Roma – E la scuola impara. Un giardino autogestito per Rosa Luxemburg

Il cortile di una scuola è un luogo insolito per un’intitolazione a una donna. E invece nel Liceo classico Socrate di Roma il giardino interno è stato dedicato a Rosa Luxemburg, importante filosofa tedesca e militante comunista del primo Novecento.

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L’esistenza di questo giardino è frutto di anni di lotte studentesche per una gestione della scuola più democratica e partecipativa e meno autoritaria e coercitiva. Il giardino, liberamente accessibile fino al 2010, è stato chiuso senza che le motivazioni fossero mai rese pubbliche.

Nel frattempo, dopo decenni di politiche devastanti e tagli che hanno svenduto la scuola pubblica, il governo Renzi e la ministra Giannini hanno varato una riforma che trasforma gli istituti scolastici in aziende di cui il/la preside è un/a manager con pieni poteri e dove al tempo stesso le famiglie costituiscono la clientela da assecondare e le/gli studenti la manodopera a basso costo per i privati. L’elemento più eclatante della «Buona Scuola» porta il nome di «alternanza scuola-lavoro»: pena la non ammissione all’esame di Stato, i ragazzi e le ragazze sono costrette a lavorare gratis per enti, principalmente privati ma non solo, i quali potranno così assumere meno lavoratori o lavoratrici retribuite.

Al Socrate la lotta nazionale contro la Buona Scuola si è unita a quella interna per la partecipazione democratica nei processi decisionali e soprattutto per la sicurezza e l’agibilità, in una struttura che ospita circa 950 studenti su 650 posti disponibili. Tra i vari temi rivendicati dalla componente studentesca vi era proprio la riapertura del cortile interno, ottenuto in seguito all’occupazione dell’autunno 2017. Protagonista di queste lotte è il collettivo politico Galeano, che ora si occupa autonomamente di gestire il giardino.

L’8 marzo 2018, in occasione della giornata delle donne, i ragazzi e le ragazze del collettivo Galeano hanno usato l’intervallo tra le lezioni per affiggere lo striscione che dedica il giardino da loro ottenuto alla rivoluzionaria tedesca uccisa nel 1919 dalla polizia del governo socialdemocratico della Repubblica di Weimar.

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«Marx lo amo ma non è sufficiente – spiega uno dei militanti di Galeano – invece Rosa Luxemburg l’abbiamo scelta perché lei, come filosofa e come letterata, parla non solo dello Stato ma della bellezza dell’essere umano a tutto tondo. Ed è importante anche perché è stata una donna, filosofa della politica e martire in un’epoca in cui raramente le donne ricoprivano questi ruoli e si esponevano nella società.»

Rosa Luxemburg, uscita dal Partito Socialdemocratico Tedesco per dar vita al movimento spartachista nella Germania distrutta dalla prima guerra mondiale e umiliata nei trattati di pace, fu la prima interna al Comintern a criticare l’autoritarismo leninista sostenendo il diritto delle masse all’autodeterminazione e contestando il ruolo egemone del partito bolscevico costituito da pochi professionisti di una Rivoluzione che si sarebbe presto trasformata in dittatura. Lei, insieme a Karl Liebknecht, guidò l’insurrezione di Berlino che portò alla fine della guerra. I suoi scritti sono pilastri del pensiero comunista e della storia del movimento operaio europeo e la sua figura non è meno importante di persone a lei contemporanee ma molto più celebrate come Antonio Gramsci o Friederich Engels. Pur non rinnegando lo storicismo dialettico alla base del pensiero marxista, la sua fu una delle pochissime voci socialiste a far notare l’importanza della spontaneità delle azioni di lotta nel processo rivoluzionario. Dissidente rispetto alla socialdemocrazia, Rosa Luxemburg sostenne la partecipazione diretta sul modello dei soviet, consapevole che il riformismo e la democrazia borghese non avrebbero mai portato a una vera emancipazione delle masse. Nella sua analisi, inoltre, viene dato molto peso al militarismo, colonna portante del capitalismo e fondamentale per lo sviluppo industriale, che conduce alla conquista di territori non ancora industrializzati le cui popolazioni indigene saranno poi proletarizzate; gli anni in cui Rosa Luxemburg ha vissuto mostrano chiaramente la stretta connessione che lega capitalismo industriale, guerra imperialista e Rivoluzione sociale.

Oggi l’accesso al cortile posteriore del Liceo Socrate le rende omaggio con un grande murale dove al suo volto è accostata la frase «Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene». L’altro graffito, adiacente alla porta che dà sul giardino liberato, reca scritto «You are now entering free giardino», citando quel «You are now entering free Garbatella» che, per chi sale da via della Villa di Lucina venendo da San Paolo, dà il benvenuto al quartiere popolare e antifascista dove ha sede l’istituto.

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ITALIA – Agliana: originalità e rinnovamento per le vie cittadine

di Laura Candiani

foto di Maria Pia Ercolini

Il Comune di Agliana si trova all’estremità orientale della provincia di Pistoia, nella direzione Prato- Firenze, e sorge in un’area completamente pianeggiante, delimitata da tre corsi d’acqua e attraversata dal torrente Brana. Attualmente ha poco più di 17.000 abitanti, molti dei quali impiegati nelle attività principali: l’industria tessile e il vivaismo. Qui ha sede anche uno dei più famosi cioccolatieri italiani che esporta i suoi prodotti di eccellenza in tutto il mondo.

L’origine dell’abitato è antica, addirittura risale al I -II sec. a. C. quando sorse la via Cassia; durante l’età medievale fu Comune rustico e poi podestarile; a questo periodo risalgono le quattro antiche chiese, assai rimaneggiate nel corso del tempo. In epoca moderna è divenuto Comune autonomo nel 1913, prima in provincia di Firenze, poi sotto Pistoia.

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FOTO 1. MAPPA

La popolazione, di forte tradizione antifascista, contribuì con coraggio e grande tributo di sangue alla guerra partigiana, grazie anche alla posizione strategica del territorio, nei pressi della Linea Gotica; la cittadina fu liberata dalla formazione “Agliana” il 4 settembre ’44. Il ricordo di questi eventi è assai presente con un monumento e una serie di intitolazioni a martiri del fascismo e della Resistenza, nazionali e locali, come i fratelli Cervi, Amendola, Buozzi, d’Acquisto, Eugenio Curiel, Magnino Magni. Il grande parco centrale – sorto in una ex-cava – è dedicato a Sandro Pertini.

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FOTO 2. GIOVANNELLA

Nell’odonomastica si segnalano 106 strade intitolate a uomini, 13 a donne (una delle quali alla non identificata Giovannella), ma quello che colpisce sono alcune scelte non comuni e per nulla banali. A fianco di dediche tradizionali, come quelle a Grazia Deledda (ricordata ovunque in Italia perché, alla morte, nel ’36, il Fascismo ne fece una gloria nazionale), a Elsa Morante e a Santa Teresa d’Avila, troviamo nomi di donne di spettacolo di fama internazionale come Anna Magnani e Maria Callas.

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FOTO 3. ELSA MORANTE (Roma 18.8.1912- 25.11.1985)

Scrittrice, saggista, traduttrice, poeta, appassionata di cinema , iniziò giovanissima a scrivere fiabe e storie per bambini e a pubblicare su riviste. Fu amica e collaboratrice dei maggiori intellettuali dell’epoca e moglie di Alberto Moravia; la sua fama è legata a una serie di fortunati romanzi: Menzogna e sortilegio( ’48), L’isola di Arturo(’57- premio Strega), La Storia (che volle pubblicato direttamente in edizione economica, al prezzo di duemila lire, nel ’74) , Aracoeli (’82).

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FOTO 4. SANTA TERESA D’AVILA

(Avila- Spagna 28.3.1515- Alba de Tormes 15.10.1582)

Dopo un lungo e travagliato percorso, arrivò alla “conversione “ a quasi quarant’anni; fondò l’ordine dei Carmelitani scalzi (monache e frati) che fu uno dei pilastri della Controriforma. Scrisse testi che illustrano la sua dottrina, in particolare Il castello interiore. Santa nel 1622, nel 1970 fu nominata da papa Paolo VI “dottore della Chiesa” , insieme a Santa Caterina da Siena.

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FOTO 5. MARIA CALLAS

(New York 2.12.1923- Parigi 16.9.1977)

Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropoulou è stata la soprano che ha fatto riscoprire il belcanto (Bellini- Donizetti) e per le sue uniche doti vocali ha contribuito a far riemergere opere dimenticate (Anna Bolena, La Vestale, Macbeth) o sottovalutate ( La Gioconda, Medea). È stata definita “soprano drammatico d’agilità” per la forza e per l’estensione della sua voce, straordinariamente espressiva, che ha dato una svolta alle interpretazioni teatrali: pensiamo alla sua “Traviata”(regia di Visconti) e alla sua “Norma”. Importante anche il contributo cinematografico con il ruolo di protagonista in “Medea” di Pasolini (’66).

D’altra parte, fra gli uomini, incontriamo Caruso e Toscanini, cantanti come Giorgio Gaber e Fabrizio de Andrè, il ciclista Fausto Coppi, a cui è eretto un monumento.

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FOTO 6. ROSA LUXEMBURG

(Zamosc- Polonia 5.3.1871- Berlino 15.1.1919)

Politica, filosofa, rivoluzionaria e teorica del marxismo, naturalizzata tedesca, brillava per intelligenza e cultura, per vitalità ed energia; fu fra i fondatori del Partito Socialista Polacco e poi del Partito Comunista Tedesco. Rapita e uccisa durante le rivolte successive alla Prima guerra mondiale, il suo corpo fu recuperato in un canale, ma nel ’35 i resti andarono dispersi. La sua opera più importante si intitola L’accumulazione del capitale (1913); molto interessante anche La rivoluzione russa- Un esame critico, pubblicata postuma.

Se ancora Anna Frank e Rosa Luxemburg si possono inserire in una certa tradizione – almeno in Toscana e nelle regioni un tempo definite “rosse”, in un Comune governato da sempre da giunte di sinistra – appare una scelta originale il ricordo della intellettuale Hannah Arendt.

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FOTO 7. HANNAH ARENDT

(Hannover 14.10.1906- New York 4.12.1975)

Filosofa, storica, scrittrice tedesca, naturalizzata statunitense; a causa delle persecuzioni razziali lasciò la Germania per Parigi e poi emigrò negli USA, nel ’40. Scrisse fra l’altro: Le origini del totalitarismo (’51) e Vita Activa (’58) in cui espose la sua teoria politica. Per il “New Yorker” seguì il processo al criminale nazista Eichmann che le ispirò il celebre libro La banalità del male.

Un nome non molto frequente, ma in crescente presenza è quello di Ilaria Alpi, la giovane giornalista che cadde vittima di un agguato a Mogadiscio a causa delle proprie rischiose inchieste. Le scelte tuttavia che colpiscono per la loro originalità e portano a indagare riguardano due donne attive in ambiti ben diversi, pochissimo conosciute ma entrambe eccezionali: si tratta della patriota salvadoregna Marianella Garcia, di formazione cattolica, barbaramente uccisa, come il vescovo Romero di cui era coraggiosa collaboratrice nella lotta contro i soprusi e le violenze.

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FOTO 8. MARIANELLA GARCIA VILLAS

(San Salvador 7.8.1947 – Suchitoto – El Salvador 13.3.1983)

Figlia della borghesia, dopo aver studiato in Spagna, si laureò in Filosofia e poi in Scienze politiche; scelse la lotta a fianco del suo popolo sfruttato e collaborò con il vescovo Oscar Romero. Definita efficacemente “avvocata dei poveri, difensore degli oppressi, voce dei perseguitati e degli scomparsi”, armata solo di una macchina fotografica per testimoniare i soprusi degli “squadroni della morte”, torturata e violentata, venne uccisa a soli 36 anni.

 

L’altra è la papirologa Medea Norsa, un genio nel suo campo: dopo aver sofferto da ebrea per le persecuzioni razziali, subì un vero ostracismo professionale da parte dei colleghi invidiosi, che non accettavano il suo ruolo dirigenziale. Quest’ultima intitolazione è avvenuta nel 2012, nel quinquennio in cui era sindaca Eleanna Ciampolini (2009-2014).

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FOTO 9. MEDEA NORSA

(Trieste 26.8.1877- Firenze 28.7.1952)

Maria Vittoria Irma Norsa fu filologa, grecista e papirologa insigne; dopo aver studiato a Vienna e a Firenze, insegnò nei Licei e poi fu libera docente in Papirologia alle Università di Firenze e Pisa. Membro di istituzioni prestigiose, divenne nel ’35 direttrice dell’Istituto Papirologico Italiano, ma le invidie dei colleghi le resero difficile il lavoro, finché fu collocata forzatamente a riposo nel ’49.

Viene infine ricordata – come anche a Pistoia – la gentildonna Selvaggia Vergiolesi, sconosciuta al di fuori di un certo ambito letterario, ispiratrice del poeta stilnovista Cino da Pistoia (anche lui nello stradario aglianese).

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FOTO 10. SELVAGGIA VERGIOLESI

Come Dante ebbe la sua Beatrice, così il poeta stilnovista Cino da Pistoia ebbe come ispiratrice Selvaggia, pistoiese, di nobile famiglia ghibellina. Probabilmente fu moglie di un certo Focaccia de’ Cancellieri, ma i dati sono incerti e la figura si perde nella leggenda. Sembra che sia morta nel 1313 nel castello di Sambuca Pistoiese dove si era rifugiata per sfuggire alle violenze dei Guelfi e per salvarsi dal rogo della rocca presso Piteccio in cui viveva.

Per concludere un’altra segnalazione interessante: la biblioteca comunale – che sorge vicino all’Istituto Tecnico dedicato a Aldo Capitini (bella figura di intellettuale antifascista e pacifista)- è stata intitolata ad Angela Marcesini, che negli anni ’90 ne fu direttrice e morì prematuramente.

 

 

 




ITALIA – Milano combattente

Di Nadia Boaretto

Milano è medaglia d’oro fra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione. E ne va fiera. Tale orgoglio si riflette nelle intitolazioni stradali, che anche quando celebrano figure risorgimentali, risalenti quindi a più di un secolo addietro, alludono a un perdurante spirito libertario e alla lotta contro l’oppressore straniero. I personaggi femminili non sono numerosi, ma la disparità fra nominativi maschili e femminili sta a poco a poco migliorando.

 

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Cristina Trivulzio di Belgioioso è relegata un po’ lontano dal centralissimo palazzo Belgioioso, ma molti angoli di Milano portano le sue tracce. L’atto di battesimo venne registrato nella parrocchia della chiesa di Sant’Alessandro. Il suo matrimonio con il giovane ed avvenente principe Emilio Barbiano di Belgiojoso avvenne nella chiesa di S. Fedele il 24 settembre 1824. La più ricca ereditiera d’Italia vantava una dote di 400.000 lire austriache. Aveva allora solo 16 anni. Fu un’unione infelice, che aggiunse pene ai problemi di epilessia e di salute cagionevole. Divenuta fervente patriota, Cristina viaggiò in Italia, in Svizzera, in Francia, ebbe i beni confiscati dagli Austriaci, tanto che la sua firma sui bozzetti dei parlamentari francesi, che le erano stati commissionati, divenne La Princesse ruinée (La principessa rovinata). Avversa ai progetti mazziniani, che riteneva fallimentari, non sempre godette di simpatie tra i fuoriusciti italiani a Parigi. La sua vita avventurosa anche dopo la nascita della figlia Maria la condusse da Locate a Napoli, in Turchia, sempre in ristrettezze. Il che non le impedì di aiutare le donne più umili e i loro figli, e di pagare il viaggio a 200 patrioti che volevano partecipare alle 5 giornate di Milano.

Morì nel 1871, a 63 anni. Aveva sofferto di varie malattie, vissuto molte peripezie, tra le quali anche un tentativo di omicidio, cosa che le lasciò diverse ferite. Fu sepolta a Locate di Triulzi, dove la sua tomba si trova tuttora. Al suo funerale non partecipò nessuno dei politici dell’Italia, che lei così generosamente aveva contribuito ad unire.

 

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Al suo periodo si lega Costanza Arconati Trotti Bentivoglio (Vienna 1800-1871), attiva durante i moti carbonari del 1821. Successivamente costretta dall’esilio del marito a soggiornare tra il Belgio e Berlino, può tornare in Italia grazie all’amnistia del 1838. Dopo una breve permanenza a Milano si stabilisce a Pisa, mantenendo i contatti con intellettuali liberali. Costanza non riesce a capire perché i governanti piemontesi non si pongano all’altezza del compito che il destino ha loro riservato: guidare un esercito alla liberazione dell’Italia. Tesse così una fitta rete di corrispondenza con i patrioti in prigione, in particolare con Federico Confalonieri e con Giorgio Pallavicino e dietro il ruolo di “cronista culturale”, come viene definito il suo impegno, cela un’intensa attività patriottica di messaggera; ella porta infatti a destinazione i dispacci dei carbonari, in Francia, in Belgio, in Germania, ovunque. Al momento delle 5 Giornate (1848) arriva a Milano, dove si pone a fianco del marito che si batte per l’immediata unione del Lombardo-Veneto al Piemonte, sotto il comando di Carlo Alberto. Dopo il 1849, al ritorno degli austriaci, si trasferisce a Torino e di qui a Firenze e Vienna, seguendo sempre le vicende italiane e applaudendo Roma capitale d’Italia. Il 21 Maggio 1871 Costanza non regge al dispiacere della notizia dell’imminente morte del suo secondogenito, Gianmartino, per una malattia incurabile contratta in un viaggio e muore in un edificio adiacente alla reggia di Francesco Giuseppe, che tanto si era opposto all’unità d’Italia. È sepolta ad Arconate, feudo della famiglia del marito.

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Giuditta Bellerio Sidoli fu a sua volta fervente patriota, legata a Mazzini, con cui nel 1832 fondò il giornale politico La Giovine Italia, assumendone il ruolo di responsabile e contabile.

A causa delle sue idee rivoluzionarie fu allontanata dai figli per volere del suocero e trascorse anni in un continuo peregrinare per gli Stati d’Italia e d’Europa, alla ricerca dei figli e nelle partecipazioni ai vari moti rivoluzionari e cospirazioni a Livorno, Firenze, Roma, Milano e Bologna. Nel dicembre 1849 fu arrestata e incarcerata a Modena e trasferita a Milano nel febbraio 1850 su ordine del generale Radetzky. Scampata al carcere e trasferitasi definitivamente a Torino sul finire del 1852, diede vita ad un salotto politico frequentato dalle maggiori personalità risorgimentali dell’epoca, contribuendo a preparare il terreno culturale per la seconda guerra di indipendenza.

Nel 1868 Giuditta Bellerio si ammalò gravemente di tubercolosi e il 28 marzo 1871 si spense a Torino, stroncata da una polmonite, dopo aver rifiutato i sacramenti religiosi, coerentemente con la sua dichiarazione di «credere liberamente nel Dio degli esuli e dei vinti, non in quello imposto dalla Chiesa».

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Matilde Viscontini, altra patriota, dopo il matrimonio con il militare polacco Jan Dembowski visse in un appartamento di famiglia in via San Maurilio e anni dopo la separazione dal marito, la cui brutalità entro le mura domestiche era cosa risaputa, andò ad abitare in piazza Belgioioso. Quando si dice il destino! Qui creò un salotto frequentato da intellettuali. Di lei s’innamorò Stendhal, ma forse Matilde aveva una relazione con il conte Giuseppe Pecchio; entrambi erano affiliati alla Società dei Federati, un circolo cospirativo legato ai liberali piemontesi, che si proponeva di suscitare un’insurrezione a Milano contando sull’appoggio del principe di Carignano. Le donne affiliate erano chiamate «maestre giardiniere». Arrestata, la Viscontini diede prova di grande coraggio e intelligenza, negando ogni coinvolgimento e preoccupandosi soprattutto di non denunciare gli amici. Morì di tabe nel 1825, a soli 35 anni.

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Il filo rosso della storia tesse una bella trama di intelligenza e coraggio nelle figure di Rosa Luxemburg e Anna Kuliscioff, ben presenti in due targhe stradali.

Rosa Luxemburg (Zamość, 5 marzo 1871 – Berlino, 15 gennaio 1919), è una politica, filosofa e rivoluzionaria polacca naturalizzata tedesca, teorica del socialismo rivoluzionario marxista. Di famiglia ebrea, ricevette una buona istruzione, fino alla laurea in giurisprudenza.

Rosa Luxemburg convinta che un programma rivoluzionario non potesse accogliere temi nazionalistici quali l’autonomia della Polonia, credeva comunque nel diritto all’auto-determinazione dei popoli, restando «la liquidazione del capitalismo internazionale» il fine dei partiti socialisti.

Fece parte del fronte pacifista all’inizio della prima guerra mondiale e assieme a Karl Liebknecht nel 1915 creò il Gruppo Internazionale.

Il 28 giugno 1916 Rosa, assieme a Karl, venne arrestata in seguito al fallimento di uno sciopero internazionale e condannata a due anni di reclusione, dopo essere già stata in carcere per un intero anno a partire dal febbraio 1915.

Partecipò alla Rivoluzione Tedesca del novembre 1918 e contribuì a fondare il Partito Comunista di Germania, tra il dicembre 1918 e il gennaio 1919. Nel corso della rivolta iniziata il 6 gennaio 1919, venne rapita ed in seguito assassinata, insieme con Liebknecht, dai soldati dei cosiddetti Freikorps, i gruppi paramilitari agli ordini del governo del socialdemocratico Friedrich Ebert e del ministro degli Interni Noske.

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Anna Kuliscioff (Sinferopoli, 9 gennaio 1855 – Milano, 29 dicembre 1925), anarchica, rivoluzionaria italo-russa, è una fondamentale esponente e fondatrice del Partito Socialista Italiano. Di ricca estrazione ebrea, si laureò in medicina e si specializzò in ginecologia, prima a Torino, poi a Padova. Con la sua tesi scoprì l’origine batterica della febbre puerperale, aprendo la strada alla scoperta che avrebbe salvato milioni di donne dalla morte dopo il parto. Si trasferì poi a Milano, dove cominciò a esercitare l’attività medica, meritandosi il titolo di “dottora dei poveri”. Come già avvenuto in passato a Firenze, nel 1898 andò in carcere con l’accusa di reati di opinione e di sovversione. Dopo qualche mese venne scarcerata per indulto. Elaborò poi una legge a tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal Partito Socialista Italiano, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, nº 242.

Anna Kuliscioff, assieme alla sindacalista Maria Goia, ebbe parte attiva nella campagna per l’estensione del voto alle donne tanto che con il suo sostegno nel 1911 nacque il Comitato Socialista per il suffragio femminile. Ma nel 1912 una legge di Giolitti istituiva il suffragio “universale” solo maschile, estendendo il voto anche agli analfabeti che avessero compiuto i trent’anni. Si continuava così a escludere le donne da un diritto basilare. Per Anna iniziò un periodo di scoramento, durante il quale anche il rapporto con Filippo Turati si incrinò.

Morì a Milano nel 1925 e il funerale venne funestato da alcuni fascisti. Sepolta nel Cimitero Monumentale, ha una via dedicata in zona Bisceglie e una targa che accomuna il suo nome a quello di Turati in piazza Duomo, sotto i portici di accesso alla Galleria Vittorio Emanuele.

Queste donne impavide hanno lasciato il segno. Nel corso dell’occupazione tedesca altre hanno raccolto il testimone.

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Tra queste Gina Galeotti Bianchi, una delle protagoniste della lotta nel nord Italia. Già all’età di 16 anni entrò nel movimento antifascista, prese poi parte agli scioperi di Milano, con il nome di battaglia di Lia e venne catturata e interrogata per ben 33 volte. Denunciata al Tribunale speciale il 25 luglio 1943 venne liberata, tornò a Milano, dove prese parte al Comitato provinciale dei Gruppi di difesa della donna, e continuò la propria attività, dedicandosi all’assistenza delle famiglie delle vittime della lotta di Liberazione. Il 25 aprile 1945 nella giornata di insurrezione nazionale mentre si recava a Niguarda per prendere contatto con alcune infermiere dell’ospedale incaricato di curare i partigiani feriti fu colpita da una raffica di colpi che uccise lei e il bimbo di otto mesi che portava in grembo. A soli 33 anni morì dopo un’intensa vita di lotta antifascista. Le fu poi assegnata la medaglia d’oro alla memoria dal Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Il 19 novembre 2005, nella zona di Niguarda, nei giardini tra via Val di Ledro e via Hermada, il Comune di Milano le ha intitolato l’area.

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Teresa Noce, «sola, affamata e ribelle» per sua stessa definizione, s’impegnò nel Partito socialista italiano (PSI), fondando nel 1919 con altri compagni il circolo giovanile socialista torinese. In Italia militò contro il fascismo e in Francia fondò la rivista Noi Donne con Xenia Sereni ed entrò in clandestinità. Fu rinchiusa in campo di concentramento a Ravensbrück e infine liberata da forze polacche. Il suo nome va annoverato fra quelli delle madri costituenti e come parlamentare per l’impegno esercitato a favore della parità salariale e per la promozione della legge 26 agosto 1950, n. 860 a tutela delle lavoratrici madri. Dopo un periodo doloroso di rottura con il marito Luigi Longo e con il partito comunista morì a Bologna il 22 gennaio 1980.

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A tutte le Donne Partigiane il consiglio di zona 6 ha dedicato una piazza di Milano.