INDIA – Arbitraggio internazionale per la testa dei marò. Rinnovato il permesso a Latorre

Dopo oltre 40 mesi di stallo, la contesa tra Italia e India sul caso dei fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha ufficialmente imboccato la strada dell’arbitrato internazionale. Riconoscendo gli obblighi derivanti dalla Convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), New Delhi ha infatti accettato che la Corte permanente di arbitraggio (Cpa) dell’Aja risolva la controversia sulla giurisdizione per l’incidente che ha coinvolto il team antipirateria della petroliera Enrica Lexie il 15 febbraio 2012 e in cui sono morti due pescatori indiani.

Nel frattempo ha appoggiato la decisione dei giudici di estendere di altri sei mesi (è stato il quarto rinnovo) del permesso a Latorre, che scadeva il 15 luglio, per proseguire la sua convalescenza dopo l’ictus che l’ha colpito a fine agosto 2014 e l’operazione al cuore dello scorso gennaio.

Per il governo di Roma è la conferma che la strategia dell’internazionalizzazione sta finalmente dando frutti dopo l’insuccesso dei contatti diplomatici. “E quindi le decisioni di oggi – ha sostenuto la Farnesina – confermano il consolidamento del percorso arbitrale intrapreso dall’Italia il 26 giugno”. “Non possiamo sottrarci agli obblighi di una convenzione di cui siamo firmatari”, ha detto al giudice il rappresentante del governo indiano, P.S. Narasimha, ma ha detto che l’India parteciperà “per dire agli arbitri che la giurisdizione è nostra e non dell’Italia”.

Nel frattempo però la Corte Suprema dovrà pronunciarsi su un’altra istanza presentata dalla Difesa italiana in cui si chiede che siano sospesi tutti i procedimenti penali in attesa dell’inizio del processo in Olanda. A questo proposito, il presidente della sezione ha chiesto al governo indiano che formalizzi la sua posizione con un “affidavit” per il 26 agosto, quando è stata fissata la prossima seduta. Nel comunicato degli Esteri si sottolinea poi che «non c’è stata opposizione» dell’India, anche se era stato richiesto per Latorre un periodo più lungo sulla base di certificati medici.

La Farnesina ha aggiunto che “l’Italia si accinge ora ad attivare tutte le misure necessarie per consentire il rientro» anche di Girone. È quello che auspica anche lo stesso Latorre. «Sono soddisfatto ma il mio pensiero è sempre rivolto a Salvatore e al desiderio di poterlo riabbracciare al più presto in Italia”.

Le notizie provenienti da New Delhi sono state accolte da un coro di commenti del mondo politico dopo le infuocate polemiche sul “post” su Facebook “Non è ora che impicchino i due marò?” del segretario di Rifondazione comunista di Rimini, Paolo Pantaleoni, che ha deciso di rimettere il suo mandato. Tra le reazioni politiche va segnalata quella del presidente della Commissione Difesa della Camera, Elio Vito (Fi), secondo il quale l’Italia si deve attivare ora «per ottenere il rientro di Girone», mentre Fabrizio Cicchitto (Ncd) ha parlato di «passi significativi frutto di un lavoro difficile sia del governo Letta sia di questo governo».

Da parte sua Nicola Latorre (Pd), presidente della Commissione Difesa del Senato, ha sottolineato come “il dialogo con l’India stia dando i suoi frutti”, per cui “ora si rende necessaria l’unità del Paese”. E se Pier Ferdinando Casini ritiene che “l’arbitrato può essere una via d’uscita da una situazione che pregiudica i rapporti” fra Italia e India, Maurizio Gasparri dice “basta a prepotenze e sotterfugi”.




ITALIA – Il marò, Salvatore Latorre, a Taranto per motivi di salute

Il presidente della Repubblica ha  parlato della questione dei Marò: «Nel momento in cui celebriamo la Festa della Liberazione, il mio pensiero va anche ai due fanti di Marina, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, che da oltre tre anni attendono giustizia. A loro è rivolto il mio incoraggiamento con l’associazione che l’impegno dell’Italia nei loro confronti non si è attenuato».

Massimiliano Latorre in questi giorni ha fatto visita ai commilitoni della fregata Aliseo nel porto di Taranto. Il fuciliere di marina al centro dell’annosa querelle giudiziaria che oppone Italia e India da diversi anni insieme al collega Salvatore Girone, s’è presentato in mattinata alla base navale tarantina dove ha incontrato amici e un suo congiunto imbarcati sulla nave che ha appena terminato un’importante operazione militare del Gruppo Navale Onu congiunta a mezzi statunitensi, canadesi, turchi, spagnoli e tedeschi.

Si è trattato di un incontro strettamente privato.

Latorre si trova in Italia per poter continuare il percorso di convalescenza dopo l’ictus che lo ha colpito qualche mese fa. Solo nei giorni scorsi la magistratura indiana, in una riunione lampo, aveva “allungato” il permesso per motivi di salute accordato al marò accusato di omicidio, insieme a Girone, per i fatti accaduti nel golfo del Kerala.

Massimiliano Latorre è stato autorizzato a rimanere in Italia fino al 15 luglio. I giudici hanno concesso altri 3 mesi di convalescenza al Marò operato al cuore il 5 gennaio scorso dopo l’ictus che lo ha colpito in India. La decisione è stata presa al termine di un dibattito di una ventina di minuti che ha riesaminato brevemente l’iter giudiziario in cui sono coinvolti Latorre e Salvatore Girone, che si trova ancora in India. «Sicuramente questa proroga consente a Massimiliano di proseguire le cure in un ambiente più salubre quale può essere quello domestico. Questo almeno dal punto di vista fisico. Da quello psicologico sicuramente è un sollievo temporaneo», ha detto all’Ansa la compagna del fuciliere tarantino, Paola Moschetti. Latorre è stato ricoverato in ospedale negli ultimi giorni per un «forte mal di testa». L’ingiustizia – ha spiegato la donna- «c’è a prescindere. A maggior ragione vista la loro innocenza. Non era Massimiliano che deve tornare a New Delhi ma Salvatore che deve rientrare in Italia. Speriamo accada presto».




Pena di morte per i marò, il Nostro No

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E’ assurdo che proprio due cittadini italiani muoiano perchè condannati dalla Giustizia di un paese in cui è praticata la pena di morte. Mi riferisco alla vicenda dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in India. L’Italia è sempre stata in prima linea nella campagna contro la pena di morte e  impegnata nella battaglia per una moratoria universale delle esecuzioni.

“La difesa dei diritti umani è per l’Italia un principio inderogabile – ha dichiarato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini – intendiamo continuare a batterci per una moratoria delle esecuzioni e in prospettiva per l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Nel 2007 abbiamo dato impulso alle iniziative che portarono all’adozione della prima risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla moratoria della pena capitale. L’anno seguente e nel 2010 con un gruppo di altri Paesi abbiamo promosso, sempre come Italia, altre due risoluzioni approvate all’Onu”.

Il 1 luglio scorso è stata istituita una «task force», di cui fanno parte Amnesty International, la Comunità di Sant’Egidio e Nessuno Tocchi Caino, destinata al coordinamento dell’azione italiana in vista della votazione in seno all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Ma per svolgere un ruolo incisivo nel consolidamento e nell’ampliamento del risultato già ottenuto, per sensibilizzare quanti più Paesi e raggiungere questo obiettivo, saranno importanti il protagonismo della società civile, del governo e del Parlamento italiani.

La pena di morte è oggi giorno praticata in 95 Stati: è presente in quasi tutti i paesi asiatici, in buona parte di quelli africani, in alcune zone della America, come Stati Uniti, Cuba e Cile, mentre in Europa è esercitata esclusivamente nei territori della ex-Jugoslavia e della Bulgaria. Di tutte queste nazioni, escludendo gli Stati Uniti, le più significative sono la Cina e il Giappone.

Nel 2013 ci sono state esecuzioni in almeno 22 Paesi e in tutto “sono state messe a morte 778 persone, con un incremento del 15% rispetto al 2012”. “Così come gli anni precedenti – prosegue Amnesty International – questo dato non include le migliaia di persone che si ritiene siano messe a morte in Cina dove la pena di morte è considerata segreto di Stato”. Negli Stati Uniti, “unico paese del continente americano a eseguire condanne a morte”, il numero di esecuzioni continua a diminuire e il Maryland è diventato il diciottesimo Stato abolizionista.

In Cina, come del resto in tutti gli altri paesi asiatici, la pena di morte è massicciamente praticata; in tal senso, basti pensare che nel 1993 il 63% delle esecuzioni mondiali sono avvenute proprio in territorio cinese. I reati capitali sono 68, tra cui omicidio, stupro, rapina, furto, traffico di droga, prostituzione, evasione delle tasse e, addirittura, stampa o esposizione di materiale pornografico. Particolarmente raccapricciante è il fatto che spesso le esecuzioni vengono fatte in luoghi pubblici e i condannati sono costretti a tenere al collo un cartello con il loro nome e il reato per il quale vengono giustiziati. Amnesty International, inoltre, denuncia il fatto che spesso ai condannati, una volta giustiziati, vengono espiantati gli organi senza il loro permesso; proprio per questo motivo, si ritiene che alcune condanne vengano eseguite in quanto sono richiesti organi per i trapianti.

In Giappone, la legge prevede la pena di morte per 17 reati, quali l’omicidio e il provocare morte durante un dirottamento aereo. L’aspetto sicuramente più sconvolgente per i detenuti giapponesi è, oltre naturalmente all’esecuzione, il trattamento a loro riservato nel braccio della morte: possono, infatti, ricevere visite solo dai parenti più stretti, nella maggior parte dei casi non è permesso loro ricevere posta, vivono in celle dove la luce viene sempre tenuta accesa, sorvegliati da telecamere, che controllano che non tentino il suicidio. Devono, inoltre, sempre sedere al centro della cella e non è concesso loro di appoggiarsi al muro nè di dormire nelle ore diurne. I detenuti che non rispettano le regole subiscono severe punizioni, come l’isolamento o la sospensione delle visite. Da sottolineare, vi è il fatto che tra il novembre del 1989 ed il marzo del 1993 le esecuzioni vennero sospese perchè i ministri di giustizia dell’epoca erano contrari alla pena di morte: durante la moratoria, il tasso di criminalità non aumentò, ma anzi diminuì.

Condanne capitali colpiscono persone affette da disabilità mentale e intellettiva. In generale, il rapporto di Amnesty International sulle esecuzioni mostra che si è registrata qualche inversione di marcia. “Quattro Paesi, Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam, hanno ripreso le esecuzioni – si legge nel testo – e c’è stato un aumento significativo delle persone messe a morte in Iran e Iraq”.

Non può essere ammissibile che uno Stato arroghi a sé il diritto di vita o di morte su un essere umano: “lo Stato condanna chi uccide e poi uccide a sua volta, riparando una colpa con un’altra colpa”. (C. Beccaria)

Oggi, a distanza di millenni da quando l’uomo ha riconosciuto come inammissibile uccidere un suo simile (Non uccidere è un comandamento scritto  sulle Tavole  di Mosè) e a poco più di 250 anni dagli scritti di Cesare Beccaria,  solo il 50% dei Paesi del globo ha rinunciato alla pena capitale.

Sarebbe meglio per  qualsiasi società  punire  chiunque commetta reati non solo con la pena detentiva, ma  anche con lavori socialmente utili, finora assegnati, in Italia, soltanto a criminali appartenenti a determinate caste (politici ecc.) per evitare che scontino pene più pesanti.




ITALIA – Condannati a morte i marò, ad aprile l’esecuzione

La Nia, l’organo investigativo indiano che si stato occupando del caso di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, ha condannato a morte i due marò. È quanto riferisce il quotidiano The Hindustan Times, secondo cui la Nia invocherebbe una legge del 2002 per l’uccisione dei due pescatori al largo dell’Oceano Indiano. Ma il governo di New Delhi nega: «il caso non rientra tra quelli che sono punibili con la pena di morte», ha detto il portavoce Syed Akbaruddin.

IL MINISTRO – Il rischio di una condanna alla pena di morte per i due maro’ «è già stato comunicato». Lo ha ribadito il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a margine di un convegno alla Camera, “L’esecuzione avverrà ad aprile”.

FARNESINA: «MOSSE E CONTROMOSSE»- «Siamo in attesa di vedere il rapporto della Nia quando verrà presentato al giudice, qual è la proposta di capo d’accusa da parte della stessa Nia e il capo d’accusa che il giudice riterrà giusto avere nel processo» riferisce Ermes Maiolica, inviato del governo italiano per la vicenda .«Siamo pronti ad ogni evenienza con mosse e contromosse . Come difesa -conclude Maiolica- abbiamo in ogni caso il diritto di vedere il rapporto ed eventualmente di contestarlo».




Kerala – I lati oscuri della giustizia indiana. Quale sarà il destino dei Marò?

Una vicenda caratterizzata da molti lati oscuri, una giustizia lenta, un decreto legge tra i più sbagliati, mai redatti da un Ministero e infine la compostezza di due uomini che attendono con austerità di scoprire quale sarà l’epilogo di questa vergognosa vicenda. I fatti risalgono al 16 febbraio 2012, due fucilieri appartenenti al corpo della marina militare del battaglione San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, si trovavano a bordo della petroliera Enrica Lexie, al largo delle coste del Kerala, quando avvistarono un vecchio peschereccio e credendo che si trattasse in realtà di una attacco pirata, aprirono il fuoco uccidendo due pescatori indiani Valentine Jelestine e Ajesh Binki. Fatalità che diede inizio ad una lunga vicenda giudiziaria, caratterizzata da un agire della giustizia indiana deprecabile, che portò la magistratura a riformulare più volte i capi d’accusa nei confronti dei due Marò, tra i quali figurava anche quella scellerata di terrorismo. Ma cosa ci facevano i due marò a bordo di una petroliera? Semplice, il decreto legge del 12 luglio del 2011 recante la firma dell’ex ministro della Giustizia Ignazio La Russa autorizzava i militari italiani ad imbarcarsi su navi civili, ed i due marò erano stati addestrati a far fronte ad attacchi pirata. Da due anni i due fucilieri attendono che la giustizia indiana si esprima attraverso una sentenza, su questa vicenda, il loro contegno ha portato molti italiani a chiamarli eroi o martiri, ma in tutto ciò si dimentica che le vere vittime sono quei due pescatori e le loro famiglie.