Il voto in Turchia. La diretta al centro culturale curdo di Roma

Nel primo pomeriggio del 24 giugno il centro culturale Ararat si comincia a riempire. Pane, frutta e piatti mediorientali occupano la tavola dove è riunita la comunità curda di Roma. Mentre i bambini giocano a biliardino o si rincorrono nel cortile e gli adulti sorseggiano il çay bollente appena versato, il collegamento con la televisione turca inizia a mandare le prime notizie. Tutti i presenti hanno il fiato sospeso.

Nel frattempo, dall’altra parte del Mediterraneo, la popolazione turca sta votando per le elezioni parlamentari e presidenziali anticipate, indette dal presidente uscente Recep Tayyip Erdogan per frenare il calo di consensi che la sua politica di odio sta affrontando. «Se oggi cambiano le cose in Turchia, forse potremo finalmente tornare a casa», dicevano commosse alla vigilia delle elezioni alcune donne curde che vivono in Italia con lo statuto di rifugiate politiche.

Prima di indire le elezioni, per assicurarsi di rimanere al governo, Erdogan ha scritto una Costituzione che trasforma la Turchia in Repubblica presidenziale con un enorme potere in mano a un solo uomo, capo dello Stato e dell’esecutivo, ridimensionando di molto il ruolo del Parlamento. Tutt’altro che democratica è anche la legge elettorale turca, che presenta una soglia di sbarramento al 10%, la più alta al mondo, e i seggi che spetterebbero ai partiti che hanno mancato il quorum vengono attribuiti d’ufficio alla lista di maggioranza relativa (che è il partito di Erdogan); la legge prevede la possibilità di formare coalizioni di più partiti che si presentino separati alle parlamentari ma con un unico candidato alle presidenziali. 

Questa campagna elettorale è stata segnata da toni violentissimi. La faccia di Erdogan era presente su ogni muro del Paese, i suoi slogan citavano Dio e accusavano di terrorismo gli avversari e in particolare il popolo curdo. Per ottenere consensi ha attaccato la città curdo-siriana di Afrin e poi i villaggi curdo-iracheni del Qandil, muovendosi fuori dal proprio territorio e dal diritto internazionale. Era chiaro che il dittatore turco avrebbe fatto qualunque cosa pur di vincere la sfida. 

Quando inizia lo spoglio delle schede la tensione è alta. 

A effettuare lo scrutinio non sono persone indipendenti ma un’agenzia legata al partito di governo. Tramite gli osservatori internazionali (molti dei quali legati a Rete Kurdistan) arrivano notizie di brogli e violenze. Si parla di cinque italiani arrestati senza un’accusa chiara, di diecimila soldati inviati nelle zone a maggioranza curda, di schede sparite e altre truccate e di rappresentati di lista aggrediti. In alcuni seggi del Bakûr (il Kurdistan turco) l’esercito ha tolto le cabine elettorali e costretto i cittadini e le cittadine a votare apertamente davanti ai soldati in armi e un elicottero ha portato via urne piene di schede votate.

Ararat, fila di bandiere

Il clima ad Ararat è teso. Sono presenti ovunque le bandiere dell’HDP, il Partito Democratico dei Popoli, la principale opposizione al regime turco. 

La prima notizia che arriva è un duro colpo per chi sperava di poter tornare in Turchia da cittadino libero: con il 52% di voti della sua coalizione, Erdogan è di nuovo presidente.

Non tutti i dati sono attendibili per via dei brogli, risulta addirittura che Erdogan abbia vinto in città che hanno sempre sostenuto la guerriglia del PKK. Arrivano informazioni di numeri poco credibili. Le sorti dell’HDP sono ancora incerte, in condizioni normali potrebbe superare il 20%, ma con i voti che spariscono nel nulla è difficile fare previsioni attendibili. Alle presidenziali Selahattin Demirtaş, leader dell’HDP e fondatore della sezione turca di Amnesty International, candidato alla presidenza dal carcere in cui è rinchiuso da mesi, risulta essersi attestato all’8%. Far sparire l’HDP dalle istituzioni è il sogno del dittatore turco. I deputati e le deputate dell’HDP, che hanno sempre difeso i diritti umani e la causa curda, sono in carcere, accusate da Erdogan di avere legami con il PKK, ma la magistratura turca non ha mai emesso una condanna nei loro confronti.

Nel tardo pomeriggio all’improvviso un forte applauso scuote l’aria sotto la tettoia del centro Ararat. Secondo le ultime proiezioni, l’HDP ha superato lo sbarramento con l’11,2%, ottenendo così quei 66 deputati sufficienti per strappare la maggioranza all’AKP di Erdogan. Qualcuno alza il pugno e sorride, qualcuno telefona ai parenti rimasti in Bakûr, qualcun altro porta un vassoio pieno di bicchieri di çay. Quando vengono proiettati i risultati di Diyarbakir (una delle principali città curde) si sente esclamare Her bijî! (evviva!): nonostante i brogli l’HDP risulta aver ottenuto oltre il 65% dei voti locali. Alle elezioni parlamentari il partito di governo AKP si ferma al 42%, ben lontano dalla maggioranza assoluta cui puntava. 

Oltre all’HDP, all’opposizione parlamentare vi è anche il CHP, moderato partito kemalista nazionalista ma laico, non certo filocurdo ma comunque ostile alla esasperata islamizzazione della Turchia che Erdogan sta portando avanti. È rimasta invece fuori dal Parlamento la candidata ultranazionalista Akşener, anch’essa temuta e odiata dal popolo curdo. 

Persino i bambini interrompono i loro giochi e guardano lo schermo che mostra il nuovo Parlamento turco, dove il giallo dei conservatori occupa adesso meno di metà dell’emiciclo. Ora il vincitore solo formale, rimasto in realtà senza una maggioranza, non può più fare il bello e il cattivo tempo da solo. La Costituzione gli dà la possibilità di governare attraverso decreti d’emergenza, ma questi dovranno comunque confrontarsi con un potere legislativo non più asservito all’esecutivo. E, per poter stipulare accordi che gli permettano di governare, il presidente dovrà comunque rinunciare a parte del suo autoritarismo.




Brescia alle urne, fra allineamenti e controtendenze

Due dati emergono con nettezza dai risultati delle elezioni amministrative del 10 giugno 2018 a Brescia: la più bassa partecipazione al voto mai registrata nella storia cittadina (57,44%) e la vittoria al primo turno della coalizione di centro-sinistra che ha guidato la città negli ultimi cinque anni. Il sindaco Del Bono viene riconfermato con il 54% dei consensi dei votanti, mentre al PD va il 35% dei voti. Il primo dato, abbastanza anomalo per una città di solito piuttosto massicciamente partecipe alle urne, è sostanzialmente in linea con le tendenze a livello nazionale, mentre il secondo appare più in continuità con la tradizione locale e in decisa controtendenza con l’andamento nazionale.

Al successo della coalizione di centro sinistra hanno contribuito sia lo scarso peso politico a livello locale del Movimento 5 stelle – completamente escluso dalla sfida per l’elezione del primo cittadino e in flessione non solo rispetto alle politiche di marzo ma anche alla precedente tornata amministrativa – sia l’exploit del PD cittadino. Oltre al PD, si sono schierate con il sindaco eletto due liste civiche e due liste guidate da donne, entrambe di ispirazione latamente  socialista. Fuori dalla coalizione è rimasta la sinistra “dura e pura” di Potere al popolo e il  PCI.

La campagna elettorale

La campagna elettorale, svoltasi sullo sfondo degli esiti delle elezioni politiche del 4 marzo 2018, ha visto il confronto tra due candidate (una per la coalizione di centro destra e una per Forza Nuova), e sei candidati alla carica di sindaco, sostenuti da diciotto liste. Partita senza grande slancio propositivo, soprattutto a destra – i primi grandi cartelloni elettorali della coalizione guidata successivamente da Paola Vilardi consistono in un annuncio alla ricerca di qualcuno che “mandi a casa” il sindaco uscente Emilio Del Bono – è stata poi martellante e aspra, non priva di attacchi personali.

Nonostante la candidatura di Emilio Del Bono sia stata supportata da leader nazionali quali Graziano Del Rio e Maurizio Martina, che lo ha definito “il miglior sindaco che la città abbia mai avuto” , il sindaco uscente ha incentrato la sua campagna sulla realtà locale, tenendosi a debita distanza dalla realtà nazionale e separando  la dimensione amministrativa da quella parlamentare. Del Buono ha avuto un approccio alquanto pragmatico e concreto, vicino alla sensibilità locale, e, se un tocco di personalismo vi è stato, si è manifestato nell’uso dei social e nei frequenti incontri con la cittadinanza, da quelli organizzati con gli abitanti dei diversi quartieri, a quelli estemporanei e informali con singole persone, nelle strade e nelle piazze. In questo il primo cittadino uscente riprende una consolidata tradizione locale, iniziata con il democristiano Bruno Boni, sindaco di Brescia dal 1948 al 1975.

La presenza fisica nel tessuto urbano del “corpo del sindaco” è metafora plastica della capacità di Del Bono e della sua coalizione di iscriversi nella tradizione nella città, caratterizzata dalla presenza di un solido cattolicesimo democratico, quello di Martinazzoli sul versante politico e di un ricco e variegato mondo dell’associazionismo e del volontariato su quello sociale, e del dialogo tra mondo cattolico e comunista.

Foto 1. Emilio Del Bono

La sua ricerca del consenso si è basata su due punti: l’illustrazione degli effetti del suo buongoverno e la promessa di attuazione di altri interventi già deliberati. Con la sua giunta Brescia negli ultimi cinque anni ha registrato l’abbattimento del cromo esavalente nell’acqua, la raccolta differenziata al 65% (+ 27%), l’incremento del 50% del presidio della Polizia locale sul territorio e di quasi 13 milioni di utenti sul trasporto pubblico locale, il 113% in più di visitatori nei musei della città, il restauro e la riapertura della Pinacoteca, chiusa da nove anni. Restano ancora da fare la bonifica del sito industriale della Caffaro, azienda chimica che ha iniziato a inquinare i primi anni del Novecento, la realizzazione di un grande parco tematico, il taglio delle imposte comunali, l’istituzione del nucleo di Polizia locale di quartiere, il trasporto pubblico a zero emissioni, il doposcuola gratuito per bambini e bambine dai 6 ai 13 anni, la candidatura di Brescia a capitale italiana della cultura nel 2022.

Analisi del voto

Un dato significativo su cui riflettere è quello dell’elevato e crescente astensionismo, rispetto al quale nessuno può, né dovrebbe, cantare vittoria. Alle amministrative dell’aprile 2008, abbinate alle politiche, aveva votato l’84,7% degli aventi diritto, alle politiche del 4 marzo 2018 il 74,37%, alle amministrative del 10 giugno solo il 57,44%. L’unico partito che è riuscito a conservare il proprio zoccolo duro è il PD. Sia a sinistra, sia a destra si è registrato un insuccesso dei partiti minori, schiacciati dalle due coalizioni.

Secondo alcuni, il forte astensionismo, nonostante la buona affermazione della Lega (24,71%) avrebbe danneggiato la coalizione di centro destra, il cui  programma si è incardinato su cinque parole chiave – sicurezza, ambiente, famiglia, lavoro e futuro – non specificamente legate alla realtà locale, ma sostanzialmente una sorta di  passepartoutper Matteo Salvini, unico leader nazionale recatosi a Brescia a sostenere Paola Vilardi.

I mutamenti demografici, determinati dai fenomeni migratori, che hanno interessato Brescia negli ultimi decenni, si riflettono anche nella composizione delle liste elettorali. Fra gli aventi diritto al voto circa 12.000 sono neo-cittadini di origine immigrata, che hanno chiesto e ottenuto la cittadinanza italiana, e rappresentano l’8,5% del corpo elettorale, mentre i residenti stranieri in città, al primo gennaio 2017, risultano essere il 18,5%.

In termini di candidature la presenza dei nuovi cittadini è veramente scarsa: sono solo 23 – 12 uomini e 11 donne, di cui nessun/a eletto/a – le candidature a consigliere/a, pari a meno del 4% del totale: certamente poche per una città che è terza in Italia, dopo Prato e Milano, per numero di stranieri residenti.

Una lettura di genere

Su 8 candidati a sindaco 2 sono donne (25%)  – una è la candidata della coalizione di centro destra e l’altra quella di Forza nuova – mentre le aspiranti consigliere costituiscono il 44,8% del totale con una leggerissima superiorità nelle liste del centrosinistra. La lista più “rosa” è quella di Fratelli d’Italia, che forse a Brescia si sarebbe potuta ribattezzare Sorelle d’Italia, con 19 candidate su 32 (59%), mentre fanalino di coda è il Movimento 5 Stelle con il 33% e Brescia Italiana. La coalizione di centro sinistra, presenta 16 uomini e 16 donne in ciascuna lista (50%).

Se si guarda in un’ottica di genere il risultato elettorale la situazione cambia poco. Su un totale di 32 consiglieri 12 sono donne (37,4%), di cui 8 su 20 (40%) nella coalizione di centro sinistra  e 4 su 11 (36,3%) in quella di centrodestra. Nello specifico, la lista civica di Laura Castelletti, Brescia per passione, elegge una donna e un uomo (50%), cui seguono il PD con 7 donne su 15 eletti (46,6%),  la Lega con 3 donne su 7 eletti (42,8%), Forza Italia con una donna su tre eletti (33%), mentre la Civica Del Bono sindaco, Sinistra a Brescia, Fratelli d’Italia e il Movimento 5 Stelle vedono l’elezione di soli candidati uomini.

Conclusioni

In questi risultati elettorali si può leggere l’intreccio tra continuità e cambiamento, il permanere di una tradizione accanto al lento e faticoso emergere dei mutamenti in corso nella società, una certa disaffezione critica rispetto alle imperfezioni della democrazia rappresentativa e contemporaneamente un’apertura di credito per il futuro all’uscente, e riconfermato, sindaco della giunta “del fare”, che ha indicato la propria mancanza di arroganza come una delle ragioni della riconferma della coalizione di centro sinistra.

Sicuramente Brescia, con l’esito di queste elezioni amministrative, conferma la propria anomalia nel panorama politico nazionale, tuttavia è ancora troppo presto per dire se il caso bresciano riuscirà a divenire modello o resterà confinato all’ambito locale.

 




ARABIA SAUDITA – Salma bint Hizab al-Oteibi, la prima donna eletta alla Mecca

Salma bint Hizab al-Oteibi è la prima donna saudita ad aver conquistato un seggio nel consiglio municipale di Madrakah, la regione della città santa della Mecca, nel primo voto aperto alle donne nel regime ultraconservatore dell’Arabia Saudita. Lo ha annunciato oggi la commissione elettorale locale, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Afp.

In tutto sarebbero tredici le donne saudite elette nello storico voto per le regionali, il primo a cui le donne potevano votare ed essere elette. Un’altra candidata, Hanouf Bint Mufrih bin Ayid al-Hazmi, è stata eletta nella regione di Jawf (nord-ovest), mentre altre due, Sanna Abdel Latif Hamam e Maasooma Abdel Mohsen al-Rida, nella regione di Ihsa (sud-est).

Si tratta di una prima assoluta in Arabia Saudita, lo stato culla del wahabismo, l’interpretazione più intransigente e severa dell’islam sunnita. Lo ha riferito la commissione elettorale. I sauditi che hanno partecipato alle elezioni erano 1.486.477, di cui 130.637 donne.

Elettori ed elettrici sono stati chiamati a scegliere tra 6.000 uomini e 900 donne candidati ai seggi dei 284 consigli municipali, i cui poteri sono limitati a questioni locali, strade, giardini pubblici e raccolta dell’immondizia, ma che sono anche le uniche assemblee del regno a essere composte da rappresentanti eletti. Nella sua circoscrizione, Salma bint Hizab al-Oteibi correva contro sette uomini e due donne.

L’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch ha accolto con favore le elezioni come un passo verso una maggiore partecipazione delle donne alla vita politica del regno, pur sottolineando che “l’arabia saudita continua a discriminare le donne attraverso una miriade di leggi, politiche e pratiche”.




ITALIA – Terni, il mondo delle donne e le memorie operaie femminili

Di Manila Cruciani

Ticchetettà

Semo de Cinturini lasciatece passa’

semo belle e simbatiche ce famo rispetta’

matina e sera, ticchetettà,

infinu a sabadu ce tocca d’abbozza’

 

(Cinturini, canzone delle operaie tessitrici della fabbrica di iuta impiantata a Terni, alla fine del 1800, dall’ingegnere Centurini)

 

Nel Villaggio Matteotti della città di Terni, può accadere che i passi rimbalzino nel ritornello di una canzone sociale: l’insediamento semirurale (realizzato dalla Società Terni fra il 1938 e il 1946) e le cellule abitative avanguardiste del nuovo agglomerato (progettato nel 1970) restituiscono nomi di donna alla memoria democratica e alla classe cultrice e lavoratrice della storia locale.

In questi nomi c’è l’intuizione del nesso, (ri)generativo e variabile, di tante piccole comunità di destino all’interno della grande comunità di destino planetaria, e l’allusione ad una madre terra e ad una lingua madre, che le riconosce e le comprende tutte.

 

Oggi le finestre della città operaia si spalancano sulle storie delle persone nuove che la abitano, la cambiano e, perciò, la rinnovano, in una metaprospettiva, foriera di metaidentità.

 Qui, nel 2012, è nato il circolo Il mondo delle donne, frutto di una progettualità condivisa tra la biblioteca comunale e il sistema museale di Terni, che raccoglie il sapere narrativo delle donne, italiane e migranti. Un sapere che è anche resistenza – alla omologazione, alla assimilazione, alla dispersione di una oralità diffusa – e costruzione di una quotidiana interculturalità.

Da qualche mese, il circolo ha iniziato i lavori per redigere una guida di Terni al femminile attraverso un percorso di partecipazione: la pubblicazione prevede itinerari storico-culturali di genere, indicazioni sui servizi, schede di approfondimento della lingua italiana. Una proposta non convenzionale, a volte sorprendente, dedicata a chi arriva, a chi resta e alle “turiste” e ai “turisti” che giocano in casa!


 1.Terni_Lungonera Savoia_ManilaCruciani.ridotta

Foto 1 (Manila Cruciani)

Terni _ Lungonera Savoia, particolare di figura femminile

Quando si è con le sorelle, non c’è posto per la disperazione.

Un detto in Nu Shu, il linguaggio segreto delle donne nell’antica Cina.

 2.Terni.CarlottaClerici.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 2 (Massimo D’Antonio)

Carlotta Clerici (1850 – Roma 1924), educatrice, femminista, sindacalista e socialista. Insegnante e direttrice scolastica si impegna per l’educazione, la formazione professionale dei giovani e per l’assistenza agli orfani. Nel 1912, insieme a Argentina Altobelli, entra a far parte del Consiglio del Lavoro presso il Ministero.

 3.Terni.GisaGiani.MassimoDAntonio

Foto 3 (Massimo D’Antonio)

Gisa Giani (Collestatte [Terni] 1924 – Terni 1986), Adalgisa Cervelli, nota come Gisa Giani (il cognome è del marito), impiegata e ricercatrice presso la Biblioteca civica di Terni, è stata particolarmente attenta alla storia della città e delle donne, cui ha contributo, tra l’altro, con le pubblicazioni: Raccolta di voci bibliografiche su Terni e Territorio; Un enigma storico-archeologico: le tombe dei Tacito a Terni; Qualcosa che non sapevamo sulla Cascata delle Marmore; Terni. Cento anni di acciaio. Bibliografia dell’industrializzazione; e Donne e vita di fabbrica a Terni, che descrive il lavoro femminile nelle fabbriche tessili ternane.

 4.Terni.LindaMalnati.MassimoDAntonio

Foto 4 (Massimo D’Antonio)

Linda Malnati (Milano 1855 – Blevio [Como] 1921), socialista, nel 1906 promosse la costituzione del Comitato Nazionale per il suffragio femminile.

 5.Terni.VirginiaVisetti.MassimoDAntonio

Foto 5 (Massimo D’Antonio)

Virginia Visetti (1919 – 1944), partigiana, la denominazione è stata attribuita con la seguente motivazione: “Eroina della Resistenza, con il grado di sottotenente della formazione Gran Dubbiere di Pinerolo; aiuta il padre, rappresentante della Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale di Torino, nello svolgimento di azioni di collegamento e nell’occultamento di armi e munizioni. Catturata in seguito a un rastrellamento, viene fucilata dai fascisti”.

 6.Terni.Patrizi_scrittrice_Ercolini.ridotta

Foto 6 (Maria Pia Ercolini)

Maddalena Patrizi (1866 – 1945), scrittrice, fondatrice dell’Opera Nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per giovani operaie e presidente dell’Unione Donne Cattoliche.

 7.Terni.SaraTabarrini.MassimoDAntonio

Foto 7 (Massimo D’Antonio)

Sara Tabarrini (Montefranco 1880 – Terni 1961), operaia dello Jutificio Centurini, è stata una capolega, licenziata per aver promosso uno sciopero nel 1901. Scongiurò le sue compagne di rinunciare a qualsiasi forma di solidarietà nei suoi confronti e, lasciata Terni, si trasferì a Montefalco, dove si adoperò per l’alfabetizzazione dei ragazzi di campagna.

 8.Terni.AnnamariaMozzoni.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 8 (Massimo D’Antonio)

Anna Maria Mozzoni (Rescaldina [Mi] 1837 – Roma 1920), femminista, fonda la Lega promotrice degli interessi femminili, si batte per il voto alle donne, per la parità tra i sessi e per il diritto allo studio.

 9.Terni.IrmaBandiera.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 9 (Massimo D’Antonio)

Irma Bandiera (Bologna 1915 – Bologna 1944), partigiana, eroina della Resistenza, insignita della medaglia d’oro al Valor Militare. Catturata durante uno scontro armato, è sottoposta a feroci torture e trucidata dalle SS naziste.

 10.Terni.ArgentinaAltobelli.MassimoDAntonio.ridotta

Foto 10 (Massimo D’Antonio)

Argentina Altobelli (Imola 1866 – Roma 1942), il suo impegno è rivolto alla promozione sociale delle donne. Alcuni suoi scritti sono stati pubblicati sulla testata socialista ternana “La Turbina”: in questi articoli rivendica la parità tra uomini e donne sui temi del salario, dell’orario di lavoro e del diritto di voto. Nel 1912, insieme alla sindacalista Carlotta Clerici, entra a far parte del Consiglio del Lavoro, istituito presso il Ministero.

 11.Terni_Zetkin-mpE.ridotta

Foto 11 (Maria Pia Ercolini)

Clara Zetkin (Wiederau [Germania] 1857 – Archangel’skoe [Russia], 1933), rivoluzionaria tedesca, comunista e teorica dell’emancipazione femminile.

 12.Terni.Kuliscioff.ridotta_MpE

Foto 12 (Maria Pia Ercolini)

Anna Kuliscioff (Moskaja, Cherson [Russia] 1857 – Milano 1925), si laurea in medicina per curare gratuitamente i poveri, compagna di Filippo Turati, nel 1891 fondano insieme “Critica sociale”, la prima rivista critica del socialismo marxista italiano.

 13.Terni.SibillaAleramo.Ercolini.ridotta

Foto 13 (Maria Pia Ercolini)

Sibilla Aleramo (Alessandria 1876 – Roma 1960), pseudonimo di Marta Felicino Faccio detta Rina, femminista e scrittrice.

 

 




ITALIA – Ciò che non siamo, ciò che non vogliamo (dopo Napolitano)

Non deve essere stato facile andar via, come non lo è stato, tre anni fa, restare.  Se non altro per abitudine. Dopo quasi nove anni, unico presidente della storia repubblicana rieletto alla carica più alta dello Stato,  Giorgio Napolitano, il 15 gennaio, ha lasciato il Quirinale. Alcuni affermano che,considerando i tempi, sia stato il miglior presidente che potessimo avere, altri sostengono che sia, invece, stato il peggiore dei presidenti della Repubblica italiana.

E’ certo che non è stato il presidente della Giustizia e della Legalità: in nove anni ha fatto distruggere le intercettazioni Stato-mafia, ha firmato il Lodo Alfano e il Legittimo impedimento; non è stato nemmeno il presidente del Popolo che lavora e produce: ha firmato  la Riforma Fornero, il Job act e lo Sblocca Italia.

La corsa alla successione è già iniziata: il primo voto è previsto il 29 gennaio,  il 31 potrebbe essere eletto il nuovo Capo dello Stato, a maggioranza semplice. Da ambienti Pd filtra intanto la prima rosa di nomi. Sono in sei: Amato, Fassino, Finocchiaro, Mattarella, Padoan e Veltroni.

Possiamo solo augurarci che vinca il migliore!