Trentotto anni d’emergenza: le mani sui terremoti

I terremoti In Italia possono considerarsi un’emergenza in tutti i sensi, perché quando la terra trema non crollano solo le case, ma da essa emergono anche mostruosità: il malaffare, la delinquenza, la mafia, la piovra che avvinghia gli appalti.

Quando le calamità si susseguono a distanza di pochi anni la morsa si fa più stretta e uscirne è quasi impossibile.

In Basilicata distribuiscono ancora finanziamenti per i terremoti del 1980 e del 1990. Dopo trentotto anni, le case, dove la gente ha continuato a vivere, sono considerate inagibili o pericolanti e chi è in grado di procurarsi una relazione tecnica che lo attesti percepisce ancora oggi finanziamenti pubblici per la ristrutturazione, mentre gli ultimi terremotati continuano a dormire nelle roulotte, al gelo e al caldo insopportabili, in condizioni igieniche indicibili.

Durante gli anni si sono inseriti interessi loschi  che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne hanno diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti.

Mentre si finanzia l’edilizia privata chiudono gli ospedali sostituiti da piccoli centri di assistenza o di recupero.

Il terremoto del 2002 a San Giuliano di Puglia confermò che la messa in sicurezza degli edifici pubblici avviene solo a tragedia conclusa mai per prevenirla.

Del terremoto che nel 2009 colpì l’ Abruzzo si parlò tanto per lo sperpero dei finanziamenti europei.

A Sud la Camorra e il clientelismo, a Nord l’ ‘ndrangheta. I soldi viaggiano tra gli sportelli delle banche cooperative raggiungendo le imprese del settentrione e moltiplicando i costi per le infrastrutture.

A Modena, dal 2012, gli appalti pubblici sono ormai patrimonio della ‘ndrangheta, la criminalità organizzata è affiorata in superficie rendendo una delle città più vivibili d’Italia un inferno.

La faglia, che aprendosi ha scosso l’Umbria e le zone limitrofe nel 2016 ha lasciato centinaia di persone senza un tetto.

Centinaia di ragazzi sull’isola di Ischia attendono di ritornare a studiare nelle aule delle scuole chiuse dopo il terremoto dell’estate scorsa.

Le risorse vanno sempre nella direzione e nelle mani sbagliate. Perché dopo trentotto anni si aprono ancora cantieri e si continua a considerare emergenza e di primo intervento una situazione che non richiede provvedimenti urgenti e finanziamenti, mentre altrove la gente sopravvive negli accampamenti in pessime condizioni igieniche?

La legge anticorruzione e il Codice degli appalti in Italia non bastano.  In poco più di un decennio il verificarsi di continue catastrofi ha reso evidente la necessità di una gestione diversa dei fondi per le emergenze, di verifiche idonee e professionalità imprenditoriale.

E mentre in questi giorni i neoeletti non riescono neppure a formare il governo e si preoccupano della propria fama, di scrivere nere e inutili pagine di storia, a discapito della specie umana e dell’ambiente, l’unico uso sensato che si potrebbe fare di carta e calamaio sarebbe la stesura di nuove norme per frenare questo scempio e aiutare concretamente gli italiani a rinascere dalle macerie.

 

 




“Denunciare è un atto di democrazia”. Tiberio Bentivoglio a “Diritti per le nostre strade”

“Reggio libera Reggio” è l’associazione fondata dall’imprenditore antimafia di Reggio Calabria, Tiberio Bentivoglio (62 anni), che da 23 anni si ribella al pizzo dell’ndrangheta reggina. L’emporio di articoli sanitari “S. Elia” , nel quartiere Candela di Reggio Calabria, ha subito dal 1992, diversi furti e incendi e, nel 2003, un attentato dinamitardo. Il 3 febbraio 2011, Bentivoglio è sopravvissuto a un tentato omicidio, intimidazioni e violenze per aver rifiutato il compromesso con le cosche  e per aver denunciato il racket. Una vicenda di ostinata resistenza e di impegno civile.

L’ultima relazione semestrale della Dia, organo investigativo del Ministero dell’Interno, indica i loro nomi e le loro zone di influenza. La Dia fa sapere che nel secondo semestre 2013 alcune collaborazioni tra famiglie, anche di diversi mandamenti, hanno smussato qualche contrasto e vecchio rancore. Mentre la necessità di proiettarsi fuori regione ha indotto l’intera organizzazione a concorrere con altri gruppi criminali di ‘ndrangheta, camorra o Sacra Corona Unita per trovare appoggi. Il traffico di droga si conferma business in crescita, anche in considerazione dei maggiori rischi legati all’attività estorsiva, sempre molto praticata in provincia ma non più agevole, considerata la maggiore propensione degli imprenditori a denunciare le vessazioni subite. Di seguito la mappa dei principali gruppi criminali che operano in  Calabria.

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Il commerciante calabrese, testimone di giustizia, ha preso parte alla conferenza “Diritti contro le mafie. Legalità, coraggio, coerenza, dignità” organizzato dall’Associazione per la Pace tra i popoli, dal progetto “Diritti per le nostre strade” e da Libera, l’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti.

Vi invitiamo a partecipare alle altre iniziative che in questi mesi organizzeranno  a Borgo Nuovo, presso la sede dell’Associazione per la pace tra i popoli (Casa della Pace “Filippo De Girolamo”, via Enna 12 – Verona):
> venerdì 30 ottobre, ore 20.45: condividendo con gli amici di Self Help le possibili forme di riscatto dall’impoverimento sociale, relazionale e di diritti;
> sabato 28 novembre, ore 16.30: riflettendo con Angela Milella di povertà educativa, impoverimento della scuola e precarietà dei docenti.

I 12 principi fondativi  delineano l’orizzonte ideale del progetto “Diritti per le nostre strade”:
– fare rete: ossia allargare la rete di individui e gruppi che intendono sostenere attivamente e convintamente questo progetto, anzi, questo “processo” di trasformazione sociale in direzione dignità e diritti; evitando così aggregazioni spurie, vuote melasse e cartelli inconcludenti;
– fare inchiesta sociale: ossia trovare le motivazioni profonde e definire i precisi criteri di valore attraverso cui indagare la realtà, svelando lo stato effettivo dei diritti presenti nei differenti regimi di legalità;
– fare senso comune: ossia lavorare al diffondersi di un immaginario, un vocabolario ed un clima accogliente dei diritti, a partire dai diritti sociali, dai diritti degli ultimi e ostinatamente contro gli imperativi della competizione ad oltranza e della guerra tra poveri;
– fare autocritica: ossia ripensare le proprie prassi professionali e comportamentali al di là di una mera evidenza della prestazione e della capacità tecnica, e, al contrario, secondo ben diversi principi di giustizia e dignità;
– fare vertenza: ossia rilanciare alla sfera pubblica, istituzionale, politica il ruolo e la responsabilità di decisioni che investono le vite di tutti, rifiutando così l’auto-commiserazione e pure l’auto-colpevolizzazione dilaganti ed anzi rivendicando il diritto di critica.

Il “Manifesto dei diritti”, oltre al ruolo simbolico e pratico appena conosciuto, presenta un ulteriore significato, visto che si inserisce all’interno di una più articolata serie di strumenti di lavoro di prossima pubblicazione. E’  infatti il primo di tre strumenti di lavoro realizzati all’interno del Laboratorio permanente sui diritti lungo  tre principali assi di intervento: diritti, legalità, cittadinanza. Questi tre strumenti sono:

#1- Orizzonti: IL MANIFESTO DEI DIRITTI
#2- Mappe: REGIMI DI LEGALITA’
#3- Bussole: REGIMI DI CITTADINANZA
Essi consentono sia di dare voce ed espressione teorica a quanto emerso in questa prima fase di esplorazione dei vari “regimi di legalità”, sia di affrontare l’urgenza della trasformazione sociale, nel senso dell’emancipazione individuale e collettiva. E difatti il primo momento delinea il piano dell’affermazione ideale (“Orizzonti”), il secondo quello della negazione reale (“Mappe”), infine, il terzo, quello della prassi possibile di trasformazione sociale (“Bussole”). Saranno anche tre locandine/poster da appendere in giro e usare per suscitare il dibattito, mettersi d’accordo su parole, condividere riflessioni, progettare azioni coerenti ed efficaci.

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