Brescia – Memorie e memoria dal basso (Parte prima)

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Passeggiando per Brescia è importante guardare anche per terra per non perdersi l’orizzontale museo diffuso che dal 2012 ha iniziato a dipanarsi per le vie della città con le formelle per le vittime del terrorismo e le pietre di inciampo, realizzate per iniziativa rispettivamente della Casa della Memoriae della Cooperativa Cattolico Democratica di Cultura.

La città, fondata nel IX secolo a.C. sul colle Cidneo, è stata soggetta nel corso della storia a numerosi e differenti dominatori, dai Romani alla Repubblica di Venezia, dai Longobardi ai Visconti, dai Francesi agli Austriaci. A partire dalla dominazione romana, iniziata nel I secolo d.C., il centro urbano inizia a svilupparsi anche nella piana ai piedi del Cidneo, mentre il nucleo primitivo sul colle viene in parte a perdere di importanza, fino a quando, nel XIII secolo, vi si inizia la costruzione di una fortezza, di impianto prevalentemente veneziano-visconteo, comunemente conosciuta come il “Castello”.

Foto 1. Il castello di Brescia

Questo imponente complesso fortificato, uno dei più vasti in Italia, domina sulla città e perciò è anche noto come il “Falcone d’Italia”. Proprio grazie alla sua posizione e all’evoluzione delle tecniche militari, nel corso dei secoli diventa un sistema difensivo inespugnabile e un perfetto strumento di controllo sulla città da parte dei vari dominatori. Gastone di Foix nel febbraio 1512, dopo avere inutilmente intimato la resa alla città assediata, fedele ai Veneziani, vi fa irrompere dal Castello e da una delle porte cittadine 12.000 soldati francesi, che la mettono a ferro e fuoco per diversi giorni, causando migliaia di vittime in un tragico “carnevale di sangue” ricordato anche come “sacco di Brescia”. Nel 1849, durante l’insurrezione delle Dieci Giornate di Brescia, la guarnigione austriaca del generale Nugent, acquartierata in Castello, spara sulla città, che si arrende solamente il 1° aprile, dopo che il maresciallo Haynau la notte precedente ha raggiunto con le sue truppe la fortezza, attraverso la Strada del Soccorso, un percorso segreto di età viscontea che collega la sommità del Cidneo al centro urbano. La repressione è durissima; gli insorti fatti prigionieri sono rinchiusi in Castello e molti di loro fucilati nei fossati e sugli spalti, fino al 12 agosto, data dell’amnistia voluta da Radetzky. Tra la fine del XIX e l’inizio del secolo, le pendici del colle, fino allora brulle per permettere l’avvistamento di eventuali nemici, cambiano completamente volto; vengono creati viali alberati e collocati monumenti e steli commemorative e il Castello comincia ad assumere una funzione pubblica di carattere ricreativo e culturale-scientifico, a partire dal suo rilancio, che inizia ospitando nel 1904 l’Esposizione Industriale Bresciana e nel 1909 l’Esposizione internazionale di applicazione dell’elettricità. Dal 1943 al 1945 Brescia è parte della Repubblica Sociale Italiana, e nei “600 giorni di Salò” in città hanno sede alcuni ministeri e in Castello le compagnie Lazio, Ausiliaria, Ordine Pubblico, Pronto Intervento, qualche plotone delle SS tedesche, la guardia personale di Graziani, la commissione permanente di disciplina della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana). Sempre in Castello sono fucilati numerosi esponenti della Resistenza nella cosiddetta Fossa dei Martiri (foto 2); l’ultima esecuzione ha luogo il 24 marzo 1945 con la fucilazione alla schiena del partigiano Giacomo Cappellini, della quale recano testimonianza una lapide commemorativa e il muro scheggiato dai proiettili.

Foto 2. La fossa dei martiri

Un filo rosso di sangue, dolore e violenza, che intreccia tempi e memorie diverse, si dipana dal Castello, percorre la città e si coagula in alcuni luoghi precisi. Il Salone Vanvitelliano della Loggia, il palazzo comunale di Brescia situato nell’omonima piazza (in copertina), conserva in una parete interna il foro provocato da una granata austriaca durante le Dieci giornate del 1849, mentre una delle colonne dei portici che si affacciano su Piazza Loggia, esattamente di fronte al palazzo, mostra ancora le ferite dell’esplosione del 28 maggio 1974. Quel giorno Brescia è drammaticamente ferita dal terrorismo neofascista, colluso con apparati dello Stato; un ordigno esplosivo, collocato in un cestino portarifiuti sotto i portici che costeggiano Piazza Loggia, provoca una strage. Si contano 102 feriti e otto morti: un pensionato, ex partigiano, Euplo Natali, 69 anni; due operai, Bartolomeo Talenti, 56 anni, e Vittorio Zambarda, 60 anni; e cinque insegnanti, Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni, Livia Bottardi Milani, 32 anni, Alberto Trebeschi, 37 anni, Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni e Luigi Pinto, 25 anni. Dopo depistaggi nelle indagini e un iter processuale lungo 43 anni si arriva al giudizio definitivo in Cassazione nel giugno 2017, che conferma la condanna all’ergastolo nei confronti di Carlo Maria Maggi, medico, ex ispettore veneto dell’organizzazione neofascista Ordine nuovo, e di Maurizio Tramonte, l’ex fonte ‘Tritone’ dei servizi segreti. Alla lettura del verdetto è presente in aula, tra gli altri, Manlio Milani, presidente dell’Associazione dei familiari dei caduti di Piazza Loggia, e fondatore nel 2000, con il Comune e la Provincia di Brescia, della Casa della Memoria, centro di documentazione sulla strage bresciana e la violenza terroristica, in particolare quella neofascista.

Foto 3. La stele e il manifesto a ricordo della strage

 

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Nata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.