Di Nadia Cario
Il sistema calzaturiero in Riviera del Brenta si estende nell’area geografica da Padova a Venezia operando in innumerevoli ambiti al servizio delle aziende calzaturiere del Veneto.
Per la maggior parte si tratta di PMI, che grazie all’azione collettiva affrontano con successo il mercato mondiale, proponendo calzature di alta qualità, alla moda e con esecuzione “Made in Italy”.
Per valutare la bontà delle scarpe prodotte nel distretto aiuta sapere che molte griffes della moda mondiale vi si rivolgono per far creare e produrre le loro collezioni di calzature trovando tecnologia, organizzazione e innovazione in un distretto che ha alle spalle una scuola artigianale nata nel 1923 a Stra (VE).
FOTO 1. Lavorazione
Alla fine dell’800, con la nascita della prima fabbrica di scarpe lungo la Riviera del Brenta, in un territorio a vocazione prevalentemente agricola, si intravide la possibilità di migliorare le condizioni economiche delle famiglie. Oltre all’occupazione in fabbrica, con il tempo si adottò il sistema del cottimo, eseguito a casa dalle donne che così potevano arrotondare le entrate senza tralasciare le quotidiane mansioni di accudimento familiare.
Era un sistema utile alla fabbrica, perché tutte le spese relative alla produzione – energia elettrica, macchina da cucire, attrezzi, mastice e masticione – erano per lo più a carico delle lavoratrici.
FOTO 2. Macchina da cucire a colonna
In un tempo in cui la scolarizzazione si fermava alla licenza elementare, le bambine venivano iniziate, tra la quarta e la quinta classe, ad essere garzone, e per un periodo di cinque anni apprendevano il lavoro da sorelle maggiori, madri, zie e nonne.
Acquisita l’abilità di incollare, battere la pelle, cucirla, attaccare la fettuccina, riconoscere gli aghi da usare in base alla lavorazione, usare gli attrezzi quali il martello da mistra (che non è quello da calzolaio), valutare la larghezza del punto e le finezze necessarie per mettere insieme i vari pezzi, alla ragazza veniva affidato il compito di cucire delle scarpe di prova per valutare se fosse una mistra finita.
FOTO 3-4. Gli attrezzi del mestiere
Superato l’esame, la giovinetta doveva trovare i soldi per la caparra necessaria a comprare a rate la sua macchina da cucire, che la ditta non forniva giustificandosi con la frase “chi mi dice che tu non lavori per qualcun altro con la mia macchina?”.
In ciascuna famiglia nella zona c’era almeno una persona che lavorava nel settore: o in fabbrica o a casa, o addirittura un po’ a casa e un po’ in fabbrica.
Ogni fabbrica, aveva il suo modellista e il suo tagliatore, rigorosamente uomini. In estate la produzione si concentrava sulle scarpe invernali e l’inverno su quelle estive, lavorando sempre in anticipo sui tempi, come d’uso nella moda. Nel periodo di passaggio tra due stagioni c’erano dei fermi produttivi in cui le lavoratrici a cottimo non guadagnavano.
FOTO 5. 1959
Il modellista creava il disegno, preparava la camicetta e aveva la “sua” mistra, che realizzava materialmente la scarpa ideata sulla base delle sue spiegazioni, creando così, una volta approvato, il prototipo per la nuova stagione.
Nel dizionario del dialetto veneziano (1829) di Giuseppe Boerio (1754-1832) c’è il significato di Mistra, s.f. Maestra o Maestressa: donna che fa scuola a fanciulli o Capomaestra di qualche arte. Come Mistra da libri è la cucitrice di pagine di libri per Legatori, Mistra da scarpe è l’orlatrice che costruisce la tomaia.
Nel 1961, l’accordo tra l’azienda Rossimoda e la Maison Dior e nel 1963 con Yves Saint Laurent faranno decollare la produzione di calzature di lusso di altissima qualità e tutto l’indotto, mistre comprese, contribuendo così al famoso boom economico del Nord-Est e in particolare della Riviera del Brenta.
L’imprenditrice Maud Frizon
Sito 30.01.2016 http://gesta.scuoladottorato.it/joomla/images/ALLEGATI/archivio/2012/canazei-2012/Scalabrin_paper.pdf
FOTO 6. Frizon
L’imprenditrice Maud Frizon nasce a Parigi nel 1941. Intorno al 1960 inizia la sua carriera come modella per case di moda.
All’epoca le modelle dovevano fornire le calzature per le sfilate, che non erano considerate da parte degli stilisti, dei veri e propri oggetti di moda, ma semplicemente un complemento da abbinare all’abito che era l’unico e indiscusso protagonista.
In vari testi di moda si narra che la modella Maud Frizon non amasse molto le calzature in voga in quegli anni e che quindi intorno al 1968 decidesse di disegnare le calzature da indossare alle sfilate.
Nel 1969, insieme al marito Gigi De Marco, inaugura a Parigi il primo negozio di calzature del marchio Maud Frizon e all’inizio degli anni ’70 sposta la produzione proprio in Riviera del Brenta. […]
Per comprendere il fenomeno della produzione Maud Frizon all’interno della storia della moda è utile soffermarsi su che cosa fossero e rappresentassero le calzature Maud Frizon negli anni settanta ed ottanta. […] Maud Frizon ha avuto il grande merito di inventare delle soluzioni stilistiche, trasformandole in soluzioni tecnologiche. Il processo che attualmente tutti gli stilisti di calzature richiedono alle aziende produttrici, ovvero l’innovazione tecnologica, Maud Frizon lo applicava nelle sue collezioni già agli inizi degli anni ’70, creando il tacco a cono e lo stivale senza cerniere.
FOTO 8. 1970
Intervista a Maria, che ha lavorato per un periodo alla fabbrica Maud Frizon.
È stato il periodo lavorativo più bello, mi trattavano bene, mi sentivo rispettata e mi pagavano con soldi sicuri, non come gli altri. Venivo pagata con l’assegno con le stelline (circolare).
Quando si trattava di creare i nuovi modelli di stagione una decina di maestranze (modellista, tagliatore, mistre), le migliori, si spostavano nel castello di Maude Frizon vicino a Parigi dove era stato allestito il laboratorio con la linea di produzione nella dependance.
Rimanevano fino a quando non fossero stati realizzati i modelli per la nuova stagione.
Quando lavoravo in casa, il mio lavoro consisteva nell’andare in fabbrica, a piedi o in bici, farmi dare dalla referente le borse piene di tomaie in pezzi numerati; mi preparavano la bolletta con tutti i numeri e le quantità della consegna. Era la referente che mi dava i quantitativi e i tempi per la restituzione del lavoro fatto.
Quando erano le scarpe decolleté ero contenta perché sono le più semplici nella loro realizzazione. La referente, se la volta prima avevo consegnato delle scarpe con la cucitura il cui filo non era tirato alla perfezione, la volta successiva mi faceva saltare il turno lasciandomi senza lavoro per un po’. Poi ritornava come prima, ma l’attenzione, la precisione e la competenza tecnica richiesta erano altissime.
FOTO 9. Marilisa Segalina. Mistra anni ’80.
Lavoravo, oltre che con la macchina da cucire, con il maccarolo che serviva per piegare le tomaie facendo aderire le due parti da incollare sulle quali avevo steso il mastice e poi la cordella, il compasso da scarpe per segnare la traccia delle cuciture parallele che avrei dovuto fare ad esempio sui cinturini, la forbice che mi serviva per tagliare ma anche, se usata di taglio, a schiacciare la pelle della tomaia con la pelle delle fodera, una lama per incidere e tagliare a filo, una base di marmo su cui poggiavo le tomaie in lavorazione e poter fare leva, ad es, per fare i buchi dei cinturini con l’apposito attrezzo e il martello.
Quando c’erano delle consegne urgenti, da un giorno per l’altro, mettevo tutta la famiglia a lavorare.
A fianco di ciascuna mistra c’era sempre la moka del caffè per tenerle sveglie a lavorare fino all’ultima scarpa.
Il lavoro in fabbrica, invece, aveva gli orari fissi con chiusura alle 17,30. Ma nessuna andava a casa a quell’ora. Si stava in fabbrica mezz’ora in più per la pulizia delle macchine, dei pavimenti e dei bagni, a turno. I ritmi della manovia erano pressanti, la manovia non aspettava, quando avevi il ciclo dovevi metterti le mutande contenitrici e due o tre assorbenti. Per andare in bagno dovevi chiamare il cambio, che stentava ad arrivare.
FOTO 10. Uso del maccarolo
Intervista a Luisa, che da tempo non lavora più come mistra.
Anche lei ha fatto apprendistato per cinque anni, dalla quarta elementare, come garzona per la sorella più grande. È figlia d’arte, in un certo senso, oltre alla sorella anche lo zio era nel settore e le regalò il compasso che ha usato per tutta la sua carriera e che conserva ancora. Lei cuciva principalmente scarpe da uomo e aveva la macchina “a colonna”, comprata a rate.
Una volta definito il modello di scarpa da mettere in produzione, il passaggio più importante spetta all’orlatrice, la mistra che riceve le pelli scarnite e preparate per unione, cucitura e foderatura. Da queste abilità dipendono la bellezza delle scarpe e soprattutto la loro comodità.
Racconta Luisa anche lei delle ore notturne al lavoro e di quando, una volta finite delle scarpe che le piacevano particolarmente, le disegnava per ricordo. Una soddisfazione che nel lavoro in fabbrica non si poteva avere: fermarsi qualche minuto a contemplare il risultato del proprio lavoro e della propria opera. Ricorda l’odore del mastice e quando, per la sua tossicità, la fabbrica aveva introdotto il mastice ad acqua, che non garantiva la stessa adesione e tenuta nell’incollaggio, tanto che si è trovata più volte con le pelli che si aprivano, vanificando il suo lavoro di ore e ore. A questo punto le stesse mistre richiedevano il prodotto tossico, che garantiva la migliore finitura.
Dopo circa quarant’anni di lavoro tra un po’ di fabbrica e molto a casa, dice con orgoglio: ho fatto studiare le mie figlie e ho costruito casa! Ha dovuto smettere per l’artrosi alle mani.
FOTO 11. Alle macchine
Nel 1961 nasce ACRIB (Associazione Calzaturieri Riviera Brenta) su iniziativa di un gruppo di imprenditori del settore con l’intento di accompagnare gli associati su un mercato competitivo e internazionale, e garantire loro un’assistenza specifica nell’intricata normativa del lavoro: dall’ambiente della fabbrica agli organismi rappresentativi, dall’apprendistato al lavoro a domicilio, dai trattamenti economici alle vertenze individuali e collettive.
Si viene a creare così una rete di collaborazioni e iniziative, come la fondazione del Politecnico calzaturiero (2001) che si occupa di formazione, ricerca e innovazione tecnologica. Questa scuola professionale privata, autofinanziata da calzaturiere/i, è nata per il trasferimento del know-how. Le lezioni si tengono al sabato e il corpo docente è formato da imprenditrici e imprenditori e da tecniche e tecnici delle imprese calzaturiere della zona. Tra le docenti anche una mistra finita.
FOTO 12. Riviera del Brenta
Oggi operano nel settore quasi 500 PMI che coprono l’intera filiera produttiva. In esse trovano occupazione 10.000 addetti/e. La produzione annua si attesta su 19 milioni di paia: per il 95% sono calzature femminili di tipo lusso o fine e per il restante 5% calzature per uomo di tipo fine. Il giro d’affari attualmente supera 1,6 miliardi di euro, il 91% dei quali di export.