Galleria Borghese: La donna oggetto del desiderio maschile, violenza carnale e mito (seconda parte)

Sala III – di Apollo e Dafne 

La sala prende il nome dal celebre gruppo di Apollo e Dafne, realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il 1622 e il 1625, collocato al centro, e strettamente correlato col dipinto centrale della volta, opera del pittore Pietro Angeletti, che rappresenta i diversi momenti del racconto narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (I, 555-559).

Foto 1: Apollo e Dafne

Apollo e Dafne: il racconto

Dafne, giovane ninfa, figlia di Gea, la Madre Terra, e del fiume Peneo, viveva serena nella quiete dei boschi, quando la sua vita fu stravolta dal capriccio di due divinità, Apollo ed Eros. La leggenda racconta che un giorno Apollo, vantandosi con Eros delle sue imprese, derideva il dio dell’Amore che invece non aveva mai compiuto delle azioni degne di gloria. Ferito dalle parole di Apollo, Eros preparò la sua vendetta: prese due frecce, una spuntata e di piombo, destinata a respingere l’amore, che lanciò nel cuore di Dafne, e un’altra ben acuminata e dorata, destinata a far nascere la passione, che scagliò nel cuore di Apollo. Da quel giorno Apollo iniziò a vagare disperatamente per i boschi alla ricerca della ninfa, tanta era la passione che ardeva nel suo cuore. Alla fine riuscì a trovarla, ma Dafne, appena lo vide, terrorizzata scappò tra i boschi. Accortasi però che la sua corsa era vana, invocò la Madre Terra di aiutarla e questa, impietosita, trasformò la figlia in albero: i suoi capelli diventarono foglie; le braccia si allungarono in flessibili rami; il corpo si ricoprì di ruvida corteccia e i piedi si tramutarono in robuste radici. La trasformazione era avvenuta sotto gli occhi di Apollo che, disperato, abbracciava il tronco nella speranza di riuscire a ritrovare l’amata. Alla fine il dio, deluso, proclamò a gran voce che quella pianta, l’alloro, sarebbe stata sacra al suo culto e segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori. E non è un caso che nel nome della ninfa c’era già una predestinazione: il nome Dafne significa, infatti “lauro”, alloro.

L’epica è piena di miti che riguardano le divinità, i loro amori difficili, e le violenze carnali. Basti pensare alle tante sembianze ingannevoli assunte da Giove per sedurre attraenti fanciulle. Dafne qui è modello di virtù, è una donna che difende fino all’ultimo l’onore che Apollo vorrebbe intaccare, ma rimane vittima del desiderio possessivo del dio, che egoisticamente non tiene in considerazione la contrarietà e la sua sofferenza, arrivando a rovinarle la vita. 

In realtà il vero messaggio di questo gruppo scultoreo del Bernini è l’inutilità dei tentativi di conquistare l’amata, se questa non ricambia gli stessi sentimenti, e il senso del rispetto di una scelta, anche se non condivisa. A conferma di ciò un distico morale, composto in latino dal cardinale Maffeo Barberini (futuro Papa Urbano VIII), è inciso nel cartiglio della base, che dice: chi ama seguire le fuggenti forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare nella mano.

Sala IV – Sala degli Imperatori – Il trionfo di Galatea e il Ratto di Proserpina 

La sala è detta “Galleria degli Imperatori” per la presenza di diciassette busti in porfido e alabastro di Imperatori. L’ampia volta è impreziosita dai dipinti ispirati alle vicende della ninfa Galatea, anche queste narrate da Ovidio nelle Metamorfosi. Al centro si colloca Il trionfo di Galatea, figlia di Nereo, desiderata dal ciclope Polifemo (rappresentato sulla sinistra) e amata dal pastore Aci (sulla destra). 

Plafond de la Salle des Empereurs – Le Triomphe de Galatée (de Angelis, XVIIIe)

Foto 2: Il trionfo di Galatea

La leggenda narra di Polifemo, ciclope perdutamente innamorato della giovane Galatea, che a sua volta invece era innamorata di Aci, un bellissimo pastorello, che un giorno, mentre pascolava le sue pecore vicino al mare, vide Galatea e se ne innamorò perdutamente. Una sera, al chiarore della luna, il ciclope vide i due innamorati in riva al mare baciarsi. Accecato dalla gelosia, decise di vendicarsi. Non appena Galatea si tuffò in mare, Polifemo prese un grosso masso e lo scagliò contro il povero pastorello schiacciandolo. Appena Galatea seppe della terribile notizia, accorse subito e pianse tutte le sue lacrime sopra il corpo martoriato di Aci. Giove e gli dei ebbero pietà e trasformarono il sangue del pastorello in un piccolo fiume che nasce dall’Etna e sfocia nel tratto di spiaggia, dove gli amanti usavano incontrarsi. 

Tanti paesini in provincia di Catania ricordano nel nome, composto con Aci, questa bellissima storia di amore negato.

Al centro della sala è collocato Il Ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini, realizzato tra il 1621 e il 1622. 

Il grande gruppo marmoreo racconta un’altra violenza, dettata da uno smodato desiderio di possesso amoroso.

Foto 3: Il ratto di Proserpina

Proserpina, figlia di Demetra, fanciulla bionda e soave, sempre sorridente, in compagnia di altre ninfe, si divertiva a correre sui prati. A un tratto un terribile boato lacerò l’aria. La terra si spaccò e dal baratro balzò fuori, su un cocchio trainato da quattro cavalli Plutone, dio degli inferi, che, afferrata Proserpina, la trascinò nel grembo della terra. Il dio si era innamorato perdutamente di Proserpina e aveva chiesto e ottenuto da Giove di poterla sposare, perciò era venuto sulla terra e l’aveva rapita.

La fanciulla, atterrita, levò terribili grida, implorò il padre Giove ma questi, avendo consentito il rapimento, non poté aiutarla.

La madre Demetra udì le grida della figlia dall’Olimpo. Sconvolta scese sulla terra, e per nove giorni e nove notti la cercò disperatamente. Il sole ebbe pietà di lei e volle svelarle la verità.  Allora Demetra, disperata, si allontanò dall’Olimpo e si rifugiò in un tempio a lei consacrato, dimenticandosi della terra. Così a poco a poco i frutti marcirono, le spighe seccarono, i fiori ingiallirono. Alla fine la madre ottenne il permesso di far tornare per metà dell’anno la figlia sulla terra, per poi passare l’altra metà nel regno di Plutone: così ogni anno in primavera la terra si copre di fiori per accoglierla. 

In questo gruppo lo scultore sviluppa il tema della torsione elicoidale dei corpi, contrapponendo l’impeto delle figure (la mano di Proserpina spingendo arriccia la pelle del viso di Plutone, che affonda le sue dita nelle carni della vittima). Mentre il rapitore con passo potente e spedito trionfa fermo con il trofeo in braccio, dall’altro lato si scorge il tentativo disperato di Proserpina di sottrarsi alla violenza, mentre le lacrime le solcano il viso e il vento le sconvolge la chioma. In basso il cane a tre teste, guardiano infernale, abbaia. 

Sala VI – del Gladiatore – La Verità

La Sala prende nome da una scultura antica, il Gladiatore Borghese, già in questa sala e venduta a Napoleone nel 1807. Al centro è collocato il gruppo berniniano di Enea, che fugge dall’incendio di Troia, salvando il vecchio padre Anchise sulle sue spalle e il figlio Ascanio.

 Su un lato è collocata la Verità, un’opera allegorica realizzata dal Bernini per se stesso intorno al 1647-1648.

 Foto 4: La verità svelata dal Tempo 

L’opera nacque in un periodo in cui Bernini era caduto in difficoltà presso la corte papale, per le accuse mossegli dagli avversari contro il suo intervento nella basilica di San Pietro, che avrebbe causato problemi statici. La Verità si incarna in una figura femminile, nuda, come nella solita iconografia, seduta su un masso roccioso, e tiene nella mano destra il sole poggiando la gamba sinistra sul globo terrestre. La raffigurazione del Tempo, che doveva essere posta nella parte alta, non fu mai eseguita. C’è un espresso riferimento a Michelangelo per il voluto contrasto tra parti levigatissime e parti incompiute e alle figure femminili di Rubens per la prorompente fisicità. 

Sala VIII – del Sileno – Caravaggio

L’ultima sala del pianterreno, detta del Sileno, è oggi più nota per la consistente presenza di opere di Caravaggio (Milano 1571 – Porto Ercole, Grosseto 1610).

Sulle pareti, decorate a finto marmo, si trovano, infatti, sei dei dodici dipinti del maestro lombardo posseduti in origine dal cardinale: Giovane con canestra di frutta, Autoritratto in veste di Bacco o Bacchino malato, San Girolamo, Madonna dei Palafrenieri, San Giovanni Battista e David con la testa di Golia

      

 Foto 5: Madonna dei Palafrenieri 

 La Madonna dei Palafrenieri (1605-1606), anche detta Madonna della serpe, offre un’immagine a dir poco insolita della Vergine: una madonna-popolana, con un lembo della gonna arrotolata e i capelli arruffati, colta alla sprovvista, si china mostrando il seno. Ha un volto molto conosciuto a Roma, quello della modella e amica del pittore, Maddalena Antognetti detta Lena; anche l’immagine del Bambino è insolita: completamente nudo e troppo cresciuto; e Sant’Anna, una vecchia dal volto rugoso, ha un atteggiamento distaccato, dimesso. 

Il dipinto fu commissionato dalla Confraternita dei Palafrenieri per il proprio altare, dedicato a Sant’Anna, nella nuova basilica di San Pietro (i Palafrenieri Pontifici sono gli incaricati della gestione delle scuderie del Papa); ma rimase nella sede originaria solo pochi giorni, l’acquistò il cardinale Borghese per una cifra irrisoria. Probabilmente fu rimossa per motivi di decoro, vista la prorompente scollatura della Vergine e la nudità di un bambino, troppo cresciuto per essere mostrato nudo; non piacque alla Confraternita nemmeno la mancata partecipazione all’azione di S. Anna, patrona dei Palafrenieri. O più probabilmente fu il desiderio di possesso del cardinale Borghese a consentire il trasloco.

Tre sono i personaggi presenti: Maria, Gesù e Anna, la madre di Maria. Il Bambino è intento, con l’aiuto della madre, a schiacciare con il piede la testa di un serpente, allegoria del diavolo. Nonostante la scena sembri riprodurre un episodio di vita quotidiana (la mamma che corre in aiuto del bambino), simbolicamente raffigura la vittoria del Bene sul male. Anna li guarda, quasi nascosta nell’ombra. Lo sfondo è scuro, non si vede nulla dietro di loro. L’atmosfera cupa, ricca di pathos, tipica dei quadri di Caravaggio, ci fa immergere in una scena di sapore teatrale. 




Speciale 8 marzo

Impagine torna online con un numero speciale per l’8 marzo, Giornata internazionale delle Donne.

La rivista, colpita da un hacker, è stata restaurata e ha trovato nell’associazione Toponomastica femminile la partner per questa nuova iniziativa.

Il sito ha dato spazio a  diverse rubriche. Notevoli gli approfondimenti sulla storia delle donne e su questioni a loro legate, che resteranno a corredo del settimanale.

La scelta di insistere sull’universo femminile deriva dall’emergenza di comprendere i frequenti episodi di violenza verificatesi negli ultimi mesi e, in qualche modo, contribuire ad arrestarli. Ma anche dal desiderio di accendere i riflettori sul contributo che nel corso dei secoli le donne hanno dato allo sviluppo della società.

Esigenze molteplici e circostanze favorevoli hanno dunque dato vita a questa nuova veste, che ci auguriamo possa interessare i nostri lettori e le affezionate lettrici.

Buon otto marzo.

 

 

 

 

 




Duemila donne contro “L’Italia che stupra impunita”

Erano arrabbiatissime le donne che  hanno protestato a Firenze contro la sentenza con cui la Corte di Appello di Firenze ha assolto sei uomini dall’accusata di aver stuprato, nel luglio del 2008, una giovane donna nell’area del parcheggio della Fortezza da Basso.

Alla manifestazione, convocata da un nutrito gruppo di associazioni, sono intervenute in più di duemila da diverse città del centro e nord Italia per esprimere solidarietà alla donna e alzare la voce contro una sentenza che risulta essere più un giudizio sulle scelte di vita della vittima piuttosto che nei confronti di chi quella vita ha violato.

Le stesse motivazioni della sentenza racchiudono in sé giudizi morali nei confronti della donna che non ha avuto diritto di giustizia perché secondo i giudici la sua vita “non è lineare”, quattro pagine in cui sostengono che “il comportamento della ragazza ha dato modo ai ragazzi di pensare che la stessa fosse consenziente”. In un passaggio i giudici definiscono la ragazza “un soggetto fragile, ma al tempo stesso creativo, disinibito, in grado di gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali di cui nel contempo non era convinta”.

Erano tante le donne, ma c’erano anche uomini da alcune accettati da altre tollerati, che hanno prima sfilato intorno alla Fortezza da Basso, percorso autorizzato, ma poi hanno valutato che la gravità del caso pretendeva qualcosa di più che un girotondo e hanno deciso di osare di più.

Hanno prima occupato via Strozzi, davanti la questura, per proseguire verso il centro della città, via Cavour, la stazione ferroviaria, piazza del Duomo per tornare alla Fortezza.

Moltissimi i cartelli con l’hastag #nessuna scusa, ad indicare che non esistono giustificazioni per uno stupro, tanti slogan contro il patriarcato, alcuni anche duri sul tono “L’Italia stupra impunita, se non c’è giustizia ci sarà vendetta”. E non sono mancati riferimenti internazionalisti al coraggio e alle lotte delle “sorelle curde, yazide, nigeriane, indiane…”

La manifestazione, anche se in buona parte non autorizzata, si è conclusa intorno a mezzanotte e comunque senza incidenti, tra la curiosità dei molti turisti e la solidarietà delle e dei fiorentini che per qualche minuto hanno abbandonato la tv e si sono affacciati da balconi e finestre per salutare l’insolito corteo.

Anche a Roma, nel quartiere del Pigneto, in contemporanea con la manifestazione di Firenze, si è tenuta una protesta in solidarietà con la donna che ha subito violenza e contro la sentenza che ha assolto i suoi stupratori.

Per i giudici la giovane, all’epoca 23enne, avrebbe denunciato il rapporto sessuale per “rimuovere” un suo “discutibile momento di debolezza e fragilità”. E, comunque, i ragazzi possono aver “mal interpretato” la disponibilità della ragazza.

A questi giudici la ragazza ha voluto rispondere. Lo ha fatto con una lettera pubblicata sul blog Abbatto i muri: “Come potete immaginare che io mi senta adesso? Non riesco a descriverlo nemmeno io. La cosa più amara e dolorosa di questa vicenda é vedere come ogni volta che cerco con le mani e i denti di recuperare la mia vita, di reagire, di andare avanti, c’é sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai piú la stessa”. Lo ha fatto per ribadire alla Corte d’Appello che lei, nonostante la violenza sessuale, esiste ancora. “Esisto – scrive la ragazza – nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi é stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui é stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale”. Per l’avvocata Lisa Parrini che ha difeso la vittima si tratta di una sentenza impregnata di moralismo dal momento che è stata portata avanti indagando sulle abitudini sessuali della donna violentata per stabilire se davvero si è trattato di stupro. “Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole – scrive la ragazza – dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale”.

“Abbiamo perso tutti – condanna la ragazza – non hanno vinto loro, gli stupratori, la loro arroganza, il loro fumo negli occhi, le loro vite vincenti”. E, dopo che i giudici di appello hanno clamorosamente ribaltato la sentenza del primo processo che condannava i sei ragazzi del branco, arriva addirittura a pensare che, forse, tornando indietro non denuncerebbe le violenze subite. “Che se anche la giustizia con me non funziona prima o poi funzionerà – è l’auspicio – cambierà, dio santo, certo che cambierà”. “Ebbene sì – conclude – se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta”.




ITALIA – A Verona la più grande manifestazione LGBT nel ventennale della Mozione omofobica n. 336

Una marcia dell’orgoglio lesbico, gay, bisessuale, transessuale e transgender, queer, intersex e asessuale (LEGBTQIA) attraverserà il centro di Verona, il 6 giugno 2015.  Il Verona Pride è un’occasione di mobilitazione di tutte le forze sociali e civili che si riconoscono nei valori fondamentali dell’antifascismo, dell’antisessismo, dell’antirazzismo e dell’uguaglianza, contro ogni forma di autoritarismo, di fondamentalismo religioso e politico, di violenza, per rivendicare un cambiamento politico e culturale radicale. Perchè Verona si rivela continuamente un laboratorio delle discriminazioni, delle intolleranze e dei crimini d’odio.

Proprio nel 2015 cade il ventennale della Mozione  n. 336 approvata dal Consiglio comunale (1995), che definiva l’omossessualità “contro natura” e impegnava il Comune a difendere la cosiddetta “famiglia naturale”, promuovendo un’omofobia istituzionale e legittimando in maniera inaccettabile la discriminazione contro le persone omosessuali. Con questa Mozione, Verona, di fatto, si chiamò fuori dall’Europa, respingendo l’applicazione delle direttive del Parlamento Europeo in tema di diritti civili e di pari opportunità.

Inoltre, nel 2014, il Veneto ha confermato il triste primato della Giunta regionale più omofobica e transfobica d’Italia, dando continue dimostrazioni di pregiudizio e ignoranza di fronte alle tematiche LGBT.

L’Italia è uno dei pochi stati dell’Unione europea in cui non esiste una legge contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità  di genere, in cui le unioni tra persone dello stesso sesso non sono riconosciute e ancora non è possibile disporre liberamente del proprio genere. Per questo da mesi il Comitato del Verona Pride lavora alla promozione della marcia finale, che tra qualche giorno potrebbe diventare la più grande e partecipata manifestazione LGBT della storia del Nord Est.




ITALIA – Donne e criminalità: la storia di Rossella Casini

Il 22 febbraio del 1981 all’età di venticinque anni sparì nel nulla Rossella Casini, una giovane fiorentina la cui unica imprudenza fu quella di sfidare da sola la ‘ndrangheta. Poco prima di sparire aveva chiamato suo padre per avvisarlo del suo ritorno a casa. Era una ragazza bellissima e perspicace, iscritta alla facoltà di psicologia e figlia unica di un operaio della Fiat e di una casalinga che non smisero fino alla loro morte di cercarla. Sua madre morì consumata dal dolore, senza sapere cosa fosse accaduto alla sua amata figlia. La vita di Rossella trascorreva spensierata fino a quando non conobbe nel 1978, uno studente in Economia, Francesco Frisina proveniente da Palmi. I due si fidanzarono sin da subito e la loro storia in origine rendeva Rossella e la sua famiglia molto felici. Nel 1979 suo suocero, Domenico Frisina fu assassinato da due sicari e qualche settimana più tardi Francesco fu ferito alla nuca. Rossella cercò di comprendere i motivi di ciò che era accaduto e ben presto scoprì che la famiglia Frisina era legata alla ‘ndrangheta ed implicata nel conflitto tra clan Condello e Gallico. Questa guerra portò ad una vera e propria mattanza che costò la vita a 54 persone. Rossella in un primo momento riuscì a convincere il suo fidanzato a collaborare con la polizia, ma dopo pochi giorni lui ritrattò. Interrogata dal magistrato Francesco Fleury, riuscì a inchiodare alcuni componenti dei clan. La famiglia Frisina allarmata dalla “fuga di notizie” richiamò a Palmi la ragazza e riuscirono grazie all’aiuto di un legale a farle firmare un documento in cui ritrattava tutte le dichiarazioni fatte al magistrato. Subito dopo Rossella svanì fino al 22 luglio 1994, giorno in cui suo padre Loreto lesse su un quotidiano la notizia dell’uccisione di sua figlia, i genitori non seppero più nulla di lei. A rivelare cosa fosse accaduto alla ragazza fu un pentito parlermitano, Vincenzo Lo Vecchio, lui affermò che la ragazza fu stuprata, uccisa e il suo corpo fu fatto a pezzi. La presunta mandante fu Concetta, sorella di Francesco, i presunti esecutori invece furono individuati in Domenico Gallico e Pietro Managò, ma il processo a loro carico durato nove anni, tra ritardi ed errori procedurali, si concluse con l’assoluzione di tutti gli imputati. Nessuno ha mai pagato per la morte di Rossella e probabilmente la vicenda sarà archiviata, in quanto tutti i membri della famiglia Casini sono deceduti e dunque nessuno chiederà che venga fatta giustizia.




GRECIA – Tsipras blocca il calcio: troppe violenze, sospesi tutti i campionati

Dopo gli scontri  ad Atene, Larissa e all’assemblea di Super League, il primo ministro greco ha fermato il pallone ellenico. azione che non era riuscita  a Mario Monti in pieno scandalo calcioscommesse.
Lo ha deciso oggi il governo dopo gli scontri tra tifosi  nei derby Panathinaikos-Olympiacos e Larissa-Olympiakos Volou e dopo che, nell’assemblea della Super League (la Lega di Serie A greca), dirigenti e presidenti se le sono date di santa ragione. Il ministro dello sport Stavros Kontonis ha incontrato il premier Alexis Tsipras, da cui ha ricevuto il via libera. Con i rappresentanti della federcalcio ellenica e delle due leghe Super League (prima divisione) e Football League (seconda)  ha comunicato la decisione: le partite del prossimo fine settimana calcistico rinviate a data da destinarsi, quindi sospensione, fino a che i rappresentati dei club non troveranno un accordo per arginare la violenza e sottoscriveranno le nuove normative di sicurezza, tra cui l’obbligo di telecamere dentro e fuori gli stadi.

Quello che non era riuscito all’allora premier italiano Mario Monti nella primavera del 2012, in pieno scandalo calcioscommesse, riesce ora al governo di sinistra di Syriza, già sotto pressione dell’ala più intransigente del partito e di buona parte del suo stesso elettorato, per gli accordi con la UE.

E’ la terza volta in una sola stagione che il calcio viene sospeso. La prima per l’uccisione di un tifoso in un match di terza divisione, la seconda per l’accoltellamento di un dirigente dell’associazione arbitrale (ed ex arbitro internazionale).

E’ scoppiato il caos prima del “derby degli eterni nemici” tra Olympiacos e Panathinaikos, dopo 15 minuti di fuochi d’artificio, i tifosi ospiti hanno invaso il campo, per impedire che il presidente dell’Olympiacos Vagelis Marinakis facesse la sua solita passeggiata sul terreno di gioco, e poi hanno dato la caccia ai giocatori. Altra invasione nell’intervallo del match, con la polizia che ha reagito in maniera giudicata eccessiva inondando i settori dello stadio di gas lacrimogeni. Scene di violenza anche nel derby tra Larissa e Olympiakos Volou, in seconda divisione. Mentre  nell’assemblea di Lega è successo di tutto con lo stesso Marinakis che avrebbe tirato un bicchiere contro il presidente del Panathinaikos Yiannis Alafouzos, mentre una guardia del corpo avrebbe tirato un pugno in faccia al suo secondo Vassilis Constantinou. Per questo, il governo Tsipras ha disposto la sospensione di tutte le partite di calcio nel paese.




IRAQ – L’Isis uccide anche Muath al Kasasbeh. Nelle loro mani resta l’ultimo ostaggio

Un uomo rinchiuso in una gabbia, un altro con in mano una torcia lo guarda in lontananza. Vi assicuro che nonostante il video sia stato girato da un professionista, il quale con occhio cinico ha ripreso da ogni angolatura la scena, calcolando anche altre variabili, quali luce e profondità, non state assistendo ad una parte del film “Saw”, ma all’esecuzione di un uomo, per la precisione di Muath al Kasasbeh, il pilota ostaggio dei miliziani dell’Isis. Il messaggio fuga ogni dubbio dall’animo di chi ha visionato il filmato, perché l’intento dei jihadisti è proprio quello di mostrare al mondo intero cosa sia il “terrore”. Ricordo d’aver visto in un articolo sul web la foto della moglie del pilota che fu scattata durante l’ultima manifestazione organizzata nel tentativo di convincere i miliziani a rilasciarlo, nei suoi occhi si leggeva il terrore di una donna che sapeva di non avere più la possibilità di riabbracciare suo marito. Quale sarà la loro prossima mossa, nessuno può saperlo, nelle loro mani rimane solo un ostaggio, ossia una cooperante americana rapita in Siria nell’agosto del 2013. Resta la delusione in chi ha creduto che il pilota potesse essere liberato in cambio della scarcerazione della jihadista Sajida al-Rishawi, detenuta nelle carceri giordane , per aver partecipato assieme a suo marito ad un attentato kamikaze nella capitale Amman, costato la vita a 60 persone. Non riuscì ad innescare l’ordigno contenuto nel giubbotto esplosivo che indossava e cercò di scappare, ma fu individuata e catturata dalla polizia. In seguito fu condannata a morte e i miliziani chiesero la sua scarcerazione in cambio della liberazione di Muath al Kasasbeh, ma in realtà si trattava solo di un becero inganno, perché l’esecuzione del pilota era avvenuta il 3 gennaio. Il Governo Giordano, che avrebbe dovuto essere esempio di civiltà, ha risposto all’esecuzione di Muath seguendo le regole della legge del taglione: il giorno dopo la terrorista è stata impiccata. Violenza che genera violenza, l’essere umano sembra essersi spogliato del suo essere “civile” involvendosi in bestia da combattimento. L’Isis non si fermerà, continuerà nella sua guerra continuando a diffondere video pregni di terrore nel web, ma se tutti evitassimo di guardare questi filmati, probabilmente li renderemmo più deboli.

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