ITALIA – La fotografia del lavoro accessorio nel working paper INPS – Veneto Lavoro

Non ci sono evidenze statistiche che i voucher lavoro contrastino il sommerso né che il lavoro accessorio sia solo un impiego occasionale: l’analisi del working paper “Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015. Profili dei lavoratori e dei committenti”, a cura di Bruno Anastasia, Saverio Bombelli e Stefania Maschio ( (INPS – Veneto Lavoro) mette in luce i punti deboli dello strumento alla luce del suo recente boom: 1,4 milioni di buoni utilizzati nel 2015 (25mila del 2008), committenti a quota 473mila (10mila del 2008) nel 40% dei casi con utilizzo per più anni, costo del lavoro dello 0,23%, numero di lavoratori 8%.

Precariato
Il profilo medio dei lavoratori pagati con voucher: 36 anni, uomo o donna senza distinzioni, 60 buoni riscossi in media l’anno (478 euro netti, con un guadagno di 217 euro per un terzo del totale e punte di 2250 euro per un esiguo 2%) per i 4/5 con unico committente annuo.

Il gruppo più numeroso di prestatori di lavoro accessorio è rappresentato da occupati presso altre imprese (29%) ma la maggioranza è rappresentata da precari. Nel dettaglio: 23% disoccupati (età media elevata), 18% che percepiscono ammortizzatori sociali, 14% inoccupati, 8% pensionati e altrettanti che svolgono altro lavoro autonomo, parasubordinato ed operai agricoli. Insomma, come si legge nel rapporto:

«al netto dei pensionati, nella stragrande maggioranza non è tanto un popolo “precipitato” nel girone infernale dei voucher dall’Olimpo dei contratti stabili e a tempo pieno (Olimpo a cui spesso non è mai salito) ma un popolo che, quando è presente sul mercato del lavoro, si muove tra diversi contratti a termine o cerca di integrare i rapporti di lavoro a part-time».

La distribuzione geografica vede Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia in testa con il 43% dei voucher venduti. Il lavoro accessorio è caratterizzato da un’alta percentuale di turn over (quota nuovi lavoratori 60-70% annuo), tasso di ripetizione al 50%, prestatori “seriali” per periodi prolungati 20%.

Sommerso

La ricerca dimostra che non ci sono evidenze che provino una relazione positiva nei confronti del lavoro nero. Si può invece pensare, si legge nel rapporto:

«più che a un’emersione, a una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero. In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sott’acqua».

E se li abolissimo?
Se lo chiedono, in conclusione del rapporto, i ricercatori.

«Le forze sociali che chiedono l’abolizione dei voucher ritengono che gli altri strumenti esistenti (lavoro a termine, lavoro somministrato) siano idonei e sufficienti a organizzare (e quindi pagare) anche le varie forme di lavoro accessorio».

In realtà, più che il contrasto al lavoro nero, il punto a favore dei voucher risulta essere la sburocratizzazione del rapporto di lavoro. E da qui la domanda su quanto sia indispensabile regolarizzare a tutti i costi anche gli scambi di mercato di minimo importo.

“Per quanto riguarda le imprese, la risposta non può che essere positiva, perché non ci possono essere costi che non debbano essere documentati/registrati. Altrettanto non si può dire per gli scambi con elevata caratteristica di marginalità/frammentarietà tra lavoratori (più o meno marginali) e famiglie”.