Giornata di studio: Le voci delle musiciste. Storia e storie

Di Katiuscia Carnà

 Il giorno 24 aprile, nell’Aula 4 e nell’Aula Magna della sede dell’Università di Roma Tre, in Via Principe Amedeo, 182 /b Roma (al I piano), si svolgerà la Giornata di studio “Le voci delle Musiciste”, ideata da Milena Gammaitoni, che ha curato con Luca Aversano anche il saggio “Le compositrici, storie e storie” (Edizioni SedM). La Giornata, organizzata in collaborazione con Luca Aversano (DAMS – Università Roma Tre), Orietta Caianiello (conservatorio di Bari), Raffaele Pozzi (Università Roma Tre), Gilberto Scaramuzzo (Università Roma Tre), è un appuntamento annuale giunto ormai alla sua terza edizione, che intende trasmettere la memoria collettiva della storiografia delle musiciste e scriverne nuove pagine.

Lungo i corridoi del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma tre verrà allestita la Mostra “Le donne nelle Arti”, dedicata alle compositrici di diversi Paesi del mondo, a cura dell’associazione Toponomastica femminile, che resterà aperta al pubblico fino al 24 maggio.

I lavori verranno aperti dalla Prorettrice Vicaria dell’Università di Roma Tre Lucia Chiappetta Cajola e dal Direttore del Dipartimento di Scienze della Formazione, Massimiliano Fiorucci.

Paola Ciarlantini del Conservatorio A. Casella dell’Aquila introdurrà un’importante testimonianza della compositrice Teresa Procaccini, prima donna in Italia a dirigere un conservatorio e fondatrice della Rassegna itinerante “Compositrici di ieri e di oggi”, attività che rivela la sua profonda attenzione nei confronti della creatività femminile. Si alterneranno poi importanti relazioni di esperte che si concluderanno con quello di Linda Maria Bongiovanni, musicista e musicoterapeuta.

A seguire un intervento danzato “Mimesis e musica: una proposta di ascolto dinamico attraverso il movimento corporeo”, a cura di Gilberto Scaramuzzo e delle studentesse del Master “Pedagogia dell’Espressione. Teatro, danza, musica, arte, sport: educazione” dell’Università Roma Tre.

Seguirà il readingmusicale, “Mon amour et aussi l’amour de la musique” di Valeria Palumbo. Dalle lettere, dai diari, dalle cronache, avrà luogo la ricostruzione di tre vicende legate profondamente alla musica che esprimono la lotta delle donne per sottrarsi al destino loro imposto nell’Ottocento, su tre coppie di artisti: George Sand e Fryderyk Chopin, Clara Wieck e Robert Schumann, Fanny e Felix Mendelssohn (con Paola Salvi e, al pianoforte, Emanuele Frenzilli). Alle 17.30 un breve concerto introdotto da Luca Aversano del Trio Musikanten che esegue il Trio Op.17 in sol minore di Clara Wieck Schumann.

La Giornata di studio sarà anche l’occasione per presentare l’apertura di una collana editoriale dedicata alle musiciste presso la Società Editrice di Musicologia SEdM: “Voci di Musiciste” a cura di Bianca Maria Antolini, Luca Aversano, Milena Gammaitoni, Orietta Caianiello, Angela Annese.

Per approfondire una conoscenza delle storie di vita, delle musiche e dei volti delle musiciste, il 26 aprile alle ore 20.30 si svolgerà il concerto “Musiche di Compositrici. Ieri e oggi” presso il Teatro Palladium.

L’intera Giornata di studio e il concerto sono stati patrocinati dall’Associazione Italia di Sociologia (AIS) degli Studi di Genere.

 

Quella delle donne è una storia di anni e anni, secoli e secoli di esclusioni a vari livelli: da quello familiare a quello sociale, lavorativo e artistico. In ambito musicale, il ruolo delle musiciste è la manifestazione di un’estromissione dalla storiografia dell’Europa dell’Ottocento. Le donne sin dai tempi più antichi sono state spesso rappresentate con uno strumento musicale, questo dimostra come le figure femminili siano da sempre protagoniste nelle Arti. Le loro biografie e le recensioni delle loro opere e composizioni sono le testimonianze di doti artistiche di donne geniali che con passione e tenacia, stimate dalle società del tempo, dedicano la loro vita alla musica. Eppure, sebbene le loro composizioni fossero illustri e al pari, se non superiori a quelle maschili, nella storia la loro identità sociale sembra esser stata volutamente cancellata da un retaggio patriarcale che arriva sino ai nostri giorni.

Nel ‘600 Francesca Caccini crea una delle prime forme di Dramma in Musica e come lei molte altre donne, in altri paesi del mondo affermano la propria arte musicale, divulgandola con passione e risolutezza.

Donne che nonostante avessero un ruolo sociale circoscritto rispetto alla loro epoca, furono in grado di dare un importante contributo all’arte e in particolare alla musica che è importante ricordare e tramandare. Molte delle musiciste avevano una condizione privilegiata, perché nate in famiglie di musicisti, ma pur sempre con l’ostacolo, come donne, di non potersi esibire in pubblico; altre ancora entravano in convento e riuscivano a non rinunciare all’espressione delle proprie capacità musicali, continuando a comporre.




Un’analisi sociologica: le musiciste nella storia e nella lotta per i diritti sociali

In Occidente, fin dal Medioevo, furono numerose le compositrici attive nella creazione musicale, nella vita sociale e politica, ma l’Enciclopedismo Universale del ‘700 e la specializzazione delle diverse discipline cancellarono del tutto la loro esistenza e di conseguenza nei manuali di storia della musica.

Oggi è possibile rintracciare e definire anche un numero approssimativo della loro presenza: nel New Grove of Music se ne contano 900, la Fondazione “Donne e Musica” registra 27.000 presenze tra compositrici, interpreti, pedagoghe, musicologhe presenti in 108 paesi e 84 associazioni. Presenze dimenticate nei conservatori e nella storia della musica, nel sapere formalizzato e istituzionalizzato.

Centrale e sicuramente sorprendente è il fatto che molte compositrici furono riconosciute e ammirate in vita dai loro contemporanei  –  editori, circoli intellettuali, comunità scientifiche, personaggi istituzionali  –  i loro nomi sono continuamente presenti nelle recensioni, nella fitta rete degli scambi epistolari con i maggiori intellettuali e artisti del tempo.

Gli spazi di affermazione pubblica si chiudono paradossalmente quando i processi di democratizzazione del sapere – l’illuminismo e l’enciclopedismo del ‘700, l’istituzionalizzazione delle diverse discipline, la scolarizzazione di massa – impediscono gli accessi all’alta formazione delle donne, per evitare che divenisse prassi consolidata e generalizzata l’esempio di un’artista autonoma, creativa, geniale. Tutt’oggi le musiciste sono oggetto di censura, pregiudizi e stereotipi ghettizzanti e marginalizzanti, tanto da stigmatizzarle in una tripla devianza: quella di essere donne ribelli ai costumi dell’epoca, di esercitare un’arte ancora oggi considerata marginale rispetto ad altre espressioni artistiche, quella di essere artiste e dunque per tradizione individui devianti, o stravaganti nel migliore dei casi.

Una, tra le storie di vita delle compositrici, che più di altre emerge a fine ‘800, nella lotta per i diritti civili e politici, è quella di Ethel Mary Smyth, (Londra 1858- 1944 – foto di copertina),Ethel Mary Smyth, (Londra 1858- 1944) si impegnò attivamente nella lotta per i diritti civili e politici delle donne, compose la famosa “March of the women”; riscuotendo un tale successo: per anni fu suonata per le strade inglesi. Scrittrice e saggista, fu proclamata Dama dell’Impero Britannico e le sue pubblicazioni furono diffuse e vendute anche in America e in Germania. Purtroppo, ad oggi le sue musiche sono state dimenticate, non solo non é citata nei manuali di storia della musica, ma anche la sua famosa “Marcia per le suffragette” resta tutt’oggi anonima anche nei titoli di coda dei film in cui viene utilizzata.Scrisse Smyth: “Ciò che mi sta davvero a cuore è quanto accade nel campo della musica. Durante la guerra divenne impossibile proseguire senza introdurre donne nelle orchestre e, detto spassionatamente, poche cose mi impressionarono maggiormente del nuovo suono ottenuto, più brillante e caldo. Si percepiva uno spirito nuovo e fresco – senza dubbio il risultato, almeno in parte, di una rivalsa di ‘genere’, nel miglior senso del termine. (…) L’atteggiamento degli Inglesi verso le donne nei vari settori artistici è ridicolo e incivile. Non c’è sesso nell’arte. Come si suona il violino, come si dipinge o si compone è ciò che veramente conta. Nei paesi in cui l’istinto estetico è grande, e coltivato – in Francia, per esempio – il giudizio è pulito e oggettivo, e una donna che pratichi un’arte è semplicemente un’artista fra gli artisti. Qui in Inghilterra, dove l’istinto langue, e non viene educato, il primo e l’ultimo giudizio sulla sua opera provengono dal sesso […]”[1].

Pierre Bourdieu, ispirato da Virginia Woolf, svelò pienamente i meccanismi dell’ordine stabilito dal potere maschile: il rapporto di dominio, il modo in cui viene imposto e subìto è l’esempio per eccellenza di sottomissione paradossale alla violenza simbolica, invisibile alle stesse vittime, e che si esercita attraverso l’uso della comunicazione e della conoscenza, in cui la doxa è doppiamente paradossale quando smonta la trasformazione della storia e dei costumi culturali in qualcosa di naturale.[2]

La giustizia sociale deve essere dunque ridefinita, re-immaginata e condivisa, utilizzando nuove narrazioni, ricostruendo universi simbolici.

Se la storia delle compositrici non entrerà a pieno diritto nei programmi di studio dei Conservatori, nei libri di storia, non si farà altro che confermare un ordine naturale dominato da una costruzione storica oramai inverosimile.

Per rispondere a questo vuoto istituzionale, è in corso di stampa il primo volume di una collana editoriale “Voci di Musiciste”, (a cura di Luca Aversano, Milena Gammaitoni, Orietta Caianiello, Angela Annese), per le Edizioni Italiane di Musicologia; ci aspetta un grande lavoro di formazione e di divulgazione nel quale impegnarci e coinvolgere le nuove generazioni a partire dal linguaggio[3]: in Wikipedia, l’enciclopedia più consultata nel web, e principalmente dai giovani, le compositrici rispondono alla definizione: “Compositori donne”. A chi verrebbe mai in mente di cercare la storia delle musiciste scrivendo la parola chiave al maschile?

 

 

[1] E. Smyth, Streaks of life (trad. Stralci di vita, secondo dei volumi dell’autobiografia di E. Smyth a cura di Orietta Caianiello), London, Longmans, Green, 1921, pp. 237-240.

[2] Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano, 1998,  p. 22.

[3] La Presidente della Camera dei Deputati, On. Laura Boldrini, dall’inizio del suo mandato ha promosso il bisogno di declinare la lingua italiana al femminile in ogni ambito della vita pubblica e privata; l’Associazione Toponomastica femminile sta collaborando attivamente con Wikipedia per un cambiamento radicale del linguaggio.




Le donne del blues e del jazz

Di Livia Capasso e Maria Pia Ercolini

Nell’ambito del Festival Le Compositrici, organizzato nella capitale dall’Università Roma Tre e della Scuola Popolare di Musica di Testaccio, si apre domani al pubblico, nei locali del teatro Palladium, a Garbatella, una nuova sezione tematica della mostra Donne e Lavoro, curata dall’associazione Toponomastica femminile.

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Il festival, giunto alla sua terza edizione, vuole mettere in risalto opere scritte da musiciste, spesso rimaste nell’ombra, a cui la storia non ha riservato un posto nella memoria collettiva. Molte opere sono disperse, poche sono pubblicate, e anche quando le loro autrici hanno incontrato successo in vita, sono state spesso dimenticate dopo la morte.

Autrici e autori della nuova sezione della mostra sono per lo più docenti d’ateneo e di conservatorio, musiciste e orchestrali.

Non mancano interventi trasversali al tema della composizione, incursioni in altri territori musicali, sguardi sulla contemporaneità.

E tra questi cade lo sguardo sui pannelli dedicati alle donne del jazz e del blues, opera di Mauro Zennaro, relatore, tra l’altro, di un “duetto” con il docente e sassofonista Eugenio Colombo, alla giornata di studi Le Compositrici (Giovedì 14 aprile – Istituto di Scienze della Formazione, Università Roma Tre).

Saranno le successive immagini a raccontare, in due puntate, la storia di queste grandi artiste.

2.Gertrude   3.Bessie

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“È difficile definire il blues. Come per tutta la musica popolare, ne abbiamo notizie certe solo da quando è stato possibile registrarne i suoni. Sul prima, si possono fare solo ipotesi. La musica popolare nasce dalla voce, lo strumento più universale ed economico, adatto a cantare melodie e parole. Come il flamenco, il fado, il rebetiko e tanti altri generi, il blues parla di amore infelice, di soldi che non bastano mai, di sesso: molto dolore e qualche piacere.”

4.Billie    5. Rosetta

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“Il popolo nero, deportato nel Nuovo continente in schiavitù, adattò i suoi canti alla nuova lingua e inventò modi nuovi di suonare gli strumenti che trovava: qualche semplice percussione, la chitarra, il banjo, l’armonica, l’armonium delle chiese rurali. Nelle piantagioni la gente nera era allevata con criteri zootecnici e i maschi in eccesso venivano venduti. Nasce dunque una canzone tipica: il blues del letto vuoto, quello delle donne che improvvisamente perdevano i loro uomini. Con la fine della schiavitù le donne continuarono a restare, lavorando nelle case bianche come domestiche, mentre gli uomini emigravano seguendo il lavoro stagionale nei campi e quello definitivo nelle industrie del Nord. “Mi sono svegliata questa mattina” e ho trovato il letto vuoto: I woke up this morning è l’incipit più tipico del blues.”

6. Big Mama  7. Nina

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“Le grandi donne del blues nascono povere, hanno vite difficili ma hanno dato vita alla grande musica del Novecento. Il jazz, il rock e anche tanta musica “colta” sarebbero impensabili senza il loro canto.”

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ITALIA – Donne al lavoro

Di Livia Capasso e Maria Pia Ercolini

Collegate dal filo conduttore delle pari opportunità, sono state esposti in questi giorni, alla Centrale Montemartini di Roma, 71 pannelli provenienti da tutta Italia con immagini storiche, foto attuali e targhe stradali di donne che da sempre hanno agito nell’ombra e in piena luce, davanti a una metà del mondo che non ha mai avuto occhi per notarle.

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Ne emergono mestieri antichi e nuovi, sconosciuti e diffusi, di nicchia e di massa. E così si scoprono le acquarole di Sicilia, venditrici di acqua da bere, contenuta in damigiane adagiate in ceste di vimini e trasportate da carretti di fortuna e le corallare di Torre del Greco, preferite agli uomini per la delicatezza delle loro mani che bucano e infilano rami di corallo per farne collane.

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E ancora: le femminote dello Scilla e Cariddi, pastore, contadine, pescatrici e contrabbandiere di sale, bravissime nel baratto e nel commercio; le portatrici d’ardesia, che scendevano dalle cave liguri poste in quota fino ai magazzini costieri di Lavagna per imbarcare le pesanti lastre caricate sulla testa; le sessolote triestine, che usavano una pala di legno non piatta (sessola), piegata a mo’ di gronda, per lanciare in aria le granaglie da mondare…

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E ancora, pittrici, musiciste, scrittrici che da sempre hanno mostrato grande talento senza acquisirne la meritata fama.

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ILDEGARD (Friburgo – foto di Filippo Altobelli)

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VITTORIA COLONNA (Napoli – foto di Maria Pia Ercolini)

I mestieri hanno sempre visto la presenza femminile – contadina, parrucchiera, sarta… – mentre le professioni sono state sempre appannaggio della componente maschile, tant’è che i nomi che le definiscono sono declinati al maschile.

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MONDINE (Carpi (MO) – foto di Andrea Aldini)

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SARTINE (Brindisi – foto di Marina Convertino)

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MERLETTAIE (Offida (AP) – foto di Barbara Belotti)

Ora che anche le donne hanno accesso ai ruoli professionali, è tempo di usare un linguaggio adeguato e conveniente e declinare al femminile le professioni assolte dalle donne: avvocata, sindaca, prefetta, magistrata…

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AVVOCATO (Francavilla Fontana (BR) – foto di Marina Convertino)

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MAGISTRATO (Diamante (CS) – foto di Livia Capasso)

L’assenza di tracce e riconoscimenti femminili sul territorio porta a riproporre stereotipi di genere largamente superati dalla reale dinamica sociale, che vede le donne protagoniste della vita scientifica, culturale e politica.

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RICERCATRICE

Attraverso inclusioni ed esclusioni dalla memoria collettiva, le targhe stradali sono in grado di far riemergere storie rimosse e contribuiscono ad aprire gli orizzonti a nuove generazioni alla ricerca di una propria identità.

Riportando a galla il vissuto e l’agito delle donne si combattono stereotipi e violenze e si consente alle giovani generazioni di ripensare liberamente alla propria collocazione nel mondo.

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RITA LEVI MONTALCINI (Morbegno (SO) – foto di Rosa Enini)




ITALIA – Lodi, un bell’esempio di educazione alla cittadinanza attiva

di Elisabetta Castellotti

Anche Lodi, come Friburgo, ha creato la sua mappa cittadina sulle strade femminili. Nel 2012 l’insegnante Giordana Pavesi con una secondaria di primo grado ha ricercato e fotografato le vie della città dedicate alle donne. Collaborando con l’archivio storico, ha poi analizzato documenti e ricavato notizie sulle protagoniste dell’odonomastica cittadina. A Lodi solo il 9% delle vie propone figure femminili. Su 499 strade, 197 sono dedicate a persone:180 a uomini e solo 17 a donne (6 sono nomi di sante, anche se 3 sono legate alla storia di Lodi) a cui si aggiunge infine la generica Via delle Orfane.

Nella ricerca biografica le donne sono state raggruppate in figure religiose, musiciste, scrittrici, scienziate, educatrici, benefattrici. Alcune di loro sono ricordate perché associate al marito, ne riportano, infatti, il cognome e ne viene trascurato quello di nascita, è il caso di Maria Hadfield in Cosway, ma anche di Angela Pugni in Danelli così come Marie Sklodowska in Curie, l’unica donna a essere commemorata senza avere un legame diretto con la città. L’attività è proseguita con la produzione di una mappa per creare un percorso al femminile da suggerire ai turisti. L’amministrazione comunale nel 2014, ascoltando le richieste di alunne e alunni dell’Istituto Cazzulani e degli istituti che si sono aggiunti nell’attività di ricerca, ha ricordato altre donne inaugurando il Parco di Hadir, via Elena Cazzulani e via Chiarina Orsini…Il lavoro continua!

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Queste le strade femminili di Lodi: Via Ada Negri, Via Camilla Tavazzi Catenago, Via Maria Cosway, Via Carlotta Ferrari, Via Flora dei Tresseni, Via Anna Vertua Gentile, Via Elisa Giambelli, Via Giuseppina Strepponi. Via Giannina Russ, Via Pierre e Marie Curie, Piazzale Stefano e Angela Danelli, Via Santa Francesca Cabrini, Via Santa Savina, Via Beata Lucrezia, Via Maria Maddalena, Via Santa Maria del Sole, Via Incoronata.

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Elisa Giambelli (Busto Arsizio, 1863- Lodi, 1940), educatrice

Nacque a Busto Arsizio da Giuseppa Stazza e Alessandro Giambelli che, per diversi anni, fu direttore della Scuola normale femminile di Lodi. Fu nominata direttrice dell’Orfanotrofio femminile nel 1895 e mantenne la carica per 45 anni, stimata e amata dai superiori e dalle orfane. A termine carriera le fu conferita la medaglia d’oro. Collocata a riposo continuò a vivere, in separato appartamento, presso l’Orfanotrofio femminile.

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Anna Vertua Gentile (Dongo 30/05/1845 Lodi 23/11/1926), scrittrice

Nata a Dongo (Como) il 30 maggio 1845, esordì come scrittrice a 23 anni con “Letture giovanili per fanciulle”. Oltre a collaborare con alcune riviste, scrisse numerosi romanzi, per lo più di genere rosa o rivolti ai ragazzi. Morì il 23 novembre 1926 e venne sepolta nel cimitero di Codogno, dove le sono stati intitolati una scuola e un premio letterario.

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Carlotta Ferrari (Lodi 27 gennaio 1830 – Bologna 22 novembre 1907), compositrice

Nacque a Lodi e studiò canto e pianoforte sotto la guida di Giuseppina Strepponi. Si perfezionò in composizione. Autrice di alcuni brani da salotto, è conosciuta anche per le composizioni sacre e per i suoi drammi lirici. Nel 1867 ricevette da parte del vicario della Fabbriceria di Lodi l’incarico di comporre una Messa dal vivo per la festa patronale di S. Bassiano. Ormai dimenticata, morì, dopo una lunga malattia, a Bologna.

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Maria Hadfield in Cosway (Firenze, 11 giugno 1760 – Lodi, 5 gennaio 1838), artista e educatrice

Maria Luisa Caterina Cecilia Hadfield è stata un’artista e educatrice inglese. Nata a Firenze da padre inglese e madre italiana, si trasferì a Londra nel 1779 e sposò William Richard Cosway, famoso miniaturista del principe di Galles. Nel 1796 muore, a soli sei anni, la figlia Luisa Paolina Angelica e la Cosway si trasferisce a Maleo, nel Lodigiano, dalla sorella Bettina. Trasferitasi a Lodi, apre, il 18 febbraio 1812, una nuova scuola per ragazze, conosciuta poi come il Collegio delle Dame Inglesi. Qui studierà Vittoria, la figlia di Alessandro Manzoni. Le sue convinzioni pedagogiche si rifanno alle teorie di Jean-Jacques Rousseau e Johann Heinrich Pestalozzi.
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Giuseppina Strepponi (Lodi 8 settembre 1815 – Milano 14 Novembre 1897), cantante soprano

Giuseppina Strepponi nacque a Lodi da una famiglia di musicisti. Studiò come soprano al Conservatorio di Milano e debuttò ad Adria nel dicembre 1834 in Chiara di Rosembergh. Cominciò a frequentare il compositore Giuseppe Verdi, rimasto vedovo della prima moglie, interpretando alcune sue opere. In seguito si sposarono. La salute malferma le impedì di proseguire la carriera di cantante. Quando morì, venne sepolta insieme a Verdi nell’oratorio della Casa di riposo per Artisti di Milano.

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Francesca Saverio Cabrini, (Sant’Angelo Lodigiano, 1850 – Chicago, 1917), Santa – Patrona degli Emigranti

Nacque da una famiglia cattolicissima, diplomata maestra elementare maturò la vocazione religiosa e prese i voti nel 1874. Nel 1880 fondò a Codogno la Congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù. Nel 1889 raggiunse gli Stati Uniti per prestare assistenza agli immigrati italiani; a New York aprì un orfanotrofio e una scuola gratuita nella Little Italy. Costruì asili, scuole, convitti per studentesse, orfanotrofi, case di riposo, ospedali e 80 istituti in altri 7 paesi del continente.  Fu la prima ad affrontare l’impegno missionario, prerogativa degli uomini.
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Ada Negri (Lodi 3 febbraio 1870 – Milano, 11 gennaio 1945), scrittrice

Grazie ai sacrifici materni poté frequentare la scuola ottenendo il diploma di insegnante elementare. Ebbe due figlie: Bianca, ispiratrice di molte poesie, e Vittoria, che morì a un mese di vita. Proprio questi accadimenti portano la Negri a rendere sempre più introspettive e autobiografiche le proprie liriche, a partire dalla raccolta Maternità (1904). Nel 1918 pubblicò Orazioni, raccolta di patriottiche odi alla patria che segnarono il suo avvicinamento alle posizioni mussoliniane; queste ultime le costarono, in seguito, anni di oblio. Morì nel 1945 e fu sepolta nel Famedio di Milano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba venne traslata nell’antica Chiesa di San Francesco a Lodi, che aveva frequentato e cui aveva dedicato più versi.

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Angela Maria Pugni in Danelli (Mortara, 1902-Lodi, 1987), benefattrice.

Nel 1926 partorì la piccola Anna Teresa che morì il 25 aprile dello stesso anno. Sembra che la piccola fosse affetta da qualche disabilità e ciò giustifica la profonda sensibilità della donna nei confronti dell’handicap. Alla sua morte, infatti, volle che il suo patrimonio e le sue proprietà servissero alla creazione di un Centro Residenziale per le persone affette da gravi handicap e impossibilitate all’accudimento in famiglia e il Centro Riabilitativo Polivalente.

9. Lodi_Tresseni_GiordanaPavesi

Flora De Tresseni (1250-1350 circa), benefattrice

Appartenente a una delle maggiori famiglie guelfe di Lodi. Sposò Antonio Fissiraga, signore di Lodi, capo dei guelfi in Lombardia. La famiglia di Flora era vicina alla spiritualità francescana, la madre, infatti, Lodigiana de Palatini, aveva ideato la costruzione di un grande monastero francescano femminile da dedicare a Santa Chiara. Ad Antonio Fissiraga e alla moglie Flora de Tresseni va assegnato anche il merito della costruzione del Tempio di San Francesco in Lodi.

10. Lodi_S.Savina_Giordana

Savina (Milano 260-267 circa e 311/317 circa), Santa

Savina, nata a Milano dalla nobile famiglia dei Valeri, andò in sposa a un nobile lodigiano. Rimasta presto vedova, si dedicò a opere di carità, aiutando i cristiani perseguitati da Diocleziano. Savina fece seppellire nella propria casa, di nascosto, i corpi di Nabore e Felice, soldati cristiani decapitati a Laus Pompeia (oggi Lodi Vecchio) verso il 300-304. Cessata la persecuzione, Savina fece portare a Milano i resti dei corpi dei due martiri deponendoli nella cappella gentilizia dei Valeri. Al termine della sua vita colma di veglie e preghiere, Savina morì e fu sepolta accanto ai “suoi” martiri. Divenuta Santa, viene celebrata il 30 gennaio.