ITALIA – Xylella a Torchiarolo, mentre è in attuazione il Piano Silletti. Primi casi in Corsica

I tre focolai di Torchiarolo sono ora considerati parte integrante della “zona infetta” da Xylella Fastidiosa. Ai sette alberi al confine tra le province di Brindisi e Lecce è stato quindi riservato un trattamento differente rispetto agli uliveti di Oria, così come già annunciato dalla Regione e ora posto nero su bianco nel testo di una determina del 31 luglio scorso.
La zona cuscinetto di conseguenza non è stata ampliata, in quanto i dieci chilometri già individuati oltre il limite dell’area “rossa” del profondo Salento sono stati ritenuti sufficienti.
Torchiarolo si aggiunge così ai 27 siti già localizzati e identificati nelle mappe regionali come luoghi in cui ci sono ulivi contagiati. La nuova delimitazione delle aree, che differisce di pochissimo rispetto a quella già stabilita nelle scorse settimane, è cosa fatta, nel rispetto delle direttive del decreto ministeriale del 19 giugno scorso che rendono esecutive in Italia e principalmente in Puglia (dove c’è l’emergenza) le misure europee adottate con la decisione di esecuzione del 18 maggio. Una zona infetta e una cuscinetto, almeno 10 chilometri attorno a quella “clou”.
Gli alberi di Torchiarolo per i quali il 27 luglio scorso sono stati comunicati – a seguito di analisi di conferma – risultati positivi alla Xylella, per la loro distribuzione territoriale, costituiscono secondo il servizio Agricoltura della Regione Puglia «tre focolai puntiformi che ricadono nell’area cuscinetto già delimitata il primo giugno 2015».
È stata perciò aggiornata la “zona infetta” e deciso che «non è necessario ampliare la zona cuscinetto in quanto risulta sostanzialmente rispettato il limite di 10 chilometri stabilito».
La cartografia è consultabile sul sito istituzionale della Regione Puglia, e in particolare nel portale dedicato all’emergenza Xylella. Sarà ora il dirigente dell’ufficio Osservatorio fitosanitario a trasmettere copia del provvedimento ai presidenti delle province di Lecce, Brindisi e Taranto, al sindaco di Torchiarolo, alle organizzazioni professionali di categoria e al commissario straordinario Giuseppe Silletti che sta provvedendo alla redazione del piano stralcio “bis” con il quale saranno programmati i prossimi interventi. Il Consiglio dei ministri ha prorogato di sei mesi, e quindi fino a febbraio 2016, lo stato di emergenza e ha conferito a Silletti il potere di indennizzare gli agricoltori che provvederanno in proprio all’eradicazione del batterio e all’abbattimento delle piante colpite dalla “peste degli ulivi”.

Firmato il decreto che dichiara lo stato di calamità e attiva il Fondo di solidarietà nazionale, per la prima volta in Italia per un’emergenza fitosanitaria.Ora si possono attivare le procedure per ripartire gli 11 milioni stanziati con il decreto agricoltura del 2 luglio. Gli interventi previsti con la dichiarazione di stato di calamità sono: spese rate dei mutui e dei contributi assistenziali e previdenziali- Risarcimenti per mancato reddito- Prevista compensazione per abbattimento degli alberi, in base alla stima del valore che verrà resa definitiva nei prossimi giorni.  Le aziende potranno presentare domanda alla Regione Puglia per gli indennizzi. Secondo le leggi europee possono accedere a queste misure le aziende agricole che dimostrano una perdita superiore al 30% della loro produzione lorda vendibile.

2. Rimborsi da piano Silletti

Una parte dei 13 milioni di budget del Commissario di protezione civile vengono impiegati per la copertura dei danni subiti dalle Aziende vivaistiche non agricole, dalle Aziende agricole con danni sotto il 30% e dai Proprietari di uliveti non agricoltori. Sono previsti risarcimenti per ogni eventuale albero abbattuto. Per i vivaisti vengono previsti anche contributi per una serie di investimenti che aiutano a certificare indenni le piante, come ad esempio quelli in sistemi di protezione contro insetto vettore.

3. Potenziamento della ricerca con focus su soluzioni

Per la lotta al batterio si potenzia la ricerca con uno studio europeo a guida italiana e uno nazionale che si rapporti con il primo. Sul primo fronte nel Comitato Horizon 2020 è stata approvata una ricerca europea specifica sulla Xylella che sarà coordinata dal Cnr di Bari con un finanziamento di quasi 7 milioni. A livello nazionale si prevede la creazione di un programma che coinvolga un gruppo di università a partire da quelle pugliesi, con la creazione in Salento di un campo sperimentale dove testare le possibili soluzioni contro la fitopatia.

4. Potenziamento analisi: obiettivo 80 mila analisi in tutta Italia

Per il monitoraggio in Italia e in Puglia il Mipaaf sta attivando convenzioni con più reti di laboratori. Obiettivo: 10 mila analisi a livello nazionale e 70 mila analisi in Puglia entro un anno

5. 500 tecnici del Corpo forestale diventano agenti fitosanitari

Per aumentare l’attività di monitoraggio 500 tecnici del Corpo forestale vengono qualificati come agenti fitosanitari. Aumenta anche la dotazione del personale del Corpo forestale in Puglia.

6. Finanziamento buone pratiche agricole con Psr

Il Ministero lavora in stretto contatto con la Regione Puglia per prevedere nel Psr di prossima approvazione il finanziamento stabile delle buone pratiche agricole e di misure volte al contenimento dell’insetto vettore.

I risultati del contrasto alla diffusione del batterio Xylella:

Trentatrè mila analisi in tutta Italia – nessun Paese europeo ha fatto tanto.  Dichiarato indenne da Xylella il territorio italiano ad esclusione delle province di Lecce e Brindisi. Sessantadue mila ettari lavorati con buone pratiche agricole nelle province di Lecce, Brindisi e Taranto, grazie alla partecipazione imponente degli agricoltori.1200 km lineari di interventi nelle strade, ferrovie, aree pubbliche. Analisi e ricerca sul fenomeno di disseccamento con le migliori esperienze scientifiche italiane e con un forte confronto con ricercatori esteri.

PARIGI – Sale a ventidue il numero di ritrovamenti di xylella fastidiosa su piante nel sud della Corsica. Altri nove casi di contaminazione sono stati confermati nelle scorse ore dalle autorità locali, per le quali si tratta di sottospecie diversa da quella comparsa in Puglia.

Per ora il batterio è stato individuato solo su piante di poligala, piccoli arbusti dai fiori violacei usati a scopo ornamentale, in giardini e aiuole pubbliche. “Tutti gli altri prelievi effettuati, anche su piante sensibili al batterio, sono risultati finora negativi”, ha precisato la prefettura. Il microrganismo individuato, inoltre, appartiene a una sottospecie “molto diversa” da quella che ha colpito gli ulivi pugliesi, detta “multiplex”.

Sull’isola è stata avviata un’indagine epidemiologica, coordinata dalle autorità dipartimentali insieme a specialisti dell’Istituto nazionale di ricerche agronomiche. L’obiettivo è determinare l’origine delle piante contaminate e comprendere le modalità e i tempi del loro arrivo in Corsica. Nel frattempo, “le misure adeguate sono state immediatamente messe in atto per isolare i vegetali colpiti”.

Si spiega ancora: “Sono state definite zone infettate del raggio di 100 metri, e zone tampone da 10 chilometri, per contenere la possibile diffusione, mentre i proprietari delle piante sono stati invitati a disinfestarle e sradicarle subito, poi conservarle in sacchi ermetici fino al termine del divieto estivo di accendere fuochi”.

Il mese scorso il ministero dell’agricoltura francese aveva annunciato il ritrovamento del batterio killer sulle foglie di una pianta simile al mirto, presente sempre in Corsica.




ITALIA – Regioni del Sud al limite sul fronte accoglienza: decessi e proteste

Trecentonovantacinque migranti di diverse nazionalità, tra cui siriani e subsahariani, sono sbarcati  a Crotone dal rimorchiatore di altura norvegese “Siem Pilot St Avangar”. Tra loro 150 minori, tanti bambini e alcuni neonati, 24 donne di cui due incinte. Dopo il controllo da parte degli agenti della polizia, gli immigrati sono stati prima accolti dai volontari per il primo soccorso e poi trasferiti al centro d’accoglienza di Sant’Anna.

La Prefettura di Crotone, che ha coordinato le procedure per il primo soccorso e l’accoglienza, informa che sono già stati fermati 10 presunti scafisti.

Temporaneamente ospitati presso il C.D.A./C.A.R.A. di Isola di Capo Rizzuto ai fini della pre-identificazione, saranno nei  trasferiti – secondo un piano di riparto del Ministero dell’Interno – in Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Campania.

PUGLIA – E’ stata eseguita  nell’Istituto di Medicina legale del Policlinico di Bari l’autopsia sul corpo del 52enne tunisino morto martedì scorso in un’azienda di Polignano a Mare. Il pm Grazia Errede ha affidato l’incarico al professor Francesco Introna il quale dovrà stabilire le cause del decesso e se siano la conseguenza di un infortunio sul lavoro. Stando alla ricostruzione l’uomo si è sentito male alla fine del turno di lavoro nei campi dove caricava cassette di uva.

Al termine di un turno di otto ore all’aperto, avvertendo un malore l’uomo ha deciso di prendere un caffè al distributore dell’azienda. Giunto davanti alla macchinetta, il 52enne si è accasciato al suolo privo di sensi.

Soccorso da una collega, all’arrivo del 118 per il bracciante non c’era più nulla da fare. Residente a Fasano da diversi anni, dai primi accertamenti l’uomo risultava assunto con regolare contratto dall’azienda, anche se i Carabinieri stanno eseguendo verifiche sul contratto per verificarne la validità. Il gip ha disposto l’autopsia sul corpo del 52enne per verificare l’origine del malore che ha causato la morte e capire se poteva essere evitata.

LECCE – Tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati della Procura di Lecce per la morte di Mohamed, il 47enne sudanese stroncato da un malore mentre lavorava come bracciante irregolare, sotto il caldo torrido – la temperatura sfiorava i 40 gradi – in un campo di pomodori fra Nardò e Avetrana. Gli indagati sono i titolari dell’azienda agricola Mariano, marito e moglie, e il caporale sudanese che avrebbe svolto il ruolo di intermediario fra gli imprenditori e i lavoratori.

Il sostituto procuratore Paola Guglielmi ipotizza per ora il solo reato di omicidio colposo, ma è probabile che altre ipotesi si aggiungeranno presto all’elenco delle imputazioni: i primi controlli effettuati dai carabinieri della compagnia di Campi Salentina – guidati dal maggiore Nicola Fasciano – stanno portando alla luce un quadro di diffusa illegalità. Mohamed, stando alle prime ricostruzioni, era in possesso di permesso per stare in Italia in quanto richiedente asilo, ma non aveva un contratto di lavoro.

Irregolari anche altre due braccianti straniere, che quando l’hanno visto accasciarsi sulla terra hanno cercato di soccorrerlo. In regola con il contratto, ma non con altre norme sulla sicurezza sul lavoro, le altre 28 persone che lavoravano nella stessa porzione di terreno. Per questo gli accertamenti saranno effettuati a 360 gradi, sia sotto il profilo penale sia sotto quello prettamente professionale, tramite una serie di verifiche affidate anche agli ispettori dell’Inps.

L’azienda in cui è avvenuto l’incidente, del resto, già nel 2012 era finita nel mirino della Procura con l’arresto del titolare Giuseppe Mariano, coinvolto nell’operazione ‘Sabr’ sullo sfruttamento dei braccianti nei campi, insieme con tutti i più grossi imprenditori della zona. Da allora, e nonostante gli arresti, nulla è cambiato nelle campagne di Nardò e dell’hinterland.

I migranti continuano a lavorare in condizioni disumane, i caporali a fungere da intermediari e molti imprenditori a non rispettare completamente le regole. La situazione in cui lavoravano Mohamed e i suoi compagni lo dimostrerebbe in pieno: per ore chinati sotto il sole, con temperature che nei giorni scorsi hanno toccato i 40 gradi. Quelli che segnavano appunto i termometri nelle campagne verso Avetrana.

Cordoglio per la scomparsa del 47enne è stato espresso dal governatore Michele Emiliano: “Si tratta dell’ennesimo incidente sul lavoro, questa volta ancora più angosciante per la dinamica, visto che il bracciante, cittadino sudanese, probabilmente è morto a causa del gran caldo che imperversa in questi giorni, ancor di più sensibile nei campi di pomodori del Salento dove stava guadagnando la giornata. Il tragico episodio ci ricorda che a svolgere determinati lavori sono in gran parte immigrati da Paesi lontani”.

“Mohammed aveva i documenti in regola e faceva proprio il bracciante per professione – ha proseguito il governatore – Lo vogliamo ricordare a chi guarda a questi operai come ladri di lavoro, mentre con il loro sacrificio fanno funzionare pezzi di un’economia che vogliamo sempre più sana e sicura”. Emiliano si è detto sicuro “che magistratura e investigatori faranno luce sulle condizioni di lavoro in quella azienda agricola, perché a volte l’intreccio fra manodopera irregolare e poca chiarezza sulle imprese è fatale per gli anelli più deboli della catena”.

Sulla vicenda interviene anche Stefania Crogi, segretario generale Flai Cgil: “Questa morte non può restare un fatto di cronaca estiva, è un atto di accusa verso un mercato del lavoro agricolo colpito in modo forte dalla piaga dello sfruttamento”.

SALENTO – A Torre Chianca due salentini si sono accaniti su un ambulante 17enne in spiaggia: indagati per tentato omicidio, uno è sorvegliato speciale. Cori razzisti dei bagnanti contro la vittima e i poliziotti

Prima gli hanno rubato un paio di occhiali. E quando l’ambulante diciassettenne originario della Nuova Guinea ne ha chiesto la restituzione, lo hanno picchiato selvaggiamente, trascinato in mare e tenuto con la testa sott’acqua per diversi minuti. Il tutto sotto gli occhi dei bagnanti, che non solo non hanno aiutato il ragazzo, ma all’arrivo della polizia hanno circondato le volanti, facilitando la fuga di uno dei due aggressori e inveendo contro gli agenti e la vittima con frasi pesanti dal chiaro contenuto razzista.

Il pomeriggio di ordinaria follia ha avuto come teatro la spiaggia di Torre Chianca (a pochi chilometri da Lecce) e come protagonisti due giovani del capoluogo già noti alle forze dell’ordine, Federico Ferri e Mirko Castelluzzo, rispettivamente di 25 e 37 anni, arrestati per tentato omicidio al termine di un’indagine lampo della squadra volante della polizia di Stato, guidata dalla dirigente Eliana Martella. Entrambi vengono ritenuti vicini a gruppi della criminalità leccese che operano nel capoluogo: Castelluzzo è un sorvegliato speciale con obbligo di dimora, che non aveva remore a scontare sulla spiaggia in compagnia degli amici.

I due uomini, stando alla ricostruzione effettuata, avrebbero mercanteggiato con il venditore ambulante per qualche minuto e poi avrebbero sottratto un paio di occhiali dalla sua cesta. Il ragazzo se ne sarebbe accorto, chiedendone la restituzione e scatenando così la furia dei due leccesi. Alle botte è seguito il trascinamento in mare e poi quel tenerlo sott’acqua, che ha configurato l’ipotesi di tentato omicidio, condita da minacce rivolte ai presenti affinché si facessero “i fatti loro”.

Il migrante sarebbe poi riuscito a liberarsi e a scappare, chiedendo aiuto ai bagnanti, nessuno dei quali gli ha dato un cellulare per poter avvisare le forze dell’ordine. Una telefonata anonima al 113 ha determinato l’intervento delle volanti, ai cui agenti la vittima ha raccontato tutto con dovizia di particolari: “Mi tenevano con la testa sott’acqua, credevo di morire”.

Quando è riuscito a uscire dall’acqua, il diciassettenne era molto dolorante, essendo stato colpito in diverse parti del corpo (faccia, testa, collo, zigomo sinistro), comprese quelle intime, tanto che è stato condotto in ospedale, dove è stato sottoposto alle cure del caso e poi dimesso con una prognosi di dieci giorni. Al termine della brutta avventura il ragazzo è stato riaccompagnato a casa, dove abita con la famiglia, composta da lavoratori, tutti in regola con i permessi di soggiorno.

Le indagini dei poliziotti hanno inoltre consentito di identificare e denunciare per offese a sfondo razziale altre tre persone (una di loro anche per furto), che durante le fasi concitate di intervento della polizia, hanno inveito contro l’immigrato, rubandogli anche altre cinque paia di occhiali e i 40 euro, magro guadagno di un’intera giornata di lavoro sotto il sole.

Nella notte – poche ore dopo l’arresto di Ferri e Castelluzzo – un ordigno è esploso nei pressi dello stabilimento balneare ‘La Cambusa’ davanti al quale è avvenuta la brutale aggressione, danneggiando gravemente alcune cabine e magazzini. Difficile ipotizzare, al momento, se i due episodi siano collegati e se la presenza della bomba sia stata un segnale intimidatorio rivolto ai proprietari del lido in relazione a quanto accaduto il pomeriggio. Gli investigatori della squadra mobile diretti da Sabrina Manzone, però, non escludono alcuna possibilità e hanno già acquisito le immagini delle videocamera di sorveglianza installate nella zona.

SARDEGNA – Mentre prosegue la protesta a Cagliari dei migranti eritrei che vogliono lasciare l’isola,  sono sbarcati a Sant’Antioco e Teulada altri 15 nordafricani. Secondo i primi accertamenti si trovavano a bordo di due barchini, uno dei quali è stato già trovato, mentre il secondo sarebbe stato avvistato da una motovedetta. Cinque dei profughi sono stati intercettati dai carabinieri a Sant’Antioco, mente gli altri dieci sono stati rintracciati poco più tardi nella zona delle saline di Teulada. Sono tutti giovani nordafricani e in buone condizioni di salute, una parte dei migranti è stata già trasferito al centro di prima accoglienza di Elmas.

PROFUGHI ERITREI – E’ ripresa poco dopo  la protesta dei migranti eritrei davanti agli ingressi dei traghetti al porto di Cagliari. I profughi – 80/100 tra uomini e donne – che si trovavano in piazza Matteotti e nella zona del porto dove hanno trascorso la notte, sono tornati ai cancelli dei traghetti e chiedono di poter lasciare la Sardegna, come fatto  dai 56 connazionali. La Polizia sta controllando la situazione. Per molti di loro la partenza non sarebbe possibile a causa della mancanza di documenti e di denaro per acquistare i biglietti della nave Tirrenia. Chi invece è in possesso di documentazione e biglietto, come già accaduto, in giornata potrebbe lasciare l’isola. Alcuni dei profughi avrebbero già detto di essere disponibili a tornare nelle strutture di accoglienza, visto che molti di loro arrivano da altre province dell’isola.

IN 56 HANNO GIA’ LASCIATO LA SARDEGNA – Sono partiti  con il traghetto della Tirrenia diretto a Civitavecchia, 56 dei 120 migranti eritrei che ieri mattina si sono presentati davanti ai cancelli degli imbarchi del porto di Cagliari, chiedendo di poter lasciare la Sardegna e raggiungere altre nazioni europee. Tra di loro ci sono 25 donne e un minorenne. Quattordici dei profughi erano arrivati nello sbarco del 18 luglio scorso, mentre gli altri fanno parte dei 435 arrivati a Cagliari dalla nave della Marina tedesca sabato scorso. I 56 migranti, che erano ospiti di strutture ricettive nel Cagliaritano, sono in possesso di biglietto e di documenti validi. Da valutare la posizione degli altri arrivati da altre province dell’isola.

Il QUESTORE DI CAGLIARI – “Bisogna prendere atto che si tratta di un fenomeno storico epocale che non riguarda certo l’Italia, ma tutta l’Europa, soprattutto il nord Europa. L’Italia sta dando prova di essere un paese di grande umanità e accoglienza”. Lo ha detto all’ANSA il questore di Cagliari, Filippo Dispenza, commentando la protesta dei profughi eritrei al porto del capoluogo. “E’ un fenomeno epocale e storico dettato da guerre, carestie e condizioni di vita impossibili – ha evidenziato ancora Dispenza – bisogna puntare sui sistemi di sviluppo economici, sociali e politici nei paesi di origine e puntare sulla pacificazione”. In riferimento ai migranti che chiedono di lasciare la Sardegna ha aggiunto: “Sono persone che sono sottoposte a forme di protezione internazionale, non sono prigionieri ma sono ospitati in strutture di accoglienza della Regione e, una volta identificati, sono liberi di uscire e rientrare. Devono rispettare chiaramente certe regole, come l’assenza prolungata (tre giorni) dalle strutture in cui sono alloggiati, per non perdere il diritto all’ospitalità. Devono poi rispettare le norme del vivere civile, le regole e le leggi vigenti”, ha concluso il questore.

CAMPANIA – La Campania è la quarta regione in Italia, dopo Lombardia, Sicilia e Lazio per il numero di profughi da accogliere. L’epicentro della protesta è Varcaturo dove i residenti hanno protestato davanti all’Hotel di Francia, un albergo di lusso, come ricorda linkiesta, trasformato in centro di accoglienza. Lo scenario si è ripetuto a Licola Mare nei pressi dell’Hotel Panorama. Anche lì dopo le proteste dei residenti davanti all’Hotel Panorama è scoppiata una rissa tra profughi che è stata sedata dalle forze dell’ordine. La situazione appare fuori controllo a Giugliano. Circa 900 su 2300 sono concentrati in 8 centri. Il sindaco ha chiesto al Prefetto di Napoli di bloccare nuovi arrivi.

“Il Prefetto, su mia sollecitazione, – ha dichiarato Poziello – ha escluso il Comune di Giugliano dalle nuove gare in corso per la collocazione in strutture ricettive di migranti richiedenti asilo. Ciò in considerazione dell’elevato numero di richiedenti già presenti sul territorio”. Intanto altri venti immigrati sono stati “dirottati” sabato scorso per motivi di ordine pubblico da Acerra all’Hotel Bella Mbriana, altro centro di accoglienza nel giuglianese, dopo che gli acerrani avevano protestato per l’arrivo del bus carico di profughi. “Siamo stanchi e spaventati, – affermano alcuni cittadini giuglianesi a Linkiesta – è un’invasione. Ormai loro sono diventati più di noi e quindi si sentono forti, non è la prima volta che avvengono episodi del genere come la rissa di martedì”. La rabbia degli italiani e dei campani diventa sempre più pressante.




ITALIA – I No Triv preparano i ricorsi contro le trivelle e lo Sblocca Italia. Ferme le ricerche in Croazia

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In piazza Eroi del Mare a Bari è ripreso il percorso delle assemblee pubbliche del coordinamento NoTriv – Terra di Bari impegnato nella lotta per la formulazione e l’attuazione dei ricorsi della Regione Puglia alla Corte Costituzionale verso gli artt. 37 e 38 dello Sblocca Italia e al T.A.R. del Lazio verso le concessioni date dal Ministero dell’Ambiente; nell’invio da parte della Rete No Petrolio Puglia della bozza di delibera tramite pec a Regione, province, Città Metropolitana di Bari e tutti i Comuni della regione per il ricorso al T.A.R. (i cui termini scadono il 5 agosto), affinché i rispettivi Consigli la facciano propria e dimostrino con i fatti di sostenere il percorso contro le trivellazioni. Al momento risulta che pochi Comuni ne hanno dato seguito.

Il Presidente della Regione Puglia Emiliano, al termine dell’incontro con il sottosegretario Simona Vicari, ha dichiarato: “L’avvio del dialogo tra Regioni e governo in questa materia è fondamentale. Il sottosegretario Vicari si è riservato di darci una risposta e la cosa positiva è che un nuovo incontro è stato riconvocato già per la settimana prossima. Speriamo in quella occasione di avere una risposta definitiva e positiva. Per ora possiamo giudicare la posizione del governo almeno possibilista rispetto alla nostra richiesta di fermare le trivellazioni. Vedremo poi tra una settimana se questa posizione diventerà più chiara. Ovviamente noi abbiamo precisato che in mancanza di chiarezza, o comunque se non si trova un’intesa, i consigli regionali che lo riterranno – io posso parlare a nome della Puglia – potranno avviare, come previsto dalla Costituzione, la procedura del referendum contro le norme che consentono le trivellazioni”.

I No Triv hanno contribuito con proprie osservazioni alle consultazioni transfrontaliere con la Croazia presentate dal Coordinamento e dal Comitato Bonifica Molfetta.

L’assemblea ha ritenuto necessario affiancare all’iter amministrativo per i ricorsi un percorso di mobilitazioni che possa mettere in evidenza la totale disapprovazione del popolo pugliese rispetto alle trivellazioni.

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LE PROPOSTE – Manifestazione pubblica che faccia sintesi di varie istanze inerenti la questione petrolifera, tra cui lo Sblocca Italia, l’invaso del Pertusillo, il centro di stoccaggio Tempa Rossa; spingere il Consiglio regionale a deliberare a favore della consultazione referendaria verso l’abrogazione dell’art. 35 del Decreto Sviluppo che bloccherebbe tutte le concessioni entro le 12 miglia marine. (I termini per il ricorso scadono il 30 settembre).

E’ necessario che la richiesta referendaria venga depositata entro il prossimo 30 settembre, affinché si possa andare al voto nella primavera del 2016, altrimenti i procedimenti per progetti “petroliferi” riavviati dall’art. 35 del “Decreto Sviluppo” arriveranno rapidamente a conclusione, anche grazie all’accelerazione impressa dallo “Sblocca Italia”.

Con il “Decreto Prestigiacomo”, nel 2010, molte richieste presentate dai petrolieri, al fine di ottenere permessi o concessioni, vennero di fatto bloccate. Il decreto legislativo n. 128/2010, firmato dall’allora Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, infatti, aveva previsto distanze minime tra la costa e le aree d’attività pari a 5 miglia marine ovunque ed a 12 miglia in presenza di un’area marina o costiera protetta inibendo, così, parte delle ambizioni industriali per quei gruppi “Oil & Gas” interessati a progetti estrattivi prossimi alle coste nazionali.

Nel 2012, poi, il “Decreto Sviluppo” ha ampliato il divieto di esercizio delle attività “petrolifere” estendendolo, per tutta la fascia costiera italiana alle 12 miglia marine, ma stabilendo – tuttavia – che tale divieto non dovesse riguardare i procedimenti “bloccati” nel 2010 dal “Decreto Prestigiacomo”.
Il risultato paradossale che ne è seguito è che, in questo modo, se da un lato si è vietato l’esercizio delle attività entro le 12 miglia marine “per il futuro”, dall’altro si è consentita la possibilità di conclusione dell’iter per tutte le istanze già presentate. In altre parole, il “Decreto Sviluppo” introduceva una sorta di “sanatoria”.
I progetti “sanati” dal “Decreto Sviluppo” e prossimi a trasformarsi in permessi di ricerca e coltivazione di gas e petrolio interessano soprattutto il Canale di Sicilia, il Mar Ionio e l’intero Mare Adriatico, dal Salento fino al Delta del Po.

I movimenti per la tutela di ambiente e territorio di Calabria, Basilicata, Puglia e Abruzzo, da moltissimo tempo impegnati sul fronte dell’opposizione alla depredazione dei beni comuni portata avanti non soltanto dal Governo di Matteo Renzi (ma da esso assunta come priorità di una politica di stampo coloniale), si sono incontrati il 28 giugno u.s. presso la sede trebisaccese di una delle associazioni che compongono la rete R.A.S.P.A. (Rete Associazioni Sibaritide e Pollino per l’Autotutela) per confrontarsi e costituire un fronte comune di mobilitazione.

L’idea di sviluppo connessa allo sfruttamento di energie fossili da parte di aziende private costituisce soltanto un aspetto di un disegno politico lobbysticamente ben più esteso e complesso: il famigerato “Sblocca Italia”, qualifica le attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi come strategiche, indifferibili e urgenti, nonché di pubblica utilità;  introduce un “titolo concessorio unico” in luogo dei due titoli minerari previsti sin dal 1927; dispone che le attività di ricerca e di coltivazione siano svolte sulla base di un piano nazionale, che stabilisca dove sia possibile cercare ed estrarre idrocarburi; prevede che il vincolo preordinato all’esproprio gravi sulla proprietà privata sin dalla fase della ricerca; cancella l’autorizzazione alla costruzione del pozzo esplorativo;  estromette gli Enti locali dalla partecipazione ai singoli procedimenti amministrativi; contempla per le Regioni una intesa, nei fatti, “debole”, come risulta comprovato dal recente “disciplinare tipo” adottato dal Ministro dello sviluppo economico, che prevede il rilascio dell’assenso regionale in sede di Conferenza di servizi (e che conferma, con ciò, l’idea che l’intesa avrebbe natura “tecnica” e non “politica”); affida la valutazione di impatto ambientale delle attività medesime alla competenza esclusiva dello Stato. Se si somma la risolutezza con cui lo Stato italiano esercita questa forma sostitutiva di potere all’ambiguo testo della legge sui delitti contro l’ambiente (n. 68/15 del 22 maggio 2015), appena approvato dalla Camera dei Deputati (dopo una discussione durata quasi un anno e mezzo) − nel quale, contestualmente, si è scelto di non introdurre, dopo averlo invece fatto in un primo momento, il divieto di utilizzare la distruttiva tecnica di ispezione dei fondali marini denominata Air Gun − la strategia politica (ancor prima che ambientale) attuata dall’autorità centrale italiana risulta ben chiara: concentrare in alcune regioni le attività più distruttive, per rendere il territorio e le popolazioni deboli e ricattabili fino ad avere interi territori-pattumiera a disposizione per il fabbisogno energetico e le popolazioni disperate e magari costrette a emigrare in massa.

Apprendiamo dal sito del Ministero dell’Ambiente che lo stesso ha espresso parere favorevole alle richieste di prospezione in 2D ed in 3D delle società Spectrum Geo LTD e Northern Petroleum LTD.
Questa improvvisa accelerazione dei procedimenti ci appare come la risposta del governo Renzi al consolidarsi, su tutto il fronte nazionale, di una ferma opposizione istituzionale e non alle scelte energetiche e alla volontà politica di “svendere” l’Adriatico alle multinazionali del petrolio.
La manifestazione del 24 Maggio in Abruzzo è stata il campanello d’allarme per l’attuale maggioranza la cui strategia è, evidentemente, finalizzata a dare piena attuazione allo “Sblocca Italia”, delegittimando il testardo lavoro di tutti coloro che si sono attivati per produrre osservazioni, sensibilizzare i territori, organizzato momenti collettivi di piazza, fatto rete.
Aver decretato la compatibilità ambientale delle richieste di prospezione delle due società, significa aver apparecchiato la tavola per l’utilizzo del titolo concessorio unico che permetterà alle stesse di poter passare, direttamente, alla ricerca ed alla coltivazione degli idrocarburi in mare.
A questo punto è necessario che le regioni le cui coste sono interessate dalle concessioni date alla Spectrum, ovvero, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia (quest’ultima è interessata anche dalla Northern Petroleum), impugnino gli atti del Ministero dell’Ambiente dinanzi al T.A.R. o dinanzi al Capo dello Stato, dando continuità ai pareri negativi espressi negli scorsi anni sia politicamente, con delibere di giunta e consiglio regionale sia sotto l’aspetto amministrativo, ricorrendo, nel caso della Puglia, nel Marzo del 2015, alla Corte Costituzionale verso gli artt. 37 e 38 dello “Sblocca Italia” specifici sul tema della ricerca d’idrocarburi a terra e a mare.

il 16 febbraio  sulla pagina di Pesaro de “ il Resto del Carlino” è stato reso noto il contenuto di un esposto presentato alla Procura di Pesaro nel luglio 2014 dal presidente del Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche con cui si segnala la presenza al largo della costa pesarese di migliaia di bombe chimiche caricate ad arsenico e iprite, affondate dal Sonderkommando Meyer agli ordini di Hitler nell’estate del 1944 (notizia di questo documento si trova nel libro di Gianluca Di Feo “Veleni di Stato”) e di bombe all’uranio impoverito utilizzate nel 1997 durante il conflitto dei Balcani.

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Il problema della presenza di bombe inesplose interessa purtroppo tutto il bacino del mare Adriatico e quindi tutte le istanze di prospezione per la ricerca di idrocarburi presentate da tutte le società richiedenti anche oltre i confini italiani  per cui i ministeri interessati dei vari paesi che si affacciano sul mare Adriatico devono necessariamente tener conto di questa ingombrante e pericolosa presenza.

Il “C.B.M. di Molfetta” e il “Coordinamento No Triv – Terra di Bari” chiedono di rigettare “Piano e Programma Quadro di ricerca e produzione degli idrocarburi nell’Adriatico” della Repubblica di Croazia.

Il Senato italiano, con il ddl sugli ecoreati approvato nel mese di Marzo, ha vietato l’utilizzo della tecnica “air gun”, o altre tecniche esplosive per le esplorazioni marittime, e prevede pene da uno a tre anni.

Tale richiesta di rigetto si fonda anche sulla mancanza di una qualsiasi proposta di mappatura, prospezione e georeferenziazione degli ordigni inesplosi presenti in una vastissima area sovrapposta o confinante, non solo con le zone d’indagine interessate dalle odierne richieste, ma anche con le altre presenti in tutto l’Adriatico.

Non bisogna dimenticare che in  questi luoghi è presente anche un notevole patrimonio storico-archeologico da tutelare e recuperare che verrebbe invece sommerso dalle trivellazioni.

Da qui la richiesta del Comitato No Triv di portare anche altre istanze ambientali e culturali all’interno della manifestazione che avrà luogo il 18 Settembre perché, nella della Fiera del Levante, come emerso dall’incontro di Termoli del 24 luglio, si terrà la Conferenza delle Regioni del Sud sul tema delle trivellazioni, ottima occasione per fare presenti le istanze dei movimenti.  Una manifestazione che andrà ben oltre i confini pugliesi.

“Nonostante la motivazione ufficiale del ritiro del consorzio formato dalle compagnie Marathon Oil e OMV dalla gara per concessioni di ricerca idrocarburi nel Mar Adriatico sia la difficoltà di definire i confini tra le acque croate e montenegrine, pare che la vera ragione sia da imputare alla critica situazione del settore petrolifero, dopo la caduta dei prezzi del petrolio.
Marathon Oil nel primo trimestre di quest’anno ha avuto una perdita di 253.000.000 di dollari, mentre lo scorso anno prima che il petrolio calasse del 50%, aveva avuto un profitto trimestrale di 613.000.000 dollari.
Auspichiamo che la stessa decisione venga presa anche dalle altre compagnie e che si blocchino le trivelle e gli Air-Gun in tutti i mari!”.

Grandi striscioni saranno  affissi per tutto mese di agosto nei luoghi turistici, lungo la statale Bari-Lecce, su tutta la statale 16 e sull’autostrada in direzione Salento per sensibilizzare turisti e autoctoni sul pericolo petrolio.

La sensibilizzazione  sul problema verrà effettuata attraverso volantinaggi nei lidi, sulle spiagge e presso gli operatori economici che hanno attività sul mare.

Il Coordinamento No Triv  sarà presente nel maggior numero di eventi culturali possibile, chiedendo agli artisti che si esibiranno di leggere un appello.




ITALIA – Morti bianche: due storie recenti

Incidente sul lavoro  al Petrolchimico di Marghera. Il lavoratore era di origine albanese e ha perso la vita a causa della pressione di una pompa idraulica a cento atmosfere. Immediato l’intervento di ambulanza e automedica arrivate poco dopo che i primi soccorsi del responsabile sanitario dello stabilimento allarmato dai colleghi del’operaio. La vittima era dipendente di una ditta in appalto – la Sirai Srl – ed è deceduta nella zona del cracking dove stava lavando dei serbatoi con una pompa ad alta pressione.

La segreteria della Filctem Cgil di Venezia sottolinea che il sindacato denuncia di continuo la pericolosità del ricambio degli appalti basati sul massimo ribasso. Questo porta con sé la riduzione delle tutele dei diritti e delle tutele dei lavoratori. La Filctem Cgil chiama in causa l’Eni e le principali imprese di appalto perché vengano a confrontarsi sulle regole che vadano a tutelare a pieno i lavoratori con azioni di prevenzione e nella gestione corretta delle spese nel bilancio dedicate a salute e sicurezza. Invece – dice la Filctem – ad oggi la sicurezza viene vista come un costo aggiuntivo e non come una opportunità per qualificare il lavoro.

Miceli (Filctem), basta lavoratori appalti di serie B
“Accertare subito le responsabilità; seguiremo con grande attenzione l’evolversi della situazione, senza fare sconti a nessuno” . A dirlo è Emilio Miceli, segretario generale della Filctem. “Purtroppo – ha aggiunto il dirigente sindacale, che ha espresso le condoglianze e la solidarietà della sua organizzazione alla famiglia del lavoratore scomparso –, in Italia, i lavoratori in appalto sono ancora considerati di serie B, con scarsi diritti e tutele”.

Marghera, 22 luglio prima ora di sciopero
“A pochi giorni dall’incidente che ha visto come vittima un lavoratore in nero a Favaro Veneto dobbiamo registrare con sdegno e rabbia l’ennesima morte sul posto di lavoro. Ancora una volta si tratta di un dipendente di una ditta in appalto”. Così un comunicato della Cgil Venezia. Prima ora di sciopero dei chimici di Cgil Cisl e Uil, alla quale aderiranno categorie impegnate al Petrolchimico.

“Crediamo che, da subito, si debba affrontare seriamente la questione degli appalti su scala nazionale, con una legge che ne regoli le modalità e che scardini finalmente la logica del massimo ribasso. In questi giorni, in tutta Italia si sta impennando il numero di incidenti mortali. Nella gran parte dei casi, le vittime sono proprio di lavoratori impiegati nelle ditte in appalto. Questa è un’emergenza – lo sottolineiamo con forza -, da affrontare subito. Il periodo di crisi ha incrementato gli incidenti sul lavoro, che sono assolutamente sottostimati dai dati ufficiali, proprio perchè è altissimo il ricorso al lavoro irregolare, l’utilizzo degli appalti senza controllo che portano alla mancata denuncia o al camuffamento degli infortuni. La crisi ha portato come conseguenza l’abbassamento della qualità e la sicurezza del lavoro in una perversa spirale al ribasso. Invece, pensiamo che sia urgente prendere di petto la questione della qualità e della sicurezza del lavoro, perché sono questi i requisiti per una sana ripresa dell’economia del nostro Paese”, prosegue la Camera del Lavoro.

Nel caso del Petrolchimico, saranno le indagini degli organi competenti a dire se la ditta era in regola con tutte le prescrizioni di legge. Chiediamo a Eni di verificare la regolarità degli appalti, che ha stipulato sia al Petrolchimico che in Raffineria, visto che sta al committente garantire la gestione di tutte le fasi della filiera. Nei mesi scorsi, il sindacato ha tenuto un tavolo in Prefettura sulla sicurezza in Fincantieri. Chiediamo che un analogo incontro avvenga per Eni, al fine di predisporre azioni di prevenzione, piani formativi e bilanci che prevedano il giusto peso per le voci sicurezza, salute e tutela ambientale. I diritti e le tutele dei dipendenti diretti devono essere estesi a tutti i lavoratori a prescindere dall’azienda di provenienza. Questo deve avvenire in tempi stretti ed essere finalizzato ad una buona contrattazione sugli appalti. Contrattazione che deve avere come priorità la regolarità dei capitolati e la tracciabilità delle imprese in appalto. In qualsiasi caso, la Cgil ribadisce che nel terzo millennio non si può ancora morire di lavoro e porterà avanti in tutte le sedi il diritto dei lavoratori e dei cittadini ad avere delle aziende che rispettino la vita, la dignità e la sicurezza di tutti. Anche in questo caso, la Cgil è vicina alla famiglia ed è a disposizione per risolvere le pratiche legali e previdenziali”, conclude il sindacato.

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Un bracciante impegnato in Salento nella raccolta dei pomodori è morto dopo un malore mentre stava lavorando sotto il sole in un campo di raccolta nelle campagne tra Sant’Isidoro e Avetrana, nel tarantino. Si tratta di uomo di 47 anni proveniente dal Sudan. L’uomo, lavoratore stagionale presso una ditta di ortofrutta di Nardò, era impegnato nella raccolta di pomodori, ad una temperatura molto vicina ai 40 gradi, ha accusato un malore, dal quale non si è più ripreso. stando ad alcune testimonianze raccolte sul posto, l’ambulanza sarebbe arrivata troppo tardi perchè sarebbe stata chiamata dopo due ore circa.




INCHIESTA – Nell’affaire Xylella le mani di latifondisti e speculatori (con photoreportage)

Gli ulivi salentini vanno tagliati e presto toccherà a quelli più a Nord della regione Puglia. Sebbene non esista certezza che siano infetti da Xylella, anzi sebbene l’infezione sia stata riscontrata sull’1,78% delle piante campionate (e, per esempio, solo su due dei cinque alberi analizzati sui sette tagliati a Oria ad aprile). È comunque “calamità naturale”, come da decreto a firma del ministro Maurizio Martina, che stanzia undici milioni “per gli indennizzi agli agricoltori”. Ministro che batte cassa con l’Ue: “All’Europa chiediamo un supporto ulteriore sulla ricerca e, soprattutto, altre risorse per gli indennizzi”.

Emiliano sul ‘Complesso del disseccamento degli ulivi’ fa sapere che “daremo seguito ai provvedimenti, non possiamo più perdere tempo”. Ha visitato alcuni uliveti nei quali la malattia “ha fatto progressi impressionanti, visibili a occhio nudo” e quindi lancia un appello “a sindaci, associazioni, ambientalisti, affinché non si perda altro tempo, perché trascurare la strada più evidente per quelle meno evidenti sarebbe errore catastrofico”.

Per ora sul piatto ci sono gli 11 milioni messi in campo con la dichiarazione dello stato di calamità, per la prima volta in Italia associato a una fitopatia sanitaria. Nei prossimi 45 giorni le aziende interessate potranno presentare le domande alla Regione, che presto sarà chiamata dal commissario Silletti anche a valutare il nuovo piano delle eradicazioni.

Negli ultimi tre anni sono stati espiantati 100mila ulivi. Si è dato il via alla guerra tra cosche,  come sotterraneamente sta accadendo, e come possiamo intuire, guardando alle decine di migliaia di ulivi secolari bruciati, tagliati e sradicati da quando c’è la Xylella.

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E’ dunque necessario che urgentemente la Regione Puglia impugni  l’ultima Decisione di esecuzione della Ue (del 18 maggio scorso), che decreta la morte della foresta d’ulivi secolari di Puglia e dei suoi abitanti, in quanto ribadisce l’obbligatorietà dell’uso di pesticidi.

La svolta per l’affaire Xylella c’è stata con la visita in Salento del Commissario Ue per la Salute, Vytenis Andriukaitis: “Quello che ho visto mi preoccupa – ha detto –. È una situazione che può espandersi, contagiare altre varietà. Abbiamo perso molto tempo e ogni giorno si mettono gli ulivi a rischio. Bisogna abbattere quelli ammalati per salvare gli altri. Un messaggio deve essere chiaro, bisogna agire tutti insieme”.

C’è poi l’altro piano, quello ‘strategico’. Facile facile da intuire. Il Commissario sta a quanto gli ha raccontato il governo nostrano (malgrado quell’1,78%) e alla direttiva Ue, il ministro Martina teme di fare passi indietro proprio rispetto a quella direttiva (di fatto provocata dalla sua relazione a Bruxelles) ed Emiliano che prova a mollare qualcosa sperando di salvare la barca pugliese.

Ma le associazioni sono intanto furiose. “Ho appena fatto in tempo a chiedere al Commissario se l’avessero portato a vedere le sperimentazioni e gli alberi guariti – racconta Antonia Battaglia di Peacelink, ong accreditata presso la Commissione Ue –. E a chiedere al ministro Martina dove fosse la calamità naturale. Sono stata fermata dopo un minuto. Il ministro ha alzato la voce e mi ha detto che vale la sua autorità”. Rincara Luigi Russo, presidente del Centro servizi per il volontariato del Salento: “Emiliano deve andare a Bruxelles e perorare la causa della nostra terra, visto che il governo sembra aver deciso di procedere con le eradicazione senza se e senza ma”, cioè “una strategia per movimentare soldi, arricchire pochi, impoverire molti e soprattutto per inventare un nuovo paesaggio”.

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E’ quanto sta accadendo tra il territorio di Bitonto e Modugno, al confine con la lama Balice dove si trova un’area molto interessante dal punto di vista storico-archeologico, si tratta della contrada modugnese denominata Misciano o Musciano. Essa prende il nome da una depressione alluvionale nota come lama di Misciano che si trova nel punto di confluenza con la lama di Macina (il tratto della lama del Tiflis che sfiora a Sud il centro abitato di Bitonto) e subito prima dell’inizio della lama Balice. È un territorio posto a circa 5 km a Nord-ovest di Modugno, delimitato a Nord dalla lama Balice, ad Est dalla S.P. Modugno-Palese, a Sud dal percorso dell’autostrada A14 e ad Ovest dal confine con il territorio di Bitonto.

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L’area di Misciano fa parte della zona industriale di Bari nel Comune di Modugno e una parte di questa contrada è sottoposta a vincolo archeologico. La contrada è caratterizzata dalla presenza di tracce del mondo rurale con palmenti, trappeti, torri, ma anche resti di strade e di centuriazione romana (cosiddetti Termini), edicole confinarie del XVI secolo (cippo di S. Andrea), ipogei, resti archeologici di epoca altomedievale. Ma il valore storico non la esonera da quanto sta accadendo altrove. I piccoli poderi sono presi d’assalto da bande. Nell’aprile 2013 un piccolo proprietario terriero ha trovato tagliati 30 alberi di ulivi, alcuni secolari. Qualche giorno fa ha trovato l’uliveto bruciato. Come è possibile vedere dalle fotografie inserite in questo articolo. Da tre anni, da quando è esploso l’affaire Xylella, è minacciato e subisce atti vandalici dei quali la Guardia campestre non si degna nemmeno di informarlo. Ogni volta gli tocca apprendere dolosamente da sè la notizia e  far fronte anche al peso psicologico che gli deriva dal non sentirsi tutelato e protetto dalle istituzioni.

Il piccolo uliveto arato e sempre ripulito dall’erba alta è stato preso di mira da chi evidentemente ha interessi a espandere il proprio latifondo e a intensificare un altro tipo di coltivazione, questo  è confermato dal fatto che uno dei terreni confinanti, abbandonato a se stesso, non coltivato e pieno di sterpaglie (nelle foto in basso),  resti sempre illeso da  motoseghe.

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Dal nostro sopralluogo è emerso che  l’attuale stato dell’agricoltura pugliese è determinato  dall’assenza di controlli sul terreno di grandi e piccoli proprietari e di un corpo investigativo che intervenga dopo la denuncia alle Autorità.




ITALIA – Xylella: nuovi tagli a Oria (Br). Fiaccolata in attesa del Commissario europeo

Il rumore sordo delle motoseghe è tornato a farsi sentire in contrada Frascata, a Oria. Un cordone di sicurezza protegge le motoseghe dalle possibili contestazioni.

Ma in attesa dell’incontro tra i vertici della Regione Puglia, gli scienziati e il  Commissario Europeo Vytenis Andriukaitis in visita in Puglia il prossimo 20 luglio il comitato #difendiAMOgliulivi, per il quale “la responsabilità della devastazione del patrimonio olivetato compiuta a Oria ricade sulla Commissione Tecnica Regionale”, che “agisce sulla base di teorie e ipotesi scientifiche senza tuttavia aver mai prodotto alcuna pubblicazione ufficiale riguardante il ceppo pugliese del batterio Xylella, l’eventuale patogenicità dello stesso ed una diagnosi che consideri tutti i fattori inerenti al complesso del disseccamento rapido degli olivi”, ha organizzato  la fiaccolata “Fuori la mafia della Xylella dallo Stato”.

Mentre infine la Procura leccese ha chiesto altri sei mesi di proroga per le sue indagini, sembra che la partita politico-istituzionale sulla Xylella si stia invece giocando proprio in queste settimane, se non in questi giorni. Tant’è che il commissario europeo per la Salute, Vytenis Andriukaitis, lunedì prossimo verrà qui in Salento a vedere la situazione. Ma lo hanno già “blindato”: ad ora le autorità italiane non hanno permesso alla Ong “Peacelink” (accreditata a Bruxelles) e neanche ai comitati locali d’incontrarlo.

Nella sua “Relazione sullo stato di attuazione delle misure di contrasto alla Xylella fastidiosa in Italia”, datata 6 luglio 2015, il ministero per le Politiche agricole certifica che dall’ottobre 2014 al giugno scorso sono stati effettuati 26.755 analisi campionarie su piante in provincia di Lecce e a Oria (Brindisi), l’87 per cento delle quali su ulivi, il resto su mandorli, oleandri e viti. E tra quelle piante esaminate, 23.867 non mostravano sintomi di contagio da Xylella. Risultati? La positività è stata riscontrata in 612, la negatività in 24.381.
A proposito, annota poi il ministero che “complessivamente in tutta Italia sono state portate a termine quasi 33.600 ispezioni” e “si può dichiarare l’intero territorio italiano ufficialmente indenne da Xylella, a eccezione delle aree delimitate delle Province di Lecce e Brindisi”.
Così adesso si spiega un certo, crescente, malumore a Bruxelles e la richiesta, che stanno mettendo a punto in Commissione, di dettagliati chiarimenti sull’intera faccenda.
Là qualcuno non pensa certo, almeno a stretto giro, di farlo sapere ufficialmente, ma comincia a sentirsi preso in giro. E non solamente per questi numeri. Perché, ad esempio, fin dal maggio scorso l’esito delle analisi effettuate su cinque dei sette ulivi tagliati a Oria il 13 aprile perché “infetti” era risultato sorprendente: solamente due avevano tracce di Xylella e solamente sulle fronde.
E allora, proprio sulla base di queste analisi, a Bruxelles ci si chiede quale senso avesse spedire a far diventare legna da ardere altri quarantacinque ulivi sempre di Oria. Poi, caso Oria a parte, l’Ue si domanda soprattutto perché si sia parlato d’epidemia, di milioni di ulivi da tagliare e di catastrofe agricola. Perché, insomma, il governo italiano descriva, appunto, una “situazione di emergenza non fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.
La domanda ovviamente resta tutta: cosa sta disseccando parecchi ulivi salentini? Visto pure che sempre il nostro governo e sempre nella sua Relazione mette nero su bianco che è stata “esclusa qualsiasi forma inquinante del terreno e dell’ambiente” a fronte del “quadro sintomatologico fitosanitario alquanto complesso tale da definire un nuovo temine tecnico Complesso del disseccamento rapido dell’olivo”.

Sono in ballo finanziamenti da milioni di euro.

E le associazioni sostengono una “verità diversa da quella “finta” e “gonfiata” ufficiale”. Affermano che non si tratta di una epidemia che richiede uno stato di emergenza, che richiede aiuti per centinaia di milioni di euro.

​Il sipario va alzandosi. E la scena via via è sconfortante. Che nemmeno il 2 per cento (quasi l’1,8) del campione degli ulivi salentini analizzati sia risultato positivo alla Xylella ha dovuto adesso metterlo nero su bianco il governo italiano, nella sua relazione ufficiale consegnata una settimana fa alla Commissione europea. Eppure annota anche “la notevole criticità per la gestione di questa emergenza fitosanitaria, unica per la sua specificità” e, addirittura, una “situazione di emergenza che, per intensità ed estensione, non è fronteggiabile con mezzi e poteri ordinari”.

Fonti ufficiali sostengono che l’estensione dei focolai in Puglia è stata aggravata dalle condizioni climatiche dell’inverno 2013-2014, la cui particolare mitezza non è stata in grado di compiere un abbattimento di massa del vettore sufficiente a contenere la diffusione dell’infezione. Come concausa viene segnalato l’eccessivo sfruttamento agronomico del suolo, il cui humus si è impoverito; che nel 2015 alla distribuzione puntiforme dei focolai della provincia di Lecce se ne è aggiunto anche uno in provincia di Brindisi, nel comune di Oria, che attesta il travalicamento a nord dei precedenti limiti territoriali.

La Xylella è fortemente dannosa e, essendo anche non nativa dell’Europa, i protocolli la classificano come un patogeno da quarantena.

In California, ma anche in altri stati americani e in altri paesi come il Brasile, la Xylella è un problema rilevante, responsabile di numerosi danni agronomici. Non esistono cure.

L’ Europa non ospitava la Xylella  anche se ci fu una segnalazione non confermata in Kosovo nel 1998.

Non si sa come sia sbucata in Italia. Con i traffici commerciali è possibile che un microrganismo possa essere trasportato oltremare mentre tutti sono ignari. La pista investigativa ha poi negli anni successivi portato al Costa Rica, perché la Xylella analizzata ha un profilo genetico che appartiene a quello della sottospecie pauca, proveniente proprio da lì, a quanto pare arrivata tramite una pianta da caffè. Il batterio è trasportato da un insetto particolare che funge da vettore.

Qualcuno ipotizza che ci sia lo zampino della Monsanto.

La magistratura ha anche aperto un’indagine sul fatto che a fini sperimentali sia stato importato un ceppo a Bari, che non si sa come non si sa quando sarebbe stato rilasciato per sbaglio nel Salento. Il fenomeno ha iniziato a manifestarsi nel 2009/2010 nell’entroterra di Gallipoli e nella parte occidentale della penisola salentina. Focolai puntiformi molto virulenti del Complesso del disseccamento rapido dell’olivo sono segnalati su ulivi in tutto il Salento e nella provincia di Lecce, con centinaia di impianti già appassiti e morti.

Vedremo cosa concluderà, mentre il parere degli esperti è che non ci siano stati rilasci.

Immediatamente le autorità scientifiche si sono concentrate su di essa e hanno disposto l’allarme per la contaminazione, che si potrebbe estendere rapidamente, e per la ricerca del vettore. L’esportazione delle barbatelle da vigna è stata proibita in via precauzionale, per esempio. La Regione Puglia ha iniziato a emettere comunicati, forse poco cauti dato che nella popolazione si diffondono agitazione e allarmismo.

La rilevazione di Xylella fastidiosa nei tessuti vegetali viene effettuata presso il laboratorio Basile Caramia di Locorotondo, con un protocollo dell’Istituto di virologia vegetale, dal Cnr e dall’Università di Bari.

Ogni risultato positivo viene messo poi a conferma presso il laboratorio di riferimento a Bari. In media vengono analizzati 150 campioni al giorno, ciascuno pagato 10 € dal Servizio Fitosanitario Regionale. I test per la presenza di Xylella sono stati confermati non solo per gli ulivi, ma anche per verbena odorosa, oleandro, ciliegio, mandorlo, alcune varietà di mirto, ranno lanterno e rosmarino (generi Aloysia, Nerium, Prunus, Myrtus, Rhamnus, Rosmarinus). Si contano numerosi focolai sparsi a macchia di leopardo. Anche per questo le reazioni degli agricoltori del luogo sono contrastanti: alcuni lamentano morie impressionanti, altri praticamente cascano dalle nuvole.

Il vettore invece è stato scoperto dopo pochi mesi: è la sputacchina media (Philaenus spumarius), ordine Rhynchota.

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In Italia ormai l’unica logica che sembra contare è quella che vede come unico fine la sicurezza, nessuno si pone domande e cerca risposte, metodi alternativi all’abbattimento degli alberi.

Qualcuno ha forse pensato che per eliminare la Xylella sia innanzitutto necessario ripulire i terreni lasciati all’incuria dove è possibile che trovi condizioni ideali per riprodursi e diffondersi? Nessuno.

Gli abbattimenti sono ripresi dopo quelli del 13 aprile scorso e guarda caso stanno interessando alcuni alberi piantati nella stessa zona di quelli che, pochi mesi fa, hanno avuto lo stesso destino. Alcuni di questi ulivi erano centenari e le loro coltivazioni sono più che una fonte alimentare ed economica: sono oltre 2000 anni di storia e cultura, simbolo dell’identità italiana e pugliese.

Il Corpo Forestale dello Stato, invece di essere impiegato per far mantenere pulite e in ordine le campagne, che solitamente si trasformano in discariche pericolose perchè facilmente infiammabili, ha predisposto un cordone di sicurezza che impedisce a chiunque di avvicinarsi alla zona delle eradicazioni al fine di evitare eventuali disordini da parte di manifestanti contrari alle misure che si stanno adottando per contrastare la diffusione della Xylella Fastidiosa, il batterio che provocherebbe l’essiccazione degli ulivi.

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Tutte le vie di accesso ai campi siti lungo la Oria-Carosino, zona in cui le motoseghe stanno abbattendo gli alberi in questo momento, sono bloccate.

Si sa a malapena come contenere la diffusione della malattia e le zone colpite sono solo una parte della produzione olivicola regionale. Il timore è che l’infestazione giunga ai centri di Andria-Cerignola-Bitonto, e da lì in poi continui a propagarsi nella penisola (il che sarebbe una catastrofe).

Per questo il piano proposto fin da subito è totalmente drastico: estirpare le piante in una zona di quarantena con fascia-cuscinetto di sicurezza circostante.  Sono tanti i terreni con ulivi non coltivati  pieni di sterpaglie su cui non si agisce. Mentre vengono  stabilite varie “misure agronomiche da attuare negli uliveti” (arature, potature regolari, falciature) e un “piano di controllo degli insetti vettori e potenziali vettori” mediante l’applicazione di insetticidi sistemici sull’intero ecosistema agrario.

Anche l’EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, ha rilasciato un parere tecnico-scientifico che porta a cercare di impedire ogni possibilità di contaminazione al di fuori delle zone colpite, temendo che il vettore non sia contenuto e che le misure agronomiche abbiano effetti deleteri sull’ambiente; mentre l’Unione Europea vuole mettere in quarantena buona parte del Salento. Il caso mediatico cresce.

A opporsi, oltre ad alcuni gruppi di agricoltori, sono i responsabili dei parchi naturali, poiché i trattamenti generali sono eccessivi per le aree protette secondo la legislazione.
Chi ci guadagna? Chi ci rimette?

Ci sono finanziamenti comunitari sia per il miglioramento della condizione di uliveti mal curati (e che facilmente vengono contagiati e quindi destinati all’espianto) sia per il piano di contenimento regionale (“bonifica” delle zone demaniali ed estirpazione, demaniale e privata). Per le estirpazioni non ci sono risarcimenti, mentre i fondi per i ricercatori a Bari languono. Sono domande che rappresentano una situazione di preoccupazione, confusione, timore e sensazione di essere presi in giro, diffusa fra gli abitanti. I produttori locali sono piuttosto sconfortati per varie ragioni:

la gestione del problema ha una cattiva tempistica ed emergono notizie confuse di primi focolai di disseccamento rinvenuti già nel 2010 se non nel 2008 (molto prima dell’outbreak ufficiale);
la prevalenza della Xylella negli alberi affetti dalla malattia manca all’inizio di dati chiari con pubblicazione esclusiva di quelli sui primi campionamenti totali, i quali erano stati fraintesi nei rilevamenti a campione (che confermavano circa 400 campioni positivi su 16.000 campioni casuali totali riguardanti piante sia sane che malate);
c’è impazienza sull’esito dei test di patogenicità;
mancano risposte su una possibile cura e sui stanziamenti per la ricerca i cui fondi languono;
l’ingente utilizzo di insetticidi e l’inquinamento della falde suscitano preoccupazione per la salute pubblica, nonché per il danneggiamento della fauna;
attualmente non ci sono indennizzi per i proprietari di oliveto che stanno andando incontro a espianto forzato.

Intanto il tempo passa e la situazione si fa sempre più caotica nei comunicati: ora eradicare, ora solo trattare, ora estirpare di nuovo, ora lasciar stare. I coltivatori locali si spazientiscono dopo tanti allarmismi. Ma a oggi, il Corpo Forestale definisce la situazione  fuori controllo.