ITALIA – Scrutini illegali: i presidi li fissano prima della fine della scuola. I sindacati protestano

Dopo l’approvazione alla Camera dell’articolo 9 del Ddl della “Buona scuola” di Renzi, con 316 sì, 137 no e 1 astenuto (a favore hanno votato Pd, Area popolare, Scelta civica, Per l’Italia-Centro democratico, Psi, Minoranze linguistiche. Contrari M5s, Forza Italia, Lega, Sel, Fdi-An, Alternativa libera) i  presidi non si lasciano sfuggire l’occasione per mettere in atto i nuovi super poteri e, infischiandosene dello sciopero indetto nei giorni successivi al termine delle lezioni (data che varia in ogni regione)  dalle sigle sindacali Unicobas, Cobas e Usb, hanno anticipato le date degli scrutini alla prima settimana del mese, senza attendere la fine dell’anno scolastico per decidere la sorte degli studenti, privati in questo modo della possibilità di recuperare i voti insufficienti. Perché, per ritardare l’esito delle operazioni di valutazione degli alunni, non è necessario scioperare: basta applicare scrupolosamente la legge. Che consente ai docenti di pretendere la visione e la lettura degli elaborati degli alunni da valutare. Così da acquisire elementi certi per esprimere il proprio voto in sede di consiglio. Le valutazioni, infatti, sono sempre collegiali. Il docente della disciplina propone il voto. Ma la valutazione finale deve sempre essere frutto di una votazione. È prassi che tale votazione avvenga tacitamente, quando tutti i componenti il consiglio approvano la votazione. Ma, se anche un solo docente non è d’accordo, è obbligatoria la votazione espressa. In ogni caso, per poter esprimere il proprio voto in scienza e coscienza, ogni componente il consiglio ha il diritto di esaminare la documentazione sulla quale si fonda la proposta di voto del collega. La votazione, infatti, non è un mero processo meccanico, dovendo essere espressione di un ragionamento. Che va debitamente verbalizzato così da consentire, anche a distanza di tempo, la ricostruzione del processo che abbia portato alla formazione della volontà collegiale. Le norme che regolano la questione sono piuttosto vetuste, ma ancora in vigore.

Paradossalmente, dunque, le deliberazioni che venissero assunte dai consigli di classe dopo una lunga e approfondita discussione, basata sull’attento esame dei documenti riguardanti l’accertamento dei livelli di prestazione degli alunni, risulterebbero a prova di Tar. Non sono rari i casi di sentenze di annullamento degli esiti degli scrutini basate proprio sulla carenza di motivazione delle deliberazioni dei consigli di classe. Dunque, se gli insegnanti dovessero decidere di applicare la normativa vigente avvalendosi delle loro prerogative, gli scrutini potrebbero durare mesi interi. E nessuno potrebbe eccepire alcunché.

L’esercizio del diritto di sciopero è precluso solo nella misura in cui ciò determini ritardi negli scrutini delle classi terminali. In tutti gli altri casi, si può fare. A patto, però, che non comporti un differimento di oltre 5 giorni nella data di inizio delle procedure. Ed è proprio questa la strada che intendono percorrere i sindacati della scuola, così da continuare a tenere alta l’attenzione sulla protesta dei docenti nel pieno rispetto della legge.

Le organizzazioni sindacali, conformandosi a quanto già dichiarato dall’Autorità di garanzia, con riferimento all’articolo 3, lettera g, dall’Accordo sulla scuola del 1999, hanno esplicitamente escluso ogni forma di blocco degli scrutini per i cicli terminali del percorso scolastico (esami di terza media, maturità, abilitazioni professionali).

Perciò, per quanto riguarda  le astensioni dagli scrutini delle classi intermedie, l’Autorità di garanzia si riserva di decidere nei prossimi giorni, poiché sta valutando complessivamente le proclamazioni di sciopero, che stanno via via pervenendo, allo scopo di evitare che l’attuazione delle astensioni, possa produrre, in concreto, una violazione della normativa.

Intanto anche i lavoratori della conoscenza  stanno pensando ad altre forme di protesta.

“Nei prossimi giorni – ha dichiarato Pantaleo, presente alla manifestazione a Montecitorio, in concomitanza con l’approvazione alla Camera del DDL Scuola – bisognerà aprire le scuole, attraverso occupazioni simboliche, a un dibattito pubblico con le famiglie, gli enti locali, gli insegnanti. Penso che sarà necessaria una ulteriore giornata di mobilitazione nazionale”.

Un’altra proposta dei sindacati è quella di un’ora di sciopero durante l’iter di approvazione del testo in Senato.




ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

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Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

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Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

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Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

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Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

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Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

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Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

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Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

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Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

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Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

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Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.