Attualità di “Violetta la timida” (terza parte)
Così la ex timida Violetta viene scelta come portavoce delle compagne e l’Autrice descrive una trasmissione della tv di quegli anni in cui i microfoni erano appesi al collo delle cosiddette “giraffe” piccole gru montate su un carrello guidato da un tecnico in camice bianco, che portavano il microfono sulle teste di chi doveva parlare. Su altri carrelli erano trasportate le ingombranti telecamere, il regista faceva accendere e spegnere le luci e tracciava cerchi a terra per indicare a ognuno il suo posto.
Il civile dibattito che vede impegnata da un lato Violetta e dall’altro i professori, moderato da un pedagogista, si conclude con la schiacciante vittoria dei professori stessi che con valide ragioni contestano tutte le obiezioni indicate dalle allieve di cui Violetta si fa portavoce. D’altra parte i ragionamenti sono inoppugnabili e la stessa ragazzina deve ammettere che gli insegnanti hanno pienamente ragione. Così vengono rapidamente smontate le obiezioni fatte dalle allieve.
Non sono troppi i compiti assegnati da svolgere a casa o durante le vacanze, ma il vero problema è la mancanza di metodo da parte delle allieve che tendono a rimandarli all’ultimo momento col risultato di sentirsi oppresse dalla mole dei compiti stessi.
Non è eccessiva la quantità di testi/poesie da mandare a memoria anzi essa in questo modo viene efficacemente esercitata per evitare che si atrofizzi come ogni facoltà non tenuta in esercizio. Del resto lo stesso Italo Calvino raccomandava: “Imparate delle poesie a memoria, molte poesie a memoria; da bambini, da giovani, anche da vecchi. Le poesie fanno compagnia, uno se le ripete mentalmente e poi lo sviluppo della memoria è molto importante.”.[1]
Non sono i compiti dati per castigo a essere indice di un metodo antiquato per una scuola moderna ma è l’indisciplina delle scolaresche a essere un atteggiamento incompatibile con la presa di coscienza che si auspicherebbe fosse ormai raggiunta dai giovani i quali dovrebbero convenire che a scuola si va per imparare.
Quanto al fatto che, per la loro giovane età non è giusto che gli studenti siano per tante ore costretti nei banchi e curvi sui libri, riconoscendo che non sempre viene tenuta in giusta considerazione la vivacità propria dell’età, i professori alla fine si impegnano a dare maggior libertà ai ragazzi quanto più dimostreranno di saper studiare razionalmente.
Da un punto di vista pedagogico e di trasmissione dei valori l’Autrice da un lato manifesta una grande modernità prevedendo la possibilità dei ragazzi di esprimere i loro pareri e far valere le loro ragioni ma dall’altro, attraverso un inoppugnabile ragionamento, li porta a convenire che gli insegnanti, e in altre situazioni educative, i genitori e in generale gli adulti con il loro bagaglio di esperienza hanno il ruolo di indirizzare e istruire i giovani pur tenendo conto delle loro necessità e legittime esigenze.
Pedagogia e psicanalisi
L’aspetto psicologico cui si inspira l’Autrice è messo bene in evidenza anche per quello che riguarda la questione, particolarmente di attualità in una classe tutta femminile, dell’abbigliamento e del trucco. Sarà compito dell’insegnante di matematica, la professoressa Cantoni, cercare di conciliare il risvegliarsi dell’istinto femminile di voler essere belle e desiderabili delle sue giovani allieve e l’atteggiamento di genitori e insegnanti in generale che disapprovano queste tendenze.
La classica risposta “non è ancora l’età per queste cose non può essere considerata soddisfacente, troppo debole“ in rapporto alla forza della vanità, del desiderio di apparire che sorge in voi”. D’altra parte le proibizioni degli adulti hanno una loro ragion d’essere ma l’errore è di volerle imporre e di non volerle spiegare. Con fine dialettica la giovane insegnante che si rifà come lei stessa sostiene, a quelle conoscenze di psicologia ormai indispensabili per un buon rapporto con le giovani generazioni, definisce “L’adolescenza un’età che non è più infanzia e non è ancora giovinezza”. Un’età da rispettare senza voler né indulgere negli istinti dell’infanzia né anticipare quelli della giovinezza. Un’età di attesa, una primavera della vita una breve età in cui si è belle senza alcun ornamento, un’età invidiabile di naturale eleganza e agilità. Per bocca della docente parla la stessa Autrice che attraverso questo personaggio esprime le sue personali opinioni dettate da un sano buonsenso e da saldi principi morali espressi in modo analogo in altri suoi romanzi quasi tutti imperniati su personaggi di giovinette che si trovano a vivere le contraddizioni e gli entusiasmi di quell’età definita “terra di nessuno” che è l’adolescenza.
Consigli e suggerimenti
In pratica qual è il metodo segreto perché Violetta, Terenzio e i tanti timidi, disseminati nel romanzo riescano a superare le loro paure e a diventare sicuri di sé recuperando l’autostima che tante circostanze ed anche tanti atteggiamenti di critica da parte degli altri avevano contribuito a distruggere? Semplicemente, come dice la Signora A, affrontare ogni situazione che intimorisca o faccia soggezione, affrontare le proprie paure, imporsi di fare esattamente quello che si teme di fare. Che si tratti di chiedere all’insegnante di matematica di spiegar più lentamente le lezioni, di ottenere il permesso di invitare le amiche a casa per una festicciola, farsi portavoce delle compagne nell’incontro studenti- professori, o affrontare il primo servizio giornalistico intervistando alcune compagne e compagni di scuola l’importante è non tirarsi indietro, mai.
In questo modo la ex-timida Violetta si prepara a un futuro di giovane donna consapevole delle proprie capacità e pronta ad affrontare quello che la vita vorrà riservarle.
Conclusioni
Il personaggio di Violetta, che ha conquistato negli anni Sessanta un’intera generazione di adolescenti timide, ha mantenuto intatta la sua attualità.
Nonostante siano mutati i tempi e gli scenari in cui si svolgono le vite dei giovani di adesso, alcuni atteggiamenti dell’essere umano sono sempre uguali e sempre lo saranno. La timidezza, la mancanza di autostima si riscontrano anche nelle generazioni del XXI secolo malgrado comportamenti più o meno aggressivi per cercare di mascherarli.
Il rimedio, che consiste nel vincere la timidezza imponendosi di fare le cose che si teme di dover fare, è qualcosa di cui l’Autrice parla per esperienza personale se pensiamo che lei stessa, poco più che adolescente (aveva sedici anni) affrontò un viaggio a Milano e la difficoltà di chiedere e ottenere un colloquio con il direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini per sottoporgli una sua novella sorretta dalla determinazione che le veniva dal desiderio di realizzare il suo sogno di diventare giornalista e scrittrice.
Una lettura attenta della biografia di Giana Anguissola dei suoi numerosi racconti, novelle e romanzi sia per adulti che per ragazzi, dei molti articoli pubblicati su vari giornali dell’epoca, dalla Domenica del Corriere a Libertà ecc. ci fanno capire in che ricco panorama di esperienze personali, conoscenze culturali, si siano maturate le sue profonde convinzioni e siano scaturiti i suoi insegnamenti validi per tutte le stagioni.
E sono le avventure di Violetta, ma anche delle varie Priscilla, Giulietta, Marilù, Pierpaola, Giana, eroine di tanti romanzi, che testimoniano la volontà dell’Autrice, attraverso quella che si può considerare la vita normale di normalissime ragazzine di varia estrazione sociale, di dare delle linee guida di comportamento che possano aiutare nella delicata fase della crescita le giovani protagoniste e, attraverso di loro, le giovani lettrici.
Un intento e una volontà che, a distanza di oltre sessant’anni dalla morte della scrittrice piacentina, e con tutti i cambiamenti che si sono verificati nella Società, mantiene ancora una sua intramontabile attualità.
[1] In un’intervista nel libro di Alberto Sinigaglia Vent’anni al Duemila Eri, Torino, 1982.