ITALIA – I No Triv preparano i ricorsi contro le trivelle e lo Sblocca Italia. Ferme le ricerche in Croazia

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In piazza Eroi del Mare a Bari è ripreso il percorso delle assemblee pubbliche del coordinamento NoTriv – Terra di Bari impegnato nella lotta per la formulazione e l’attuazione dei ricorsi della Regione Puglia alla Corte Costituzionale verso gli artt. 37 e 38 dello Sblocca Italia e al T.A.R. del Lazio verso le concessioni date dal Ministero dell’Ambiente; nell’invio da parte della Rete No Petrolio Puglia della bozza di delibera tramite pec a Regione, province, Città Metropolitana di Bari e tutti i Comuni della regione per il ricorso al T.A.R. (i cui termini scadono il 5 agosto), affinché i rispettivi Consigli la facciano propria e dimostrino con i fatti di sostenere il percorso contro le trivellazioni. Al momento risulta che pochi Comuni ne hanno dato seguito.

Il Presidente della Regione Puglia Emiliano, al termine dell’incontro con il sottosegretario Simona Vicari, ha dichiarato: “L’avvio del dialogo tra Regioni e governo in questa materia è fondamentale. Il sottosegretario Vicari si è riservato di darci una risposta e la cosa positiva è che un nuovo incontro è stato riconvocato già per la settimana prossima. Speriamo in quella occasione di avere una risposta definitiva e positiva. Per ora possiamo giudicare la posizione del governo almeno possibilista rispetto alla nostra richiesta di fermare le trivellazioni. Vedremo poi tra una settimana se questa posizione diventerà più chiara. Ovviamente noi abbiamo precisato che in mancanza di chiarezza, o comunque se non si trova un’intesa, i consigli regionali che lo riterranno – io posso parlare a nome della Puglia – potranno avviare, come previsto dalla Costituzione, la procedura del referendum contro le norme che consentono le trivellazioni”.

I No Triv hanno contribuito con proprie osservazioni alle consultazioni transfrontaliere con la Croazia presentate dal Coordinamento e dal Comitato Bonifica Molfetta.

L’assemblea ha ritenuto necessario affiancare all’iter amministrativo per i ricorsi un percorso di mobilitazioni che possa mettere in evidenza la totale disapprovazione del popolo pugliese rispetto alle trivellazioni.

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LE PROPOSTE – Manifestazione pubblica che faccia sintesi di varie istanze inerenti la questione petrolifera, tra cui lo Sblocca Italia, l’invaso del Pertusillo, il centro di stoccaggio Tempa Rossa; spingere il Consiglio regionale a deliberare a favore della consultazione referendaria verso l’abrogazione dell’art. 35 del Decreto Sviluppo che bloccherebbe tutte le concessioni entro le 12 miglia marine. (I termini per il ricorso scadono il 30 settembre).

E’ necessario che la richiesta referendaria venga depositata entro il prossimo 30 settembre, affinché si possa andare al voto nella primavera del 2016, altrimenti i procedimenti per progetti “petroliferi” riavviati dall’art. 35 del “Decreto Sviluppo” arriveranno rapidamente a conclusione, anche grazie all’accelerazione impressa dallo “Sblocca Italia”.

Con il “Decreto Prestigiacomo”, nel 2010, molte richieste presentate dai petrolieri, al fine di ottenere permessi o concessioni, vennero di fatto bloccate. Il decreto legislativo n. 128/2010, firmato dall’allora Ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo, infatti, aveva previsto distanze minime tra la costa e le aree d’attività pari a 5 miglia marine ovunque ed a 12 miglia in presenza di un’area marina o costiera protetta inibendo, così, parte delle ambizioni industriali per quei gruppi “Oil & Gas” interessati a progetti estrattivi prossimi alle coste nazionali.

Nel 2012, poi, il “Decreto Sviluppo” ha ampliato il divieto di esercizio delle attività “petrolifere” estendendolo, per tutta la fascia costiera italiana alle 12 miglia marine, ma stabilendo – tuttavia – che tale divieto non dovesse riguardare i procedimenti “bloccati” nel 2010 dal “Decreto Prestigiacomo”.
Il risultato paradossale che ne è seguito è che, in questo modo, se da un lato si è vietato l’esercizio delle attività entro le 12 miglia marine “per il futuro”, dall’altro si è consentita la possibilità di conclusione dell’iter per tutte le istanze già presentate. In altre parole, il “Decreto Sviluppo” introduceva una sorta di “sanatoria”.
I progetti “sanati” dal “Decreto Sviluppo” e prossimi a trasformarsi in permessi di ricerca e coltivazione di gas e petrolio interessano soprattutto il Canale di Sicilia, il Mar Ionio e l’intero Mare Adriatico, dal Salento fino al Delta del Po.

I movimenti per la tutela di ambiente e territorio di Calabria, Basilicata, Puglia e Abruzzo, da moltissimo tempo impegnati sul fronte dell’opposizione alla depredazione dei beni comuni portata avanti non soltanto dal Governo di Matteo Renzi (ma da esso assunta come priorità di una politica di stampo coloniale), si sono incontrati il 28 giugno u.s. presso la sede trebisaccese di una delle associazioni che compongono la rete R.A.S.P.A. (Rete Associazioni Sibaritide e Pollino per l’Autotutela) per confrontarsi e costituire un fronte comune di mobilitazione.

L’idea di sviluppo connessa allo sfruttamento di energie fossili da parte di aziende private costituisce soltanto un aspetto di un disegno politico lobbysticamente ben più esteso e complesso: il famigerato “Sblocca Italia”, qualifica le attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi come strategiche, indifferibili e urgenti, nonché di pubblica utilità;  introduce un “titolo concessorio unico” in luogo dei due titoli minerari previsti sin dal 1927; dispone che le attività di ricerca e di coltivazione siano svolte sulla base di un piano nazionale, che stabilisca dove sia possibile cercare ed estrarre idrocarburi; prevede che il vincolo preordinato all’esproprio gravi sulla proprietà privata sin dalla fase della ricerca; cancella l’autorizzazione alla costruzione del pozzo esplorativo;  estromette gli Enti locali dalla partecipazione ai singoli procedimenti amministrativi; contempla per le Regioni una intesa, nei fatti, “debole”, come risulta comprovato dal recente “disciplinare tipo” adottato dal Ministro dello sviluppo economico, che prevede il rilascio dell’assenso regionale in sede di Conferenza di servizi (e che conferma, con ciò, l’idea che l’intesa avrebbe natura “tecnica” e non “politica”); affida la valutazione di impatto ambientale delle attività medesime alla competenza esclusiva dello Stato. Se si somma la risolutezza con cui lo Stato italiano esercita questa forma sostitutiva di potere all’ambiguo testo della legge sui delitti contro l’ambiente (n. 68/15 del 22 maggio 2015), appena approvato dalla Camera dei Deputati (dopo una discussione durata quasi un anno e mezzo) − nel quale, contestualmente, si è scelto di non introdurre, dopo averlo invece fatto in un primo momento, il divieto di utilizzare la distruttiva tecnica di ispezione dei fondali marini denominata Air Gun − la strategia politica (ancor prima che ambientale) attuata dall’autorità centrale italiana risulta ben chiara: concentrare in alcune regioni le attività più distruttive, per rendere il territorio e le popolazioni deboli e ricattabili fino ad avere interi territori-pattumiera a disposizione per il fabbisogno energetico e le popolazioni disperate e magari costrette a emigrare in massa.

Apprendiamo dal sito del Ministero dell’Ambiente che lo stesso ha espresso parere favorevole alle richieste di prospezione in 2D ed in 3D delle società Spectrum Geo LTD e Northern Petroleum LTD.
Questa improvvisa accelerazione dei procedimenti ci appare come la risposta del governo Renzi al consolidarsi, su tutto il fronte nazionale, di una ferma opposizione istituzionale e non alle scelte energetiche e alla volontà politica di “svendere” l’Adriatico alle multinazionali del petrolio.
La manifestazione del 24 Maggio in Abruzzo è stata il campanello d’allarme per l’attuale maggioranza la cui strategia è, evidentemente, finalizzata a dare piena attuazione allo “Sblocca Italia”, delegittimando il testardo lavoro di tutti coloro che si sono attivati per produrre osservazioni, sensibilizzare i territori, organizzato momenti collettivi di piazza, fatto rete.
Aver decretato la compatibilità ambientale delle richieste di prospezione delle due società, significa aver apparecchiato la tavola per l’utilizzo del titolo concessorio unico che permetterà alle stesse di poter passare, direttamente, alla ricerca ed alla coltivazione degli idrocarburi in mare.
A questo punto è necessario che le regioni le cui coste sono interessate dalle concessioni date alla Spectrum, ovvero, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia (quest’ultima è interessata anche dalla Northern Petroleum), impugnino gli atti del Ministero dell’Ambiente dinanzi al T.A.R. o dinanzi al Capo dello Stato, dando continuità ai pareri negativi espressi negli scorsi anni sia politicamente, con delibere di giunta e consiglio regionale sia sotto l’aspetto amministrativo, ricorrendo, nel caso della Puglia, nel Marzo del 2015, alla Corte Costituzionale verso gli artt. 37 e 38 dello “Sblocca Italia” specifici sul tema della ricerca d’idrocarburi a terra e a mare.

il 16 febbraio  sulla pagina di Pesaro de “ il Resto del Carlino” è stato reso noto il contenuto di un esposto presentato alla Procura di Pesaro nel luglio 2014 dal presidente del Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche con cui si segnala la presenza al largo della costa pesarese di migliaia di bombe chimiche caricate ad arsenico e iprite, affondate dal Sonderkommando Meyer agli ordini di Hitler nell’estate del 1944 (notizia di questo documento si trova nel libro di Gianluca Di Feo “Veleni di Stato”) e di bombe all’uranio impoverito utilizzate nel 1997 durante il conflitto dei Balcani.

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Il problema della presenza di bombe inesplose interessa purtroppo tutto il bacino del mare Adriatico e quindi tutte le istanze di prospezione per la ricerca di idrocarburi presentate da tutte le società richiedenti anche oltre i confini italiani  per cui i ministeri interessati dei vari paesi che si affacciano sul mare Adriatico devono necessariamente tener conto di questa ingombrante e pericolosa presenza.

Il “C.B.M. di Molfetta” e il “Coordinamento No Triv – Terra di Bari” chiedono di rigettare “Piano e Programma Quadro di ricerca e produzione degli idrocarburi nell’Adriatico” della Repubblica di Croazia.

Il Senato italiano, con il ddl sugli ecoreati approvato nel mese di Marzo, ha vietato l’utilizzo della tecnica “air gun”, o altre tecniche esplosive per le esplorazioni marittime, e prevede pene da uno a tre anni.

Tale richiesta di rigetto si fonda anche sulla mancanza di una qualsiasi proposta di mappatura, prospezione e georeferenziazione degli ordigni inesplosi presenti in una vastissima area sovrapposta o confinante, non solo con le zone d’indagine interessate dalle odierne richieste, ma anche con le altre presenti in tutto l’Adriatico.

Non bisogna dimenticare che in  questi luoghi è presente anche un notevole patrimonio storico-archeologico da tutelare e recuperare che verrebbe invece sommerso dalle trivellazioni.

Da qui la richiesta del Comitato No Triv di portare anche altre istanze ambientali e culturali all’interno della manifestazione che avrà luogo il 18 Settembre perché, nella della Fiera del Levante, come emerso dall’incontro di Termoli del 24 luglio, si terrà la Conferenza delle Regioni del Sud sul tema delle trivellazioni, ottima occasione per fare presenti le istanze dei movimenti.  Una manifestazione che andrà ben oltre i confini pugliesi.

“Nonostante la motivazione ufficiale del ritiro del consorzio formato dalle compagnie Marathon Oil e OMV dalla gara per concessioni di ricerca idrocarburi nel Mar Adriatico sia la difficoltà di definire i confini tra le acque croate e montenegrine, pare che la vera ragione sia da imputare alla critica situazione del settore petrolifero, dopo la caduta dei prezzi del petrolio.
Marathon Oil nel primo trimestre di quest’anno ha avuto una perdita di 253.000.000 di dollari, mentre lo scorso anno prima che il petrolio calasse del 50%, aveva avuto un profitto trimestrale di 613.000.000 dollari.
Auspichiamo che la stessa decisione venga presa anche dalle altre compagnie e che si blocchino le trivelle e gli Air-Gun in tutti i mari!”.

Grandi striscioni saranno  affissi per tutto mese di agosto nei luoghi turistici, lungo la statale Bari-Lecce, su tutta la statale 16 e sull’autostrada in direzione Salento per sensibilizzare turisti e autoctoni sul pericolo petrolio.

La sensibilizzazione  sul problema verrà effettuata attraverso volantinaggi nei lidi, sulle spiagge e presso gli operatori economici che hanno attività sul mare.

Il Coordinamento No Triv  sarà presente nel maggior numero di eventi culturali possibile, chiedendo agli artisti che si esibiranno di leggere un appello.




Io c’ero. Vi presento il Mattarella interventista, tra bombe all’uranio e Missione Arcobaleno

Le guerre, è noto, alimentano e rafforzano la criminalità organizzata, ma nel 1999, il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, ex magistrato, sembrava non saperlo, quando con il presidente del Consiglio Massimo D’Alema appoggiò la partecipazione dell’Italia all’operazione Allied Force, con la quale la NATO era intervenuta nella guerra del Kosovo.

Il governo italiano,   messo duramente alla prova da un’opinione pubblica che si mostrava quantomeno scettica nei confronti del primo vero episodio di interventismo militare italiano dal secondo dopoguerra (se ovviamente si fa eccezione della prima guerra del golfo, in occasione della quale l’apporto dell’aeronautica italiana si limitò ad una funzione logistica e d’appoggio), iniziò a vacillare e a mostrare sintomi di incoerenza e paradossalità nell’azione, impegnandosi contemporaneamente sui fronti militare e umanitario di uno stesso conflitto. Decise prontamente di intervenire, gettando sin dal 28 marzo, le basi di una grande missione di relief a favore dei profughi kosovari, denominata Missione Arcobaleno, anche in risposta all’allarme lanciato dall’UNHCR, preoccupato dall’entità dell’esodo di massa, la cui misura eccedeva le proprie capacità operative.

Prendendo atto della vastità delle proporzioni dell’emergenza e della debolezza del tessuto socio-economico nel quale stava avvenendo, caratterizzato da “forti carenze di infrastrutture primarie” (Dossier Protezione Civile), si decise per un’azione che si imperniasse nelle consolidate relazioni bilaterali con l’Albania. In un primo momento (almeno dalla prima presentazione esposta dal Ministro dell’Interno Iervolino) sembrava che la Missione Arcobaleno dovesse limitarsi ad un ruolo di coordinamento istituzionale (Protezione civile e Prefetture), sotto la guida del Ministero dell’Interno e del Ministero della Sanità, per l’accoglienza di 25.000-30.000 profughi nel territorio italiano. Tuttavia le dimensioni dell’esodo instradarono il Governo verso l’ipotesi di una raccolta fondi privata, la cui gestione sarebbe stata attribuita ad un esperto esterno, figura immediatamente individuata nel Prof. Vitale.

La campagna di sottoscrizione fu imponente e accompagnata da un lato dalla grande solidarietà degli italiani, dall’altro da forti proteste provenienti dalla società civile, soprattutto quella di matrice pacifista, la quale obiettava l’incoerenza dell’azione di Governo.

Con la missione circa 5.000 kosovari furono trasferiti dalla Iugoslavia alla ex-base Nato Comiso di in Sicilia dove alloggiarono in quelli che furono gli alloggi dei soldati americani che vi stanziarono durante la guerra fredda.

Lo scandalo scoppiò dopo un servizio di Striscia la Notizia effettuato dagli inviati Fabio e Mingo ed un articolo pubblicato dal Corriere della Sera e ripreso dal settimanale Panorama, che denunciò furti e sprechi nell’ambito della missione Arcobaleno pubblicando un’ampia inchiesta il 20 agosto 1999. Ciò diede vita ad un’indagine guidata dall’allora pubblico ministero Michele Emiliano, che portò al rinvio a giudizio di 19 delle 24 persone coinvolte nelle indagini.

Il 17 maggio 2012 la seconda sezione penale del tribunale di Bari ha concluso la vicenda dichiarando il “non luogo a procedere per intervenuta prescrizione di tutti i reati”. Nessuno degli imputati è stato condannato.

Nell’estate del 1999, c’era Sergio Mattarella a Palazzo Chigi, quando l’Italia ricevette dalla Nato un documento con cui si mettevano in guardia i paesi dell’Alleanza contro i rischi possibili di metallo pesante residuale in veicoli corazzati. Infatti, i militari italiani inviati nei Balcani,  senza istruzioni e protezioni, si sono ammalati a causa dell’uranio impoverito.

I metalli pesanti sono stati generati dall’esplosione delle bombe  che la Nato ha utilizzato per bombardare la ex Jugoslavia poco prima dell’ intervento italiano nei Balcani come Forza Multinazionale di pace.

I nostri uomini stanno morendo lentamente, come candele al vento, in seguito alla mutazione cancerosa delle cellule. E sono oggi curati da medici-ricercatori italiani in Inghilterra. Sono state riconosciute cause e fatti di servizio, ma le vittime devono costantemente scontrarsi con la burocrazia italiana, perchè le terapie devono essere autorizzate dall’Italia e questo comporta un percorso burocratico che in molti casi rende impossibili le cure. Ritardare anche di un solo giorno significherebbe compromettere per sempre l’effetto delle cure e dunque andare in modo irreversibile verso la morte. In Inghilterra ci sono professori italiani,  che sanno curare i militari colpiti da patologia dell’uranio impoverito e che potrebbero  farlo in Italia, ma si tagliano continuamente i fondi per la sanità, mentre si continua a sprecare denaro pubblico in armamenti.

Negli stessi giorni il ministro della Difesa, Mattarella, approvava la legge di riforma delle Forze Armate che aboliva di fatto il servizio di leva obbligatorio. Una lama a doppio taglio, perchè esempi negativi di milizie mercenarie la storia ne ha dati molti. In questi mesi, il governo Renzi, ha riproposto la Naia, il servizio di leva obbligatorio. Che il Bel Paese si stia preparando a un grande conflitto? Perchè ripristinarlo proprio ora?