ITALIA – Passeggiata parmense tra donne e democrazia

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FOTO 1 – Pianta di Parma

Dalle “fattrici di figli” di mussoliniana memoria alle partigiane, dalle cittadine del 2 giugno 1946 alle femministe degli anni Settanta, la voce delle donne è ciò che più di ogni altra ha saputo cambiare la nostra società, distruggendone la millenaria struttura patriarcale e affermando l’ineludibilità del tema del diritto, di ogni diritto. Nessuna trasformazione è stata capace di tanta profondità e nessuna ha segnato così tenacemente il nostro vivere quotidiano.

Ma il tempo delle donne non si è concluso: se è vero che lo stato di minorità politica di una categoria maggioritaria di cittadini costituisce il segno più visibile e certo dei limiti della democrazia reale, siamo sicuri che il cammino delle donne nella storia della democrazia italiana sia terminato?

Il 2 giugno 1946 non è stato una conquista ma il punto di partenza di un cammino che non si è esaurito e che non si concluderà finché non saranno le donne a conquistarsi piazza, voce, spazi e diritti.

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FOTO 2A – Strade femminili di Parma

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FOTO 2B – Strade femminili di Parma

Domenica 22 maggio il Centro Studi Movimenti di Parma organizza una passeggiata cittadina per riportare allo scoperto un suo percorso storico tra donne e democrazia.

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FOTO 3 – Manifesto ONMI

Via Costituente 4b – Sede dell’ONMI – Fine anni Venti. Anche a Parma trovò sede l’ONMI (Opera nazionale maternità e infanzia) con cui il fascismo offriva assistenza a madri e bambini in difficoltà, ribadendo la centralità, nella sua politica sessuale e famigliare, della donna “fattrice di figli”, “macchina di riproduzione”, “genitrice della razza”. E restaurando, così, l’ordine nei rapporti tra i sessi messi a soqquadro dalla guerra e dalle turbolenze sociali degli anni successivi. «Donne italiane: voi dovete essere le custodi dei focolari» (Benito Mussolini, discorso alle donne, 20 giugno 1937)

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FOTO 4 – Portici del grano

Piazza Garibaldi – Sotto i Portici del grano, una lapide ricorda il “contributo” delle donne parmensi alla Resistenza, un contributo definito silenzioso, come se l’agire senz’armi di migliaia di donne tra il 1943 e il 1945 potesse rientrare nel sommesso silenzio domestico. E in effetti, per la maggior parte – anche per molte di coloro che imbracciarono le armi – fu proprio così e quel mondo nuovo oltre la vittoria e oltre il fascismo rimase lontano, oltre l’obbedienza che ogni donna doveva all’uomo che le stava a fianco. Ancora da conquistare.

Via Petrarca – Sede dell’UDI – Finita la guerra per molte donne fu impossibile rinchiudersi in casa: tutto ciò che era successo aveva fatto emergere in loro, chiaro e forte, non solo un nuovo senso di sé ma anche del proprio ruolo sociale e politico. Prima i Gruppi di difesa della donna, poi l’Unione donne italiane: luoghi in cui ritrovarsi per organizzarsi e partecipare a quel nuovo mondo tutto da pensare e costruire; per discutere, confrontarsi e diventare cittadine.

FOTO 6. Battaglie UDI

FOTO 5 – Battaglie UDI

Borgo S. Anna – Qui abitava Anna Menoni, partigiana e prima donna, insieme a Giuseppina Rivola, ad essere eletta in consiglio comunale a Parma nell’aprile 1946. Una delle tante donne eroiche che hanno dovuto farsi spazio in istituzioni totalmente e storicamente maschili, che hanno dovuto forzarsi per prendere parola in un mondo in cui le donne tacevano, insistere per farsi ascoltare, scontrarsi con il pregiudizio diffuso secondo il quale le donne non erano capaci di occuparsi di politica.

FOTO 7. Il primo voto

FOTO 6 – Il primo voto

Piazza Duomo – Dopo gli entusiasmi iniziali, un nuovo clima, gelido e diffidente, si abbatté sull’Italia dell’immediato dopoguerra. E anche l’entusiasmo femminile ne subì i contraccolpi, con divisioni e prese di distanza che separarono le donne. Alcune di loro, le cattoliche legate alla Democrazie cristiana, uscirono dall’Udi e costituirono una loro organizzazione, il CIF (Centro italiano femminile).

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FOTO 7 – Piazza Duomo

Teatro Regio: Al Ridotto del teatro, nell’immediato dopoguerra, l’Udi chiamava a raccolta le donne di Parma per la festa dell’8 marzo. Giornata di festa legata, nel nostro immaginario, al sacrificio di un centinaio di operaie americane di inizio secolo. Una leggenda che corrisponde ad un visione precisa del mondo femminile e del suo ruolo nella storia, il racconto di un capitalismo feroce ma remoto e di un mondo femminile in quanto vittima, di cui ricordare il sacrificio, il martirio. Ma l’idea di una giornata internazionale della donna che Clara Zetkin nel 1910 lanciò durante la seconda conferenza internazionale delle donne socialiste, in realtà, non aveva nulla a che fare col martirio o col sacrificio quanto, invece, con la rivendicazione di diritti e giustizia, voto e lavoro, libertà e autonomia.

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FOTO 8 – Teatro Regio

Via XX settembre – Al numero 31, nel 1979, aprì la Biblioteca delle donne. Era un luogo collettivo, in cui il tempo e i mezzi erano adeguati allo stare insieme, vedersi, ascoltarsi, parlarsi, mettersi in relazione, un luogo in cui affermare i propri desideri, confrontarsi sul mondo e su come poterlo cambiare… Anche perché furono queste donne, le loro mobilitazioni, il loro scendere in piazza, i loro no, la loro determinazione, a cambiare davvero – e profondamente – la nostra società, le nostre leggi, mentalità, usanze e tradizioni. Più di qualsiasi altra cosa.

FOTO 10. Manifestazione

FOTO 9 – Manifestazioni




ITALIA – Due passi per Modena e per le strade femminili che non ci sono (Parte seconda)

Di Roberta Pinelli

A partire dagli anni Sessanta qualcosa cambia a Modena nei criteri adottati per le scelte odonomastiche e sarà forse per la nomina di una donna nella Commissione Toponomastica che nel 1961 furono dedicati a donne ben cinque toponimi: due letterate (Grazia Deledda e Ada Negri), una musicista (Cecilia Paini), una partigiana (Gabriella Degli Esposti), una donna di potere (Matilde di Canossa).

1.Modena-Via Ada Negri-foto di Roberta Pinelli

2. Modena-Via Grazia Deledda-foto di Roberta Pinelli

Figlia di Giovanni, suonatore di corno da caccia, Cecilia Paini ancora in tenera età seguì il padre che per lavoro si era trasferito a Parigi. Qui studiò al Conservatorio di musica dove, precocissima, conseguì il I premio in arpa e solfeggio. A 11 anni dette alcuni concerti in Francia e venne considerata una bambina prodigio. Con un decreto del 23 marzo 1843 la duchessa di Parma la nominò arpista della Ducale Orchestra. Fu al servizio del Ducato di Parma fino al 1859, poi rimase al Teatro Regio di Parma fino al 1875. Nel 1876 si trasferì a Modena, dove aveva sposato un certo Eugenio Zoboli, da cui ebbe due figli. Dedicatasi all’insegnamento, fu sempre attorniata da grande ammirazione. Morì a Modena nel 1922.

3.Modena-Via Cecilia Paini-foto di Roberta Pinelli

Gabriella Degli Esposti con il nome di battaglia di Balella partecipò fin dall’inizio alle attività della Resistenza nel modenese, prodigandosi anche per la formazione dei primi Gruppi di Difesa della Donna, nonostante fosse madre di due bambine e incinta del terzo figlio. Coordinatrice della IV Zona partigiana, fu arrestata dalle SS il 13 dicembre 1944 durante un rastrellamento, rifiutò di parlare e fu giustiziata insieme ad altri 9 compagni di prigionia. Prima della fucilazione fu brutalmente torturata. In suo onore fu chiamato “Gabriella Degli Esposti” l’unico distaccamento partigiano formato esclusivamente da donne. Le è stata assegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare.

4.Modena-Via Gabriella Degli Esposti-foto di Roberta Pinelli

Passarono altri 10 anni prima che comparissero nuove targhe dedicate alle donne; nel 1971 furono intitolate due strade a Gaetana Agnesi e Marie Curie, precedute nel 1966 da una partigiana (Irma Marchiani) e da due dee dell’antichità, Cerere e Igea, e nel 1969 da una straordinaria figura di benefattrice, Marianna Saltini.

5.Modena-Via Gaetana Agnesi-foto di Roberta Pinelli

6.Modena-Via Marie Curie-foto di Roberta Pinelli

7.Modena-Via Irma Marchiani-foto di Roberta Pinelli

8.Modena-Via Marianna Saltini-foto di Roberta Pinelli

Nata a Carpi nel 1889, a 21 anni Marianna Saltini sposò il sarto Arturo Testi, ma rimase vedova a 39 anni con 6 figli. Decise di affidare alcuni dei figli ai parenti e di mandare i più grandi in collegio, per potersi dedicare ad allevare le figlie dei poveri. Da quel momento fu per tutti “Mamma Nina”, da qualcuno definita anche “la matta che aveva abbandonato i figli suoi per quelli degli altri”. Solo nel marzo del 1936 il vescovo approvò, e solo provvisoriamente, la sua opera e il Comune di Carpi le concesse in uso il Palazzo Benassi. Sorella di don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, Mamma Nina allevò e continuò ad occuparsi di migliaia di bambine povere, insegnando loro un mestiere e togliendole dalla miseria e dai rischi della strada. Fondata a Carpi, ma con sedi in molti comuni della provincia di Modena, ancora oggi l’istituzione benefica da lei creata è attiva e ha mantenuto il nome di “Casa della Divina Provvidenza”.

Nel 1985 fu aperto il processo di beatificazione che nel 1988 dichiarò Mamma Nina “serva di Dio”.

Nel 1982 una parte dell’anello della tangenziale che circonda Modena è stato intitolato al Premio Nobel per la Letteratura Gabriela Mistral, mentre nel 1986 una stradina periferica viene dedicata a una vittima di femminicidio, novella Maria Goretti modenese: Maria Regina Pedena.

 9.Modena-Tangenziale Gabriela Mistral-foto di Roberta Pinelli

10.Modena-Via M.Regina Pedena-foto di Roberta Pinelli

Il 19 luglio 1827, attirata con l’inganno in casa di Eleuterio Malagoli, liutaio, invaghitosi di lei, resistette ai suoi approcci. Infuriato per la resistenza della ragazzina (Regina aveva solo 14 anni), Eleuterio Malagoli l’accoltellò più volte. All’arrivo della polizia Maria Regina Pedena era già morta e il Malagoli tentò il suicidio.

Il 24 luglio 1827 si tennero i solenni funerali della ragazza, cui fece seguito una sorta di devozione, che però svanì ben presto, consentendo che i suoi resti fossero inumati in una fossa comune. Nel 1973, a cura di un comitato promotore del processo di beatificazione, i resti di M.Regina Pèdena furono traslati nel Santuario della Madonna del Murazzo di Modena, dove sono tuttora conservati.

Nel 1990 ecco la targa e la scuola media intitolate a Luisa Guidotti Mistrali.

11.Modena-Via Luisa Guidotti Mistrali-foto di Roberta Pinelli

Luisa Guidotti Mistrali nacque a Parma nel 1932 e nel 1947 si trasferì definitivamente a Modena. Dopo la maturità scientifica, si iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Modena, dove si laureò nel 1960, acquisendo poi nel 1962 la specializzazione in Radiologia.

Entrata nell’Associazione Femminile Medico-Missionaria da laica, dopo un periodo di tirocinio religioso fra Modena e Roma, nel 1966 venne destinata alle missioni nella Rhodesia (l’attuale Zimbabwe). Nel 1969 fu assegnata definitivamente all’ospedale “All Souls” di Mutoko nella provincia del Mashonaland Orientale.

A Mutoko in realtà l’ospedale consisteva in alcune capanne di paglia e fango che in pochi anni, sollecitando la generosità degli amici italiani, Luisa riuscì a trasformare in edifici in muratura, aprendo anche una scuola per infermiere e un orfanatrofio. Già nel 1971 l’ospedale era in grado di accogliere annualmente oltre 5.000 ammalati e contava più di 400 nascite all’anno.

Oltre al lavoro nell’ospedale, si recava periodicamente al lebbrosario di Mutema, dove i pazienti erano pressoché abbandonati, e nei villaggi vicini per assisterne i malati.

Nel 1976 venne arrestata dalla polizia con l’accusa di aver curato un ragazzo, presunto guerrigliero, rischiando la condanna a morte per impiccagione. Rilasciata dopo quattro giorni, fu tenuta per due mesi in libertà provvisoria vicino a Salisbury. Venne poi assolta per le forti pressioni esercitate dalla Santa Sede e dal governo italiano. La situazione a seguito della guerra divenne sempre più pericolosa e molti missionari furono costretti ad andarsene dalla Rhodesia. Luisa Guidotti subì delle minacce, ma non volle abbandonare l’ospedale e vi rimase, unica occidentale, insieme alle infermiere africane. Il 6 luglio 1979 con l’ambulanza dovette accompagnare una partoriente a rischio all’ospedale di Nyadiri. Sulla via del ritorno venne fermata ad un posto di blocco dall’esercito governativo. All’improvviso, partirono due raffiche di mitra da entrambi i lati della strada e un proiettile colpì la dottoressa, recidendole l’arteria femorale e provocandone la morte per dissanguamento. Aveva da poco compiuto 47 anni.

Nel 1983 le fu intitolato l’ospedale “All Souls” di Mutoko. Nel 1988 il vescovo di Modena fece traslare i suoi resti nel Duomo e dal 2006 è aperta la causa di canonizzazione.

Nel 1996 ecco un’altra musicista, la soprano modenese Teresina Burchi, e nel 1998 Madre Teresa di Calcutta ed Elsa Morante.

Nel 2011 quattro furono le targhe modenesi dedicate alle donne: Natalia Ginzburg, Sibilla Aleramo, Gina Borellini e Fausta Massolo.

12.Modena-Via Natalia Ginzburg-foto di Roberta Pinelli

13.Modena-Via Sibilla Aleramo-foto di Roberta Pinelli

14.Modena-Via Gina Borellini-foto di Roberta Pinelli

Gina Borellini nacque a San Possidonio, da una famiglia di agricoltori, nel 1924. Si sposò a soli 16 anni con Antichiano Martini, di professione falegname. Insieme al marito, dopo l’8 settembre 1943, partecipò attivamente alla Resistenza come staffetta partigiana e soccorrendo militari sbandati. Nel 1944 furono entrambi catturati, arrestati e torturati. Dopo la fucilazione del marito entrò nella Brigata “Remo”. Il 12 aprile 1945, a seguito di uno scontro a fuoco con i fascisti, venne ferita e perse una gamba.

Nel 1946 fu eletta al consiglio comunale di Concordia e due anni dopo entrò in Parlamento nelle file del Partito Comunista Italiano. Fu Deputata della Repubblica nella I, II e III legislatura e fece parte della Commissione Difesa della Camera.

Fu tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane, presidente dell’UDI di Modena per molti anni e presidente della sezione di Modena dell’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra dal 1960 al 1990.

È stata insignita del titolo di Commendatore della Repubblica e della medaglia d’Oro al Valor Militare. È morta a Modena nel 2007.

15.Modena-Via Fausta Massolo- foto di Roberta Pinelli

Fausta Massolo nacque ad Arquata Scrivia (AL) nel 1935. Dopo gli studi in Medicina, nel 1966 si trasferì a Modena, dove sarebbe rimasta poi per tutta la vita. Diventata Primaria di Pediatria, nel 1984 fu nominata Direttrice della nuova Divisione di Oncoematologia Pediatrica del Policlinico di Modena, da lei fortemente voluta e che avrebbe diretto fino al 1999.

Pioniera non solo nelle cure mediche (fu uno dei primo oncologi pediatrici a sperimentare cure allora pionieristiche), Fausta Massolo sostenne e incoraggiò anche la presenza in ospedale di diverse figure professionali: maestre, insegnanti, psicologi/ghe, che fornissero al bambino ricoverato una accoglienza completa.

Scomparve prematuramente il 7 settembre 1999, amata e rimpianta dai collaboratori, dai pazienti e dalle loro famiglie. Nel maggio 2014, un accordo fra Comune e Provincia di Modena, Associazione Famiglie Malati di Oncoematologia Pediatrica, Policlinico e Azienda Casa Emilia Romagna ha dato il via alla costruzione di una “casa lontano da casa”, una palazzina di 15 appartamenti da destinare ai bambini che necessitano di lunghi periodi di cura e alle loro famiglie: “La casa di Fausta”.

Nel 2013 sono state quattro le targhe femminili aggiunte: Santa Liberata, le tabacchine, dette alla modenese Paltadori, Gaspara Stampa e la partigiana Caterina Zambelli.

16.Modena - Via Caterina Zambelli - foto di Roberta Pinelli

La famiglia Zambelli di Bomporto (MO) partecipò attivamente alla lotta partigiana, nel rifiuto delle requisizioni, nella raccolta di armi e viveri, nelle azioni di disarmo, sabotaggio, distruzione di armi nemiche: il padre Angelo fu partigiano della Brigata Tabacchi, i figli combattenti, le figlie staffette o fiancheggiatrici del movimento della Resistenza. Sette dei tredici membri della famiglia furono uccisi in ritorsioni nemiche: il capofamiglia Angelo, con il genero Bozzali Quinto e il nipote Pellacani Fabio, fu arrestato e fucilato a Navicello di Modena il 9 marzo 1945. Caterina Bavieri Zambelli, moglie di Angelo, che aveva 60 anni, fu arrestata a metà febbraio 1945, condotta all’Accademia Militare e torturata; fu poi liberata, ma assassinata il 27 marzo 1945 insieme alla figlia Iride. Il figlio Floriano fu ucciso in una rappresaglia con altri partigiani nella notte tra il 18 e il 19 marzo 1945; l’altro figlio Renato arrestato durante il rastrellamento del 17 febbraio, morì sotto le torture nemiche.

 Nel luglio del 2015 è stata infine approvata l’intitolazione di una stradina a Margherita Hack, mentre ancora non si è arrivati a ricordare con un toponimo Rita Levi Montalcini, richiesta presentata fin dal 2013.

Per le vie di Modena si può dunque fare un viaggio nel tempo e nella mentalità che ha contribuito a modificare l’immaginario femminile.

Si può anche scoprire come pure la progredita Modena, dove la presenza e la partecipazione delle donne alla vita pubblica è sempre stata ragguardevole, non si differenzi per niente dalle realtà più restie a dare spazio alla memoria delle donne, nemmeno di coloro che hanno avuto un ruolo nella storia della città.




ITALIA – Il modello toponomastico ravennate: uno strumento di democrazia e parità

Nuove intitolazioni femminili in vista per la città di Ravenna, che fa della toponomastica uno strumento di democrazia e parità. Due aree verdi di Ponte Nuovo saranno infatti dedicate a Domenica Rita Adriana Bertè (1947 – 1995), cantautrice di talento, più nota con il nome di Mia Martini, e a Libera Musiani (1903 – 1987) mosaicista e pittrice che ha partecipato ai restauri dei battisteri e delle basiliche cittadine.

Un tratto della pista ciclabile che costeggia il Pala De Andrè ricorderà le Campionesse di Pallavolo, in omaggio alla squadra che ha lasciato un segno nella storia dello sport ravennate.

Ma la città è da tempo nota per la sua politica toponomastica.

Felici sinergie hanno consentito negli ultimi anni un rapido incremento delle intitolazioni femminili: una Commissione paritaria e sensibile, un regolamento attento alle questioni di genere e un contributo molto attivo della cittadinanza hanno portato a scrivere sulle targhe stradali nomi di donne attive in contesti diversificati.

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Meritano certamente attenzione le intitolazioni a maestre che fecero dell’insegnamento la loro ragione di vita, come Giacomina, Wilma Soprani e Teresita Norreri.

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Non poteva mancare, in centro storico, l’intitolazione a Galla Placidia, principessa imperiale e poi bottino di guerra, moglie di un barbaro e infine reggente dell’impero romano al tramonto.

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Anche Amalasunta, figlia del re ostrogoto Teodorico, sfortunata regina, relegata e uccisa sull’isola Martana, nel lago di Bolsena, ha una sua via.

Diverse aree di circolazione sono dedicate a letterate: Ada Negri, Matilde Serao, Renata Viganò, Elisa Guastalli Ricci e Cordula Poletti, scrittrice ravennate, femminista libera e ribelle, legata a Sibilla Aleramo e a Eleonora Duse.

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A Cornelia Fabri, prima laureata in matematica all’Università di Pisa, studiosa di idraulica, è dedicato un giardino.

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Aree verdi con nomi femminili sono assai frequenti: Ilaria Alpi, Sorelle Mirabal, Elisa Severi, Sophie Scholl, Elga Leoni, Irma Mascanzoni, Sorelle Barbieri, Madri di Plaza de Mayo…

Un parco è dedicato ad Augusta Rasponi del Sale, ricca, nobile e istruita, benefattrice dal forte senso artistico che dedicò all’infanzia la sua vita, il suo talento e il suo patrimonio.

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Le targhe dei giardini ravennati costituiscono un modello interessante, per la ricchezza di particolari che invita alla lettura e diffonde conoscenza.

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E così, al giardino delle Partigiane anche un bambino sa che esse lottarono per una società più giusta e conosce l’operato e l’impegno civile di Iole Fenati Gentile, prima segretaria dell’UDI.

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Si tratta di intitolazioni recenti, che hanno voluto ridurre un pesante gap.

Nel giro di pochi anni le intitolazioni femminili si sono moltiplicate: le rotonde, che hanno creato nuove aree di circolazione in spazi già saturi, portano oggi il nome delle vincitrici dei premi Nobel e delle madri della repubblica.

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ITALIA – La Liberazione taciuta

Negli anni del secondo conflitto mondiale le italiane hanno messo in gioco le loro vite e capovolto un sistema di valori: chiamate a far fronte alle assenze maschili nelle attività quotidiane private e pubbliche, sono uscite di casa spalancando le porte al futuro.

Occupate nei campi e nelle fabbriche, impegnate nel reperimento di generi alimentari, operose nelle azioni di soccorso e cura, non hanno esitato a impugnare le armi.

Protagoniste della Resistenza, e non solo comparse, non portavano divise, né enfatizzavano le loro azioni, ma sostenevano combattenti, feriti, prigionieri, in una sorta di “maternage di massa”. Nelle loro mani era il mercato nero e buona parte della gestione economica e materiale della vita partigiana: procuravano il denaro e distribuivano armi, vestiti, cibo o medicine.

Cresceva nel contempo la loro politicizzazione personale e collettiva, espressa attraverso agitazioni in fabbrica, adesione a gruppi organizzati e partiti, diffusione clandestina e infine produzione autonoma di stampa (nel luglio del’44, Napoli liberata pubblica il primo numero legale di Noi donne).

Le partigiane combattenti furono 35 mila, e 70 mila fecero parte dei Gruppi di difesa della donna: 4.653 furono arrestate e torturate, 2.750 vennero deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate; 1.070 caddero in combattimento.

Nel dopoguerra, l’impostazione maschilista della società, sostanzialmente immutata rispetto al modello precedente, non ha dato loro il giusto riconoscimento.

Nel tentativo di richiudere le porte aperte e soffocare il cambiamento, gli uomini hanno voluto intendere la partecipazione femminile alla Resistenza come manifestazione di senso materno e di pacifismo innato: nell’immaginario collettivo, anche la staffetta andava ricondotta al ruolo di infermiera. Escluse dalle sfilate della vittoria, invitate a rimuovere e a tacere, molte piccole e grandi protagoniste della storia smisero di raccontare.

Alla loro memoria dedichiamo il fotoreportage del 25 aprile.

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Milano

PIAZZALE DONNE PARTIGIANE

Foto di Nadia Boaretto

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Roma

VIA IRIS VERSARI (1922–1944)

Foto di Sara Caponera

Staffetta della formazione partigiana di Tredozio, fece parte della banda di Silvio Corbari al quale era legata sentimentalmente. Diverse e clamorose furono le azioni condotte assieme ai compagni. Ferita durante uno scontro coi tedeschi, decise di uccidersi piuttosto che cadere in mani nemiche. E’ stata insignita della Medaglia d’Oro al V.M.

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Garlasco

VIA GISELLA FLOREANINI (1906-1993)

Foto di Roberta Martinotti

Legata già dagli anni ’30 ai gruppi di Giustizia e Libertà e al PCI divenne, grazie alle sue doti organizzative, un punto di riferimento per la Val d’Ossola. Nel febbraio 1945 fu nominata Presidente del CLN provinciale e trattò la resa dei nazifascisti nei giorni dell’insurrezione. Dopo la guerra fu parlamentare, dirigente dell’UDI e dell’Anpi e membro della Federazione Internazionale della Donna.

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Aosta

VIALE AURORA VUILLERMINAZ (1922-1944)

Foto di Marinella Govenale

Aurora Vuillerminaz dal luglio 1944 si dedicò interamente alla lotta partigiana entrando nella banda A. Verraz, operante nella valle di Cogne. Assunse l’incarico di staffetta creando collegamenti tra la Val d’Aosta e la vicina Svizzera. Al ritorno da una missione fu arrestata e, non avendo rivelato alcuna informazione, affrontò con coraggio la fucilazione.

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Trento

VIA CLORINDA MENGUZZATO “VEGLIA” (1927 – 1945)

foto di Livia Stefan

Infermiera e staffetta partigiana militò, con il nome di battaglia Garibaldina prima e Veglia poi, nel battaglione Gherlenda operante nel Trentino; fu catturata dai nazisti, violentata, fatta azzannare da cani feroci e fucilata. E’ stata insignita della Medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

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Olbia

VIA JOYCE LUSSU (1912-1988)

Foto di Enrico Grixoni

La famiglia fuggì all’estero nel 1924 a causa delle violenze squadriste subite. Nel 1932 il fratello fu arrestato: Joyce iniziò a diffondere stampa antifascista e accettò diverse missioni clandestine. Una di queste la portò a conoscere il marito Emilio. Nel dopoguerra si legò alla militanza di base in Sardegna, promosse l’UDI, militò nel PSI e tradusse poesie terzomondiste.

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Ragusa

ROTONDA MARIA OCCHIPINTI (1921-1996)

Foto di Rosa Perupato

A Ragusa, nel gennaio del 1945, Maria, 23 anni e incinta di cinque mesi, si stende davanti un camion militare carico di giovani rastrellati da un quartiere popolare, con l’intento di agevolarne la fuga e la diserzione. Viene condannata al confino e al carcere. Finita la guerra viaggerà all’estero stabilendosi infine a Roma, avvicinandosi prima al PCI e poi agli anarchici.

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Genova

VIA TEA BENEDETTI (1930-2000)

Foto di Rossella Sommariva

Proveniente da una famiglia operaia di Rivarolo, divenne staffetta partigiana molto giovane. Dopo la guerra fu sindacalista, assessora in Comune, presidente della Croce Verde di Sestri, inoltre fece parte del Consiglio Comunale di Genova per 21 anni (dal 1976 al 1997), distinguendosi per il suo spirito di servizio.

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Trieste

VIA RITA ROSANI (1920- 1944)

Foto di Lucio Perini

“Vuiatri gavi voia schersàr!”. Con queste parole, dopo averle vanamente proposto di tentare la fuga coperta da una loro sortita diversiva, i combattenti della formazione “Aquila”, sorpresi da un rastrellamento nel loro rifugio in Val Policella, videro uscire a combattere la loro compagna Rita Rosani, ventiquattrenne ebrea triestina. Fu subito catturata e uccisa da un sottotenente repubblichino.

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Napoli

VIA VERA LOMBARDI (1904-1995)

Foto di Rita Ambrosino

Nata nel 1904 in una famiglia di tradizioni socialiste, Vera partecipò agli incontri clandestini di antifascisti, durante i quali scambiava libri e materiali clandestini. Dopo la guerra rimase protagonista della vita culturale e politica napoletana: è stata per anni presidente dell’Istituto campano per la Resistenza che, dopo la sua morte, le è stato intitolato.

 




ITALIA – La toponomastica per misurare il sessismo delle città

di Marina Convertino

La toponomastica come scienza che studia i toponimi e i nomi di luoghi, così come l’abbiamo studiata e come siamo abituati a pensarla, nel 2012 vede un allargamento della prospettiva e una riconsiderazione radicale dei suoi confini, grazie all’idea di Maria Pia Ercolini docente e autrice di guide di genere, che semplicemente associando l’aggettivo ‘femminile’ al termine, rivela una verità presente da sempre, eppure da sempre ignorata: l’invisibilità delle donne in quello che è il catalogo delle memorie presente nelle strade.

A gennaio del 2012 viene fondato il gruppo Toponomastica femminile utilizzando il social network facebook: il gruppo cresce connettendo energie e competenze, allaccia relazioni strategiche e si sviluppa in maniera virale arrivando a superare oggi 8.000 adesioni di persone impegnate in uno studio di ricerca che investe sia il territorio nazionale che quello estero, catturando da subito la simpatia dell’opinione pubblica e l’interesse della stampa (da quella nazionale a testate straniere come la BBC e The Times).

Il lavoro collettivo, si muove  dal censimento di strade, piazze, giardini per evidenziare la disparità di genere esistente, articolandosi in breve tempo in numerosissime iniziative come  raccolte firme e campagne di sensibilizzazione per l’intitolazione di strade a protagoniste della scienza e della società civile.

Con le recenti scomparse di importanti donne di cultura, sono state avviate: “Una strada per Miriam” in onore di Miriam Mafai, “La lunga strada di Rita” per celebrare Rita Levi Montalcini, “Una Margherita sulle nostre strade” a sostegno di Margherita Hack e “Una scena per Franca” in ricordo di Franca Rame.

La campagna “8 marzo 3 donne 3 strade”, lanciata a un mese dalla fondazione del gruppo, è rivolta a tutti i Sindaci e le Sindache d’Italia con la richiesta di intitolare tre strade a tre donne: una figura di rilevanza locale, una di rilievo nazionale e una straniera, per unire le tre anime del Paese.

Per  approfondire la conoscenza delle partigiane che hanno contribuito alla liberazione dell’Italia e celebrare in ottica paritaria il 25 aprile parte il progetto “Partigiane in città” e  in occasione del 2 giugno il progetto “Largo alle Costituenti”, con l’intento di far riemergere dall’oblio  le madri costituenti.

Milano.Donne_partigiane.NadiaBoaretto copia

Attraverso una intensa collaborazione nell’ambiente virtuale della rete, la toponomastica è diventata all’improvviso un terreno fertilissimo di studio per misurare il sessismo che  caratterizza le città. Dai censimenti capillari condotti su tutti i Comuni italiani, si rileva un indice nazionale di femminilizzazione delle strade valutato intorno all’8%, vale a dire dodici strade dedicate a uomini per ogni intitolazione femminile, e si scopre che gli odonimi celebrativi contribuiscono a formare un immaginario collettivo fatto quasi esclusivamente di uomini illustri, che lascia uno spazio al genere femminile marginale e fortemente indirizzato verso figure religiose: sante e beate, madonne nelle diverse declinazioni, benefattrici e martiri cristiane. Poche le donne politiche, di scienza, di storia, d’arte.

Anche in Puglia, che è la regione dove molta attenzione viene dedicata alle politiche di genere e della quale ci occuperemo principalmente in questo spazio, alternando fotoreportage e articoli nazionali ed esteri, la ricerca sta facendo emergere una forte discriminazione nei confronti del genere femminile, scoprendo che  anche gli spazi urbani fatti di targhe stradali e commemorative, monumenti, pietre d’inciampo, riflettono una cultura androcentrica che non tiene conto di tanti nomi femminili meritevoli di essere ricordati.

Toponomastica femminile conduce una battaglia culturale di recupero della memoria femminile, scrivendo biografie femminili pubblicate su diverse testate on line e siti, che siano di supporto e di ispirazione alle Commissioni toponomastiche. Organizza ogni anno convegni nazionali e regionali, allestisce mostre fotografiche ricchissime di immagini provenienti dall’Italia e dall’estero; collabora con Wikipedia nella realizzazione di voci inedite. Con il supporto della FNISM – Federazione Nazionale Insegnanti – e il patrocinio del Senato della Repubblica, ha promosso il concorso “Sulle vie della parità” alla sua seconda edizione, rivolto a tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Il lavoro coinvolgente ed appassionante del gruppo, che già nei primi mesi di vita è riuscito a raggiungere molti dei suoi obiettivi e ha saputo coinvolgere le amministrazioni locali e la pubblica opinione,  ha consentito di raggiungere diversi riconoscimenti: Toponomastica femminile vince il  concorso “Nome dell’anno 2012” indetto dalla Rivista Italiana di Onomastica» (RION), l’VIII edizione del concorso nazionale DONNAèWEB, promosso da Tag Gender Art & Tecnologies e Cna Toscana per valorizzare la creatività femminile in rete e il premio nazionale Immagini Amiche promosso dall’UDI.

Toponomastica femminile oltre a essere presente su facebook, ha un suo sito dove è possibile consultare i dati dei censimenti delle varie province e le tante sezioni dedicate ai percorsi femminili ai progetti, alle biografie, alle proposte di intitolazione: http://www.toponomasticafemminile.com/.

Da dicembre di quest’anno il gruppo si è costituito formalmente in Associazione, alla quale rivolgiamo i nostri auguri perché forte delle sue radici consolidate, cresca ancora di più nell’attività di ricerca e di recupero della memoria storica delle donne, di divulgazione della cultura di genere, contribuendo in misura significativa alla  sensibilizzazione delle istituzioni e all’ apertura degli orizzonti delle giovani generazioni.

Buon 2015 da Toponomastica femminile!

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Marina Convertino

Associazione Toponomastica femminile – Referente Puglia

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