Il mestiere di balia è stato tra i lavori che, nel corso della storia, hanno contribuito a garantire la sopravvivenza e la crescita delle nuove generazioni.
Le prime testimonianze di baliatico risalgono al mondo antico e le ritroviamo in tutto il Medioevo e durante l’Età moderna. Il vero e proprio “boom” del baliatico si ebbe però nell’Ottocento, quando, con la Rivoluzione industriale, cambiò completamente il tessuto economico e sociale degli Stati, determinando un’enorme crescita della domanda e dell’offerta di quello che, in un’epoca in cui il latte artificiale ancora non esisteva, era considerato un vero e proprio “oro bianco”: il latte materno.
Nell’Ottocento le balie, come nelle epoche passate, provenivano quasi esclusivamente dall’ambiente rurale. Spesso si trattava di donne di estrazione contadina spinte a diventare balie per contribuire al sostentamento economico delle proprie famiglie, in decenni in cui i contratti agricoli divenivano via via sempre più svantaggiosi e la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici dei campi si aggravava sempre di più. L’attività di balia, sebbene limitata nel tempo, era in effetti molto remunerativa per l’epoca, soprattutto se confrontata con il salario di una contadina o di una domestica, e per questo era spesso individuata dai ceti rurali subalterni come possibile aiuto per superare le difficoltà economiche in cui vivevano.
Le balie erano in molti casi puerpere il cui bambino o bambina era morta nei primi giorni o mesi di vita, ma in altri casi erano donne che, spinte dal bisogno economico, rinunciavano ad allattare la propria creatura per poter essere balie a pagamento.
Divenute balie, la vita delle donne poteva subire grandi cambiamenti, soprattutto quando dovevano risiedere nelle case dei bimbi o delle bimbe da allattare. In questi casi si trattava quasi sempre di famiglie agiate, le quali preferivano tenere i figli e le figlie vicino a sé, da un lato per poter continuare a vederle, dall’altro per poter controllare l’operato e lo stato di salute delle balie.
Per molte donne essere balie presso le case delle famiglie agiate, sebbene lontane dai propri affetti, poteva essere l’occasione per uscire dal luogo natio, sottrarsi al faticoso lavoro nei campi e avere accesso a un’alimentazione e a condizioni abitative migliori.
Diversa era invece la situazione delle balie al servizio delle famiglie cittadine medio-basse. In questo caso molto spesso allattavano figli e figlie di donne lavoratrici – lavoranti a domicilio per la protoindustria o operaie nelle fabbriche sempre più numerose con l’avanzare della Rivoluzione industriale – che, inserite in un sistema lavorativo privo di tutela e diritti per le madri lavoratrici, non potevano permettersi di sospendere il lavoro durante i mesi dell’allattamento, poiché il loro salario, benché basso, risultava fondamentale per il mantenimento delle famiglie.
Le balie potevano stipulare un contratto di baliatico o direttamente con le famiglie cittadine in grado di corrispondere il compenso in denaro oppure, in molti casi, potevano stipulare un accordo con il brefotrofio della città a favore di quelle famiglie che avevano fatto richiesta del baliatico gratuito o che avevano esposto il proprio figlio o figlia alla ruota.
In questi casi, sia quello del rapporto diretto con la famiglia cittadina, sia del rapporto intermediato dal brefotrofio, le balie continuavano a vivere presso la propria dimora nelle campagne. Ciò permetteva alle donne di rimanere vicine ai propri affetti ma nello stesso tempo determinava un aggravamento dei loro compiti, perché all’attività di nutrice si affiancavano la cura della propria famiglia e il lavoro nei campi. Questo comportava evidentemente per le donne contadine e balie un sovraccarico di fatica in un periodo delicato qual era quello subito dopo il parto.
Un ultimo caso è quello delle balie migranti. Nel corso della storia si sono infatti verificate alcune esperienze di donne che emigrarono per essere balie in terre lontane e straniere. Un caso su tutti è quello delle numerose italiane, prevalentemente meridionali, che a cavallo tra Otto e Novecento emigrarono, abbandonando non solo la casa e i propri affetti, ma anche il proprio Paese, per andare a fare le balie presso le famiglie inglesi trasferitesi in Egitto durante i lavori per la costruzione del canale di Suez.
Il mestiere della balia coinvolgeva completamente la vita delle donne, comportava spesso la necessità di spostarsi, di lasciare la propria famiglia, i propri figli, di cambiare casa o addirittura paese, ma poteva anche essere un’occasione unica, per le donne del mondo contadino, di venire in contatto con altre realtà. Non bisogna però dimenticare che per molte donne diventare balia significava soprattutto un aumento delle fatiche e del lavoro con conseguenze negative sulla loro salute psicofisica.
Quello della balia è stato un mestiere fondamentale per tutto il corso della storia e ha contribuito allo sviluppo economico e al susseguirsi delle generazioni, ed è per questo che quelle donne oggi meritano il nostro riconoscimento storiografico.
Per approfondire:
- Bellavitis, Il lavoro delle donne nelle città dell’Europa moderna, Roma, 2016.
- Dadà, Partire per un figlio altrui: racconti delle balie nel Novecento, in Altrove. Viaggi di donne dall’antichità al Novecento, a cura di D. Corsi, Roma, 1999.
- De Marchi, Il mestiere di balia. Assistenza agli esposti, cura dei “figli di famiglia”, ricerca di un salario nella campagna milanese tra Sette e Ottocento, in «Archivio storico lombardo», XIV, 2009, pp. 119-151.
- Fildes, Madre di latte: balie e baliatico dall’antichità al XX secolo, Cinisello Balsamo, 1997.
- Pignolo, Il baliatico, Pisa, 1973.