In Sardegna con le costituenti

La mostra itinerante di Toponomastica femminile, che illustra la memoria odonomastica riservata alle ventuno donne dell’Assemblea Costituente, sbarca in questi giorni in Sardegna e, grazie al supporto dell’A.N.P.I., verrà esposta a Cagliari, nello spazio comunale SEARCH, dal 10 al 17 Marzo.

A seguire, l’esposizione raggiungerà le scuole che ne faranno richiesta, per dibattere con ragazze e ragazzi di storia del Paese e di cittadinanza consapevole partendo da un punto di vista inusitato: la storia delle donne, raramente presente nei manuali ufficiali.

Ventuno nomi da ricordare nelle strade cittadine, ventuno modelli di grande impegno civile da offrire alle nuove generazioni.

Portano il loro segno l’art. 3 della Costituzione, che disciplina il principio di uguaglianza, l’art. 29 che riconosce l’uguaglianza tra i coniugi, l’art. 30 che tutela i figli nati al di fuori del matrimonio, l’art. 37 che tutela il lavoro delle donne e dei minori, l’art. 51 che garantisce alle donne l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive.

L’esordio delle italiane in politica si ebbe con la Consulta Nazionale (1945-1946).

Le quattordici consultrici, nominate dal Governo Parri, si erano distinte per l’impegno antifascista e la partecipazione alla Resistenza: quasi tutte avevano vissuto la clandestinità, il carcere, l’esilio, le persecuzioni e nel dopoguerra ricoprivano incarichi dirigenziali nei partiti, nei sindacati, nelle associazioni, nei movimenti. Dieci di loro militavano nell’Udi, ma erano stati i rispettivi partiti a designarle: Virginia Quarello Minoletti (liberale), Laura Bianchini e Anna Maria Guidi Cingolani (democristiane), Clementina Caligaris Velletri, Jole Tagliacozzo Lombardi e Claudia Maffioli (socialiste), Gisella Floreanini della Porta, Ofelia Garoia Antonelli, Teresa Noce Longo, Rina Picolato, Elettra Pollastrini (comuniste) e Adele Bei Ciufoli (comunista scelta dalla Cgil), Bastianina Musu (partito sardo d’azione) che morì prima del suo insediamento, e Ada Prospero Marchesini Gobetti, sua sostituta.

La loro formazione politica era solitamente avvenuta in famiglia, con i padri, i mariti, i fratelli e in alcuni casi alla scuola di partito e al sindacato.

Indipendentemente dalla provenienza, tutte avevano a cuore la ricostruzione pacifica, la tutela dei diritti, e l’emancipazione femminile, in un clima di solidarietà che le univa in difesa della neonata democrazia e della vita delle donne in lotta contro altri fascismi.

Entrarono a far parte delle diverse Commissioni: non sempre presero la parola, ma a volte riuscirono a imporre il proprio punto di vista. Come accade ancora oggi, la stampa le derise e fu più interessata al loro abbigliamento che al loro operato.

Il 2 giugno 1946, per la prima volta, le italiane si recarono alle urne per scegliere la forma di governo da dare al Paese ed eleggere l’Assemblea Costituente. Il voto, maschile e femminile, indicò 556 nominativi, di cui 21 donne. Soltanto alcune di loro avevano fatto parte della Consulta e solo cinque delle consultrici, più sostenute dai loro partiti, entrarono in Assemblea.

Maria Agamben Federici, Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio avevano alle spalle storie d’impegno sociale e politico e, a volte, esperienze di lotta partigiana, di carcere per attività antifascista, di esilio o deportazione.

Provenivano da ogni parte del Paese, lavoravano e possedevano titoli di studio alti: quattordici erano laureate, molte insegnanti, due giornaliste, una sindacalista e una casalinga. Nove militavano nel partito democristiano, nove nel partito comunista, due nel partito socialista, una nel partito dell’Uomo Qualunque.

Su di loro pesavano aspettative e diffidenze: parlavano in nome dei partiti ma anche in nome delle donne, rappresentando istanze ‘trasversali’ a gruppi e programmi politici.

In tempi in cui le donne erano sottoposte alla patria potestà, non accedevano a molti ruoli della Pubblica Amministrazione e la disparità salariale era sancita dalla legge, le deputate sostennero il diritto a pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi a casa e al lavoro.

 




ITALIA – A Pistoia, strade e giardini ricordano 26 donne

Di Laura Candiani

 Pistoia è una città toscana che rimane, in ambito turistico, piuttosto defilata rispetto alle vicine città d’arte: Firenze, Prato, Siena, Lucca, Pisa; forse è più nota per l’industria meccanica, per la produzione di organi, per i vivai, i ricami, le tessiture piuttosto che per le bellezze che ospita. Eppure la sua piazza centrale è un unicum medievale perché raccoglie nello stesso ampio spazio la Cattedrale con il campanile e il Battistero, ma anche il Palazzo dei Vescovi, il Palazzo pretorio e il Palazzo comunale ed è da sempre luogo di mercato. Nelle sue belle chiese – spesso rivestite di marmo bianco di Carrara e verde serpentino di Prato – si trovano pulpiti straordinari, come il capolavoro di Giovanni Pisano in Sant’Andrea e quello di Guglielmo da Pisa in San Giovanni Fuorcivitas. L’antico ospedale del Ceppo è ornato da un fregio di terracotta invetriata di scuola robbiana che raffigura in maniera mirabile le opere di misericordia corporali. Vivace è la vita culturale con festival (jazz), manifestazioni (arte), convegni (filosofia, storia locale, letteratura ); numerosi sono i teatri (tradizionalmente molto frequentati e con un altissimo numero di abbonati) dove si tengono spettacoli di vario genere; assai attive le due prestigiose Biblioteche comunali e interessanti i musei , fra cui quello monografico dedicato al concittadino Marino Marini.

Se il Medioevo è il periodo in cui la città ha svolto il ruolo più rilevante della sua storia, è vero anche che Pistoia ha avuto una vita politica e culturale vivace durante il Risorgimento e – in epoca più recente – ha evidenziato un forte sentimento antifascista; la popolazione si è distinta durante la Resistenza e il suo territorio – situato lungo la Linea Gotica – è stato teatro di varie stragi: il più alto numero di vittime (175 fra vecchi, donne e bambini) si ebbe nella zona del Padule di Fucecchio (agosto 1944); per tutto questo la città è stata insignita della medaglia d’argento al valor militare.

La toponomastica trae molti spunti dalla storia cittadina e dai personaggi che la animarono; comunque – a fronte di 294 uomini ricordati – le donne sono al momento solo 26, di cui 10 fra sante, beate e madonne, prevalentemente nelle strade centrali (come via della Madonna); sei nomi rimandano alla Shoah e alla Resistenza (Anna Frank, le due sorelle Cecchi, Ginetta Chirici, Maria Tasselli, Nilde Iotti), cinque appartengono a letterate ed educatrici (Corilla, Deledda, Manzini, Montessori, Borgioli), due sono scienziate (Ipazia e Rita Levi Montalcini); troviamo poi una grande attrice (Anna Magnani) ricordata nel giardino retrostante il teatro “Manzoni”, una giornalista vittima del proprio impegno (Ilaria Alpi) e una figura che si confonde con la leggenda, ispiratrice del poeta stilnovista Cino da Pistoia (Selvaggia Vergiolesi). Interessante notare che i nomi di tre giardini sono stati scelti, seguendo una “buona pratica”, attraverso un referendum popolare; visto anche che Pistoia – sul sito ufficiale – si autodefinisce “città di genere”, si spera che i segnali positivi provenienti dall’Amministrazione locale negli ultimi anni trovino ulteriori conferme nel futuro.

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  1. GIANNA MANZINI (Pistoia 24.3.1896- Roma 31.8.1974)

Foto di Maria Pia Ercolini

Scrittrice oggi quasi dimenticata, nonostante i riconoscimenti e gli apprezzamenti ottenuti in vita. Dopo l’esordio con “Tempo innamorato”, nel 1930 fu l’unica donna scelta da Vittorini e Falqui per l’antologia “Scrittori nuovi”. Dopo il successo de “La sparviera” (’56) vinse il premio Campiello (prima donna) con “Ritratto in piedi”(’71), dedicato alla bella figura del padre anarchico assassinato dai fascisti; in un’altra opera (“Sulla soglia”) dialoga con la madre, durante un viaggio in treno.

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  1. CORILLA (Pistoia 17.3.1727- Firenze 18.11.1800)

Foto di Maria Pia Ercolini

Maria Maddalena Morelli fin da giovane mostrò doti non comuni nell’improvvisazione poetica; nel 1761 istituì una sua Accademia detta Ordine dei Cavalieri Olimpici. Nel 1765 divenne poetessa della corte di Vienna, dove fu apprezzata anche da Metastasio; nel ’71 a Roma entrò in Arcadia con il nome di “Corilla Olimpica”. Il 31.8.1778 in Campidoglio fu incoronata “poetessa laureata” e ricevette il titolo di “nobile romana”, ma il popolino la accolse con risate e fischi; Corilla allora lasciò Roma e visse a Firenze tenendo un frequentato salotto letterario. La corona di alloro fu donata alla chiesa dedicata alla Madonna dell’Umiltà di Pistoia.

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  1. SELVAGGIA VERGIOLESI

Foto di Laura Candiani

Come Dante ebbe la sua Beatrice, così il poeta stilnovista Cino da Pistoia ebbe come ispiratrice Selvaggia, pistoiese, di nobile famiglia ghibellina. Probabilmente fu moglie di un certo Focaccia de’ Cancellieri, ma i dati sono incerti e la figura si perde nella leggenda. Sembra che sia morta nel 1313 nel castello di Sambuca Pistoiese, dove si era rifugiata per sfuggire alle violenze dei Guelfi e per salvarsi dal rogo della rocca presso Piteccio in cui viveva.

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  1. ANNA MAGNANI (Roma 7.3.1908 – 26.9.1973)

Foto di Laura Candiani

Frequentò la scuola di arte drammatica “E. Duse” e iniziò la straordinaria carriera con il teatro e il varietà. Nel ’55 ottenne l’Oscar per “La rosa tatuata” (prima attrice italiana protagonista di un film americano); i suoi successi non si contano: 2 David di Donatello, 5 Nastri d’Argento, 2 National Board of Review Awards, 1 Golden Globe, 1 Coppa Volpi, 1 Orso d’argento; è fra i pochissimi italiani ad avere una stella sulla Walk of Fame a Hollywood. Nel cinema italiano rimane la sua impronta indelebile: da “Roma città aperta” (’45) a “La lupa”( ’65), da “Bellissima” (’51) a “Mamma Roma” (’62), da “L’onorevole Angelina” (’47) a “Nella città l’inferno”(’59). Nel ’71 fu protagonista di tre film per la televisione; la sua ultima apparizione è un “cameo” nel film di Fellini “Roma” in cui sorride ironica entrando in un portone (’72).

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  1. IPAZIA

Foto di Laura Candiani

Nata intorno al 360-370 ad Alessandria d’Egitto, figlia di Teone – suo primo maestro – fu “geometra”, astronoma, matematica, filosofa neo-platonica. Vittima del fanatismo cristiano in quanto donna e pagana, fu trucidata l’8.3.415 con strumenti taglienti (forse pezzi di vetro o conchiglie); i suoi miseri resti furono bruciati e il delitto rimase impunito.

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  1. MARIA MONTESSORI (Chiaravalle – Ancona 31.8.1870 -Noordwijk- Paesi Bassi 6.5.1952)

Foto di Laura Candiani

Pedagogista, medica, filosofa, educatrice, si laureò in Medicina a Roma nel 1896 (prima donna dopo l’Unità). Si specializzò in pediatria e aprì la prima “Casa del bambini”(1907), mettendo in atto il suo metodo pedagogico rivoluzionario – poi apprezzato in tutto il mondo – per valorizzare la creatività e la libertà espressiva dei piccoli. Nacque dunque il “movimento montessoriano” da cui trassero vita sia la scuola magistrale sia l’Opera Nazionale “Montessori”, attività riprese con rinnovato slancio dopo la guerra, anche all’estero.

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  1. ANGELA BORGIOLI (Pistoia 20.1.1890 – 21.11.1973)

Foto di Laura Candiani

Benefattrice e insegnante presso il Liceo Classico “Forteguerri”, fondò la Casa della Provvidenza “Giuseppe Camposampiero” in onore del suo maestro di vita, cattolico, collaboratore del sindaco La Pira, morto nel primo bombardamento di Pistoia nel ’43. Il centro iniziò l’attività il 20.1.1946 ospitando i primi 12 ragazzi di famiglie disagiate ai quali venivano garantiti istruzione e avviamento al lavoro.

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  1. SORELLE CECCHI

Foto di Maria Pia Ercolini

Lina (Pistoia 1926 – 2002) e Liliana (Pistoia 1922 – 1998) vivevano nel popolare quartiere di San Marco dove il padre era un modesto commerciante di idee antifasciste, perseguitato dal regime. Dopo l’8 settembre, le due giovanissime non esitarono a entrare nella Resistenza e una celebre foto le immortala – fucile in mano – al momento della Liberazione di Pistoia.

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  1. MARIA TASSELLI (Pistoia 1879 – 12.9.1943)

Foto di Laura Candiani

vittima di un atto di pura barbarie: subito dopo l’armistizio, cinque tedeschi in ritirata rastrellarono sei persone in modo del tutto casuale, nel centro di Pistoia, e le fucilarono in piazza San Lorenzo. I soldati tedeschi avevano preso sua figlia, ma Maria – nonna e madre – fece notare che era incinta di otto mesi, quindi fu catturata e uccisa al suo posto, davanti ai nipotini. La figlia per lo shock perse la bambina che attendeva, quindi le vittime dell’eccidio divennero sette innocenti.

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  1. GINETTA CHIRICI (Pistoia 24.11.1924- Marzabotto 4.10.1944)

Foto di Maria Pia Ercolini

Dal ’43 si era trasferita a Bologna dove frequentava l’Università, ma si dedicava come volontaria all’alfabetizzazione delle donne nelle sperdute frazioni dell’Appennino. Come partigiana combattente entrò nella brigata Stella Rossa Lupo dove operò dall’1.11.43 alla morte; fu uccisa dai nazifascisti in località Cà Beguzzi presso Casaglia insieme ad altre 19 persone, durante l’eccidio di Marzabotto. Il 19.4.1995 l’Università di Bologna le ha conferito la laurea “honoris causa” in Scienze dell’educazione.

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  1. LEONILDE IOTTI, detta Nilde (Reggio Emilia 10.4.1920 – Roma 6.12.1999)

Foto di Laura Candiani

Non esiste nella storia italiana del XX secolo una donna politica più rappresentativa e che abbia ottenuto cariche e incarichi altrettanto prestigiosi; dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza, si laureò alla Cattolica di Milano nel ’42; animatrice dell’UDI e membro del PCI, venne eletta giovanissima deputata (2.6.46) e fece parte dell’Assemblea costituente. Con unanime plauso per il suo equilibrio e la sua equidistanza, dal 1979 al 1992 è stata presidente della Camera dei deputati, prima donna chiamata ad un incarico che rappresenta in Italia la terza carica dello Stato. Nel 1987 è stata la prima comunista e la prima donna incaricata di un mandato esplorativo per costituire un nuovo governo; nel 1992 fu la prima donna candidata alla Presidenza della Repubblica, ottenendo un grande successo personale.

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  1. ANNA FRANK (Francoforte sul Meno 12.6.1929 – Bergen Belsen febbraio ’45)

Foto di Laura Candiani

Annelise Marie Frank si era rifugiata con la famiglia ad Amsterdam, per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche; il 12.6.42 ricevette in dono il famoso quaderno per il 13° compleanno. Dopo pochi giorni i Frank furono costretti -insieme ad altre quattro persone, fra cui il giovane amico Peter – a nascondersi nell’ “alloggio segreto” dove Anna scrisse il suo celebre diario. Il 4 agosto ’44, in seguito ad una segnalazione anonima, il rifugio venne scoperto e tutti furono deportati, prima ad Auschwitz, poi a Bergen Belsen. Lei e la sorella Margot morirono di tifo; l’unico sopravvissuto del gruppo fu il padre Otto. Nel ’47 comparve la prima edizione del diario con il titolo “L’alloggio segreto”.

 




ITALIA – Le madri della Repubblica: cinque politiche alla Commissione dei 75

Di Maria Pia Ercolini

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Il 2 giugno 1946, per la prima volta, le italiane si recarono alle urne per scegliere la forma di governo da dare al Paese ed eleggere l’Assemblea Costituente.

Il voto, maschile e femminile, indicò 556 preferenze, di cui 21 donne.

 Maria Agamben Federici, Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi, Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce, Ottavia Penna, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio avevano alle spalle storie d’impegno sociale e politico e, a volte, esperienze di lotta partigiana, di carcere per attività antifascista, di esilio o deportazione.

Provenivano da ogni parte del Paese, lavoravano e possedevano titoli di studio alti: quattordici erano laureate, molte insegnanti, due giornaliste, una sindacalista e una casalinga. Nove militavano nel partito democristiano, nove nel partito comunista, due nel partito socialista, una nel partito dell’Uomo Qualunque.

Su di loro pesavano aspettative e diffidenze: parlavano in nome dei partiti ma anche in nome delle donne, rappresentando istanze ‘trasversali’ a gruppi e programmi politici.

In tempi in cui le donne erano sottoposte alla patria potestà, non accedevano a molti ruoli della Pubblica Amministrazione e la disparità salariale uomo-donna era sancita dalla legge, le deputate sostennero il diritto a pari opportunità e l’uguaglianza tra i sessi a casa e al lavoro.

Portano il loro segno l’art. 3 della Costituzione, che disciplina il principio di uguaglianza, l’art. 37 che tutela il lavoro delle donne e dei minori, l’art. 29 che riconosce l’uguaglianza tra i coniugi, l’art. 30 che tutela i figli nati al di fuori del matrimonio, l’art. 51 che garantisce alle donne l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive.

 Delle ventuno deputate, cinque – Maria Agamben Federici, Nilde Iotti, Angelina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penna – parteciparono ai lavori della “Commissione dei 75”, incaricata dall’Assemblea Costituente di elaborare la proposta di Costituzione da discutere in plenaria.

E di queste cinque madri della patria scriveremo oggi.

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Maria Agamben Federici (DC) 

(L’Aquila, 19/09/1899 – L’Aquila 28 luglio 1984)

Abruzzese di nascita, Maria si trasferì a Roma per proseguire gli studi e si laureò in lettere. Docente e giornalista, dopo il matrimonio e in pieno regime, si trasferì per alcuni anni all’estero, insegnando presso gli Istituti italiani di cultura: al rientro in Italia (1939), s’impegnò nella Resistenza, organizzò un piano di assistenza per le impiegate dello Stato, rimaste disoccupate, un Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile. Si dedicò con grande impegno a educare le masse femminili alla vita pubblica e fu molto attenta alle condizioni materiali della loro vita quotidiana. Lavorò inoltre per assistere l’infanzia e l’adolescenza attraverso la costruzione di asili, scuole, refettori, e promosse aiuti agli emigranti, agli sfollati e ai reduci.

Significativa la sua relazione sulle garanzie economiche e sociali per la famiglia, nella quale chiese allo Stato un intervento a tutela delle lavoratrici madri e un’azione volta a rimuovere gli impedimenti di natura economica alle unioni matrimoniali.

Tra le sue azioni politiche, sostenne la necessità di una riforma agraria, per l’elevazione morale e materiale dei contadini e caldeggiò l’eliminazione di ogni norma che relegasse la donna in settori limitati.

Nel ’48, eletta Deputata per la Democrazia Cristiana, presentò un disegno di legge sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri, tradotto in legge nel 1950.

Nell’ultimo periodo della sua vita si dedicò esclusivamente all’impegno assistenziale e culturale, soprattutto in difesa degli emigranti.

Morì a L’Aquila nel 1984.

La sua città le ha dedicato una via, ma anche altri luoghi dell’Italia centrale hanno voluto ricordarla nell’odonomastica: Monteleone Sabino e Perugia.

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Nilde Iotti (PCI)

(Reggio nell’Emilia, 10/04/1920 – Poli, 04/12/1999)

Emiliana di nascita, Leonilde crebbe in una famiglia non agiata che le permise con sacrificio di laurearsi in Lettere all’Università Cattolica di Milano.

Il suo impegno partigiano nella città natale la portò a essere responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna (da cui derivò l’UDI – Unione Donne Italiane) e a tessere una rete di solidarietà e aiuto ai combattenti della Resistenza, per la quale ricoprì anche il rischioso ruolo di porta-ordini. Già in quei primi anni di attività politica si fece interprete di quella coscienza civile che le donne iniziarono a manifestare durante il periodo bellico, dopo secoli di esclusione dalla vita pubblica e dopo un ventennio di dittatura, entrando a far parte dell’Assemblea Costituente e della Commissione dei 75, volle occuparsi soprattutto dei temi legati all’istituto familiare e all’emancipazione femminile: si batté per l’affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto.

Continuò a lottare per gli stessi temi nel dopoguerra: per la pensione alle casalinghe, per la riforma del diritto di famiglia, per il diritto al divorzio e all’aborto e per eliminare tutte le possibili forme di discriminazione nei riguardi delle donne.

Equilibrio, saggezza e capacità di mediazione fecero sì che ricoprisse la carica di Presidente della Camera dal 1979 al 1992, per tre legislature, primato non ancora eguagliato che va a sommarsi ad altri incarichi di prestigio: fu la prima donna a ottenere dalla Presidenza della Repubblica un mandato esplorativo per la formazione di governo e fu candidata dalla Sinistra alla Presidenza della Repubblica; fu Presidente della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali e Vicepresidente del Consiglio d’Europa,

Nel 1999, ultimo anno di vita, dopo aver dato le dimissioni dagli incarichi pubblici per gravi motivi di salute, un lungo e commovente applauso accompagnò la sua uscita dall’aula parlamentare.

Il Paese la ricorda intitolandole decine e decine di strade, viali, piazze, parchi sparse sull’intero territorio nazionale.

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Angelina Merlin (PSLI) 

(Pozzonovo, PD 15/10/1887 – Padova, 16/08/1979)

 

Veneta d’origine, laureata in Lingue e Letterature straniere, Lina venne sospesa dall’insegnamento perché si rifiutò di prestare il giuramento fascista.

Condannata a cinque anni di confino in Sardegna e poi tornata libera grazie ad amnistia, fu di nuovo arrestata a Padova. Si trasferì poi a Milano per fare della sua abitazione un punto d’incontro per i socialisti e la base organizzativa dell’assistenza ai partigiani.

Nella Commissione dei 75 sostenne il dovere dello Stato di garantire a ogni individuo il minimo necessario all’esistenza, assicurando a tutti il diritto di crearsi una famiglia, e si espresse a favore del diritto di proprietà.

Il suo nome è legato soprattutto alla proposta di legge per l’abolizione delle case di tolleranza (Legge n. 75/1958), sostenuta dalle cattoliche, ma le sue opere significative furono diverse: a lei va il merito della cancellazione del termine N.N. dai documenti anagrafici; sua fu l’iniziativa di abolire il carcere preventivo e di procrastinare l’inizio della pena per le madri e ancora a lei si devono i provvedimenti a sostegno dell’artigianato femminile.

Dal 1963 fu componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla mafia.

Le località di Adria, Crotone, Marina di Minturno, Pozzonovo, Rovigo e Ravenna le hanno intitolato una strada, Padova un giardino.

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Teresa Noce (PCI) 

(Torino, 29 luglio 1900 – Bologna, 22 gennaio 1980)

 

Teresa veniva una poverissima famiglia piemontese. Aveva iniziato a lavorare a sei anni, prima consegnando il pane, poi come stiratrice e sarta, e in seguito come operaia alla FIAT. Autodidatta e militante nella sinistra rivoluzionaria, divenne ben presto clandestina in Italia e trascorse molti anni tra Mosca e Parigi, sostenendo gli emigrati politici e i combattenti delle Brigate Internazionali.

Catturata in Francia, Estella (questo il suo nome di battaglia) fu internata nel lager di Ravensbruck e poi destinata ai lavori forzati a Holleischen. Dopo la Liberazione rientrò in Italia e riprese l’attività politica avviando l’incredibile operazione dei treni della felicità, un’esperienza che tra il ’45 e il ’52 salvò oltre 70.000 bambini del Sud da un destino di fame e sfruttamento, grazie all’ospitalità offerta da famiglie del Centro-Nord.

Al suo contributo nella Commissione dei 75 si devono le parole dell’art. 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini […] sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso”.

Eletta nel 1948 alla Camera, promosse la parità e il riconoscimento della differenza femminile. La sua battaglia in difesa delle lavoratrici madri portò all’approvazione delle leggi che vietavano il licenziamento di madri, gestanti o puerpere, garantivano il riposo retribuito per maternità e allattamento, l’assistenza al parto, i nidi d’infanzia e le sale per l’allattamento nei luoghi di lavoro. Nel 1952, presentò una proposta di legge sulla parità di retribuzione per le lavoratrici, approvata in Parlamento nel 1956 (L. 741).

A lei sono intitolate strade a Castel Maggiore (Bologna), Lecce, Milano, Mosciano Sant’Angelo (TE), Parma, Possano con Bornago (MI), Ravenna e Roggiano Gravina (CS).

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Ottavia Penna Buscemi (Fronte dell’Uomo Qualunque /Unione Nazionale) 

(Caltagirone, CT 12/04/1907 – Caltagirone, CT 02/12/1986)

 

A Caltagirone, una strada e una lapide apposta sulla casa natale, ricordano le origini di Ottavia Penna, aristocratica siciliana, di fede monarchica, che si appassionò alle idee innovatrici del Fronte dell’Uomo Qualunque e iniziò la sua breve carriera politica, alla vigilia della Repubblica, dapprima nelle sue liste e in seguito nell’Unione Nazionale.

Ottavia era nota per le azioni eclatanti che ne facevano un personaggio singolare: durante la guerra, per sfamare la sua gente, aveva tagliato i sacchi di grano baronali destinati al mercato nero e distribuito alle famiglie povere la carne macellata nelle proprie tenute.

Si candidò per l’Assemblea Costituente e fu l’unica donna della destra a farne parte, grazie alle tantissime preferenze accordatele dai suoi concittadini. Tenace e battagliera, continuò il suo impegno di solidarietà verso poveri ed emarginati e contribuì all’istituzione della “Città dei Ragazzi”. Sostenitrice intransigente della buona amministrazione, contrastò sempre i poteri forti, per rispondere alle reali esigenze delle classi sociali più deboli.

Sempre attenta alla condizione femminile, precorse i movimenti femministi nella lotta per la parità dei diritti.

La sua serietà indiscussa e il grande rigore morale, le valsero la candidatura alla prima Presidenza della Repubblica, dove ottenne ben 32 voti, classificandosi al terzo posto.

Lasciò presto la vita parlamentare e la politica, delusa dai tanti compromessi a cui aveva dovuto assistere.

 




ITALIA – A Roma soltanto il 3,7% delle strade ha nomi di donne, quasi tutte sante…

 

di Barbara Belotti

Agli inizi degli anni Duemila le strade di Roma erano poco più di 14.000 e quelle con nomi femminili 336 (2.35%).

Dopo oltre dieci anni le nuove aree di circolazione sono più di 16.000, le strade dedicate alle donne sono salite a 608, riducendo il divario ma confermando la percentuale bassa (3.7%).

Gli uomini, invece, sono rappresentati con oltre 7.500 intitolazioni: vie, viali, piazze, corsi ecc. ricostruiscono un universo maschile composto da personaggi noti (alcuni stranoti) ma anche da tantissimi sconosciuti.

La città continua ad espandersi e nelle cinture periferiche sono sorti nuovi quartieri e nuovi insediamenti. La realizzazione delle necessarie opere viarie avrebbe potuto essere l’occasione per restringere il divario fra intitolazioni maschili e femminili, recuperando molti nomi di donne che hanno contribuito alla definizione del mondo in cui viviamo. Forse nelle aree periferiche della città qualcosa è cambiato e in alcuni quartieri si è avuta una maggiore attenzione verso la memoria femminile … eppure proprio in un paio di municipi esterni (l’XI e il XV) si registrano i più bassi indici di femminilizzazione: ogni cento intitolazioni maschili, circa due sono destinate a donne.

Nel centro cittadino, dove invece il rapporto M/F è di 5 a 1, sono le figure religiose a dare un forte contributo alla sfera femminile.

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Nel complesso, un terzo delle strade e delle piazze di Roma continua a essere legato al ricordo della Madonna, ai nomi delle sante, delle beate o martiri cristiane e, in un curioso sincretismo, ai personaggi della mitologia greco – romana.

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Il numero di strade dedicate alle protagoniste storiche, a Roma, ha una certa rilevanza: sono 111 (quasi il 18% del totale femminile) ma molte sono eroine dell’antichità, del Medioevo e del Rinascimento alle quali solo da poco tempo si stanno affiancando figure più moderne, che possono diventare concreti modelli di riferimento per le nuove generazioni. Come non guardare con tristezza ai pochi nomi di donne che celebrano le vicende del Risorgimento e della Repubblica Romana del 1849, Colomba Antonietti, Cristina di Belgioioso, Margareth Fuller Ossoli per esempio?

Ancora più desolante appare la scarsa attenzione rivolta alle “Madri dell’Italia”, le donne che hanno animato la Consulta Nazionale e l’Assemblea Costituente, il cui contributo di pensiero e di azione ha dato vita al volto democratico del Paese. A Roma nessun luogo pubblico, nessuna piazza o via commemora quei nomi, eccezion fatta per Nilde Iotti, ricordata in un viale interno a Villa Celimontana; ma anche in questo caso il suo nome non ha una valenza storica e politica, piuttosto recupera la sfera intima di Nilde, i momenti di riposo e di tranquillità vissuti con Togliatti passeggiando proprio in questo parco cittadino.

Ancora più stretti i percorsi della memoria collettiva che restituiscono visibilità alle figure impegnate nella cultura, nell’arte, nella scienza, nel lavoro. Accanto alle 78 donne del mondo letterario – umanistico e alle 72 donne dello spettacolo ricordate nelle targhe stradali, poche sono le figure di artiste (solo 18), ancor meno le donne del mondo scientifico (12) e del mondo dell’imprenditoria (4), testimonianza evidente della preclusione di genere in questi ambiti.

L’odonomastica cittadina riflette quindi un vuoto, che riguarda il mancato riconoscimento, la scarsa memoria e l’evidente disattenzione nei confronti dei ruoli sostenuti in ogni tempo dalle donne.

Nel XII Municipio della capitale c’è un luogo che apparentemente sembra ribaltare ogni discorso sul sessismo nell’odonomastica. È il parco pubblico di Villa Pamphili, nel XII Municipio, dove la natura suggestiva e solenne fa da sfondo a un universo quasi completamente femminile.

Trenta aree, fra radure e viali della villa, sono state intitolate a donne, attraverso un arco temporale che va dal XVII secolo (con il ponte dedicato ad Artemisia Gentileschi) fino ai giorni nostri (con le targhe ad Anna Politkovskaja e Oriana Fallaci, collocate pochi mesi dopo la loro morte). Trenta personaggi che costituiscono il 50% di tutte le intitolazioni femminili del Municipio.

Quali sono le donne ricordate? 14 sono figure storiche, dalle protagoniste del Risorgimento e della difesa della Repubblica Romana a quelle che difesero Roma e il mondo dalla violenza nazifascista; 13 sono donne “di scrittura”, letterate come le sorelle Bronte o giornaliste come Camilla Cederna e la già ricordata Anna Politkovskaja. In misura minore sono presenti personaggi della musica (Clara Schumann, Maria Callas e Maria Carta) dell’arte (Artemisia Gentileschi Lomi) e della scienza (Florence Nightigale).
A partire dalla fine degli anni Settanta, ma con una maggior frequenza nei decenni successivi fino al 2008, le amministrazioni capitoline hanno seguito la politica di intitolare quasi esclusivamente alle donne i sentieri e i viali interni a Villa Pamphili. Le figure commemorate del parco costituiscono un’inversione di tendenza rispetto alle scelte odonomastiche del passato, che privilegiavano nomi di sante, figure religiose o legate all’impegno sociale di tipo assistenziale e caritatevole. Le donne ricordate nel parco hanno tutte avuto ruoli attivi e paritari nella società, dimostrando capacità di pensiero e di azione, indipendenza intellettuale e morale.
Il caleidoscopico panorama di genere che si presenta dimostra che si è voluto rimediare alle evidenti e continue “distrazioni” delle amministrazioni creando una sorta di “Pantheon all’aperto” dell’universo femminile, un risarcimento tardivo alla memoria delle donne e alla loro storia. Le intitolazioni dei viali ad alcune figure storiche del femminismo come Anna Maria Mozzoni, Carlotta Clerici, Simone de Beauvoir e la targa dedicata alla data dell’8 marzo confermano la riflessione intrapresa in passato dal Comune di Roma sul ruolo e sulla condizione femminile nella società moderna.

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La scelta dell’amministrazione comunale di dedicare alla memoria delle donne una grande area verde come Villa Pamphili pone alcuni interrogativi.

Chiuse all’interno del parco, le strade femminili sono isolate dall’ambiente urbano, una sorta di ghetto che le sottrae in parte allo spazio fisico della città e alla sua sfera simbolica; i nomi si susseguono senza che sia possibile rintracciare altri caratteri comuni se non quello di essere donne. Le loro presenze sembrano formare un gruppo toponomastico omogeneo, così come esistono i gruppi che derivano dalla flora, dal mondo animale, o che vogliono ricordare i fiumi, i monti, i comuni di una regione.

Al tempo stesso passeggiare nel parco offre un’interessante prospettiva di genere e un’utile occasione per ricordare o scoprire figure di donne importanti. Lo sviluppo della consapevolezza di quanto è stato creato, inventato, realizzato dalle donne, consente un significativo rispecchiamento nella vita di tanti personaggi femminili importanti e, soprattutto nelle nuove generazioni, educa al rispetto delle differenze e al superamento degli stereotipi culturali.

Barbara Belotti

Ha collaborato  a Percorsi di genere femminile, (voll.1-2) di Maria Pia Ercolini (Iacobelli, 2011 e 2013). È vicepresidente dell’Associazione Toponomastica femminile.