ITALIA – Imposimato consegna la petizione dei docenti a Boldrini. “La Costituzione sarà il nostro faro nella battaglia”

Il  Presidente Ferdinando Imposimato ha consegnato alla Boldrini una petizione firmata dai docenti.

Con questa petizione si chiede di rispettare la sentenza europea sul precariato e di non  mettere la fiducia sul ddl scuola in quanto contenente ampie deleghe al governo, come prevede l’art. 76 della Costituzione.

“La Costituzione sarà il nostro faro nella dura battaglia che ci attende”, ha dichiarato.

Il ddl approderà in Aula il 7 Luglio, in terza lettura, per essere approvato. Il testo è quello uscito dal Senato. Tutte le richieste di modifica sono state respinte. La maggioranza punta al varo definitivo senza modifiche, ma non si prevede nessuna fiducia.

Caratteristiche del piano di assunzioni
Le assunzioni “normali” previste per il 2015/2016 (turn-over e posti di sostegno stabilizzati) saranno effettuate entro il 31/08/2015 con le attuali regole: 50% alle GAE e 50% ai Concorsi (tutti). Si tratta di circa 21.880 posti dovuti al turn-over e di 14.747 di sostegno.
Dopo tale fase le graduatorie dei concorsi antecedenti quello del 2012 saranno soppresse.

Successivamente su tutti i posti disponibili in organico di diritto non coperti dalle assunzioni “normali” (si tratta di 10.849 posti liberi già negli anni precedenti a cui si aggiungono tutti quelli non assegnati con le “normali” assunzioni) e sui posti dell’organico aggiuntivo (55.258 tra comuni e sostegno) si procederà alle assunzioni del piano straordinario.
Saranno destinatari delle proposte di assunzione del piano straordinario gli inclusi a pieno titolo nelle GAE e nelle graduatorie dei concorsi del 2012 (compresi gli idonei).
Queste ulteriori assunzioni avverranno in tre fasi, tutte con decorrenza giuridica 1/9/2015. In una prima fase si assumerà su tutti i posti vacanti di organico di diritto rimasti liberi con le attuali procedure nella provincia/regione di inclusione (50% alle GAE e 50% al Concorso). Ai docenti assunti in questa fase sarà assegnata una sede provvisoria. La sede definitiva sarà assegnata con la mobilità 2016/2017.
Nelle due fasi successive si assumerà sui posti dell’organico di diritto non assegnati nella prima fase (per carenza di aspiranti) e sui posti dell’organico aggiuntivo. Tutti gli aspiranti interessati potranno scegliere, in ordine di priorità, tutte le province e optare tra posto comune e sostegno (se specializzati). Gli assunti in queste due fasi avranno una sede provvisoria e con la mobilità 2016/2017 potranno chiedere il trasferimento negli ambiti territoriali a livello nazionale (ma senza avere più una titolarità sede).

Gli inclusi nelle GAE che non dovessero essere assunti nelle varie fasi (per carenza di posti) restano in graduatoria e negli anni successivi potranno essere assunti sul 50% dei contingenti provinciali.




Intrighi internazionali: cosa nostra e loro

Una inchie­sta del New York Times (24 marzo 2013) ha con­fer­mato l’esistenza di una rete inter­na­zio­nale della Cia, che con aerei qata­riani, gior­dani e sau­diti for­ni­sce ai «ribelli» in Siria, attra­verso la Tur­chia, armi pro­ve­nienti anche dalla Croa­zia, che resti­tui­sce così alla Cia il «favore» rice­vuto negli anni Novanta.

Quando il 29 mag­gio scorso il quo­ti­diano turco Cum­hu­riyet ha pub­bli­cato un video che mostra il tran­sito di  armi attra­verso la Tur­chia, il pre­si­dente Erdo­gan ha dichia­rato che il diret­tore del gior­nale pagherà «un prezzo pesante».

Ven­tun anni fa Ila­ria Alpi pagò con la vita il ten­ta­tivo di dimo­strare che la realtà della guerra non è solo quella che viene fatta appa­rire ai nostri occhi.

Da allora la guerra è dive­nuta sem­pre più «coperta». Lo con­ferma un ser­vi­zio del New York Times (7 giu­gno) sulla «Team 6», unità super­se­greta del Comando Usa per le ope­ra­zioni spe­ciali, inca­ri­cata delle «ucci­sioni silen­ziose». I suoi spe­cia­li­sti «hanno tra­mato azioni mor­tali da basi segrete sui calan­chi della Soma­lia, in Afgha­ni­stan si sono impe­gnati in com­bat­ti­menti così rav­vi­ci­nati da ritor­nare imbe­vuti di san­gue non loro», ucci­dendo anche con «pri­mi­tivi tomahawk».

Usando «sta­zioni di spio­nag­gio in tutto il mondo», camuf­fan­dosi da «impie­gati civili di com­pa­gnie o fun­zio­nari di amba­sciate», seguono coloro che «gli Stati Uniti vogliono ucci­dere o catturare».

Il «Team 6» è dive­nuta «una mac­china glo­bale di cac­cia all’uomo». I kil­ler di Ila­ria Alpi sono oggi ancora più potenti.

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Il 21 dicembre  –  racconta Panorama –  l’organizzazione WikiLeaks ha diffuso due documenti della CIA, l’intelligence del governo degli Stati Uniti, che forniscono una serie di consigli per aggirare i sistemi di controllo negli aeroporti e alle frontiere. I documenti sono classificati come segreti – “NOFORN”, non possono cioè essere condivisi con i servizi di intelligence dei paesi alleati – e sono rivolti agli agenti che lavorano sotto copertura. Le guide si intitolano «Surviving Secondary» e «Schengen Overview», risalgono al 2011 e al 2012 e sono stati creati da un ufficio della CIA chiamato “CHECKPOINT” che si occupa della protezione dell’identità e dei documenti degli agenti sotto copertura.
In generale questi documenti mostrano le crescenti preoccupazioni della CIA riguardo l’esistenza di banche dati biometriche (per il riconoscimento attraverso le impronte digitali o l’iride, per esempio) che possono mettere a repentaglio le loro operazioni segrete. Affermano che il mandato generale per gli agenti è mantenere la copertura ad ogni costo e consigliano di aver preparato in anticipo dei profili Linkedin o Twitter con la falsa identità, di non avere un computer con dati che non corrispondano alla storia che devono raccontare e di prepararsi psicologicamente al controllo. Alcune indicazioni sono ovvie, altre di buon senso. Nel complesso, se uno non si è mai posto il problema, lette una dopo l’altra sono anche piuttosto interessanti.
1. Non acquistare il biglietto in contanti e imbarcare i bagagli
I principali problemi agli aeroporti, cioè i controlli maggiori e più approfonditi, vengono fatti quando il biglietto viene acquistato in contanti; quando viene acquistato direttamente all’aeroporto o il giorno prima della partenza; quando è di sola andata; quando il bagaglio non viene imbarcato.
2. Coerenza
Evitare di essere bloccati per controlli più approfonditi dimostrandosi impreparati e mostrando contraddizioni tra quello che si dice di voler fare o tra chi si dice di essere e i dati sui propri documenti. Il contenuto dei propri bagagli deve essere coerente anche con il paese in cui si va. Bisogna sapere la lingua del paese che ha emesso il passaporto.
3.- Essere informati
Una parte dei documenti è riservata alle informazioni sui paesi in cui si intende entrare per essere preparati alle varie procedure ed evenienze. Per esempio è importante sapere quali paesi effettuano controlli biometrici o quali sono in grado di farli. Secondo gli ultimi dati, che risalgono al maggio del 2014, una trentina di paesi – tra cui l’Italia, la Polonia, la Finlandia, l’Estonia, l’Algeria, il Senegal, il Ghana, la Cambogia, Singapore, l’Indonesia e il Cile – non partecipano al programma di autenticazione del passaporto biometrico.
Va anche tenuto conto che i controlli possono essere effettuati su chiunque e che in alcuni paesi ci sono abitudini e pratiche che è bene conoscere: è stato calcolato per esempio, che un viaggiatore statunitense su dodici sarebbe soggetto a tali controlli in modo casuale. A Chittagong, in Bangladesh, i turisti vengono regolarmente sottoposti a una specie di interrogatorio di un’ora prima di essere “rilasciati” e dopo aver pagato 50 dollari. A Mogadiscio, in Somalia, c’è l’abitudine di selezionare almeno un passeggero per volo e accusarlo di attività illegali, per costringerlo a pagare una tangente. In alcuni paesi i controlli degli aeroporti hanno il diritto di trattenere il viaggiatore per ore e questo può essere fonte di stress (in Turchia i passeggeri possono essere fermati anche per 24 ore).
4. Non avere uno sguardo sfuggente
I controlli più approfonditi possono essere decisi in base a criteri soggettivi. Molti aeroporti utilizzano anche tecniche basate sul comportamento per individuare le persone sospette. Bisogna evitare dunque di avere le mani che tremano, di sudare, di avere un battito cardiaco troppo alto, di arrossire, di evitare il contatto con gli occhi (o, al contrario, di cercare il contatto con altri passeggeri a distanza). Di avere, in generale, un atteggiamento reticente e poco disponibile a fornire informazioni.
5. Non andare più di cinque volte in un mese in Venezuela
Ci sono una serie di tragitti o transiti considerati con maggior sospetto rispetto ad altri. Se andate in Cile passando da diversi paesi del sud-est asiatico, potreste attirare l’attenzione della polizia; se andate in Gambia potrebbe essere considerato degno di approfondimento il fatto che vi siate regolarmente recati in Nigeria e in Guinea-Bissau; se andate più di cinque volte al mese in Venezuela potreste essere sottoposti ad un colloquio più approfondito; se avete soggiornato per breve tempo tra Zambia, Pakistan e Sud Africa potreste essere sospettati di essere dei trafficanti droga, per i servizi di sicurezza dello Zambia. Infine evitate di andare in Israele con un passaporto pieno di timbri che mostrano che avete viaggiato in molti paesi musulmani (e viceversa).
6. Meglio viaggiare accompagnati
E preferibilmente con una valigia, e non una borsa o uno zaino. Gli uomini di etnia cinese tra i 16 e i 28 anni potrebbero essere sospettati di essere migranti illegali da parte dei servizi di sicurezza cileni, per esempio: il sospetto diminuisce se con voi c’è qualcuno.
7. Evitare dispositivi elettronici e, comunque, controllare i social network
I controlli possono anche passare attraverso una verifica delle cose scritte su Facebook o su qualunque altro profilo online. Il fatto di non avere un profilo Facebook o Linkedin (nel caso di uomini e donne d’affari) potrebbe essere considerato sospetto. Un altro rischio per chi viaggia sotto copertura è rimanere collegato con il proprio vero account ai vari social network. In ogni caso meglio evitare di portare con sé dispositivi elettronici.
8. Non avere troppa paura dei file e delle banche dati
Ci sono una serie di sistemi di controllo nei paesi dell’area Schengen per evitare soprattutto l’immigrazione clandestina (il sistema d’informazione Schengen, SIS, la banca dati europea delle impronte digitali, EURODAC). Questi sistemi rappresentano un rischio piuttosto basso per la scoperta della vera identità di un cittadino americano sotto copertura, c’è scritto nei documenti della CIA diffusi da WikiLeaks.
9. Dare risposte semplici e immediate
«Perché sei qui?», «Dove vivi?». La CIA ricorda di rispondere in modo pacato, veloce e semplice, senza però fornire troppi dettagli. Vanno evitate le pause troppo lunghe tra la domanda e la risposta, gli intercalari che trasmettano incertezza (non dire «Mmh…», «Ehm…»), vanno evitati i tipici “segni psicosomatici” da stress (mordersi le labbra, ingoiare la saliva, sudare, aggiustarsi i vestiti) e non bisogna cercare di dare credibilità a tutti i costi a quello che si sta dicendo pronunciando parole o espressioni come “normalmente”, “spesso”, “forse”, “ad essere onesti”.
10. Ricordatevi la cravatta
La CIA conclude la sua guida spiegando come un agente in un aeroporto europeo sia stato selezionato dai servizi di sicurezza per un controllo più approfondito solo perché era vestito in modo troppo casual per essere il titolare di un passaporto diplomatico. Nel bagaglio dell’uomo sono state trovate tracce di materiale esplosivo, ma l’agente è riuscito comunque a evitare di essere fermato raccontando di aver partecipato a un corso di formazione anti-terrorismo a Washington. WikiLeaks si chiede come sia stato possibile per le autorità del paese europeo coinvolto non fermare un uomo che abbia semplicemente fornito questa giustificazione.

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Era un programma segreto della Cia – scrive il Corriere della Sera –  usare una finta campagna di vaccinazione per spiare i terroristi in Pakistan. Un piano concepito per arrivare a Osama Bin Laden ma che poi è andato oltre. Con conseguenze drammatiche. Decine di persone innocenti sono state eliminate dai talebani perché sospettate di essere complici dell’operazione americana. Ora la Casa Bianca ha annunciato che questa tattica non sarà più usata e lo ha fatto con una lettera pubblica. Una mossa a lungo attesa dopo polemiche dure anche negli Stati Uniti, con l’agenzia accusata di aver messo in pericolo le vite di molti, la cui colpa era quella di portare un camice.

Torniamo indietro nel tempo. Di almeno tre anni. Soffiate, dati satellitari, indagini e ricognizioni concentrano l’attenzione dell’intelligence americana su una palazzina di Abbottabad, in Pakistan. C’è il sospetto che all’interno del complesso recintato si nasconda un capo di al Qaeda, probabilmente lo stesso Bin Laden. Non c’è la conferma, però, e prima di lanciare un eventuale blitz servono delle verifiche. Ma certo non si può andare a bussare al pesante portone verde. Ed ecco che la Cia, mentre un team sorveglia l’edificio del target da distante, si inventa un trucco.
Gli agenti ingaggiano il medico pachistano Shakil Afridi che dovrà fingere di condurre un programma di vaccinazione contro l’epatite ad Abbottabad. In questo modo potrà mandare delle infermiere nella palazzina per prelevare campioni di Dna dagli ospiti, in particolare i molti bambini presenti, e quindi stabilire se combaciano con quelli del leader qaedista. Afridi porta avanti il progetto, anche se non è mai stato chiarito se la sua missione sia stata decisiva nell’identificare Bin Laden. Secondo molte versioni avrebbe fallito. Di certo c’è che Osama è stato ucciso e che il medico è finito, in seguito, in una prigione pachistana. Ma, purtroppo, non sono mancati altri effetti. Tragici.

I talebani hanno scatenato una guerra contro le vaccinazioni considerate il paravento della Cia. In realtà i militanti le osteggiavano già da prima, sostenendo che si trattava di una manovra per sterilizzare i piccoli musulmani. Visioni da dementi che però si sono sommate ai sospetti dopo l’assalto di Abbottabad e al piano Usa. Così i terroristi si sono scatenati prendendo di mira vaccinatori, medici e uomini di scorta all’equipe di infermieri. I numeri dicono tutto: dal dicembre 2012 al maggio di quest’anno almeno 56 persone sono state trucidate. Tutte erano legate, in qualche modo, all’azione anti-polio. Un massacro. Che si è portato dietro un altro fenomeno. Molte famiglie pachistane si sono opposte alla vaccinazione. E su 77 casi di polio accertati nel 2014 ben 61 si sono verificati nell’area tribale pachistana, il tradizionale rifugio di esponenti talebani ed elementi di al Qaeda.

La storia ha avuto poi contraccolpi negli Usa, dove sedici rettori di scuole legate alla Sanità hanno protestato con la Casa Bianca chiedendo l’immediato stop di un modus operandi che trasformava il personale medico in un bersaglio. La risposta è arrivata con una lettera firmata dal consigliere antiterrorismo di Obama, Lisa Monaco, che ha precisato: 1) Il direttore della Cia, John Brennan, ha bloccato la tecnica nell’agosto 2013. 2) L’agenzia non cercherà di sfruttare o ottenere materiale genetico attraverso questo tipo di iniziative. L’ordine vale su scala globale.
L’intelligence dovrà inventarsi nuove tattiche per infiltrarsi in zone altrimenti precluse. Con il prossimo ritiro, gli Stati Uniti avranno la necessità di mantenere occhi e orecchie sul posto, ossia quegli uomini dietro le linee che non possono essere sostituiti dai droni.

Il teatro afghano-pachistano si è rivelato piuttosto complesso. Senza, però, dimenticare che la Cia non è stata la sola agenzia a ricorrere all’aiuto di qualche medico amico. In Afghanistan, in passato, ha operato un network di informatori che aveva i suoi punti di forza in alcuni ospedali. Si trattava di afghani che collaboravano nella raccolta di informazioni sui terroristi, dati che poi erano passati ai militari. Un apparato, però, che non aveva la «copertura» del Pentagono e neppure della Cia ma agiva in modo autonomo.

Quando si entra nel labirintico gioco di specchi della politica e dello spionaggio c’è il rischio di trovarsi di fronte a una porta che non si apre. La strada giusta era quella accanto, o quella alle spalle. Ma, le ombre e le luci, le immagini riflesse ci hanno depistato. Muovendoci, prima o poi la scopriremo. Comunque, usciremo. Magari dopo che ci avranno indicato un’altro cancello, non quello che stavamo cercando. Il Senato degli Stati Uniti, la Cia e la Casa Bianca sono alle prese con questo gioco. Tocca a noi capire dove stia portando.

Scontro tra il Senato e la Cia

Una grave crisi costituzionale s’avvicina a Washington. Dianne Feinstein, democratica, ha accusato la Cia di aver spiato i lavori della Commissione del Senato sull’Intelligence che presiede, di aver tentato di sottrarre documenti e di aver fatto indebite pressioni sul suo staff. Questo è il culmine di un lungo braccio di ferro, durato quasi un anno, tra Langley e l’organismo parlamentare che indaga sulle attività dell’agenzia dopo l’11 settembre. Ma è solo un altro episodio della partita. Non il finale.

L’oggetto del contendere è il rapporto di 6.300 pagine che la commissione ha stilato in tre anni di lavoro, dal 2009 al 2012. L’inchiesta venne completata nel dicembre del 2012 e approvata con un voto a maggioranza: 9 voti a favore, 6 i contrari. Dopo questa votazione, la Cia ha inviato un memorandum di 120 pagine per confutare la tesi pilastro del rapporto: anni di metodi coercitivi nella lotta al terrorismo non hanno prodotto una sola informazione utile per l’intelligence. Sequestri, torture, imprigionamenti: tutto inutile. Per sconfiggere il nemico c’è (stato) bisogno di altro.

Il rapporto sulle prigioni della Cia

La commissione si è sempre rifiutata di modificare questa impostazione. E lo ha fatto sulla base di migliaia di documenti della stessa Cia contenuti in un database riservatissimo. Nomi, date, circostanze, metodi usati per gli interrogatori. Tutte carte che avrebbero dovuto essere in mano solo i vertici della Central Intelligence Agency e che invece erano finiti nei pc dei senatori. Le pressioni sono iniziate allora. Langley ha cercato di avere indietro quei documenti, dicendo ai membri dello staff della commissione che avevano compiuto un reato nel momento in cui erano entrati in possesso di quelle carte. Lo scontro è andato avanti sotterraneo fino a quando Dianne Feinstein ha deciso di renderlo pubblico.

Questo è avvenuto perché siamo vicini alla diffusione del rapporto (finora) segreto della commissione del Senato sulla Cia. L’annuncio che sarebbe stato reso pubblico è di diversi mesi fa. Barack Obama si è detto d’accordo. Per Langley, un’altra complicazione. Se il Grande Capo ha dato il segnale verde, niente può più fermare la macchina che, alla fine, permetterà all’opinione pubblica americana di sapere cosa ha realmente fatto la Cia negli anni della War on Terror.

Nessuno ne conosce i dettagli – a parte la Cia e i redattori -, ma tutto fa pensare che il rapporto riveli fatti che l’agenzia avrebbe voluto volentieri tenere nascosti. I rapimenti di presunti terroristi, gli interrogatori e le torture, quello che avveniva nelle prigioni segrete della Cia. Da quello che si è compreso, quelle quasi 4.000 pagine, indicano responsabilità ben più gravi, atti ben più brutali rispetto a quello che si è sempre pensato (o si è saputo) finora.

E’vero che, appena insediato e dopo aver firmato l’ordine esecutivo che metteva fine alle torture negli interrogatori, Barack Obama aveva promesso che nessun funzionario dell’intelligence sarebbe stato mai perseguito per le operazioni compiute sotto le direttive della precedente amministrazione, quella di George W. Bush. Ma, è anche vero che la diffusione completa del rapporto e le sue conclusioni sarebbero dei duri colpi per Langley. Molto duri. Tali di minarne la credibilità.

La Casa Bianca e i segreti dell’attuale guerra al terrorismo

La Casa Bianca vuole rimanere a tutti i costi fuori dallo scontro tra il Senato e la Cia. Ma, in realtà, si trova proprio in mezzo. John Brennan, l’uomo che Obama ha voluto alla guida dell’agenzia, dopo la denuncia di Dianne Feinstein avrebbe detto: “Se ho fatto qualche cosa di sbagliato, vado dal presidente e gli spiego cosa ho fatto. Sarà lui a dirmi se devo restare o se devo andarmene”.

Le parole di Brennan, l’architetto della guerra con i droni, il detentore dei segreti delle cyberwars americane, non suonano rassicuranti per la Casa Bianca. E’un modo per chiedere a Obama di schierarsi nello scontro con il Senato. Contro o a favore della Cia.

In ogni caso, per lui sarebbe un problema. Se Obama appoggia l’Agenzia, rischia di essere accusato di voler legittimare i suoi metodi durante gli anni della Guerra al Terrore. Se, invece, toglie la sponda a Langley, sconfessa l’uomo che lui ha chiamato a guidare la Cia (e quindi sconfessa la sua stessa politica di sicurezza) e apre il fianco a qualche velenosa vendetta da parte di settori dell’intelligence.

Non sarebbe la prima volta. Non è un caso che molti analisti abbiano tirato fuori un’analogia storica: la fuga di notizie sull’Iraq del 2004 che tanto misero in imbarazzo George W. Bush. Erano opera della Cia, che voleva mettere in imbarazzo l’uomo che aveva riversato su Langley la responsabilità delle false informazioni sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein.

Perché, in realtà, la posta in gioco, l’oggetto dello scambio tra la Casa Bianca e la Cia, non sono le attività dell’Agenzia durante gli anni di Bush, ma quelle portate avanti sotto l’amministrazione Obama. Non ci sono presidenti esenti da ombre quando si parla di intelligence. Neppure nel caso dell’attuale.

Sono molti i segreti della guerra dei droni in possesso di Langley. Gli omicidi mirati, i civili colpiti, le operazioni lanciate per sbaglio, le decisioni del presidente. Se si devono rivelare le circostanze del passato , perché allora non farlo anche con quelle del presente? Il gioco di specchi ci spinge verso Capitol Hill, ma per risolvere il caso Senato-Brennan la via giusta da seguire sembra essere quella che conduce in Pennsylvania Avenue.

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E allora tutto si spiega, mi riferisco in particolare agli ostacoli giudiziari all’accertamento della verità, come il caso Gelle o i molti depistaggi a cui in questi anni abbiamo assistito e che hanno dimostrato una intensità, una continuità e un livello mai visti se non per casi come Ustica, la strage di Bologna, il Moby Prince. Sin dal primo giorno dopo il delitto (chi conosce “le carte” lo sa) si è depistato per accreditare la tesi della rapina e escludere il delitto su commissione, che invece prevede dei moventi: e chi compie questo gioco di prestigio? Unosom, la cellulla dei Servizi di informazione di Unosom. E chi è Unosom? Unosom è “cosa loro”, la finta uniforme degli USA per le cosiddette operazioni di ingerenza umanitaria a suon di carri armati e di missili. Un coinvolgimento mosso da “necessità nazionali” o maturate in ambito Nato?

Se la Somalia, nel 1983, era “Cosa Nostra”, nel senso dell’Italia, i nostri servizi (o una fazione all’interno di questi) sono da sempre “cosa loro”, nel senso dell’intelligence USA.

Alpi e Hrovatin furono assas­si­nati, in un agguato orga­niz­zato dalla Cia con l’aiuto di Gla­dio e ser­vizi segreti ita­liani, per­ché ave­vano sco­perto un traf­fico di armi gestito dalla Cia attra­verso la flotta della società Schi­fco, donata dalla Coo­pe­ra­zione ita­liana alla Soma­lia uffi­cial­mente per la pesca.

In realtà, agli inizi degli anni Novanta, le navi della Shi­fco erano usate, insieme a navi della Let­to­nia, per tra­spor­tare armi Usa e rifiuti tos­sici anche radioat­tivi in Soma­lia e per rifor­nire di armi la Croa­zia in guerra con­tro la Jugoslavia.

La 21 Oktoo­bar II (poi sotto ban­diera pana­mense col nome di Urgull), si tro­vava il 10 aprile 1991 nel porto di Livorno dove era in corso una ope­ra­zione segreta di tra­sbordo di armi sta­tu­ni­tensi rien­trate a Camp Darby dopo la guerra all’Iraq, e dove si con­sumò la tra­ge­dia della Moby Prince in cui mori­rono 140 persone.

Sul caso Alpi, dopo otto pro­cessi (con la con­danna di un somalo rite­nuto inno­cente dagli stessi geni­tori di Ila­ria) e quat­tro com­mis­sioni par­la­men­tari, sta venendo alla luce la verità, ossia ciò che Ila­ria aveva sco­perto e appun­tato sui tac­cuini, fatti spa­rire dai ser­vizi segreti. Una verità di scot­tante, dram­ma­tica attualità.

La docu­fic­tion «Ila­ria Alpi – L’ultimo viag­gio» (visi­bile sul sito di Rai Tre) getta luce, soprat­tutto gra­zie a prove sco­perte dal gior­na­li­sta Luigi Gri­maldi, sull’omicidio della gior­na­li­sta e del suo ope­ra­tore Miran Hro­va­tin il 20 marzo 1994 a Moga­di­scio.

Ci sono indizi sufficienti e documentabili oltre ogni incertezza per affermare che il duplice delitto di Mogadiscio sia stato, per dirla con le parole di Luciana Alpi, la mamma di Ilaria, concordato. Concordato in più sedi e a più livelli, all’interno di uno scacchiere internazionale ben definito e circostanziato che appare abbastanza evidente analizzando il contesto storico in cui è maturato: la guerra nella ex Yugoslavia, il lavoro per  l’ingresso di paesi dell’ex blocco comunista nella Nato (come Polonia e Lettonia), i rapporti ambigui tra blocco occidentale e paesi musulmani (Afganistan e Yemen). La verità sul caso Alpi fa ancora paura dopo 21 anni e quanto si è messo in campo per impedire che venisse alla luce,  comprese le inutili conclusioni della commissione presieduta da Carlo Taormina, la dice lunga sul livello delle responsabilità che ancora devono essere scoperte.

Basterebbe che ognuno gettasse la maschera.




ITALIA – La “Buona scuola” in seconda lettura al Senato. Continuano le proteste

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La battaglia continua: Gilda e Anief chiedono  un decreto legge sulle assunzioni degli insegnanti precari, mentre nelle piazze di tutta Italia si organizzano sit-in di protesta. “Uscite di casa con una maglia o un foulard rossi e con il vostro libro preferito in mano”, dicevano le ultime istruzioni lanciate sui social e diffuse attraverso sms, viber e whatsapp –
recatevi nella piazza prestabilita e aspettate che le gente si raduni. Alle 19:20- 19:30 disponetevi in file orizzontali parallele non troppo strette o troppo lunghe, oppure a scacchiera, come un esercito della conoscenza.  Ci disporremo in cerchio per evitare similitudini con le sentinelle in piedi.  Alle 19:35 – 19:40 tutti leggano contemporaneamente ad alta voce un passo del proprio libro, in modo da creare un momento suggestivo.  Alle 19:45 – 19:50 rimanete immobili e in silenzio con il libro stretto al  cuore, in una posa simbolica. Alle 19:55 si sciolgano le fila ordinatamente”.

Eccoli i lavoratori della conoscenza, non solo precari, in lotta contro l’ignoranza e l’opportunismo di chi vuole distruggere la Scuola pubblica, contro le parole distorte di chi sa di poter utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per  offuscare le menti. “Buona Scuola” perchè? Perchè quella proposta sarà effettivamente migliore di quella che c’è adesso?

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Nelle piazze della penisola italiana, in questi giorni, si discute e si danno indicazioni operative per  l´adesione allo sciopero proclamato da FLC Cgil, CISL scuola, UIL scuola, SNALS e GILDA,  in concomitanza  degli scrutini.

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Intanto, la commissione Istruzione e cultura di Palazzo Madama, riunitasi a margine degli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria, ha dato  il via alla discussione generale sulla “Buona scuola” di Renzi e Giannini con gli interventi dei  relatori, Francesca Puglisi (Partito democratico) e Franco Conte (Area popolare).

La seduta è durata circa un’ora. I lavori in commissione al Senato, che dovrà approvare il disegno di legge in seconda lettura, riprenderanno la prossima settimana (mercoledì 3 giugno). I sindacati e le associazioni di categoria continuano a protestare temendo peraltro che possano slittare le prime assunzioni di docenti previste già a settembre, mentre i partiti e i gruppi parlamentari continuano a chiedere modifiche che in parte sono già state attuate alla Camera rispetto al testo originario e altre dovrebbero essere apportate al Senato. “Il governo si fermi, non può ignorare il dissenso”, incalzano i parlamentari del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo componenti delle commissioni Cultura di Camera e Senato. “Il nostro compito – ha detto la relatrice del ddl Francesca Puglisi – è quello di lavorare per continuare a migliorare il testo sciogliendo – ha sottolineato – alcuni dubbi ancora presenti”.

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Ma c’è chi almeno sulle assunzioni insiste per un decreto legge d’urgenza. “Diamoci un tempo giusto – ha detto uno dei rappresentanti di Gilda ascoltati nel ciclo di audizioni, rispondendo alle domande al Senato sul ddl Buona Scuola – per parlare della riforma e presentare un decreto sull’assunzione del precariato”. Oltre allo stralcio delle assunzioni dal ddl viene chiesta anche l’eliminazione della nuova norma sulla “chiamata diretta”. Dello stesso avviso è l’Anief. “Il ddl sulla scuola – ha detto Marcello Pacifico, presidente Anief, in audizione congiunta della commissione Cultura e Istruzione di Montecitorio e Palazzo Madama – va obbligatoriamente rivisto. Tutti i precari – ha proseguito il sindacalista – devono essere assunti subito dallo Stato e non possono essere selezionati – ha sottolineato – da un preside manager di ogni istituto”.

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Nella foto, a sinistra, di fronte agli insegnanti in protesta, il preside del liceo scientifico A. Messedaglia di Verona, favorevole all’azione di sensibilizzazione davanti al teatro Ristori.




ITALIA – Scrutini illegali: i presidi li fissano prima della fine della scuola. I sindacati protestano

Dopo l’approvazione alla Camera dell’articolo 9 del Ddl della “Buona scuola” di Renzi, con 316 sì, 137 no e 1 astenuto (a favore hanno votato Pd, Area popolare, Scelta civica, Per l’Italia-Centro democratico, Psi, Minoranze linguistiche. Contrari M5s, Forza Italia, Lega, Sel, Fdi-An, Alternativa libera) i  presidi non si lasciano sfuggire l’occasione per mettere in atto i nuovi super poteri e, infischiandosene dello sciopero indetto nei giorni successivi al termine delle lezioni (data che varia in ogni regione)  dalle sigle sindacali Unicobas, Cobas e Usb, hanno anticipato le date degli scrutini alla prima settimana del mese, senza attendere la fine dell’anno scolastico per decidere la sorte degli studenti, privati in questo modo della possibilità di recuperare i voti insufficienti. Perché, per ritardare l’esito delle operazioni di valutazione degli alunni, non è necessario scioperare: basta applicare scrupolosamente la legge. Che consente ai docenti di pretendere la visione e la lettura degli elaborati degli alunni da valutare. Così da acquisire elementi certi per esprimere il proprio voto in sede di consiglio. Le valutazioni, infatti, sono sempre collegiali. Il docente della disciplina propone il voto. Ma la valutazione finale deve sempre essere frutto di una votazione. È prassi che tale votazione avvenga tacitamente, quando tutti i componenti il consiglio approvano la votazione. Ma, se anche un solo docente non è d’accordo, è obbligatoria la votazione espressa. In ogni caso, per poter esprimere il proprio voto in scienza e coscienza, ogni componente il consiglio ha il diritto di esaminare la documentazione sulla quale si fonda la proposta di voto del collega. La votazione, infatti, non è un mero processo meccanico, dovendo essere espressione di un ragionamento. Che va debitamente verbalizzato così da consentire, anche a distanza di tempo, la ricostruzione del processo che abbia portato alla formazione della volontà collegiale. Le norme che regolano la questione sono piuttosto vetuste, ma ancora in vigore.

Paradossalmente, dunque, le deliberazioni che venissero assunte dai consigli di classe dopo una lunga e approfondita discussione, basata sull’attento esame dei documenti riguardanti l’accertamento dei livelli di prestazione degli alunni, risulterebbero a prova di Tar. Non sono rari i casi di sentenze di annullamento degli esiti degli scrutini basate proprio sulla carenza di motivazione delle deliberazioni dei consigli di classe. Dunque, se gli insegnanti dovessero decidere di applicare la normativa vigente avvalendosi delle loro prerogative, gli scrutini potrebbero durare mesi interi. E nessuno potrebbe eccepire alcunché.

L’esercizio del diritto di sciopero è precluso solo nella misura in cui ciò determini ritardi negli scrutini delle classi terminali. In tutti gli altri casi, si può fare. A patto, però, che non comporti un differimento di oltre 5 giorni nella data di inizio delle procedure. Ed è proprio questa la strada che intendono percorrere i sindacati della scuola, così da continuare a tenere alta l’attenzione sulla protesta dei docenti nel pieno rispetto della legge.

Le organizzazioni sindacali, conformandosi a quanto già dichiarato dall’Autorità di garanzia, con riferimento all’articolo 3, lettera g, dall’Accordo sulla scuola del 1999, hanno esplicitamente escluso ogni forma di blocco degli scrutini per i cicli terminali del percorso scolastico (esami di terza media, maturità, abilitazioni professionali).

Perciò, per quanto riguarda  le astensioni dagli scrutini delle classi intermedie, l’Autorità di garanzia si riserva di decidere nei prossimi giorni, poiché sta valutando complessivamente le proclamazioni di sciopero, che stanno via via pervenendo, allo scopo di evitare che l’attuazione delle astensioni, possa produrre, in concreto, una violazione della normativa.

Intanto anche i lavoratori della conoscenza  stanno pensando ad altre forme di protesta.

“Nei prossimi giorni – ha dichiarato Pantaleo, presente alla manifestazione a Montecitorio, in concomitanza con l’approvazione alla Camera del DDL Scuola – bisognerà aprire le scuole, attraverso occupazioni simboliche, a un dibattito pubblico con le famiglie, gli enti locali, gli insegnanti. Penso che sarà necessaria una ulteriore giornata di mobilitazione nazionale”.

Un’altra proposta dei sindacati è quella di un’ora di sciopero durante l’iter di approvazione del testo in Senato.




ITALIA – Con l’Italicum meno partiti, ma più donne in parlamento

La nuova elegge elettorale entrerà in vigore nel luglio 2016 e sarà valida solamente per la Camera non per il Senato. Questo perché intorno a quella data dovrebbe svolgersi il referendum costituzionale in cui potrebbe essere abolito il Senato elettivo così come è oggi.
Se il referendum costituzionale dovesse essere respinto, il Parlamento dovrà pensare una nuova legge elettorale valida anche per il Senato.

L Italicum,  proposto nel gennaio del 2014 dal Partito Democratico su iniziativa del segretario Matteo Renzi, che nel frattempo è anche divenuto primo ministro,  ha subito diverse modifiche, fino a raggiungere la versione attuale. L’approvazione definitiva alla Camera è avvenuta con 334 voti favorevoli e 61 contrari. La maggior parte dei deputati dell’opposizione ha deciso di non partecipare al voto.

La necessità di una nuova legge elettorale si è palesata dopo che, nel dicembre 2014, la Corte Costituzionale ha stabilito l’incostituzionalità di alcune parti del cosiddetto Porcellum, la precedente legge elettorale, con cui la coalizione che otteneva più voti – indipendentemente dalla percentuale – si vedeva automaticamente assegnata la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera dei Deputati.
La coalizione vincente otteneva un premio di maggioranza potenzialmente di gran lunga superiore rispetto al numero di voti effettivamente raccolti.
Il che poteva anche risultare in una discrepanza potenzialmente eccessiva tra il numero di voti ottenuti e il numero di deputati eletti in parlamento.
L’Italicum ha come obiettivo quello di garantire la governabilità per la lista che vince le elezioni attraverso il premio di maggioranza – legittimato dall’eventuale ballottaggio – e di diminuire il potere contrattuale delle liste più piccole abolendo in toto il principio delle coalizioni.

Ogni lista potrà presentare i propri candidati in ciascun collegio: il capolista sarà bloccato – e quindi scelto dalla lista stessa – mentre tra gli altri candidati si potranno esprimere fino a due preferenze, purché siano di sesso differente: un uomo e una donna.

I candidati di ciascuna lista dovranno rispettare il criterio dell’alternanza di genere: quindi donna-uomo-donna-uomo-donna-uomo oppure uomo-donna-uomo-donna-uomo-donna etc.
Lo stesso varrà per i capi-lista bloccati: per ogni regione, ciascuna lista potrà avere capi-lista dello stesso sesso al massimo nel 60 per cento dei collegi.
Ciò vuol dire che in ciascuna regione italiana, i capi-lista uomini non potranno essere più del 60 per cento, ma né meno del 40 per cento. Stesso discorso per le donne.
La possibilità di candidarsi in più di un collegio è prevista per i soli capi-lista: per loro sarà infatti possibile presentarsi al massimo in dieci diversi collegi.
Qualora un capo-lista fosse candidato in più collegi e dovesse essere eletto in più d’uno, dovrebbe optare a sua scelta per uno solo di questi, e negli altri dove è arrivato primo gli subentrerebbe il primo dei non eletti. Non sono invece previste candidature multiple per gli altri candidati.
Fuori da questo schema vi saranno i collegi della regione italiana a statuto speciale del Trentino Alto-Adige, dove sarà utilizzato il sistema uninominale al fine di tutelare la minoranza linguistica tedesca.
Questo schema specifico attuato oggi in Trentino Alto-Adige è lo stesso che era in vigore, in tutta Italia, tra il 1994 e il 2001 con la legge elettorale del Mattarellum.
Anche la regione italiana della Val d’Aosta userà questo stesso sistema elettorale, come da sempre nella storia della Repubblica, eleggendo un solo deputato con l’uninominale maggioritario.
I voti di queste due regioni – Trentino Alto-Adige e Val d’Aosta – saranno comunque sommati a quelli delle altre a livello nazionale per raggiungere il premio di maggioranza, nonostante il diverso sistema elettorale.
Saranno inoltre eletti 12 rappresentanti della circoscrizione estero, scelti con il sistema proporzionale semplice nelle quattro circoscrizioni: – Europa; – America Meridionale; – America Settentrionale e Centrale; – Africa–Asia–Oceania–Antartide, tutt’una.
I voti ottenuti da ciascuna lista in queste circoscrizioni non verranno conteggiati al fine dell’assegnazione del premio di maggioranza dei 340 deputati alla Camera. Per questa ragione, i deputati eletti in queste circoscrizioni andranno ad aggiungersi a quelli già eletti con il premio di maggioranza in Italia.
In altri termini, la lista che ottiene il premio di maggioranza tra le circoscrizioni italiane potrebbe superare la soglia di 340 deputati eletti alla Camera grazie a quelli eletti all’estero.

La nuova legge elettorale permette per la prima volta il voto agli studenti che si trovano all’estero per un breve periodo di studio, come nel caso dell’Erasmus.

Oltre ai cittadini italiani residenti all’estero, potranno infatti votare tutti gli italiani che si troveranno provvisoriamente all’estero per un periodo di almeno tre mesi dovuto a ragioni di studio, lavoro o cure mediche.
I loro voti saranno espressi nella circoscrizione estero e contribuiranno a eleggere i 12 deputati di tale circoscrizione.

Nella scheda elettorale prevista dall’Italicum, di fianco al simbolo di ciascuna lista sarà stampato il nome del capo-lista, al lato del quale saranno presenti due spazi in cui inserire le due preferenze di diverso genere.




ITALIA – La toponomastica per misurare il sessismo delle città

di Marina Convertino

La toponomastica come scienza che studia i toponimi e i nomi di luoghi, così come l’abbiamo studiata e come siamo abituati a pensarla, nel 2012 vede un allargamento della prospettiva e una riconsiderazione radicale dei suoi confini, grazie all’idea di Maria Pia Ercolini docente e autrice di guide di genere, che semplicemente associando l’aggettivo ‘femminile’ al termine, rivela una verità presente da sempre, eppure da sempre ignorata: l’invisibilità delle donne in quello che è il catalogo delle memorie presente nelle strade.

A gennaio del 2012 viene fondato il gruppo Toponomastica femminile utilizzando il social network facebook: il gruppo cresce connettendo energie e competenze, allaccia relazioni strategiche e si sviluppa in maniera virale arrivando a superare oggi 8.000 adesioni di persone impegnate in uno studio di ricerca che investe sia il territorio nazionale che quello estero, catturando da subito la simpatia dell’opinione pubblica e l’interesse della stampa (da quella nazionale a testate straniere come la BBC e The Times).

Il lavoro collettivo, si muove  dal censimento di strade, piazze, giardini per evidenziare la disparità di genere esistente, articolandosi in breve tempo in numerosissime iniziative come  raccolte firme e campagne di sensibilizzazione per l’intitolazione di strade a protagoniste della scienza e della società civile.

Con le recenti scomparse di importanti donne di cultura, sono state avviate: “Una strada per Miriam” in onore di Miriam Mafai, “La lunga strada di Rita” per celebrare Rita Levi Montalcini, “Una Margherita sulle nostre strade” a sostegno di Margherita Hack e “Una scena per Franca” in ricordo di Franca Rame.

La campagna “8 marzo 3 donne 3 strade”, lanciata a un mese dalla fondazione del gruppo, è rivolta a tutti i Sindaci e le Sindache d’Italia con la richiesta di intitolare tre strade a tre donne: una figura di rilevanza locale, una di rilievo nazionale e una straniera, per unire le tre anime del Paese.

Per  approfondire la conoscenza delle partigiane che hanno contribuito alla liberazione dell’Italia e celebrare in ottica paritaria il 25 aprile parte il progetto “Partigiane in città” e  in occasione del 2 giugno il progetto “Largo alle Costituenti”, con l’intento di far riemergere dall’oblio  le madri costituenti.

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Attraverso una intensa collaborazione nell’ambiente virtuale della rete, la toponomastica è diventata all’improvviso un terreno fertilissimo di studio per misurare il sessismo che  caratterizza le città. Dai censimenti capillari condotti su tutti i Comuni italiani, si rileva un indice nazionale di femminilizzazione delle strade valutato intorno all’8%, vale a dire dodici strade dedicate a uomini per ogni intitolazione femminile, e si scopre che gli odonimi celebrativi contribuiscono a formare un immaginario collettivo fatto quasi esclusivamente di uomini illustri, che lascia uno spazio al genere femminile marginale e fortemente indirizzato verso figure religiose: sante e beate, madonne nelle diverse declinazioni, benefattrici e martiri cristiane. Poche le donne politiche, di scienza, di storia, d’arte.

Anche in Puglia, che è la regione dove molta attenzione viene dedicata alle politiche di genere e della quale ci occuperemo principalmente in questo spazio, alternando fotoreportage e articoli nazionali ed esteri, la ricerca sta facendo emergere una forte discriminazione nei confronti del genere femminile, scoprendo che  anche gli spazi urbani fatti di targhe stradali e commemorative, monumenti, pietre d’inciampo, riflettono una cultura androcentrica che non tiene conto di tanti nomi femminili meritevoli di essere ricordati.

Toponomastica femminile conduce una battaglia culturale di recupero della memoria femminile, scrivendo biografie femminili pubblicate su diverse testate on line e siti, che siano di supporto e di ispirazione alle Commissioni toponomastiche. Organizza ogni anno convegni nazionali e regionali, allestisce mostre fotografiche ricchissime di immagini provenienti dall’Italia e dall’estero; collabora con Wikipedia nella realizzazione di voci inedite. Con il supporto della FNISM – Federazione Nazionale Insegnanti – e il patrocinio del Senato della Repubblica, ha promosso il concorso “Sulle vie della parità” alla sua seconda edizione, rivolto a tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Il lavoro coinvolgente ed appassionante del gruppo, che già nei primi mesi di vita è riuscito a raggiungere molti dei suoi obiettivi e ha saputo coinvolgere le amministrazioni locali e la pubblica opinione,  ha consentito di raggiungere diversi riconoscimenti: Toponomastica femminile vince il  concorso “Nome dell’anno 2012” indetto dalla Rivista Italiana di Onomastica» (RION), l’VIII edizione del concorso nazionale DONNAèWEB, promosso da Tag Gender Art & Tecnologies e Cna Toscana per valorizzare la creatività femminile in rete e il premio nazionale Immagini Amiche promosso dall’UDI.

Toponomastica femminile oltre a essere presente su facebook, ha un suo sito dove è possibile consultare i dati dei censimenti delle varie province e le tante sezioni dedicate ai percorsi femminili ai progetti, alle biografie, alle proposte di intitolazione: http://www.toponomasticafemminile.com/.

Da dicembre di quest’anno il gruppo si è costituito formalmente in Associazione, alla quale rivolgiamo i nostri auguri perché forte delle sue radici consolidate, cresca ancora di più nell’attività di ricerca e di recupero della memoria storica delle donne, di divulgazione della cultura di genere, contribuendo in misura significativa alla  sensibilizzazione delle istituzioni e all’ apertura degli orizzonti delle giovani generazioni.

Buon 2015 da Toponomastica femminile!

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Marina Convertino

Associazione Toponomastica femminile – Referente Puglia

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