Dottor Jekyll o mister Hyde? Ecco chi ha vinto le primarie

L’analisi dell’Istituto Cattaneo sulle primarie del Partito Democratico di domenica 30 aprile che hanno assegnato la schiacciante vittoria al segretario uscente Matteo Renzi (a fronte di un calo di partecipazione di un terzo rispetto alla consultazione precedente)  conferma quanto già sottolineato da diverse analisi dei flussi: l’invecchiamento del popolo democratico.

Dal 70% l’ex premier passa al 69,2% (1.257.091 i voti ottenuti). Il ministro della Giustizia Andrea Orlando, che aveva contestato i conteggi, recupera uno 0,5% e sale al 20% (con 362.691 voti). Mentre il governatore della Puglia Michele Emiliano conferma un pieno 10,9% (con 197.630 voti).

In totale gli elettori sono stati 1.839.000, circa un milione in meno rispetto alla precedente tornata del 2013. I voti validi sono stati 1.817.000. In tutta Italia, ad eccezione di Puglia, Basilicata e Abruzzo, si è registrato un forte calo di votanti, specialmente nelle regioni rosse. Ai gazebo del Pd quattro votanti su dieci erano over 65. La base del partito invecchia.

Quanto all’Assemblea nazionale del Pd, che domenica 7 maggio dovrà ratificare il voto delle primarie e proclamare formalmente Renzi segretario, l’attribuzione su base regionale dei 1.000 componenti eletti al supremo organo rappresentativo del partito  è la seguente: Renzi 700 delegati, Orlando 212, Emiliano 88.

Tra gli ulteriori 100 delegati di diritto scelti fra i parlamentari, il gruppo dem al Senato ha eletto 24 senatori: Ignazio Angioni, Teresa Bertuzzi, Daniele Borioli , Massimo Caleo, Laura Cantini, Rosaria Capacchione, Valeria Cardinali, Roberto Cociancich, Emilia De Biasi, Camilla Fabbri, Emma Fattorini, Elena Fissore, Nicola Latorre, Sergio Lo Giudice, Andrea Marcucci, Pina Maturani, Venerina Padua, Giorgio Pagliari, Annamaria Parente, Raffaele Ranucci, Francesco Russo, Roberto Ruta, Maria Spilabotte e Stefano Vaccari.




Più realisti del re: la sinistra italiana si rifà la flotta

‘Vendesi Ikarus sloop di 60 piedi, disegnato da Roberto Starkel, costruzione in lamellare di mogano e carbonio in resina epossidica. Piano velico semifrazionato con albero in carbonio. Pluripremiata imbarcazione per lunghe crociere veloci. Coperta in teak, attrezzature Harkenconwinchelettrici. Interni in ciliegio con 4 cabine, 3 bagni”. Insomma, il meglio (o quasi) che si possa trovare a veleggiare in mare. La barca a vela dell’ex vicepremier Massimo D’Alema, più nota per essere stata acquistata con un leasing acceso alla Banca Popolare di Fiorani che per i successi velici ottenuti. L’annuncio fu pubblicato a pagina 282 dell’ultimo numero del mensile specializzato Nautica.

Adesso che  la ‘supertassa’ su yacht e imbarcazioni di lusso introdotta nel 2011 con il decreto Salva-Italia del governo Monti è stata eliminata potrà riacquistarla.

L’emendamento alla legge di Stabilità è stato firmato dal deputato Pd Tiziano Arlotti riformulato e approvato in commissione Bilancio alla Camera. La supertassa era proporzionale alla lunghezza delle barche.

In Italia ci sono poco meno di centomila barche di lusso, ovvero natanti lunghi almeno 10 metri. Tra queste, ben 42mila (quindi il 42,4 per cento) sono di proprietà di individui che dichiarano al fisco 20mila euro annui di patrimonio. Sono stati loro i più “penalizzati” dalla tassa sul lusso del governo Monti, che a quanto pare ci aveva visto giusto nell’inserire la misura contro i “ricchi e furbi” nella finanziaria che avrebbe dovuto risollevare le sorti italiane. A chi appartengono il resto degli yacht? Circa 27mila (26,7 per cento) sono di contribuenti che dichiarano dai 20mila ai 50mila euro annuali, mentre 16mila o poco più (16,5 per cento) sono intestati a cittadini più facoltosi, ovvero coloro che hanno entrate annuali che vanno dai 50mila ai 100mila euro. E i ricchi veri (con dichiarazioni di redditi da 100mila euro in su) quante barche hanno? In proporzione, pochissime: 14.235, ovvero appena il 14,4 per cento. Se fossimo in un Paese di onesti contribuenti, il dato avrebbe una chiave di lettura a dir poco paradossale (i “poveri” con le barche di lusso). Ma siamo in Italia, e lo studio dell’Anagrafe tributaria vuol dire solo una cosa: che i falsi poveri non sono neanche veri furbi, visto che con il reddito dichiarato sarebbe pressoché impossibile sopportare i costi di gestione delle loro barche. La tassa sugli yacht avrebbe dovuto mettere fine al raggiro.

Gli esempi di barche di lusso, bolidi a quattro ruote e aerei privati rispecchia una tendenza ormai assodata in Italia: l’evasione fiscale è un fenomeno dilagante. L’ennesima conferma dai dati generali del rapporto a firma dell’Anagrafe Tributaria. Su quasi 42milioni di contribuenti, ben più della metà (circa 28 milioni, alias il 66,3 per cento) dichiarano di non superare i 20mila euro annui, mentre sono 12 milioni (29,2 per cento) coloro che ammettono di aver guadagnato dai 20 ai 50mila euro annui. E i veri ricchi? Chi denuncia redditi che vanno dai 50 ai 100 mila euro rappresenta il 3,5 per cento (quindi un milione e mezzo scarso di italiani) della torta, mentre le briciole della stessa sono costituite dagli onesti facoltosi: appena 398mila, pari all’uno per cento del totale. Anche loro non dovranno più subire la patrimoniale sul lusso: colpa dei loro pari reddito che non vogliono pagare le tasse.

Uno schiaffo a quanti stentano ad arrivare alla fine del mese e che hanno, proprio in questi giorni, pagato la Tasi, per non parlare degli aumenti, delle imposte e di tutte le altre tasse, di Equitalia… Insomma, sono sempre le fasce più deboli a sacrificarsi per pagare.

Anche il  sindaco di Torino ed esponente di spicco del Partito Democratico Piero Fassino è stato avvistato nell’agosto 2013 nel mar Egeo, in compagnia di Giovanni Bazoli, a bordo di uno yacht molto lussuoso. Electa, questo il nome del natante battente bandiera britannica e iscritto al prestigioso Yacht Club del Principato di Monaco, è una barca a vela lunga poco meno di 40 metri. Che una ristretta cerchia di miliardari può permettersi.

Inclusa nelle prime 200 imbarcazioni più lunghe del mondo, Electa è uscita nel 1990 dai cantieri veneziani CCYD, concepita da designer del calibro di Ron Holland e Paolo Scanu.

Fa un certo effetto immaginare Fassino su uno yacht del genere. Per una questione di de-contestualizzazione fisica ed estetica. Ma ve lo vedete Fassino, tipo umile, schivo, così affezionato al suo triste completo grigio, girare sul ponte, impettito, con occhiali a specchio e fare un po’ da spaccone stile Della Valle o Briatore, vestito con un bel bermuda firmato e una camicia con le iniziali ricamate all’altezza della pancia e sui polsini, collo alto e almeno i primi 5 bottoni aperti a mostrare generosamente il petto? Certo che no e infatti, a guardare la foto pubblicata e leggere la narrazione di Canducci, non era questo il suo abbigliamento e nemmeno il suo atteggiamento mentre scendeva da Electa.

Però sulla barca di quasi  40 metri Fassino c’era. Evidentemente, al pari del suo collega di partito Massimo D’Alema e di Roberto Formigoni, non ha resistito al fascino delle barche importanti.

Non si vede nulla di particolarmente strano poi, nella scelta dei compagni di viaggio che il sindaco di Torino ha fatto per il suo tour nelle isole greche. Peraltro, come noto, Fassino e Bazoli sono da tempo legati da amicizia. E c’è da immaginare che tra i due non siano mancati gli argomenti di confronto. Tra un bagno e l’altro nelle limpide, seppur gelide acque greche, un pranzo e una cena serviti da garbati camerieri o in occasione di serate galanti come quella nella taverna di Arki descritta nel post di Canducci, i due avranno discusso del destino del Paese, del futuro delle larghe intese, di un’Europa in crisi diidentità, della situazione infuocata in Medio Oriente. E, naturalmente, di economia, ma forse soprattutto di finanza, che accomuna chi come Bazoli di banche si intende e chi come Fassino di banca avrebbe forse sognato di averne una ai tempi della scalata Unipol a Bnl. E chissà se parlando di banche, Bazoli avrà dato qualche chiave di lettura all’amico Fassino sull’affaire Zaleski (il giro miliardario di prestiti, erogati anche da Banca Intesa all’amico polacco di Bazoli, che si ignora se e come rientrerà). O se i due avranno anche lambito un tema che non fa dormire sonni tranquilli al Sindaco di Torino, come l’imponente esposizione debitoria, pari a circa 170 milioni di euro, che Finanziaria Sviluppo Utilities – la holding di controllo di Iren detenuta al 50% dal Comune di Torino -, ha nei confronti del Gruppo Intesa San Paolo. Questioni private, si dirà. Certo.

C’è un però. Per il fatto che Piero Fassino è un uomo pubblico di particolare peso nella scena politica nazionale. Di conseguenza la sua sfera privata tende a coincidere con quella pubblica. Ecco perché, sapendo Fassino a bordo di uno yacht imponente come Electa, forse a qualcuno sarà tornata alla memoria, con i dovuti distinguo e senza malizia alcuna, la vicenda di Formigoni a bordo della barca di Daccò.

OBIETTIVI per i prossimi cinque anni?
“Mettere in pista una classe dirigente pescando tra i giovani che hanno già fatto esperienza in giunta e le nuove energie di cui la città è ricca”. Lo ha dichiarato in un’ intervista pubblicata su “La Repubblica” il 15 dicembre.

Buon Natale e felice anno nuovo!




Il volto oscuro della Rai. Chi sono i dirigenti della Televisione pubblica italiana?

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La televisione di Stato dovrebbe essere esempio di virtù e invece continua a essere spettacolo di immoralità e depravazione. L’ultimo si è tenuto nel salotto di Bruno Vespa, il conduttore più chiacchierato del momento. A illuminare la scena la luce tetra dei Casamonica, ospiti d’eccezione del programma televisivo “Porta a Porta” prodotto con i soldi dei cittadini italiani.

In Rai non si dibatte più di temi di pubblico interesse e utilità, ma di vicende e fatti privati delle famiglie malavitose italiane. Cosa volete che importi agli italiani della musica che piace al boss? A loro interessa la sicurezza pubblica e che i delinquenti stiano laddove devono stare: in galera, non in televisione a mostrare i loro faccioni.

Ma chi sono i dirigenti della Rai? Chi regola l’ingresso degli ospiti? Chi li sceglie? Chi li assolda?

I cittadini pagano il canone, verdi di rabbia, perchè vorrebbero che la televisione conduca inchieste sul malaffare, sulle condizioni di vita della popolazione e che i problemi dibattuti siano risolti.

Ad andare all’attacco per primi sono stati i consiglieri del gruppo Pd di Roma Capitale: “È stato uno spettacolo vergognoso ed offensivo – si legge in una nota – quello al quale i cittadini e le cittadine romane in primis, ma anche tutti gli italiani, hanno dovuto assistere ieri sera durante la trasmissione Porta a porta di Bruno Vespa. Vedere accomodati rappresentanti della famiglia Casamonica nel salotto buono della tv di stato finanziata con il canone dei contribuenti – si legge ancora – doverli sentire rivendicare proprio quei funerali che hanno indignato e offeso la nostra comunità, ascoltarli mentre stabilivano accostamenti improponibili e ignominiosi tra grandi figure della Chiesa e il loro congiunto, è stato un vero e proprio affronto per tutti coloro che sono impegnati nella battaglia contro le mafie e l’illegalità, mettendo spesso a rischio la loro stessa incolumità”. E dal Comune il Pd vuol portare la questione in parlamento: “Chiediamo ai parlamentari eletti nel collegio di Roma e del Lazio e a quelli che siedono nella commissione di vigilanza Rai di intervenire perché sia fatta piena luce immediatamente su questa incredibile vicenda, – prosegue la nota – che ha visto esponenti di una famiglia i cui intrecci e commistioni con la malavita organizzata non solo romana sono noti e di lunga data, trovare spazio sulla rete ammiraglia della tv pubblica per rappresentare le loro tesi aberranti, grottesche e provocatorie, peraltro senza la presenza di un contraddittorio che ne potesse smentire o contestare in tempo reale le mistificazioni riportate”. E ancora: “Presenteremo, inoltre, immediatamente all’assemblea di Roma Capitale una mozione di censura di questo abuso compiuto ai danni del servizio pubblico, – conclude la nota – dell’immagine della Capitale e di tutti coloro che sono impegnati per combattere le mafie e la criminalità organizzata”.

Il vicesindaco di Roma, Marco Causi, tuona: “Mi auguro che qualcuno alla Rai abbia il buongusto di chiedere scusa alla città di Roma, ai romani e a tutti i cittadini. Trovo davvero inaudito – continua Causi – che il servizio pubblico, la Rai, ospiti componenti della famiglia Casamonica per fare intrattenimento mascherato da informazione. Quella andata in scena ieri sera sulla prima rete Rai è la più clamorosa dimostrazione di ciò che dico da tempo: la mafia a Roma è da molti sottovalutata e c’è ancora chi la ritiene alla stregua di un fenomeno folkloristico. Che la tv pubblica dedichi una trasmissione mettendo sotto i riflettori queste famiglie conosciute per la loro storia giudiziaria e per i noti caratteri di criminalità organizzata – conclude -, e si dimentichi invece delle giornaliste e giornalisti minacciati da quegli stessi personaggi per le loro inchieste su Ostia o degli amministratori locali che viaggiano sotto scorta, è sconcertante”.

Durissimo attacco anche dal blog di Beppe Grillo: “Rai, servizio pubblico paramafioso”, è il velenoso titolo del post. “La famiglia Casamonica ospitata dalla Rai nel salotto buono di Bruno Vespa per esibirsi davanti a 1.340.000 di italiani (14,54% di share)
nell’apologia di Vittorio Casamonica, il boss il cui funerale ha indignato Roma, è un oltraggio a tutti gli italiani onesti”.

Sulla vicenda interviene anche l’Usigrai: “Chiediamo ai nuovi vertici: quale Rai servizio pubblico vogliono? Quali messaggi il servizio pubblico deve dare ai cittadini? Qui la questione non è censurare, ma scegliere quale Paese raccontare e come. Quando si darà lo stesso spazio alle colleghe e i colleghi minacciati dai Casamonica? Alle colleghe e ai colleghi minacciati, o addirittura sotto scorta, per il loro impegno contro le mafie? La Rai servizio pubblico che noi vogliamo – sottolinea il sindacato dei giornalisti Rai – è quella che i riflettori li accende sul malaffare, sulle persone impegnate ogni giorno contro le mafie, a favore della legalità”.

Sono ospiti e non possono parlare, ma forse ai Casamonica non mancano fatti da raccontare sui dirigenti e sui galoppini della Tv di Stato.




Chiesa allo sbando: esequie per gli assassini, ma negate agli eutanasici

La morte non rende tutti uguali o almeno non chi decide di far celebrare il  funerale nella chiesa Don Bosco a Cinecittà. La parrocchia non è nuova alle cronache. Sormontata da una caratteristica cupola, è la stessa che nel 2006 negò i funerali a Piergiorgio Welby.  Malato di Sla, in fase terminale, Welby chiese ai sanitari di staccare la spina (fu eretto a simbolo dell’eutanasia) e gli furono vietati i funerali religiosi.

Non abbiamo bisogno di spiare dal buco della serratura i nuovi santi e le nuove star di Cinecittà, queste figure boccaccesche possono improvvisare un colossal infischiandosene anche del parere degli spettatori. Un funerale show con carrozza d’epoca trainata da 6 cavalli con il pennacchio nero, 12 Suv e limousine, il tutto coronato da una cascata di petali di rosa piovuti dal cielo (con la partecipazione straordinaria di un elicottero privato). Un set cinematografico a tutti gli effetti la cui sapiente regia è rimasta nell’ombra, sconosciuta addirittura al prete che ha celebrato la messa  e che, alla richiesta di spiegazioni, è caduto dalle nuvole: le sue competenze – come hanno spiegato anche dal vicariato – sono circoscritte a quanto accade all’interno della chiesa, non all’esterno, dove l’anonimo “scenografo” aveva posizionato gigantografie del malavitoso e dato il via a musiche evocative (tra l’altro la colonna sonora del Padrino).

Vittorio Casamonica, 65 anni, uno dei maggiorenti dell’omonimo clan che viene ritenuto responsabile di attività illecite come usura, racket e traffico di stupefacenti nell’area sud est della città, è stato omaggiato. Sulla bara un’immagine di padre Pio.

“Hai conquistato Roma, ora conquista il paradiso”,  “Vittorio Casamonica re di Roma” recitavano alcuni manifesti apparsi davanti la parrocchia che lo ritraevano a mezzo busto con una corona in testa, il Colosseo e il cupolone sullo sfondo. Una folla di persone ha voluto portargli l’ultimo saluto.

“Era una brava persona, corretto” hanno commentato alcuni conoscenti al termine della messa. Commozione all’uscita del feretro che è stato salutato da una “pioggia” di petali lanciati da un elicottero. Dopo la funzione, la bara è stata trasportata in una Rolls-Royce mentre la banda musicale ha suonato la colonna sonora di un altro celebre film “2001 odissea nello spazio”.

Mentre le esequie di Vittorio Casamonica a Roma in stile “Il Padrino” diventano un caso politico, il prete dichiara: “Rifarei il funerale di Vittorio Casamonica? Probabilmente sì, faccio il mio mestiere”.

All’ indomani delle esequie del boss è tornato a parlare a Sky Tg24 il parroco della chiesa Don Bosco, don Giancarlo Manieri. “Io qui ho fatto il prete, non spettava a me bloccare un funerale. La chiesa può dire no a un funerale? – si chiede rispondendo a una domanda – Ecco, questo è un problema. Le scomuniche del Papa ai mafiosi? Bisogna chiederlo in alto, non a me”. “L’esponente di un clan è comunque dentro la Chiesa…”,dice don Manieri.

Con il mondo politico allarmato dai “segnali mafiosi”, interpretati come una “sfida allo Stato”, la Chiesa non si esprime.

“Roma sfregiata, fatto inquietante”, hanno attaccato dal Pd mentre Sel ha investito del caso il Parlamento chiedendo al ministro Alfano spiegazioni sull’aspetto legale della vicenda, chi è stato il regista dell’operazione, chi ha concesso le autorizzazioni. Preoccupato anche il sindaco Marino che ha chiamato il Prefetto perché siano condotti accertamenti con estremo rigore.

Si è attivato pure il ministro dell’Interno Angelino Alfano che ha chiesto a Franco Gabrielli una “relazione dettagliata” sulla vicenda.

“Certamente si poteva e si doveva evitare. Se non si è evitato è perché Roma non ha ancora gli anticorpi necessari per comprendere e prevenire cose di questo tipo: l’esistenza della mafia è stata negata fino a pochissimo tempo fa”,  dice l’assessore alla legalità di Roma Alfonso Sabella.




ITALIA – Il Senato boccia il Ddl scuola. I sindacati promettono un autunno caldo

La Commissione Affari Costituzionali del Senato non ha concesso il parere di costituzionalità al disegno di legge sulla riforma della scuola. Il gruppo del Pd al Senato ha cercato di trovare un accordo con il Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini. Invece, nulla di fatto. Il voto è terminato con un pareggio, con il no determinante dell’ex sostenitore della maggioranza Mario Mauro, presidente del Partito dei Popolari e senatore del gruppo Grandi autonomie e libertà. «Da un punto di vista costituzionale la riforma della buona scuola è scritta male – ha spiegato Mario Mauro – pertanto fermiamoci e riscriviamola meglio».«Nella commissione Affari Costituzionali del Senato la maggioranza è stata battuta sulla riforma della scuola. A maggioranza, la commissione ha dato parere negativo» ribadisce Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto-Sel al Senato. Voto a favore, anche se non sufficiente a non mandare sotto il governo, è invece quello di Anna Finocchiaro (Pd) che presiede la commissione.

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Le modifiche al testo che sono state stabilite questa settimana verteranno per lo più sul potere “assoluto” del Preside-manager e sui criteri di valutazione degli insegnanti che continuano a generare forti critiche e scioperi nel mondo della scuola e che, forse, il governo provvederà a ridurre ulteriormente, senza però abbandonare l’impostazione generale. Difficile invece, a sentire i senatori Pd, cambiare rotta sulle assunzioni, aumentando la platea dei professori da stabilizzare. Dopo il voto della commissione Bilancio sulle coperture necessarie, comincerà comunque quello sui quasi 2000 emendamenti.

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Nel frattempo il Ddl scuola ha cambiato nome, l’ex 2994 è ora sostituito dal 1934, numeri che rimarranno nel cuore dei docenti e forse impressi con marchio a fuoco nei ricordi storici della scuola.




Le tre Italie dell’astensionismo

Una vittoria di Pirro per il Pd che ha portato a casa un 5 a 2 molto sofferto. La sfida politica regionale ha visto  prendere la Liguria da Forza Italia e il Veneto dalla Lega Nord. Un risultato determinato da un’affluenza al 52,2% e dall’affermazione del Movimento 5 Stelle, che in tutta Italia si stanzia sul 20%, con punte in alcune zone come Genova, dove la più giovane candidata governatrice, Alice Salvatore, sfiora un sorprendente 25%,  e in Puglia con Antonella Laricchia.

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In Veneto il leghista Luca Zaia ha doppiato Alessandra Moretti del Pd e ha lascia molto più indietro il fuoriuscito Flavio Tosi.

La sorpresa è arrivata però dalla Liguria dove il consigliere politico di Silvio Berlusconi, Giovanni Toti, ha vinto con il 34,4%, seguito a una certa distanza dalla Dem Raffaella Paita con la M5S Alice Salvatore terza e Luca Pastorino, candidato della sinistra, quarto. Con il Pd che, come lo stesso premier Matteo Renzi aveva avvertito nei suoi comizi, paga la prima vera scissione a sinistra. “Il cinico disegno di Cofferati, Civati, Pastorino si realizza compiutamente”, ha commentato la candidata del Pd Raffaella Paita.

In Umbria vittoria per Catiuscia Marini (centrosinsitra) anche se nelle prime proiezioni sembrava che potesse aprirsi una chance per il candidato di centrodestra Claudio Ricci.

In Campania, dopo un testa a testa che lo ha visto, comunque, sempre in testa anche se di misura si afferma il sindaco di Salerno Vincenzo De Luca primo (al 39,9% contro il 38% di Stefano Caldoro), superando di fatto anche la ‘black list’ stilata dalla presidente della commissione Antimafia Rosy Bindi e ultimo pomo della discordia all’interno del Pd.

In Puglia la vittoria scontata per Michele Emiliano il nuovo governatore e tra i primi a salutarlo il presidente uscente Nichi Vendola: “Complimenti sinceri affettuosi Emiliano per una vittoria così netta, forte, e auguri calorosi di buon lavoro, un lavoro che sarà durissimo, di una complessità incredibile”.

Per cinque regioni la vittoria è sembrata netta già dalle prime proiezioni: in Toscana, Puglia e Marche fa il pieno di voti il centrosinistra.

Ma il dato che va analizzato per comprendere la realtà politica italiana è l’astensionismo.

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L’affluenza alle urne nel nostro Paese – seppur negli anni in costante diminuzione – è sempre stata piuttosto alta. Alle politiche del 2008 superava l’80% e in quelle del 2013 si attestava pur sul 75%.  Ora poco più del 50% si è recato alle urne.

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Quasi 12 punti in meno rispetto al 64,1% delle precedenti consultazioni.

Gli elettori sono sempre più scettici e disillusi di fronte agli schieramenti politici, che per quanto frammentati in molti partiti e correnti politiche sono composti da un ceto politico identico e trasformista a destra e a sinistra. Il cattivo costume è confermato dai risultati delle manovre di governo. La Riforma delle pensioni  e la “Buona scuola” hanno fatto perdere elettori. Nell’Italia del Nord chi non ha votato Pd, se non si è astenuto, ha votato Lega Nord e definito ladroni tutti gli altri.

Alle ultime elezioni europee la vittoria del Pd ha, di fatto, rafforzato la leadership di Renzi nel partito e nel Paese, accrescendo la forza e la convinzione con cui il leader toscano ha perseguito il suo progetto egemonico illegittimo, perchè  non votato dagli italiani.

La stessa cosa è accaduta con il consenso dato al Pd attraverso queste elezioni regionali.

Ma chi ha scelto di astenersi evidentemente non ha potuto dimenticare  che il Pd ha sostenuto il governo Monti e le sue politiche di austerità , ha fatto inserire il fiscal compact in costituzione, ha varato il jobs act, sta portando a termine una pessima riforma della Scuola e si appresta a firmare il ttip, un trattato di commercio transatlantico che  penalizzerà il nostro paese. Tutto questo in uno scenario di omologazione e totalitarismo dilagante. Ogni tipo di opposizione è bollata come sterile riflessione da contrapporre al “fare”, ogni obiezione valutata con sufficienza e arroganza.  L’astensione si spiega con il venir meno della tensione ideologica che aveva contraddistinto il sistema dei partiti proprio della Prima e della Seconda Repubblica.

Nel M5S, la scelta post-ideoologica ha finito per occultare la mancanza totale di una reale posizione politica: tutta l’attenzione si concentra sulla necessità di moralizzare la vita pubblica (lotta alla “casta”, riduzione dello stipendio, etc.). Anche il reddito di cittadinanza può essere letto come una posizione populista e non politica.

A Destra, spostare tutto sulla lotta contro l’immigrazione sembra una battaglia persa.

Renzi commenta: “Il risultato del voto è molto positivo, andiamo avanti dunque con ancora maggiore determinazione nel processo del rinnovamento del partito e di cambiamento del paese”.




ITALIA – La “Buona scuola” in seconda lettura al Senato. Continuano le proteste

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La battaglia continua: Gilda e Anief chiedono  un decreto legge sulle assunzioni degli insegnanti precari, mentre nelle piazze di tutta Italia si organizzano sit-in di protesta. “Uscite di casa con una maglia o un foulard rossi e con il vostro libro preferito in mano”, dicevano le ultime istruzioni lanciate sui social e diffuse attraverso sms, viber e whatsapp –
recatevi nella piazza prestabilita e aspettate che le gente si raduni. Alle 19:20- 19:30 disponetevi in file orizzontali parallele non troppo strette o troppo lunghe, oppure a scacchiera, come un esercito della conoscenza.  Ci disporremo in cerchio per evitare similitudini con le sentinelle in piedi.  Alle 19:35 – 19:40 tutti leggano contemporaneamente ad alta voce un passo del proprio libro, in modo da creare un momento suggestivo.  Alle 19:45 – 19:50 rimanete immobili e in silenzio con il libro stretto al  cuore, in una posa simbolica. Alle 19:55 si sciolgano le fila ordinatamente”.

Eccoli i lavoratori della conoscenza, non solo precari, in lotta contro l’ignoranza e l’opportunismo di chi vuole distruggere la Scuola pubblica, contro le parole distorte di chi sa di poter utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per  offuscare le menti. “Buona Scuola” perchè? Perchè quella proposta sarà effettivamente migliore di quella che c’è adesso?

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Nelle piazze della penisola italiana, in questi giorni, si discute e si danno indicazioni operative per  l´adesione allo sciopero proclamato da FLC Cgil, CISL scuola, UIL scuola, SNALS e GILDA,  in concomitanza  degli scrutini.

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Intanto, la commissione Istruzione e cultura di Palazzo Madama, riunitasi a margine degli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria, ha dato  il via alla discussione generale sulla “Buona scuola” di Renzi e Giannini con gli interventi dei  relatori, Francesca Puglisi (Partito democratico) e Franco Conte (Area popolare).

La seduta è durata circa un’ora. I lavori in commissione al Senato, che dovrà approvare il disegno di legge in seconda lettura, riprenderanno la prossima settimana (mercoledì 3 giugno). I sindacati e le associazioni di categoria continuano a protestare temendo peraltro che possano slittare le prime assunzioni di docenti previste già a settembre, mentre i partiti e i gruppi parlamentari continuano a chiedere modifiche che in parte sono già state attuate alla Camera rispetto al testo originario e altre dovrebbero essere apportate al Senato. “Il governo si fermi, non può ignorare il dissenso”, incalzano i parlamentari del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo componenti delle commissioni Cultura di Camera e Senato. “Il nostro compito – ha detto la relatrice del ddl Francesca Puglisi – è quello di lavorare per continuare a migliorare il testo sciogliendo – ha sottolineato – alcuni dubbi ancora presenti”.

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Ma c’è chi almeno sulle assunzioni insiste per un decreto legge d’urgenza. “Diamoci un tempo giusto – ha detto uno dei rappresentanti di Gilda ascoltati nel ciclo di audizioni, rispondendo alle domande al Senato sul ddl Buona Scuola – per parlare della riforma e presentare un decreto sull’assunzione del precariato”. Oltre allo stralcio delle assunzioni dal ddl viene chiesta anche l’eliminazione della nuova norma sulla “chiamata diretta”. Dello stesso avviso è l’Anief. “Il ddl sulla scuola – ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief, in audizione congiunta della commissione Cultura e Istruzione di Montecitorio e Palazzo Madama – va obbligatoriamente rivisto. Tutti i precari – ha proseguito il sindacalista – devono essere assunti subito dallo Stato e non possono essere selezionati – ha sottolineato – da un preside manager di ogni istituto”.

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Nella foto, a sinistra, di fronte agli insegnanti in protesta, il preside del liceo scientifico A. Messedaglia di Verona, favorevole all’azione di sensibilizzazione davanti al teatro Ristori.




ITALIA – Scrutini illegali: i presidi li fissano prima della fine della scuola. I sindacati protestano

Dopo l’approvazione alla Camera dell’articolo 9 del Ddl della “Buona scuola” di Renzi, con 316 sì, 137 no e 1 astenuto (a favore hanno votato Pd, Area popolare, Scelta civica, Per l’Italia-Centro democratico, Psi, Minoranze linguistiche. Contrari M5s, Forza Italia, Lega, Sel, Fdi-An, Alternativa libera) i  presidi non si lasciano sfuggire l’occasione per mettere in atto i nuovi super poteri e, infischiandosene dello sciopero indetto nei giorni successivi al termine delle lezioni (data che varia in ogni regione)  dalle sigle sindacali Unicobas, Cobas e Usb, hanno anticipato le date degli scrutini alla prima settimana del mese, senza attendere la fine dell’anno scolastico per decidere la sorte degli studenti, privati in questo modo della possibilità di recuperare i voti insufficienti. Perché, per ritardare l’esito delle operazioni di valutazione degli alunni, non è necessario scioperare: basta applicare scrupolosamente la legge. Che consente ai docenti di pretendere la visione e la lettura degli elaborati degli alunni da valutare. Così da acquisire elementi certi per esprimere il proprio voto in sede di consiglio. Le valutazioni, infatti, sono sempre collegiali. Il docente della disciplina propone il voto. Ma la valutazione finale deve sempre essere frutto di una votazione. È prassi che tale votazione avvenga tacitamente, quando tutti i componenti il consiglio approvano la votazione. Ma, se anche un solo docente non è d’accordo, è obbligatoria la votazione espressa. In ogni caso, per poter esprimere il proprio voto in scienza e coscienza, ogni componente il consiglio ha il diritto di esaminare la documentazione sulla quale si fonda la proposta di voto del collega. La votazione, infatti, non è un mero processo meccanico, dovendo essere espressione di un ragionamento. Che va debitamente verbalizzato così da consentire, anche a distanza di tempo, la ricostruzione del processo che abbia portato alla formazione della volontà collegiale. Le norme che regolano la questione sono piuttosto vetuste, ma ancora in vigore.

Paradossalmente, dunque, le deliberazioni che venissero assunte dai consigli di classe dopo una lunga e approfondita discussione, basata sull’attento esame dei documenti riguardanti l’accertamento dei livelli di prestazione degli alunni, risulterebbero a prova di Tar. Non sono rari i casi di sentenze di annullamento degli esiti degli scrutini basate proprio sulla carenza di motivazione delle deliberazioni dei consigli di classe. Dunque, se gli insegnanti dovessero decidere di applicare la normativa vigente avvalendosi delle loro prerogative, gli scrutini potrebbero durare mesi interi. E nessuno potrebbe eccepire alcunché.

L’esercizio del diritto di sciopero è precluso solo nella misura in cui ciò determini ritardi negli scrutini delle classi terminali. In tutti gli altri casi, si può fare. A patto, però, che non comporti un differimento di oltre 5 giorni nella data di inizio delle procedure. Ed è proprio questa la strada che intendono percorrere i sindacati della scuola, così da continuare a tenere alta l’attenzione sulla protesta dei docenti nel pieno rispetto della legge.

Le organizzazioni sindacali, conformandosi a quanto già dichiarato dall’Autorità di garanzia, con riferimento all’articolo 3, lettera g, dall’Accordo sulla scuola del 1999, hanno esplicitamente escluso ogni forma di blocco degli scrutini per i cicli terminali del percorso scolastico (esami di terza media, maturità, abilitazioni professionali).

Perciò, per quanto riguarda  le astensioni dagli scrutini delle classi intermedie, l’Autorità di garanzia si riserva di decidere nei prossimi giorni, poiché sta valutando complessivamente le proclamazioni di sciopero, che stanno via via pervenendo, allo scopo di evitare che l’attuazione delle astensioni, possa produrre, in concreto, una violazione della normativa.

Intanto anche i lavoratori della conoscenza  stanno pensando ad altre forme di protesta.

“Nei prossimi giorni – ha dichiarato Pantaleo, presente alla manifestazione a Montecitorio, in concomitanza con l’approvazione alla Camera del DDL Scuola – bisognerà aprire le scuole, attraverso occupazioni simboliche, a un dibattito pubblico con le famiglie, gli enti locali, gli insegnanti. Penso che sarà necessaria una ulteriore giornata di mobilitazione nazionale”.

Un’altra proposta dei sindacati è quella di un’ora di sciopero durante l’iter di approvazione del testo in Senato.




ITALIA – Niente nani e ballerine: la vera Scuola in piazza. Il 12 maggio docenti in sciopero contro INVALSI

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Tre sigle sindacali hanno deciso di aderire allo sciopero breve del 12 maggio contro la somministrazione della prova Invalsi, contro l’ennesimo fenomeno demenzial-italiano di chi arriva in ritardo rispetto ad altri paesi che si sono liberati di qualcosa che hanno constatato essere superflua o addirittura controproducente.

Le tre sigle sindacali sono gli Autoconvati Scuole Roma, l’Unicobas Scuola, l’USI.

Sarà uno sciopero di mansione che consiste nel restare in servizio e svolgere l’attività di insegnamento, rifiutando di somministrare i quiz.  Si tratta di una modalità prevista dalla normativa generale, ma inedita per la scuola.

La commissione Cultura della Camera, il 7 maggio ha cancellato il comma dell’articolo 21  sulle deleghe al governo che prevedeva di affidare all’Esecutivo una specifica delega per la riforma. L’emendamento, che era stato presentato dal Pd, primo firmatario Stefano Fassina, è stato approvato con il parere favorevole del governo.

Restano congelati gli articoli dal 7 al 9 che riguardano i temi più caldi: organici, assunzioni ed assegnazione dei docenti.

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la Gilda ha lanciato la possibilità di bloccare gli scrutini, promettendo un fine anno di fuoco.

“Se dovessi dire che abbiamo la certezza che incontreremo il governo – ha detto la leader Cgil, Susanna Camusso, dopo essersi recata al Nazareno – direi una cosa non vera, anche se il Pd ha registrato la nostra richiesta. Abbiamo rispiegato le ragioni dello sciopero e del successo che ha avuto, abbiamo apprezzato la disponibilità di metodo per continuare a vederci ma – ha concluso – molti nodi li può sciogliere il governo non un singolo partito”. Camusso ha ricordato tra gli scogli da superare le questioni dei precari, del contratto fermo da 6 anni e della valutazione dei prof.

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La protesta della Scuola italiana in  30 scatti:

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ITALIA – Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (dopo Napolitano)

Non deve essere stato facile andar via, come non lo è stato, tre anni fa, restare.  Se non altro per abitudine. Dopo quasi nove anni, unico presidente della storia repubblicana rieletto alla carica più alta dello Stato,  Giorgio Napolitano, il 15 gennaio, ha lasciato il Quirinale. Alcuni affermano che,considerando i tempi, sia stato il miglior presidente che potessimo avere, altri sostengono che sia, invece, stato il peggiore dei presidenti della Repubblica italiana.

E’ certo che non è stato il presidente della Giustizia e della Legalità: in nove anni ha fatto distruggere le intercettazioni Stato-mafia, ha firmato il Lodo Alfano e il Legittimo impedimento; non è stato nemmeno il presidente del Popolo che lavora e produce: ha firmato  la Riforma Fornero, il Job act e lo Sblocca Italia.

La corsa alla successione è già iniziata: il primo voto è previsto il 29 gennaio,  il 31 potrebbe essere eletto il nuovo Capo dello Stato, a maggioranza semplice. Da ambienti Pd filtra intanto la prima rosa di nomi. Sono in sei: Amato, Fassino, Finocchiaro, Mattarella, Padoan e Veltroni.

Possiamo solo augurarci che vinca il migliore!