La breve storia di Santa Cecilia, patrona della musica

È significativo il fatto che Santa Cecilia, patrona della musica, simbolo di uno dei più prestigiosi conservatori del mondo, non fu mai musicista. Cecilia era una ragazza patrizia che volle consacrarsi alla verginità tanto che fece convertire il suo sposo al cristianesimo, e per questo motivo furono entrambi condannati a morte. In seguito Cecilia fu canonizzata e raffigurata con uno strumento musicale tra le braccia.

Venerata come martire e patrona dei musicisti e dei cantanti, appartenne a una delle più illustri famiglie romane e nel III secolo fu una delle più grandi benefattrici della Chiesa.
Secondo un testo, più letterario che storico, sarebbe stata costretta a sposare un giovane pagano ma durante la festa nuziale tra melodie e musiche, il suo cuore cantava lodi a Dio, al quale era stata consacrata.
Condannata a morire nelle acque bollenti delle terme, rimase miracolosamente illesa e invano un carnefice tentò per tre volte di decapitarla.
L’agonia durò quattro giorni poi venne deposta nella tomba vestita di broccato d’oro.
Il fatto che la Santa romana sia stata considerata patrona dei musicisti, si spiega appunto con un passo della leggendaria “Passione” in cui si racconta che mentre gli organi suonavano, ella nel suo cuore, cantasse inni al Signore.

È dunque quanto mai stravagante il motivo per cui Cecilia sarebbe diventata patrona della musica. In realtà, un riferimento su Cecilia e la musica è documentato a partire dal tardo Medioevo. La spiegazione più plausibile sembra quella di un’errata interpretazione dell’antifona di introito della messa nella festa della santa (e non di un brano della Passio come talvolta si afferma). Il testo di tale canto in latino sarebbe: Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar (“Mentre suonavano gli strumenti musicali, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa”). Per dare un senso al testo, tradizionalmente lo si riferiva al banchetto di nozze di Cecilia. Da qui il passo a un’interpretazione ancora più travisata era facile: Cecilia cantava a Dio… con l’accompagnamento dell’organo. Si cominciò così, a partire dal XV secolo (nell’ambito del gotico cortese) a raffigurare la santa con un piccolo organo portativo a fianco. In realtà i codici più antichi non riportano questa lezione dell’antifona. Gli “organi”, quindi, non sarebbero affatto strumenti musicali, ma gli strumenti di tortura, e l’antifona descriverebbe Cecilia che “tra gli strumenti di tortura incandescenti, cantava a Dio nel suo cuore”. L’antifona non si riferirebbe dunque al banchetto di nozze, bensì al momento del martirio. Dedicato alla santa, nel XIC secolo sorse il cosiddetto Movimento Ceciliano, diffuso in Italia, Francia e Germania. Vi aderirono musicisti, liturgisti e altri studiosi, che intendevano restituire dignità alla musica liturgica sottraendola all’influsso del melodramma e della musica popolare. Sotto il nome di Santa Cecilia sorsero così scuole, associazioni e periodici. Cecilia, in quanto patrona della musica e musicista lei stessa ha ispirato più di un capolavoro artistico, tra cui l’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello, oggi a Bologna (una copia della quale, realizzata da Guido Reni, si trova nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Ricordiamo anche le raffigurazioni di Santa Cecilia di Rubens, a Berlino, del Domenichino, a Parigi, e di Artemisia Gentileschi. In letteratura, Cecilia è stata citata nei Racconti di Canterbury di Chaucer, in un’ode di John Dryden, poi in una messa di Haendel nel 1736, e da  Hubert Parry nel 1889. Altre opere musicali dedicate a Cecilia includono l’Inno a santa Cecilia di Britten, la più nota Missa Sanctae Ceciliae di Haydn, e a seguire la messa di Scarlatti, la Messe Solennelle de Sainte Cécile di Gounod, Hail, bright Cecilia! Di Purcell e infine l’Azione sacra in tre episodi e quattro quadri di Refice (su libretto di Emidio Mucci) nel 1934. 




ITALIA – A Cagliari, tra le donne di Castello

Di Agnese Onnis

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FOTO 1. Castello

Posta a sud dell’isola, di cui è capoluogo, Cagliari si caratterizza per i suoi sette colli da cui prendono nome alcuni quartieri: Castello, Tuvumannu/Tuvixeddu, Monte Claro, Monte Urpinu, Colle di Bonaria, Colle di San Michele, Calamosca/Sella del Diavolo e da zone pianeggianti laddove a partire dall’Ottocento sono sorti quelli nuovi.

Anche le targhe delle strade e delle piazze – una vera risorsa per la memoria della città insieme ai suoi luoghi, ai suoi monumenti, ai segni lasciati dai popoli antichi e dominatori – consentono una lettura curiosa della storia delle città attraverso fonti scritte nel circuito urbano.

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FOTO 2. Porta Cristina

Nel quartiere medioevale di Castello si entra attraverso la porta Cristina, costruita nel 1815, quale omaggio del re Carlo Felice di Savoia a sua moglie Cristina di Borbone, regina del Regno di Sardegna.

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FOTO 3. Targa Porta Cristina

Carolus Felix Rex viam planiorem brevioremque a Castro Caralis ad portam arcis regiam aperuit Maria Cristina Regina – Porte egressus in apertam viam nomen suum imposuit – MDCCCXXV. Januario Rotario regni Praeside. “

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FOTO 4. Scuola Santa Caterina

In Castello domina sul bastione Santa Caterina l’edificio della scuola pubblica di quartiere che assume lo stesso nome, costruita nel 1910 sui ruderi del vecchio convento domenicano. La scuola si affaccia sulla piazza Santa Caterina, verso il panorama del porto, della laguna e del mare del Poetto. A destra della scuola, salendo verso la via Fossario, si trova la piazza Palazzo con la cattedrale di Santa Maria edificata in stile romanico-pisano nel 1258, sulle rovine della più antica chiesa di Santa Cecilia, e rimaneggiata alla fine del ‘600 in stile barocco.

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Foto 5. Cattedrale di Santa Maria

Attraversata la piazza Indipendenza verso via Lamarmora, al civico 63 di un palazzo settecentesco una targa ricorda l’abitazione della nobildonna Francesca Sanna Sulis, la prima imprenditrice del ‘baco da seta’ in Sardegna. Nelle sue proprietà terriere del Sarrabus avviò e consolidò le bachicolture produttive fin dalla metà del Settecento ricavando una seta di qualità e di pregio.

Francesca Sulis agli inizi dell’800 anticipò nuove formule d’impresa nell’isola. Nei suoi laboratori di Quartucciu, la cui Biblioteca comunale oggi è a lei intitolata, predilesse la manodopera femminile, introdusse nei suoi progetti sociali la scuola per le operaie e organizzò i corsi professionali di filatura e tessitura. La sua produzione venne valorizzata da creazioni di alta sartoria.

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Foto 6. Francesca Sanna Sulis

Dal mondo lontano dei fili di seta di Francesca Sulis ad un’altra grande artista sarda, Maria Lai, creatrice dell’arte dei fili di telai.

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Foto 7. Maria Lai

Il progetto espositivo “Ricucire il mondo” ha ospitato numerose sue opere nelle stanze del Palazzo di città, sede municipale dal medioevo fino ai primi anni del XX secolo e oggi spazio museale.

La città le ha intitolato l’aula Magna del Dipartimento delle Facoltà giuridiche, un edificio contiguo all’anfiteatro e all’Orto botanico della città.

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Foto 8. Palazzo di città

Ciò che appare del mio lavoro, cioè la cultura contemporanea, che senz’altro ho acquisito fuori dalla Sardegna e che mi permette un dialogo col mondo, è solo la punta dell’iceberg… Ho dietro di me millenni di silenzi, di tentativi di poesia, di pani delle feste, di fili di telaio.

Il sole illumina una piazzetta di Castello dedicata alla poetessa Mercede Mundula, nata nel 1890 a Cagliari e ivi vissuta nei suoi anni giovanili con le sorelle.

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Foto 9. Piazzetta Mercede Mundula

Le altre città secondarie d’Italia hanno più o meno vicina la grande città che le fa impallidire: Cagliari no, Cagliari, città madre dell’Isola, si specchia solitaria nel suo mare che le dà una specie di “splendid isolation” per suo uso e consumo.

Con il matrimonio si trasferisce a Roma, approfondisce i suoi interessi artistici e culturali, frequenta diversi circoli letterari ricchi e stimolanti e collabora con alcune riviste nazionali. Svolge una ricca attività letteraria, recensisce libri e pubblica saggi tra cui spiccano le protagoniste delle opere di Grazia Deledda, di cui fu amica per vent’anni. Mercede pubblica monografie su Eleonora d’Arborea e Adelasia di Torres; scrive racconti per ragazzi e soprattutto poesie, di cui molte in lingua sarda.

Dopo il disastro dei bombardamenti del 1943, volle rivedere la sua amata città natale, che le appare come un bel viso con dolorose cicatrici ma dove il sangue già rifluiva copioso (…). Una buona plastica facciale fatta da eccellenti chirurghi, e sarebbero spariti i segni delle ferite.

Un’altra piazzetta di Castello ha per protagonista una donna. Si tratta di Mafalda di Savoia.

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Foto 10. Piazzetta Mafalda di Savoia

Mafalda figlia di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro, benchè fosse figlia del re d’Italia, fu principessa tedesca per matrimonio con Filippo Kassel d’Assia, principe ma anche ufficiale tedesco. Nel 1943 dopo l’Armistizio e il disarmo delle truppe italiane, Mafalda, di ritorno da Sofia attraversa pericolosamente l’Europa con aerei per diplomatici, raggiunge Roma ma qui in circostanze poco chiare viene arrestata dal comando tedesco e deportata nel lager di Buchenwald. Nell’agosto del ‘44 il campo fu bombardato dagli anglo-americani e la baracca dove alloggiava fu distrutta, la principessa subì ustioni e ferite su tutto il corpo. Dopo quattro giorni di atroci dolori, operata per cancrena, ormai abbandonata e priva di soccorsi, morì dissanguata nel campo. Il suo corpo oggi è sepolto nel cimitero del castello degli Assia vicino a Francoforte sul Meno.