EGITTO – L’Italia grida giustizia per Regeni, ma non inserisce il reato di tortura nel Codice penale

Shaimaa è morta due volte, la prima per mano di un poliziotto che un anno fa le conficcò un proiettile di gomma nel cuore, sparato a distanza di 8 metri, la seconda, più infima e sottile, è stata determinata dalla sentenza della corte di cassazione egiziana che ha assolto quell’uomo in divisa. Stando alle motivazioni del verdetto, l’agente Yassin Mohamed Hatem Salah Eddine ha agito, sparato dei colpi di pistola in aria, al fine di disperdere la gente che affollava piazza Tahrir.

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La storia di Shaimaa è stata spesso in questi giorni associata alla morte di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano, torturato e ucciso dalla polizia egiziana. L’attivista egiziana si spense mentre stava partecipando alla manifestazione in onore delle vittime della rivolta avvenuta al Cairo in piazza Tahrir 4 anni prima che causò la caduta del presidente Hosni Mubarak.

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Giulio Regeni, al contrario sparì misteriosamente il 28 gennaio 2016, mentre, a distanza di un anno, si stava tenendo la stessa protesta commemorativa. Lo stato italiano ha più volte lamentato la riluttanza dei magistrati egiziani nel collaborare alla ricostruzione dell’assassinio del giovane ricercatore, probabilmente perché dovrebbero spiegare all’intero pianeta il terribile destino che accomuna Regeni a migliaia di egiziani, prelevati dalle forze dell’ordine dalle loro abitazioni a cui non hanno più fatto ritorno. Dall’inizio dell’anno sono sparite sessantasei persone tra sindacalisti, attivisti e persone ritenute semplicemente scomode al sistema, solo alcuni hanno sono riusciti a sopravvivere ed a tornare dai loro cari con evidenti segni di tortura, c’è chi tra di loro ha raccontato di esser stato esposto al freddo per diverse ore con le mani legate, alla mercé delle guardie che si divertivano nel lanciargli addosso delle secchiate d’acqua gelida.
Regeni è stato per diversi giorni in mano ai suoi aguzzini che l’hanno sottomesso a sevizie inenarrabili, scosse elettriche ai genitali, tagli su varie parti del corpo e sette costole rotte. Alcuni giorni fa centinaia di medici egiziani sono scesi in piazza a protestare contro le atrocità commesse dalla polizia nei confronti dei civili.
La giustizia Italiana esprime dissenso e sdegno nei confronti dello stato Egiziano, ma dimentica che anch’essa ha mostrato grandi lacune in passato, basti pensare a due casi eclatanti, ovvero quello di Carlo Giuliani, colpito da un proiettile sparato in aria da un carabiniere e rimbalzato non si sa dove prima di colpire il partecipante al corteo contro il G8 nel 2001 a Genova e quello di Stefano Cucchi, che si sarebbe picchiato da solo fino a esalare l’ultimo respiro, magari chiedendosi il perché degli uomini in divisa votati a difendere i più deboli, abbiano rivolto i loro manganelli verso un uomo indifeso.
Shaimaa, Stefano Cucchi, Giulio Regeni, Carlo Giuliani, sono vittime della cattiva gestione e dell’abuso di potere di cui vengono investite le forze dell’ordine durante circostanze di crisi o nel corso di semplici interrogatori tenuti da uomini piccoli quanto dei punti neri, ma vergognosi quanto lo sdegno di chi in questi giorni parla con ribrezzo degli egiziani, ignorando quanto sia difficile per loro essere accumunati a quei poliziotti che hanno portato via anche i loro amici e parenti.