TERRORISMO – Gli ultimi attentati in Egitto, Libia e Francia

EGITTO – Tre uomini armati hanno assaltato un resort a Hurghada, sulla costa egiziana del Mar Rosso. Lo scrive il sito del quotidiano egiziano Al Ahram. I tre sarebbero arrivati dal mare, hanno sparato all’ingresso di un hotel di lusso usato da turisti a Hurghada, il Bella Vista.

Il commando avrebbe cominciato a sparare all’entrata dell’hotel contro i presenti, per poter penetrare all’interno. Alcuni uomini della polizia presenti sul posto avrebbero ucciso uno, o forse più, uomini armati.

Un attentato simile a quello del giugno scorso a Sousse, in Tunisia, che aveva fatto 38 vittime.

LIBIA – Sarebbero decine le vittime dell’attentato messo a segno  contro un centro di addestramento della Guardia costiera a Zliten, a Ovest di Misurata, in Libia.

E’ quanto riporta il sito Libya Observer, secondo cui erano circa 400 le reclute presenti nel campo al momento dell’esplosione. “E’ un massacro”: così testimoni hanno descritto l’attacco suicida.

Nell’attacco sono morte almeno 40 persone, ha scritto Reuters citando il sindaco di Zliten. Altre fonti parlano di un numero di vittime molto maggiore. Alcuni siti libici riferiscono di oltre 100 vittime. Secondo l’agenzia di stampa libica Lana, vicina al governo di Tobruk, ci sarebbero almeno 15 morti e 30 feriti, mentre l’agenzia rivale del governo di Tripoli ha riferito di almeno 50 morti e 127 feriti.

Lo Stato islamico (Isis) ha rivendicato l’attacco kamikaze. Sull’agenzia Amaq, uno dei media ufficiali del califfato, si afferma che l’attentato è stato messo a segno “da uno degli eroi dello Stato islamico a Zliten”.

Il ministero della Sanità ha dichiarato lo stato di emergenza a Tripoli e Misurata per fronteggiare l’alto numero di morti e feriti. Immediata la condanna dell’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler.

L’attentato è avvenuto attorno alle 8 quando circa 400 reclute erano impegnate nelle esercitazioni nel campo di addestramento della Guardia costiera; l’esplosione è stata avvertita anche a Misurata, secondo quanto riportato dal Libya Observer, che si trova 60 chilometri a Est di Zliten.

FRANCIA – Ha scelto il giorno dell’anniversario della strage di Charlie Hebdo un ventenne di origini marocchine che oggi ha cercato di introdursi all’interno del commissariato di rue de la Goutte d’Or, nel 18esimo arrondissement, a Parigi. Un tentativo che è stato subito fermato. Erano le 11,30 quando ha urlato “Allah Akbar”, “Allah è grande”, nel tentativo di aggredire un agente. Voleva vendicare le vittime siriane, ma è stato ucciso dai proiettili della polizia. Aveva una cintura esplosiva finta, un’imitazione, un coltello, un pezzo di carta con disegnata la bandiera dell’Is e una rivendicazione manoscritta in arabo. Nel testo parlava della sua volontà di “vendicare i morti in Siria”, e giurava fedeltà all’autoproclamato califfo dell’Is.




LIBIA – Richiesta di riscatto per i 4 italiani rapiti

I quattro italiani rapiti in Libia sono vivi e nelle mani di un gruppo di malviventi che chiedono soldi. Nessun intento politico o richieste di scambi con scafisti nelle nostre galere, attraverso i mediatori dell’intelligence è arrivata la richiesta di riscatto per la liberazione di Gino Pollicardo, Fausto Piano, Filippo Calcagno e Salvatore Failla, i quattro tecnici sequestrati il 20 luglio nella zona di Mellitah.

Il sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti ha scartato nettamente l’ipotesi che i rapitori siano legati in qualche modo ai trafficanti arrestati nelle settimane scorse in Italia e che il sequestro possa essere utilizzato come “merce di scambio” per ottenere dall’Italia il rilascio dei detenuti. E’ una “via impercorribile” e quindi va esclusa. Minniti, nel corso di un’audizione al Copasir, ha detto che siamo di fronte a un sequestro a scopo estorsivo e quindi, pur nella difficoltà della situazione, la vicenda è più facilmente gestibile.

Il pericolo semmai è legato ad un allungamento dei tempi del sequestro oppure alla difficoltà di individuare le fonti con cui interloquire in Libia, fonti che siano attendibili e che possano portare in tempi rapidi a una soluzione della vicenda. L’incubo ovviamente è che i quattro possano essere venduti ad organizzazioni jihadiste in qualche modo legate all’Isis.

Il premier di Tripoli Khalifa al Ghweil ha considerato anche lui “molto scarsa” la probabilità che il rapimento abbia una relazione con i trafficanti. Al Ghweil è convinto che gli autori possano essere “criminali che vogliono turbare le relazioni che vogliamo instaurare con l’Italia”. Ma è il caos politico nel Paese che rende per l’Italia più complicata la vicenda. Il premier di Tripoli non è infatti il governo riconosciuto a livello internazionale. Cosa che invece è il governo di Tobruk. E quindi le parole di Khalifa al Ghweil possono essere interpretate anche come un “avvertimento”.

Gentiloni: “Serve prudenza” – Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni dal canto suo ha chiesto “prudenza e riserbo per riportare a casa” gli italiani e ha invitato a “non inseguire il carosello di rivendicazioni, ipotesi e retroscena che vengono fatti in modo più o meno strumentale”. Sulla stessa linea il titolare del Viminale Angelino Alfano.

Intanto a Sirte, dove negli ultimi mesi si è rafforzata la presenza dell’Isis, si sono verificati violenti combattimenti tra la Brigata 166 dei Fratelli Musulmani e gruppi affiliati allo Stato Islamico. Critica la situazione anche a Bengasi, dove si susseguono gli scontri fra l’esercito e formazioni islamiste.




SIRIA – L’Isis rapisce ancora: 86 eritrei e una bambina assira

In Libia si regista un altro rapimento di cristiani da parte dell’Isis, lo annuncia Meron Estefanos, la direttrice della ong svedese Eritrean Initiative on Refugee: 86 migranti eritrei, tra i quali 12 donne e bambini, di religione cristiana sarebbero stati sequestrati mentre erano in viaggio verso Tripoli. I jihadisti avrebbero separato i cristiani dai migranti musulmani dopo averli interrogati sul Corano, e hanno lasciato questi ultimi liberi.

Sono stati 3480 i migranti salvati  in 15  barconi alla deriva al largo della Libia in un’operazione congiunta alle quale hanno partecipato navi italiane e straniere. Le richieste di soccorso erano giunte in mattinata alla centrale operativa della Guardia Costiera tramite telefono satellitare. Le imbarcazioni, 9 barconi e 6 gommoni, si trovavano in un tratto di mare a circa 45 miglia dalle coste libiche. In particolare, SkyNews ha riferito che la nave inglese Hms Bulwark, con a bordo il ministro della Difesa, Michael Fallon, ha fatto rotta «a tutta velocità» verso la Libia per prendere parte a un’operazione di salvataggio di «migliaia» di migranti alla deriva nel Mediterraneo su 14 barconi, ciascuno con a bordo decine o centinaia di persone.

Si è trattato di un’operazione senza precedenti, con tutte le navi europee dell’area che hanno ricevuto l’ordine di lanciarsi al soccorso, sostiene Skynews. Fallon aveva comunque chiesto che anche «altre marine europee vengano nel Mediterraneo ad aiutare». La maggioranza dei migranti sarà sbarcata in Italia, in Grecia, a Malta o in altri paesi rivieraschi: proprio la Gran Bretagna, infatti, si è già chiamata fuori da ogni ipotesi di ripartizione di quote di migranti.
Anche Moas e Medici senza Frontiere al lavoro: 2000 già in salvo
Alle operazioni di soccorso hanno partecipato tre motovedette e un aereo ATR42 della Guardia Costiera, unità della Guardia di Finanza e della Marina Militare Italiana, il rimorchiatore Phoenix, le navi della Marina militare tedesca Hessen e Berlin e la nave Le Eithne appartenente alla Marina militare irlandese, ma anche le unità di Moas (Migrant Offshore Aid Station, l’Ong maltese fondata da Christopher e Regina Catrambone) e Medici Senza Frontiere, e proprio il Moas segnala che il coordinamento dei soccorsi tra navi italiane, tedesche e irlandesi ha salvato 2000 persone da 5 scafi. Di queste, 372 provenienti dall’Eritrea sono ora imbarcate sulla Phoenix e già dirette verso la Sicilia.

Tra gennaio e maggio l’Italia ha registrato circa 46.500 arrivi, registrando un incremento del 12% rispetto allo stesso periodo del 2014. Lo ribadisce lo stesso Unhcr. Le proiezioni per il 2015 riguardano circa 200.000 persone, contro il 170.000 dello scorso anno. E domenica, nel primo pomeriggio, arriveranno altri 650 migranti al porto di Palermo: sono stati soccorsi nei giorni scorsi nel Canale di Sicilia e saranno ospitati nei centri di accoglienza di Palermo e provincia. Altri 105, prevalentemente nigeriani, somali o del Burkina Faso, sono giunti a Pozzallo già sabato pomeriggio con una nave militare, mentre altri 106 sono sbarcati a Lampedusa dopo essere stati soccorsi dalla Guardia di finanza. Non fanno parte del conteggio dei circa 3.000 in difficoltà.

SIRIA – «I miliziani avevano intimato a tutti i cristiani di lasciare il villaggio, altrimenti sarebbero stati uccisi. Nonostante questo, noi avevamo deciso di rimanere nella nostra casa. Il 22 agosto ci hanno fatti salire con la forza su un autobus dicendo che ci portavano nella clinica di Qaraqosh. Dopo, hanno aperto le nostre borse in cerca di soldi e di gioielli. Un uomo dell’Isis si è accorto che tenevo Cristina tra le braccia e l’ha presa con la forza. Supplicavo di riavere mia figlia ma l’unica risposta è stata: “Sali sull’autobus o ti ammazzo”. Non ho potuto fare niente». Aida Ebada appartiene alla comunità dei cristiani assiri della piana di Ninive, in Iraq, culla storica del cristianesimo mesopotamico. Il Califfato li ha derubati e umiliati, cacciati dalle case e dalle chiese, e in alcuni casi portato via anche i loro bambini, come Cristina di tre anni.
L’appello
A Erbil, in un campo profughi dove alla fine Aida è scappata con il marito e gli altri quattro figli, una delegazione di frati della Basilica di San Francesco d’Assisi ha ascoltato la sua testimonianza. Il dolore di questa madre li ha spinti a lanciare un appello con l’hashtag #savecristina: Salvate Cristina. Le missioni e le mense francescane d’Italia intanto hanno attivato il numero solidale 45505 dal 7 al 26 giugno per aiutare i profughi in Iraq.

Con la foto incorniciata della bambina in mano e il volto quarantatreenne sfigurato da rughe centenarie e occhiaie profonde, la madre ripete da dieci mesi il racconto del rapimento. L’ha denunciato alla tv irachena, ne ha parlato a numerosi siti cristiani, lo ha spiegato agli attivisti di Amnesty International. Non ha intenzione di smettere. La vicenda di Cristina è una delle numerose violenze contro i minorenni avvenute in questi mesi nel califfato.

Lo scorso febbraio, diciotto esperti del Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia hanno denunciato che «i bambini delle minoranze etniche e religiose vengono uccisi sistematicamente dall’Isis: ci sono stati ripetuti casi di esecuzioni di massa, come pure notizie di decapitazioni, crocifissioni e di minorenni sepolti vivi». Le vittime appartengono soprattutto a minoranze, come gli yazidi e i cristiani, ma sono anche sciiti e sunniti. Il rapporto denunciava la vendita dei bambini come schiavi e le violenze sessuali sistematiche. Secondo alcune testimonianze, i piccoli schiavi al mercato di Mosul vengono «esposti con i cartellini con il prezzo» e quello più alto è riservato a maschi e femmine di età compresa tra uno e nove anni (proprio come Cristina). La madre chiede al mondo di non restare indifferente. «Queste cose che stanno succedendo in Iraq, come rapire una bambina innocente, e questi crimini come rubare il denaro, togliere tutto alla gente… che cos’è tutto questo? Questo non è umano. Che cosa abbiamo fatto di male? Restituitemi mia figlia».




MEDITERRANEO – Mamma Africa piange 700 figli. La loro storia di fame e sofferenza

Mama Africa basita piange le sue 700 vittime annegate in mare, mentre erano dirette in Italia con un bagaglio fatto di speranze e sogni. Fuggivano dalla guerra e dalla fame rincorrendo il miraggio di una vita dignitosa, ma tutti i loro desideri se li è presi il mare, che sta diventando ogni giorno di più un cimitero sottomarino, raccogliendo numerose vittime. Solo in pochi riescono ad arrivare in Italia, ma il loro calvario non ha inizio sui barconi della morte, bensì quando essi decidono di fuggire dal loro paese d’origine. I loro parenti vendono i pochi averi che posseggono per poter permettere ad essi d’intraprendere il viaggio alla volta di Tripoli, dove potranno acquistare il biglietto della nave. Al fine di raggiungere la Libia devono attraversare il deserto, spesso capita loro di scorgere i cadaveri di uomini che prima di essi hanno tentato di attraversarlo. Vengo adescati da uomini senza scrupoli che offrono dei passaggi verso Tripoli in cambio di denaro, ma spesso li conducono in altre località per poter spillare loro altro denaro, molti uomini vengono picchiati, le donne violate, infatti molte di esse giungono sulle coste italiane in evidente stato di gravidanza. Quando finalmente riescono a giungere a Tripoli, acquistano i biglietti che si dividono in tre tipologie di classi, i passeggeri dell’ultima classe vengono stipati nelle stive, la maggior parte di essi muore a causa delle esalazioni di monossido di carbonio, quelli che invece viaggiano in prima classe, se hanno qualche dollaro in più possono “permettersi” di acquistare un giubbotto di salvataggio. Giunti in Italia chiedono asilo politico e vengono smistati in centri d’accoglienza, in cui alcuni senza scrupoli spesso li trattano come se fossero solo mera fonte di guadagno. Gli ultimi della terra, devono persino subire il disprezzo di alcune forze politiche italiane che puntualmente calpestano la loro dignità di uomini, ma per comprenderli dovrebbero indossare i loro abiti ed intraprendere lo stesso viaggio.

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Masse di profughi e pirateria. I Jihadisti trafficano morte nel Mediterraneo

La notizia più terribile della settimana  è quella del peschereccio di soli 30 metri con più di 700 persone a bordo affondato a una settantina di chilometri a nord delle coste libiche, mentre era diretto verso la Sicilia.  Il peschereccio si sarebbe capovolto quando stava per essere raggiunto da una nave commerciale, la King Jacob, allertata dalla Guardia Costiera. Sono solo 28 i sopravvissuti. Più di due volte il naufragio di Lampedusa.

Ma l’indignazione nasce ricordando che la tragedia è in atto nell’indifferenza generale dall’inizio del 2015. Con l’Unione Europea che non trova motivi d’urgenza per modificare nè le limitazioni dell’operazione Triton (pattugliamento limitato alle acque di Schengen), nè gli accordi di Dublino sull’accoglienza dei richiedenti asilo.

I morti del Mediterraneo sono le vittime di una guerra feroce nella quale ci nascondiamo, dopo aver ceduto ai trafficanti di morte il monopolio sulle coste nordafricane e su vasti tratti del nostro mare.

Lo dimostra anche l’episodio del peschereccio siciliano che è stato attaccato e poi sequestrato da uomini armati che lo hanno abbordato con un grosso rimorchiatore. Il motopesca “Airone”, del compartimento marittimo di Mazara del Vallo si trovava a 30/40 miglia dalla costa della città libica di Misurata quando è stato dirottato verso il paese nordafricano. A dare l’allarme via radio alla Guardia costiera è stato un altro peschereccio siciliano che si trovava a poca distanza dall’Airone.

L’imbarcazione che ha abbordato il peschereccio non aveva contrassegni militari o simili.

Non è un caso isolato: per decenni motopescherecci italiani sono stati sequestrati dalle autorità di Tripoli, ma perché veniva contestato lo sconfinamento in acque territoriali libiche. Ora, però, il timore principale è che il motopesca possa essere stato sequestrato da miliziani jihadisti che controllano una parte del paese.

La Libia è stata terra di pirati dalla fine del Settecento, al punto che i Marines vi sbarcarono nel 1805 per un’incursione di terra ancora oggi ricordata nel loro inno, e può tornarlo perché la cattura di navi commerciali in transito è la forma più agile per trovare risorse. Basti pensare che davanti alle coste libiche passa il traffico marittimo che collega Gibilterra al Canale di Suez, ovvero l’Atlantico all’Estremo Oriente.

Le coste fra Derna e Sirte, area di insediamento jihadista, offrono facile riparo a possibili barchini che, sul modello degli Al Shabaab, potrebbero minacciare le rotte nel Mediterraneo Centrale trasformandosi in una fonte di auto-sostentamento per qualsiasi gruppo terroristico o clan criminale. Uno dei principi su cui si basa lo Stato Islamico è mantenersi con le risorse trovate in loco, come è nella tradizione delle tribù del deserto, e in Libia si tratta del mare e del greggio. Da qui lo scenario anche del possibile uso delle acque antistanti alla Libia per traffici illeciti di petrolio da vendere sul mercato nero e armi da importare da ovunque, in maniera analoga a quanto i jihadisti riescono attualmente a fare lungo il confine fra lo Stato Islamico – ex Siria-Iraq – e la Turchia di Recep Tayyp Erdogan.
Per questo è stato presentato  al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il rapporto di un gruppo di esperti che sostiene la necessità di una «forza marittima internazionale» per sorvegliare le coste libiche «visto che il governo in carica è impossibilitato a farlo». Lo scenario di un Golfo della Sirte in balia dei barchini-kamikaze dei jihadisti trasformato in piattaforma di traffici illegali di armi e petrolio nel Mediterraneo è una prospettiva da far tremare i polsi, divenuta reale a causa del collasso delle autorità di Tripoli e dell’insediamento lungo la costa di gruppi, clan, tribù e cellule di fedeltà diversa ma accomunate dalla volontà di aumentare i profitti.
È in tale cornice che l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati  ha avvertito l’Unione Europea sulla verosimile possibilità di un «aumento massiccio» dell’immigrazione clandestina dal Maghreb: se nel 2014 gli arrivi sono stati 220 mila il numero potrebbe moltiplicarsi per l’estensione delle aree di instabilità e l’aumentata capacità dei trafficanti di gestire i flussi.
È l’intero Mediterraneo a dover fare i conti con i pericoli libici.

Perchè l’Ue non agisce e consente stragi di massa voltandosi dall’altra parte?




LIBIA – A Parigi, riunione dei ministri degli Esteri del gruppo Med. Scaroni:”Sostegno ai Paesi vicini, soprattutto all’Egitto”

Il caos Libia e le nuove minacce Isis, oggi a Parigi riunione dei ministri degli Esteri del gruppo Med, con Gentiloni, mentre dagli Stati Uniti l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue, Federica Mogherini, assicura che sta arrivando arrivato un sostegno forte alla mediazione che sta conducendo l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu, Bernardino Leon, per un governo di unità nazionale” in Libia. Sul territorio la situazione resta grave: tre autobomba sono esplose ad Al Qubah una cittadina nell’est della Libia causando danni e anche “perdite” di vite umane. Una delle esplosioni ha colpito un edificio dei servizi di di sicurezza, precisano le fonti. Al Qubah si trova ad una quarantina di chilometri ad ovest di Derna, la città trasformata in Califfato da jihadisti affiliatisi all’Isis. Intanto migliaia di egiziani sono bloccati, in territorio libico, al valico tunisino di Ras Jedir e non riescono a passare la frontiera per cercare di rientrare nel Paese d’origine. Alcune centinaia di cittadini egiziani (che in precedenza lavoravano in Libia, da dove ora cercano di scappare) sono diretti verso l’aeroporto di Djerba Zarsis, da dove dovrebbe partire un ponte aereo per rimpatriarli.

Renzi, Italia solida contro minacce – “L’Italia è un grande Paese in condizione di affrontare qualsiasi tipo di minacce”. Matteo Renzi utilizza la platea della trasmissione di Rai 2, Virus, per mandare pochi e miratissimi messaggi sul ruolo e la strategia di Roma in merito alla situazione in Libia e ai rischi di attacchi terroristici da parte dell’Isis. “L’Italia è forte ed in condizione di reggere ma non intende avviare avventure belliche”. Il problema va affrontato con “grande decisione” ma senza cedere all’isteria collettiva. “Preoccupazione sì , sottovalutazione della situazione no ma non siamo assediati, non abbiamo quelli con i coltelli dietro le porte”, tranquillizza il premier rimarcando che il problema, per certi versi, non viene dall’esterno ma dall’interno: non a caso – spiega- gli attentatori in Francia e a Copenaghen, sono nativi di quei luoghi. Così come l’Isis non e’ strutturalmente in Libia ma un fenomeno accresciuto anche grazie alle moderne tecnologie di comunicazione, come Internet, per esempio. Da qui la massima esigenza di lavorare diplomaticamente per ottenere il consenso internazionale, quindi anche da parte di paesi come la Cina e la Russia, per giungere ad una soluzione che porti la pace nel paese nordafricano. “In Libia c’è il rischio di un “franchising del terrore con gruppi locali che decidono che la bandiera dell’Isis ha più visibilità” e quindi si uniscono ai jihadisti. Lo ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a Porta a Porta, sottolineando che l’Isis ha un “marchio lugubre dall’alto valore simbolico”.

Paolo Scaroni, vice presidente di Rothschild group e per nove anni numero uno dell’Eni, da profondo conoscitore del Paese nordafricano non ritiene ancora drammatica la situazione, che può essere risolta anche senza un’azione militare dell’Italia e dei Paesi alleati. «Più che immaginare un intervento, mi immagino un forte sostegno ai Paesi vicini, soprattutto l’Egitto». Scaroni ritiene che la missione militare avesse senso tre anni fa. «Sarebbe servito a disarmare tutte le milizie in Libia. Ma al punto in cui siamo, concordo con il premier Renzi, per un intervento servono 100mila uomini».

Obama: “Guerra a terrore non all’ Islam”.

Isis : “Arriviamo a Roma” – “#We Are Coming to Rome”, stiamo arrivando a Roma. La nuova minaccia dell’Isis all’Italia arriva con un hashtag su Twitter, e alimenta le preoccupazioni per la situazione in Libia, sempre più caotica. Una “situazione esplosiva”, come l’ha definita Federica Mogherini, ministro degli Esteri della Ue. Così mentre a New York, nella sede dell’Onu, si lavora incessantemente per trovare una soluzione alla crisi che infiamma la sponda sud del Mediterraneo, a Washington – dove i rappresentanti di 60 Paesi si sono confrontati sulle strategie anti-Isis – il segretario di Stato americano John Kerry si è incontrato per parlare di Libia proprio con la Mogherini e il ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukri, alla presenza del numero uno dell’Onu Ban ki-Moon. Proprio l’Egitto, intanto, ha presentato una bozza di risoluzione alle Nazioni Unite che prevede anche l’uso della forza militare in Libia se necessario. Un’opzione che però al momento non sembra essere presa in considerazione, almeno stando alla discussione avvenuta in seno al Consiglio di sicurezza. Discussione che ha rafforzato il fronte dei sostenitori della via diplomatica. La priorità numero uno è quella di mettere insieme le varie fazioni che si confrontano in Libia in un contesto di unità nazionale contro le forze del terrore. Come emerso anche da una riunione a New York dell’Intenational Crisis Group sulla Libia composto da rappresentanti di Usa, Francia, Regno Unito, Italia, Germania, Spagna, Ue e Onu.

Alfano ha parlato della minaccia di infiltrazioni con i barconi di immigrati. “Non c’e’ traccia reale di un nesso tra immigrazione e terrorismo. Ma non si puo’ escludere nulla”. A confermare le sue parole arriva da Londra la notizia che una donna di 25 anni di Birmingham è stata arrestata all’aeroporto londinese di Heathrow appena scesa da un volo in arrivo dalla Turchia ed è stata accusata di terrorismo. Al Qaida, ha detto Obama, “e’ una sfida per il mondo intero, non solo per l’America”. La forza militare non e’ pero’ sufficiente, ha affermato il presidente americano. E’ necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online “fanno il lavaggio del cervello” ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti”, ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani. Il Cairo però preme per una risposta muscolare.

L’Egitto non rinuncia però ad esercitare pressioni. C’è il rischio che “barconi pieni di terroristi” arrivino sulle coste italiane, ha avvertito l’ambasciatore egiziano a Londra, Nasser Kamel, mentre il premier libico Abdallah al Thani ha a sua volta affermato che membri dell’Isis e di Boko Haram hanno raggiunto o stanno raggiungendo i gruppi terroristici in Libia, che a loro volta si starebbero avvicinando al confine con la Tunisia. Una figura di spicco dell’Isis in Libia, Abu Arhim al-Libim, afferma invece che l’Isis vuole infiltrarsi sui barconi di immigrati nel Mediterraneo e attaccare le “compagnie marittime e le navi dei Crociati”, almeno stando a dei presunti ‘piani segreti’ contenuti in un documento di cui il think tank anti terrorismo Quilliam di Londra è entrato in possesso. Difficile capire se si tratti di propaganda o strategia. Di certo, ha affermato Obama, è necessario “aiutare il mondo musulmano a sviluppare dei social media che contrastino la propaganda degli estremisti su Internet”, dove “gruppi come al Qaida e l’Isis propagandano una visione della religione respinta dalla stragrande maggioranza dei musulmani”.

Riepilogo

È di «155 combattenti dell’Isis uccisi e 55 catturati» il bilancio del blitz via terra delle forze egiziane a Derna. Lo riferiscono numerosi media egiziani citando le informazioni diffuse da Moustafa Bakry, un influente editorialista. Per il momento l’Esercito egiziano non conferma. Il blitz «è stato condotto da truppe elitrasportate».

Escalation nella guerra egiziana all’Isis in Libia. Forze speciali del Cairo hanno compiuto un’incursione terrestre a Derna, la città dichiaratasi Califfato dell’Isis nell’est del Paese. Lo riferiscono fonti libiche ed egiziane. Le stesse fonti precisano, senza fornire altre dettagli, che nel blitz i militari hanno «catturato 55 elementi del Daesh». Già ieri i media avevano riferito che, dopo i raid aerei l’Egitto stava, prendendo in considerazione attacchi di terra. In particolare era stata evocata la «task force 999», un’unità speciale per operazioni internazionali, da inviare in coordinamento con le forze di sicurezza libiche. E oggi si è registrato il primo attacco via terra.

Almeno cinque civili sono morti sotto i bombardamenti aerei dell’esercito egiziano contro le postazioni dello Stato Islamico, in Libia. Lo riferisce una fonte della sicurezza della citta’ di Bengasi.
Secondo la fonte, tre delle vittime erano bambini e due donne, tutte abitanti della citta’ di Derna, situata a 1.300 chilometri a est di Tripoli. I bombardamenti sono scattati questa mattina all’alba contro obiettivi dell’Isis in Libia, in risposta alla barbara uccisione dei 21 cristiani copti egiziani a Tripoli.
Hollande e Sisi: “Urge riunione consiglio sicurezza Onu”.
Sale dunque la tensione nel paese nordafricano, mentre la notte scorsa sono sbarcati in Sicilia i primi italiani rimpatriati dalla capitale libica, dove la situazione e’ molto critica. Nel video diffuso ieri sulla decapitazione dei copti, i jihadisti dello Stato Islamico hanno minacciato direttamente l’Italia: “Prima ci avete visiti in Siria, ora siamo qui, a sud di Roma”. I bombardamenti dell’Egitto sono stati confermati dalla tv di Stato, dopo che il presidente Abdel Fattah al-Sisi poche ore prima aveva annunciato che l’Egitto si riservava “il diritto di rispondere”. I caccia egiziani hanno colpito campi di addestramento e magazzini di armi.
Alfano da’ l’allarme: “Subito intervento in Libia”.
Intanto il presidente al Sisi ha incaricato il ministro degli Esteri, Sameh Shukri, di andare “immediatamente” a New York per le riunioni necessarie all’Onu e nel Consiglio di Sicurezza e chiedere una reazione internazionale. Secondo Sisi, Shukri porra’ la comunita’ internazionale di fronte alle “sue responsabilita'” perche’ prendano le “misure adeguate” per far rispettare la carta delle Nazioni Unite, tenendo conto che tutto quello che sta succedendo in libia “e’ una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”.
Papa, “Copti assassinati solo perche’ cristiani”.
L’emittente ha citato il comunicato con cui l’esercito del Cairo ha dato l’annuncio: “Le nostre forze armate lunedi’ hanno effettuato attacchi aerei mirati in Libia contro i campi Daesh (l’acronimo in arabo con cui viene indicato l’Isis, ndr.), i luoghi in cui si riuniscono e i campi di addestramento e i depositi di armi”. La tv di Stato ha anche mostrato le immagini degli aerei da combattimenti egiziani che decollavano per andare a compiere i raid. Il comando dell’aviazione del Cairo ha fatto sapere che i caccia egiziani sono partiti all’alba e sono tutti rientrati regolarmente alla base, colpendo campi di addestramento e magazzini di armi del gruppo jihadista. L’aviazione egiziana sostiene di aver colpito tutti gli obiettivi rispettando i piani. Anche i caccia dell’aviazione militare libica, fedele al generale Khalifa Haftar, hanno partecipato ai raid aerei. Lo riferisce l’emittente televisiva al Arabiya.
Intanto saranno trasferiti stamattina a Roma gli italiani rimpatriati dalla Libia e approdati la notte scorsa nel porto di Augusta (Siracusa), accompagnati dall’ambasciatore Giuseppe Buccino Grimaldi. Il catamarano noleggiato dal governo italiano ha attraccato a mezzanotte e mezzo e lo sbarco dei nostri connazionali e’ avvenuto in un’area circondate dalle forze dell’ordine, che hanno tenuto a distanza i giornalisti. Solo un siciliano, un tecnico di Siracusa, e’ uscito dal porto ed e’ stato possibile avvicinarlo. Ai cronisti ha detto che “la situazione a Tripoli e’ critica”, e alla domanda se nella citta’ ci fosse gia’ l’Isis ha risposto: “Questo lo dice pure la televisione”. Dopo la notte in Sicilia, per i rimpatriati stamattina il trasferimento a Roma con un volo dell’Aeronautica militare dalla base di Sigonella, nei pressi di Catania.

Una Libia politicamente spaccata in due e attraversata da milizie armate e jihadisti che con l’Is sono avanzati nelle ultime settimane da est a ovest. Questa  la mappa delle forze in campo.

JIHADISTI IS – È stata Derna, ex provincia dell’Italia coloniale sulla costa orientale del Paese, la prima città libica a giurare fedeltà allo Stato islamico e al califfo Abu Bakr al Baghdadi, lo scorso autunno. Inizialmente circoscritta a Derna, con poche centinaia di uomini tra cui iracheni e yemeniti e campi di addestramento sulle Montagne verdi della Cirenaica, la presenza dei jihadisti si è spostata nelle scorse settimane a Tripoli, dove il 27 gennaio ha compiuto un sanguinoso attacco all’hotel Corinthia. Di pochi giorni fa, la notizia dell’ingresso di uomini di Baghdadi a Sirte e in altre località dell’ovest del Paese.

ANSAR AL SHARIA (alleati Is) – Nati sulle ceneri della rivolta del 2011 di ispirazione qaedista, i Partigiani della Sharia oggi alleati dell’Is controllano le città di Bengasi e di Sirte. Sono ritenuti responsabili dell’attacco al consolato Usa a Bengasi dell’11 settembre 2012 in cui morì l’ambasciatore americano Chris Stevens e altri tre statunitensi. Il gruppo è inserito nella lista nera di Usa e Onu delle organizzazioni terroristiche.

FORZE REGOLARI E GOVERNO LEGITTIMO a Tobruk – In Cirenaica, a Tobruk e Baida, si è autoesiliato in agosto per motivi di sicurezza il governo transitorio di Abdullah al Thani, espressione della Camera dei rappresentanti, il parlamento eletto il 25 giugno scorso, entrambi riconosciuti come legittimi dalla comunità internazionale. Il governo Al Thani è sostenuto dalle forze regolari libiche, nelle cui file è stato riassorbito l’ex generale Khalifa Haftar, che da mesi guida l’operazione militare Dignità contro Ansar al Sharia a Bengasi e Is a Derna, e quella contro le milizie filo-islamiche della coalizione Fajr Libya (Alba della Libia) a Tripoli. A fianco delle istituzioni di Tobruk si sono schierati l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti, entrambi indicati come responsabili di raid aerei sulle milizie di Tripoli sin dall’estate del 2014.

FAJR LIBYA E GOVERNO PARALLELO (islamista) a Tripoli – Dopo la battaglia di agosto contro i rivali di Zintan (oggi fedeli a Tobruk) per il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli, Fajr Libya (principalmente composta dagli ex ribelli di Misurata) ha imposto nella capitale un governo parallelo, denominato “di salvezza nazionale” e guidato da Omar al Hassi, esponente dei Fratelli musulmani, appoggiato dalla Turchia. Le milizie hanno riportato in vita anche il Congresso nazionale libico, l’ex parlamento il cui mandato è scaduto da tempo. Il 6 novembre scorso una contestata sentenza della Corte Suprema ha definito “illegittimo” il parlamento di Tobruk e il suo governo. Il Qatar è stato accusato di fornire armi e approvvigionamenti alle milizie filo-islamiche e di condurre una “guerra per procura” contro gli Emirati.