Da levatrici a ostetriche

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In copertina: Il bagno, dipinto del 1902 di Leopoldo García Ramón 

L’ostetrica, chiamata anche levatrice perché leva il neonato dal corpo della donna, è stato un tradizionale mestiere femminile, frutto di una cultura secolare, dell’esperienza diretta di donne, basato su conoscenze empiriche del corpo femminile. La levatrice nella civiltà contadina godeva di un grande prestigio, poiché aiutava a dare la vita. 

Trotula de’ Ruggiero, medica dell’antica Scuola Salernitana, scrisse nell’XI secolo un trattato di ostetricia, De passionibus mulierum ante in et post partum, nel quale si danno precetti, consigli e norme che attraversano tutta la vita della donna. Da sempre guaritrici, le donne sapevano coltivare le erbe medicinali scambiandosi i segreti del loro uso, procurare gli aborti, fungere da infermiere. Per secoli sono state in breve mediche senza laurea: apprendevano e trasmettevano oralmente un patrimonio di conoscenze, da madre a figlia, da parente a parente. E al momento del parto, tutte le donne della famiglia offrivano il loro aiuto: protagoniste assolute di quegli eventi operavano in un clima di complicità e collaborazione. 

L’emergere poi del professionismo maschile, l’esclusione delle donne dal sistema di istruzione, soppiantarono la cultura medica femminile empirica e orale. Lo Stato unitario, per far fronte alla necessità di debellare pregiudizi e malsane abitudini, si adoperò per creare un’ostetrica istruita, fiduciosa nella medicina. La morte per parto era diffusa, come la febbre puerperale e altre patologie dovute a scarse precauzioni igieniche. Le scoperte batteriologiche e immunologiche hanno rivoluzionato il parto, introducendo norme antisettiche e protocolli sanitari totalmente nuovi, su luoghi, persone e strumenti. Venne messa al bando allora la sedia da parto e prescritta la posizione litotonica dorsale delle donne, certamente più agevole per il personale sanitario, ma poco favorevole all’espulsione naturale. Fu definita e regolamentata l’istruzione della levatrice, seguendo un processo di medicalizzazione del parto, e le ostetriche furono scolarizzate e subordinate ai medici e ai principi della scienza, dell’igiene e della salute pubblica. 

Scrive a tal proposito Rosanna Basso nel suo volume Levatrici (Viella, 2015):

[…] l’intervento statale ha precostituito lo scenario entro cui le levatrici, come segmento sociale, hanno potuto collocarsi ed evolvere, con una singolarità, però, che non si può sottacere: le levatrici, diversamente da altri gruppi professionali, non hanno avuto per lungo tempo la possibilità di determinate quel passaggio, perché, per disparità di potere, di sapere e di genere, non sono riuscite a far giungere ai decisori politici il loro punto di vista, né negoziare qualche richiesta. Ha interloquito in loro vece, ma non per loro conto, la categoria dei chirurghi ostetrici che, nelle vesti di tutori della scienza, e prima ancora degli interessi della propria professione, hanno potuto dialogare con i rappresentanti delle istituzioni, ragionare sui termini e sui confini delle competenze da attribuire a se stessi e alle levatrici, determinare la gerarchia dei ruoli e delle posizioni.

Negli anni ’60 la figura dell’ostetrica non era solo la professionista che presiedeva alle nascite, che avvenivano allora prevalentemente in casa, ma stabiliva con la comunità presso la quale operava un forte legame di empatia.

L’ostetrica odierna, oltre ad assistere alla gravidanza e al parto, cura il neonato dopo la nascita e segue la donna dal menarca alla menopausa, offrendo consulenza contraccettiva e sessuologica.

Molti comuni hanno intitolato vie e piazze a chi ha fatto nascere intere generazioni.

Il 13 maggio è stata Ausonia (FR) a intitolare una piazza a Iliana Tosti (Roma, 1928 – Ausonia, 2004).

Iliana si diplomò in Ostetricia presso l’Università degli studi di Roma nel 1956 e svolse il servizio prima a Spigno Saturnia, poi a Sant’Ambrogio sul Garigliano. Nel 1965 vinse il concorso per ostetrica condotta presso la Prefettura di Frosinone, e scelse come destinazione Ausonia e ha prestato il suo servizio all’ospedale di Cassino. Iliana era una donna profondamente innamorata del suo lavoro, che considerava una vera e propria missione di vita. Il suo ruolo andò ben oltre la semplice “assistenza” alla partoriente, ma fu piuttosto di partecipazione ai problemi di ciascuna, tanto da diventare, di volta in volta, mamma, sorella o figlia di chi si rivolgeva a lei. Il suo esempio rimane un modello di abnegazione e di umanità, che è giusto onorare e far conoscere alle giovani generazioni anche attraverso l’intitolazione di una piazza del paese dove tutti la stimavano. 

Come Iliana, molte altre levatrici/ostetriche hanno dedicato la vita all’assistenza di gestanti, partorienti e puerpere.

Il comune di Sant’Angelo di Piove di Sacco (PD) nel 1998 ha intitolato una via a Maria Artusi, insignita del titolo di Cavaliere del Lavoro, che ha svolto la professione di ostetrica nel territorio per oltre quarant’anni.

Per rimanere nella provincia di Padova, a Limena è ricordata Nella Rezza, che nel 1941 vinse la condotta di ostetricia. 

Nello stesso anno prese la condotta Onorina Scanferla, ricordata a Bagnoli di Sopra.

A Marano Lagunare (UD), una strada è dedicata a Elodia Cecuta, che tutti ricordano come una donna bassa e robusta, sorda e con i capelli raccolti sulla nuca e tenuti fermi sopra le orecchie da due forcine, per sentire meglio. Sempre disponibile ad aiutare bambine e bambini di famiglie povere, provvedeva a rifornirle anche di quaderni e pennini. Nonostante una vita di lavoro, è morta povera. 

A Loria, in provincia di Treviso, una via ricorda Maria Fontana, levatrice del paese, morta nel 1970.

A Cimolais (PN) una targa apposta nel 1999 ricorda Eva Pielli, cavaliere della Repubblica, e il viale a lei dedicato.

A Bologna un giardino ricorda un’ostetrica di guerra, Medea Zanardi. Le cronache la descrivono in stivali, gonna pantalone, occhialoni gialli e cuffia bianca, che vola ovunque ci sia bisogno, a cavallo di una Moto Guzzi 250, sotto le bombe dell’ultima guerra, violando il coprifuoco, armata soltanto di quattro croci rosse dipinte sul serbatoio e sui paraurti.

Foto 2

A Sansepolcro, provincia di Arezzo, è ricordata Rosina Gennaioli

A Fregene (RM) Bruna Pierlorenzi Ceotto

A Terranova di Pollino, in provincia di Potenza, è ricordata Ines Zurlini, morta nel 1977.

Foto 3

A Rieti, una strada ricorda Maria Fiore

Foto 4

Cosenza dedica un’area di circolazione ad Anna Morrone e Nardò (LE) a Filomena Leopizzi.

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Laureata in Lettere e in Storia e Società a Roma, insegna Geografia nella scuola superiore e coordina progetti di didattica di genere. È fondatrice e presidente nazionale dell'associazione e del gruppo di ricerca-azione Toponomastica femminile. Autrice negli anni di numerosi articoli su testate diverse, cartacee e on-line, ha pubblicato nel 2011-2013 le guide turistico-culturali Roma. Percorsi di genere femminile, (voll. 1 e 2, ed. Iacobelli). Ha curato i volumi Sulle vie della parità (Universitalia, 2013) e Strade maestre (Universitalia, 2015) e cura, per EUS edizioni, la collana Le guide di Toponomastica femminile, volta a riscoprire tracce femminili nei diversi territori.