duemila militari russi morti contro Kiev

La rivista Forbes si è accorta di uno scoop involontario fatto da un sito russo ‘Delovaya Zhizn’, che ha rivelato quello che Vladimir Putin ha decretato essere un “segreto di Stato”: il numero dei soldati russi – ufficialmente non ce ne è neanche uno e quelli presenti sono solo volontari in ferie o in congedo – morti in Ucraina. Il totale è – al primo febbraio 2015 – di oltre 2.000 morti e 3.200 feriti.

È quanto emerge da un articolo generico intitolato “Incremento delle paghe per i militari russi nel 2015”, tra le cui pieghe viene fuori che che le famiglie dei militari di Mosca morti in Ucraina hanno ricevuto 3 milioni di rubli (38.000 euro) mentre i feriti hanno avuto mezzo milione di rubli (12.800 euro).

Le prima somma è stata assegnata “ad oltre 2.000 famiglie di soldati caduti e a 3.200 militari che hanno subito gravi ferite e cui è stato riconosciuto lo status di invalidi”. Nel testo si aggiunge che “1.800 rubli (poco più di 23 euro) al giorno sono pagati ai combattenti per la loro presenza nelle zone di conflitto”.

Nella notte il presidente americano Barack Obama nel corso di una telefonata alla cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso preoccupazione per le nuove violenze nell’est dell’Ucraina e apprezzamento per la leadership di Berlino sul fronte dell’emergenza immigrazione in Europa, soprattutto per quel riguarda l’accoglienza dei profughi siriani.




SIRIA – Raid aereo: gli Usa colpiscono dalla Turchia. Assemblea generale ONU in settembre

Cacciabombardieri Usa hanno compiuto per la prima volta un raid aereo “letale” sul Nord della Siria decollando da una base nel Sud della Turchia. Lo riferisce la Cnn citando due fonti diverse della Difesa statunitense. Poco prima, il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva affermato che Turchia e Stati Uniti “hanno fatto progressi” riguardo all’uso della base militare turca di Incirlik e che “gli aerei americani stanno cominciando ad arrivare. Presto – ha aggiunto – lanceremo una completa lotta contro Daesh”, l’acronimo arabo per Stato islamico.

Come in passato, la Casa Bianca ambisce alle dimissioni del presidente siriano Bashar Assad ed è favorevole al sostegno dei gruppi armati di opposizione. Tuttavia Mosca considera questo approccio disastroso, soprattutto in considerazione della mancanza di progressi nella lotta contro i terroristi di ISIS. La coalizione internazionale creata dagli USA con i suoi alleati nella regione finora non è riuscita a fermare lo slancio del gruppo fondamentalista. Contemporaneamente la Russia e gli altri Paesi che sostengono il regime di Damasco non sono pronti a collaborare con questa coalizione fino a quando la sua missione non godrà del sostegno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite attraverso l’approvazione di una risoluzione speciale.
Tale coalizione dovrebbe costituirsi “su una solida base giuridica internazionale”, — si afferma nel comunicato del ministero degli Esteri russo rilasciato dopo la visita di Sergey Lavrov in Qatar.
Per Mosca è essenziale che la coalizione riceva ufficialmente il mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Secondo il “Kommersant”, il presidente russo ha intenzione di dedicare particolare attenzione a questo tema nel suo discorso di apertura della 70esima sessione dell’Assemblea generale dell’ONU a New York alla fine di settembre.
In una conversazione con i giornalisti Sergey Lavrov ha criticato la posizione degli Stati Uniti sulla Siria ed ha esternato le sue idee in merito al segretario di Stato USA John Kerry.
“Quando gli Stati Uniti un anno fa avevano annunciato la creazione di una coalizione per combattere ISIS in Iraq e in Siria, Washington si è assicurata l’accordo del governo iracheno, ma non ha chiesto nulla a Damasco. Abbiamo già sottolineato l’illegittimità e l’inefficacia di tale approccio,” — ha detto.
Secondo il capo della diplomazia russa, le azioni degli Stati Uniti si configurano come “un ostacolo alla formazione di un fronte comune contro ISIS” e la strategia di sostenere l’opposizione siriana con l’aviazione può “complicare ulteriormente la lotta contro il terrorismo.”
“L’addestramento sul territorio degli Stati vicini da parte degli istruttori americani sui combattenti della cosiddetta opposizione moderata è degenerato quando molti degli uomini addestrati sono finiti dalla parte degli estremisti”, — ha dichiarato il ministro russo.
Mosca ritiene che “gli attacchi aerei da soli non bastano”, “ed è necessario formare una coalizione di persone che la pensano allo stesso modo” e sul campo “si oppongono con le armi alla minaccia terroristica.”
“Sono interessati l’esercito siriano e iracheno e i curdi,” — ha detto Lavrov, aggiungendo che in questa iniziativa è stata promossa dal presidente della Federazione Russa.
Allo stesso tempo Lavrov ha ammesso che la posizione di Mosca non ha trovato la comprensione di Washington.
“Non penso di essere stato in grado di far scricchiolare la posizione degli Stati Uniti. Su questo tema le nostre posizioni divergono chiaramente,” — ha detto dopo l’incontro.

ROMA –  “Da diversi giorni il governo turco bombarda villaggi civili e postazioni militari del popolo curdo. In tutti questi mesi, Erdogan ha sostenuto e appoggiato l’ISIS. Dal confine turco sono passate autobombe dirette a Kobane, miliziani dello Stato Islamico sono stati curati negli ospedali turchi, mentre si continua a tenere chiusa la frontiera con la città curda liberata da YPG/YPJ. Anche nel recente attentato che ha causato la morte di decine di giovani socialisti e anarchici a Suruc, le responsabilità del governo dell’AKP stanno emergendo con sempre maggiore chiarezza.

Il dittatore turco Erdogan ha annunciato di voler combattere l’ISIS solo perché si sente estremamente debole, sia all’interno, che all’esterno del Paese. Dopo le ultime elezioni non è in grado di ottenere la maggioranza necessaria a formare un governo, anche grazie alla straordinaria affermazione dell’HDP, partito capace di parlare ai curdi e a tutta la sinistra turca. Inoltre, è stato messo alle strette dall’accordo sul nucleare iraniano e, soprattutto, ha paura che l’esperienza di democrazia radicale del Rojava possa consolidarsi e diventare contagiosa.

Per queste ragioni, dietro la maschera della lotta all’ISIS, Erdogan ha lanciato una campagna contro la resistenza curda e contro le opposizioni interne. Su circa 800 arresti, meno del 10% riguardano presunti membri dello Stato Islamico: tutti gli altri sono militanti curdi o membri delle opposizioni.

Questa operazione è condotta con la complicità degli USA e dei Paesi dell’Unione Europea, mentre i media internazionali, che fino a pochi giorni fa esaltavano le gesta delle eroiche guerrigliere curde capaci di fermare l’avanzata dell’ISIS, adesso descrivono le stesse persone e le stesse organizzazioni come “terroriste”.

Dopo mesi di solidarietà attiva nei confronti della popolazione curda e delle sue unità di autodifesa, oggi vogliamo rompere il muro di silenzio e menzogne creato intorno all’aggressione militare che stanno subendo. Vogliamo denunciare il terrorismo di Erdogan e dello Stato turco. Vogliamo affermare che in Turchia e nel Kurdistan HDP, PYD, PKK, insieme ai movimenti sociali esplosi negli ultimi anni, sono gli unici garanti della democrazia e dei valori umani.
Per la fine dei bombardamenti e la pace in Kurdistan e in tutta l’area medio-orientale.

Per il rilascio immediato di tutti gli oppositori al regime autoritario turco.

Per l’eliminazione del PKK, unico fronte all’avanzata dell’ISIS e unico garante possibile per un processo di pace nell’area, dalle liste del terrorismo internazionale.

Per il riconoscimento del confederalismo democratico del Rojava, per una possibilità di pace e libertà per i popoli del Medio Oriente”.
Roma per il Kurdistan

(Attivisti solidali con il popolo curdo e la sinistra curda e turca si sono incatenati all’ambasciata della Turchia per denunciare la guerra del governo di Erdogan contro il confederalismo democratico del Rojava, il Pkk e i movimenti sociali turchi).

ERDOGAN – “Pur di bloccare le ambizioni dei curdi di creare un proprio territorio autonomo nel Nord della Siria, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ora è determinato addirittura ad allearsi con la filiale siriana di Al Qaida”. Così Mustafa Bali, portavoce delle Unità a Difesa del popolo curdo (Ypg), il quale condanna i piani di Ankara di creare una “zona di sicurezza” nel Nord della Siria. E teme che gli Usa possano appoggiarli.

Continuano, incessanti, i bombardamenti dell’aviazione turca contro le postazioni del Pkk sulle montagne del nord dell’Iraq e del sud –est della Turchia, e il numero delle vittime aumenta di ora in ora. Non si hanno finora notizie precise sul bilancio ma da numerose delle zone bombardate giungono allarmanti dati sul numero delle vittime. L’agenzia di stampa ufficiale turca, Anadolu, evidentemente imbeccata dal regime, parla di circa 260 membri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan uccisi e di centinaia di feriti in una settimana di attacchi aerei sulle postazioni della guerriglia. Il bollettino fornito dalla Anadolu afferma che anche Nurettin Demirtas, fratello del leader del Partito Democratico dei Popoli Sehattin, sarebbe rimasto ferito durante i raid, centinaia, che avrebbero colpito e distrutto 65 tra depositi di armi e rifugi della resistenza curda.

Cifre che, come scrivevamo già, sono probabilmente gonfiate per dare la sensazione all’opinione pubblica islamista e reazionaria turca che la nuova strategia bellicista intrapresa pochi giorni fa dall’asse Davutoglu-Erdogan stia dando i suoi frutti e che le perdite inflitte ai ‘terroristi’ – per ora solo quelli curdi, perché di attacchi contro lo Stato Islamico non si è sentito più parlare – siano molto ingenti. Il Pkk finora ha dato notizia solo di cinque morti tra i combattenti ma ha ammesso che da giorni ha perso il contatto con alcune delle aree bombardate.
Naturalmente i bollettini ufficiali turchi non fanno alcuna menzione delle numerose vittime civili causate dalle bombe sganciate dagli F-16 e dagli F-4 di Ankara sui villaggi. Notizie di vittime civili e di distruzioni arrivano da numerose zone, ma il bilancio più alto sembra arrivare finora dal villaggio di Zergelê, sui monti di Qandil, nel kurdistan iracheno, dove i caccia turchi avrebbero ucciso almeno 9 civili, compresi donne e bambini. I bombardamenti, raccontano i testimoni, sono iniziati durante la notte, intorno alle 4: quattro missili hanno preso di mira le case nel villaggio distruggendone molte e facendo strage degli abitanti. Oltre ai morti ci sarebbero anche 15 feriti, di cui alcuni in gravissime condizioni, molti dei quali non sono stati condotti in ospedale a causa della continuazione dei raid che rendono insicuri gli spostamenti. “Stavamo dormendo quando i caccia turchi hanno colpito il nostro villaggio”, ha raccontato uno dei civili feriti.
Di fronte alla violazione della propria sovranità e alla strage di oggi documentata dalle immagini scattate da un reporter dell’agenzia Rojnews – che ne annuncia sicuramente altre nei prossimi giorni – la leadership della regione autonoma dell’Iraq del Nord ha incredibilmente chiesto ai guerriglieri del Partito Curdo dei Lavoratori di lasciare le proprie postazioni nella regione “per non esporre ulteriormente i civili ai raid aerei turchi”, di cui però non ha per ora chiesto la cessazione ad Ankara.
“Il Pkk deve tenere il campo di battaglia lontano dalla regione del Kurdistan perché i civili non diventino vittime di questa guerra”, ha affermato il presidente della regione autonoma, Massud Barzani in un comunicato diffuso dal suo ufficio.
“Non crediamo che ci possa essere una soluzione militare – si è limitato a dire il ministro degli Esteri del governo di Erbil, Falah Mustafa Bakir – Speriamo che le parti tornino al negoziato perché stabilità e sicurezza è quello di cui abbiamo bisogno ai nostri confini”.
In un suo comunicato-appello urgente, invece, il Congresso Nazionale Curdo (Knk) – che riunisce partiti e movimenti di liberazione curdi di diversi paesi – parla apertamente di terrorismo di stato turco e di aperta collaborazione di Ankara con lo Stato Islamico che pure afferma di voler combattere.
A vedere le strazianti immagini provenienti da Qandil la sensazione che i jihadisti abbiano finalmente a disposizione una loro aviazione – gli F-16 di Ankara – è davvero forte.

Per Bali, che ha parlato con askanews da Kobane, città curda siriana liberata a gennaio scorso dopo un lungo assedio dei jihadisti dell’Isis, le operazioni militari appena lanciate dall’esercito turco contro le milizie jihadiste dello Stato Islamico (Isis) oltre il confine con la Siria sono “una farsa turca” con altri obbiettivi rispetto a quando dichiarato: in primis “colpire i curdi”. Il vero obiettivo sarebbe bloccare la creazione di un territorio autonomo dei curdi siriani, separando due zone da loro controllate.

La zona indicata per la creazione della cosiddetto “zona cuscinetto” voluta da Ankara è lunga circa 50 chilometri, parte da Kobane a Est e arriva ad Afrin a Ovest; entrambe città curdo siriane. “Si tratta di una zona mista controllata dall’Isis e abitata da curdi, arabi e turcomanni”, afferma Bali, secondo cui parò l’esercito turco ha “bombardato solamente villaggi curdi”.

“Dopo aver capito che l’Isis non è un partner vincente – prosegue il portavoce di Ypg, che accusa senza mezzi termini Ankara di connivenza con l’Isis – Erdogan punta ora sulla carta dei qaedisti, definendoli ‘opposizione moderata’” al regime di Bashar al Assad.

Un quadro che non corrisponde a realtà, secondo l’esponente curdo. “Intanto non esiste un’opposizione moderata, basti pensare che gli Usa dopo tre anni non sono riusciti a reclutare più di 60 combattenti da addestrare contro Damasco”, argomenta Bali, spiegando che “oggi la cosiddetta opposizione moderata è composta da soli gruppi terroristi di stampo islamista come il Fronte al Nusra, Jeish al Fatah, Beit al Islam e Ahrar al Sham”. Insomma gruppi islamisti “che in comune con Erdogan hanno l’avversione per i curdi”.

Quindi “non capiamo la politica di Washington”, che pare tacitamente assecondare il piano di Ankara per la creazione della zona di sicurezza, afferma il portavoce, sottolineando che “sarà difficile che gli americani possano accettare un’alleanza con terroristi islamici camuffati da opposizione siriana”.

Tuttavia, “le forze curde non cambiano strategia: noi combattiamo i terroristi a prescindere dal nome che portano, che sia Isis o al Qaida. In fondo il Fronte al Nusra ha cominciato a sgozzare la genet prima di quelli del Califfato nero”.

Di recente la Turchia è stato colpita, per la prima volta, da attacchi da parte di milizie jihadiste legate all’Isis. Un attentato ha fatto 32 morti nella città di confine di Suruc la scorsa settimana. Per Ankara, i militanti del PKK sono terroristi, così come lo sono gli uomini del Califfo .

Con una conferenza stampa congiunta del YPG (Peoples’ Protection Units) e della sua componente femminile, il YPJ, le forze curde che combattono contro lo Stato Islamico hanno annunciato la liberazione della città di Hasaka dopo una battaglia che durava da oltre un mese.

Secondo quanto si è appreso durante l’operazione sono stati uccisi almeno 386 terroristi appartenenti al Daesh tra i quali molti comandanti di alto grado. E’ l’ennesima vittoria delle forze combattenti curde nel difficile teatro della guerra in Siria, una vittoria che arriva nonostante gli attacchi dell’aviazione turca contro i combattenti curdi.

Durante la conferenza stampa ha parlato Azima Deniz, una comandante delle forze femminili curde (YPJ) la quale nel ricordare il fondamentale apporto delle combattenti donne curde ha sottolineato come nella battaglia siano stati uccisi il “sovrano” di Hasaka nominato dai vertici dello Stato Islamico, il sindaco della città e diversi suoi assistenti.

I combattenti curdi hanno sequestrato anche una grande quantità di armi e munizioni che andranno a rinforzare le milizie curde dato che le potenze occidentali non le riforniscono adeguatamente di armi a causa della opposizione delle Turchia. La conquista della città di Hasaka porta le forze curde ancora più vicino a Raqqa, capitale del Daesh.

Intanto  la Turchia ha ammesso che durante i raid dell’aviazione turca contro obbiettivi curdi hanno perso la vita diversi civili. Il Ministero degli Esteri turco ha emesso un comunicato dove si dice “rattristato” per l’uccisione di civili e che “la Turchia farà di tutto per evitare l’uccisione di civili” confermando tuttavia che i raid contro le forze curde, in particolare contro il PKK (ma non solo), continueranno fino a quando la Turchia lo riterrà opportuno.




RUSSIA – Quaranta nuovi missili nucleari. Putin da Renzi: “Via le sanzioni, l’Italia perde un miliardo”.

L’Alleanza Atlantica aveva deciso di rafforzare la sua presenza nella zona in seguito all’annessione della Crimea da parte di Mosca e alla crescente attività militare russa nella zona. “Un tintinnio di sciabole ingiustificato, destabilizzante e pericoloso” il commento del segretario generale della Nato, Stoltenberg. Il presidente russo: “Puntiamo le armi solo contro chi ci minaccia” Tweet44 Putin: “Svilupperemo il nostro potenziale offensivo per autodifesa, non abbiate paura della Russia”

Il 16 giugno 2015 La Nato ha  rafforzato  la sua presenza militare nel Baltico e la Russia ha risposto aumentando il suo arsenale nucleare. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato il rafforzamento delle capacità militari con 40 nuovi missili balistici intercontinentali, dotati di testate nucleari, “in grado di sfuggire anche ai più sofisticati sistemi di difesa antimissilistica”. Le parole di Putin arrivano pochi giorni dopo l’annuncio statunitense del piano che prevede di schierare mezzi pesanti e aerei da combattimento nel Baltico, per garantire la sicurezza dei Paesi membri della Nato confinanti di fronte al rischio di un’eventuale invasione russa, accresciuto dopo l’annessione da parte di Mosca della Crimea, lo scorso anno. La replica di Mosca è stata affidata al viceministro della Difesa, Anatoly Antonov, che ha accusato la Nato di trascinare la Russia in una nuova corsa agli armamenti e ieri il Cremlino ha fatto sapere che risponderà a qualsiasi iniziativa di rafforzamento della presenza militare ai suoi confini.

La Russia “sta sviluppando nuove capacità nucleari”, “usa di più la retorica atomica nel comunicare la strategia di difesa” e le dichiarazioni di Putin “confermano uno schema aggressivo” e sono “un tintinnio di sciabole ingiustificato, destabilizzante e pericoloso”, il commento del segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “Mosca sta investendo più in spese per la difesa in generale, e in capacità nucleare in particolare”, ha aggiunto. “E’ una delle ragioni per le quali aumentiamo la rapidita’ e la preparazione delle nostre forze”.

Putin: “E’ la Nato che si avvicina a nostri confini, non il contrario” “Se qualcuno mette in pericolo il territorio della Russia, essa deve puntare i propri armamenti verso i Paesi da dove proviene questa minaccia”. Lo ha detto  in un incontro con il presidente finlandese Sauli Niinisto. “E’ la Nato – ha insistito il presidente russo – che si sta avvicinando alle nostre frontiere, non noi”.




ZURIGO – Mondiali truccati: sette arresti e 8 fermi per tangenti e frode fiscale. Un’inchiesta travolge la Fifa

«Vogliamo che il calcio rimanga uno sport aperto e libero per tutti. Queste persone hanno corrotto il business del calcio in tutto il mondo per arricchire sé stessi, siamo determinati a far terminare questo tipo di pratiche illegali», ha detto il ministro della Giustizia Usa, Loretta Lynch, che ha chiarito come Blatter non sia al momento sotto accusa. «Parliamo del coinvolgimento di membri della Fifa, di persone che hanno ricevuto milioni di dollari in tangenti per l’organizzazione di tornei in tutto il mondo. Tangenti e frode fiscale sono solo alcune delle accuse mosse ai soggetti coinvolti. Tutto questo è cominciato nel 1991, due generazioni di dirigenti hanno utilizzato le loro posizioni di potere per avere vantaggi dalla vendita dei tornei».

«Ci siamo concentrati sul sistema tangenti di Sudafrica 2010. Sono state pagate diverse tangenti, nel 2011 tangenti sono state pagate anche per le elezioni presidenziali della Fifa. Questo è solo l’inizio», è l’analisi del capo dell’Fbi James Comey.

Mosca, questa volta, promette di collaborare per far luce sulla verità («la nostra candidatura è pulita»), ma si difende con forza dai sospetti, assicurando come tutto si sia svolto regolarmente e accusando Washington di «uso extraterritoriale» delle sue leggi.

A Zurigo, nell’hotel Baur au Lac sono state arrestate 7 persone, gente importante che nel corso degli anni ha coperto cariche rilevanti. Sette arresti certificati più altri 8 fermi. In totale 15 uomini coinvolti, di cui 9 membri della Fifa e 6 persone che lavorano nell’organizzazione a vario titolo.

La Fifa travolta cerca di isolare le mele marce, convinta di essere «la prima vittima». Si trincerano dietro difese insostenibili: «Scopriremo chi è stato coinvolto e come. Il presidente non è implicato in questa faccenda e il congresso continuerà come preventivato». In realtà è davvero difficile continuare a dire che è colpa di pochi avidi e che non esiste un sistema sballato. E soprattutto è impossibile sostenere che Blatter, tutt’ora in carica e in corsa per un quinto mandato consecutivo, non è responsabile. Sta lì dal 1998, dovrebbe essere responsabile di ogni carta entrata nell’inchiesta. Lui non è nella lista degli arrestati ma ci sono Jeffrey Webb, presidente del Concacaf, Jack Warner il suo predecessore che si è dovuto dimettere proprio per una precedente accusa di corruzione, Eduardo Li, Jose Maria Marin, e Eugenio Figueredo, uruguaiano potente ed influente che ai Mondiali si è battuto per togliere la squalifica a Luis Suarez. Con loro anche Julio Rocha (ufficio sviluppo Fifa, capo della Federazione in Nicaragua) e Costas Takkas, ex segretario della federazione delle isole Cayman. Blatter è ancora al suo posto, ma il regno sul quale vuole dominare in eterno non c’è più.

E’ solo l’inizio dello scandalo e dai primi dettagli sul lavoro dell’Fbi pare che ancora le grandi votazioni per i Mondiali e gli sponsor non siano state esaminate a dovere. Servivano testimoni e pentiti per andare avanti e adesso ci sono 15 persone in arresto che entreranno dentro l’enorme puzzle della corruzione pallonara. E dieci membri della commissione che ha votato per la sede delle prossime due edizioni mondiali saranno ascoltati in questi giorni proprio qui a Zurigo. Unici esclusi Blatter e Platini ma non è rispetto del ruolo, piuttosto fretta. I presidenti Fifa e Uefa sono residenti svizzeri e dovrebbero rispondere alla convocazione in procura in qualsiasi momento. Gli altri potrebbero dileguarsi in fretta.

È solo il primo passo di una retata destinata a stravolgere il mondo del pallone riunito in Svizzera per le votazioni, che il 29 maggio, dovrebbero decidere l’esecutivo del calcio mondiale. E in teoria confermare Sepp Blatter presidente. La mossa, scontata per quanto assurda, suona sempre più anacronistica in una giornata dove a ogni ora c’è un nuovo arresto sull’asse Zurigo-Miami: la Fifa Connection. La polizia svizzera ha già aperto un altro filone dell’inchiesta per capire cosa è successo nel dicembre del 2010, quando la Fifa ha assegnato i Mondiali del 2018 alla Russia e quelli del 2022 al Qatar.

La prima mossa arriva dal calcio europeo: «Chiediamo che le elezioni vengano posticipate e riorganizzate nei prossimi sei mesi. Farle ora potrebbe trasformare il voto in farsa e l’Uefa penserà accuratamente se presentarsi o meno in caso la richiesta venga respinta». L’Uefa attacca, una spinta calcolata perché le federazioni che fanno capo a Platini facevano già in gran parte fronda. Almeno un terzo delle nazioni, qualcuno dice la metà erano pronte a votare l’avversario di Blatter, il principe giordano Ali Bin al-Hussein. Blatter è pronto a rispondere, difficile che non si trinceri dietro frasi logore che suoneranno come lo spettacolo deve continuare. Fermarsi ora per lui significherebbe la resa.




UCRAINA – Il Parlamento con 303 voti favorevoli rinuncia allo status di “paese non allineato” e si avvicina alla NATO

L’Ucraina di Poroshenko si allontana da Mosca e aumenta le speculazioni circa un suo ipotetico ingresso nella Nato. Il Parlamento ucraino ha approvato  una legge promossa dal presidente con la quale rinuncia allo status di “paese non allineato” (ne fanno parte 120 nazioni nel mondo, tra cui Iran, Iraq, Cuba e Cina). Il documento approvato dall’assemblea è passato facilmente, con 303 voti favorevoli, 77 in più del minimo richiesto. Formalmente, si tratta del primo passo per richiedere formalmente l’ingresso nel Trattato atlantico, dopo le dichiarazioni rilasciate dal governo lo scorso agosto in cui si auspicava un ingresso nella Nato in funzione anti russa.

La decisione del parlamento è destinata ad alimentare ulteriormente la tensione con la Russia e il ministro degli Esteri di Mosca, Sergei Lavrov, l’ha definita una scelta “controproducente” che non farà che “aggravare la situazione”. Il Cremlino è sempre più preoccupato da quello che considera un atto ostile dopo la firma del “patto di associazione con l’Unione europea, anticamera della piena adesione all’Ue che ha di fatto innescato la crisi tra Mosca e Kiev.

La Nato ha accolto con prudenza la decisione dell’Ucraina di rinunciare al suo status di paese non allineato: “Le nostre porte sono aperte e l’Ucraina diventerà membro della Nato se lo richiederà e se dimostrerà di essere in grado di rispettare gli standard e i principi necessari per aderire”, ha riferito un portavoce di Bruxelles, ricordando che il processo potrebbe comunque richiedere anni.