Brescia. Memorie e memoria dal basso (parte terza)

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In copertina. Brescia. Pietre d’inciampo

In ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico, dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti e di coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, salvando, a rischio della propria vita, altre vite e proteggendo i perseguitati, la legge n. 211 del 20 luglio 2000 istituisce come “Giorno della Memoria” il 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz. L’approvazione della legge è stata preceduta da una lunga discussione sulla data simbolica di riferimento, che ha visto emergere come principali opzioni il 16 ottobre, anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, con maggiore enfasi sulla Shoah, e il 5 maggio, anniversario della liberazione di Mauthausen, a sottolineare la centralità dell’antifascismo e delle deportazioni politiche. Con la risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale dell’ONU del 1° novembre 2005, il Giorno della Memoria (27 gennaio) diviene una ricorrenza internazionale per commemorare le vittime della Shoah.

Nel 2012, su iniziativa della Cooperativa Cattolico Democratica di Cultura, vengono posate a Brescia le prime “pietre d’inciampo” (Stolpersteine), un monumento diffuso e partecipato ideato e realizzato dall’artista tedesco Gunter Demnig, a partire dal 1997, per ricordare le singole vittime della deportazione nazista e fascista. L’artista produce piccole targhe di ottone poste su cubetti della dimensione dei porfidi delle pavimentazioni stradali, che sono poi incastonati nel selciato davanti all’ultima abitazione scelta liberamente dalla vittima. Stolpersteineè il monumento dal basso più diffuso a livello europeo: sono state posate fino ad ora oltre 55.000 pietre in tutta Europa; in Italia sono presenti oltre che a Brescia, in diverse città fra cui Roma, Viterbo, Siena, Reggio Emilia, Meina, Padova, Venezia, Livorno, Prato, Ravenna, Torino, Genova, L’Aquila, Bolzano, Ostuni, Chieti, Casale Monferrato, Teramo. Le loro dimensioni, i materiali di cui sono fatte e la loro stessa collocazione rimandano alle storie della “piccola gente”, spesso calpestata, umiliata e dimenticata dalla grande Storia; quelle “piccole persone ” come le definisce Svetlana Aleksievic nel suo discorso pronunciato al conferimento del Nobel, nel 2015; anzi “Le piccole grandi persone […] perché la sofferenza le ingrandisce. Nei miei libri le persone raccontano le loro piccole storie, e allo stesso tempo raccontano la grande storia”. I nazisti hanno ucciso attraverso uno sterminio di massa, mentre le Stolpersteinevogliono ridare a ogni vittima il suo nome e farci ricordare ogni singolo destino, analogamente al Libro della memoria di Liliana Picciotto, e perciò ogni pietra è realizzata manualmente, come pure manualmente è collocata là dove viveva la persona ricordata. “Volutamente ci rifiutiamo di realizzare la posa come azione di massa, perché così vogliamo contrapporre la nostra opera allo sterminio di massa” dichiara l’artista. Secondo Gunter Demnig “Le Pietre d’inciampo devono far inciampare la testa e il cuore delle persone”e l’artista sceglie di riportare sulle incisioni il termine “assassinato” anziché “morto” a sottolineare che tutte le morti neiLager sono la conseguenza delle vessazioni inflitte ai prigionieri, frutto di una precisa e deliberata volontà assassina. A Brescia leStolpersteineportano a un appuntamento con un passato scomodo e ingombrante, quello della “guerra civile” del 1943-1945 e della Repubblica Sociale Italiana, uno stato che sancisce l’antisemitismo come una delle proprie basi ideologiche nel proprio atto fondante, il Manifesto di Verona, dichiarando all’articolo 7: «Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica». La persecuzione antiebraica, iniziata con le leggi razziste del 1938, prosegue nello stato fantoccio di Salò con rinnovato vigore; secondo i dati di Liliana Picciotto più di un terzo degli ebrei italiani deportati sarebbe stato catturato da funzionari o militari italiani della RSI. Il 3 novembre 1943 la Prefettura di Brescia della RSI trasmette ai tedeschi un elenco di novanta persone: sono gli ebrei residenti nella provincia. Benché la presenza ebraica a Brescia risalga all’epoca romana, vi si consolida solo a partire dal XV secolo grazie all’apporto degli askenaziti, e riveste durante il periodo rinascimentale un ruolo culturale di primo piano, in particolare nell’editoria, fino all’espulsione definitiva dalla città, nel 1572. A partire da quella data la comunità ebraica locale si dissolve e negli anni Trenta del secolo scorso gli ebrei residenti nell’intera provincia sono 118, perfettamente integrati, alcuni anche nel regime fascista; molti appartengono a famiglie “miste” e diversi sono convertiti e battezzati. Esemplare il caso della famiglia Orefici, di cui fa parte Gerolamo, sindaco di Brescia dal 1906 al 1912, che aderisce poi nel 1924 al “listone” del Blocco nazionale, e viene eletto deputato nello stesso anno. Secondo i dati di Marino Ruzzenenti (La capitale della RSI e la Shoah. La persecuzione degli ebrei nel bresciano 1938-1945, Rudiano, BS, GAM Editrice, 2006), integrati con quelli di Liliana Picciotto, fra gli ebrei residenti nella provincia di Brescia ne sarebbero stati deportati nei campi di concentramento, fra il 1943 e il 1945, complessivamente ventisei, di cui ben venticinque a opera delle autorità della RSI.

Le Stolpersteineci fanno inciampare sulla soglia di persone semplici, che, quasi tutte, al di fuori della loro stretta cerchia di familiari e amici hanno lasciato poche tracce, e sono accomunate dalla loro deportazione e morte nei campi nazisti come gli internati militari Mario Ballerio(1918-1944), Angelo Cottinelli(1909-1944), ed Emilio Falconi(1911-1945); gli oppositori politici Alessandro Gentilini(1916-1944) e Ubaldo Migliorati(1923-1945); i partigiani Roberto Carrara(1915-1944), Severino Fratus(1891-1945), Domenico Pertica(1923-1945), Rolando Petrini(1921-1945), Pietro Piastra(1891-1945), Federico Rinaldini(1923-1945), Silvestro Romani(1923-1945), e Andrea Trebeschi(1887-1945); gli ebrei Guido (1894-1944) e Alberto Dalla Volta(1922-1945), padre e figlio. Quest’ultimo, compagno di prigionia e amico di Primo Levi, al quale ha salvato la vita, prima che nelle pietre d’inciampo, lascia le sue tracce in Se questo è un uomo, nel quale è presentato semplicemente come Alberto, che “è entrato nel Lager a testa alta, e vive in Lager illeso e incorrotto. Ha capito prima di tutti che questa vita è guerra; non si è concesso indulgenze, non ha perso tempo a recriminare e a commiserare sé e gli altri, ma fin dal primo giorno è sceso in campo”.Con una cerimonia pubblica il 26 gennaio 2008 il Liceo Scientifico Calini di Brescia, che nel 1940 lo aveva accettato come allievo, dopo la sua espulsione, in quanto ebreo, dal Liceo Classico Arnaldo della stessa città, intitola l’aula magna ad Alberto Dalla Volta, “la rara figura dell’uomo forte e mite, contro cui si spuntano le armi della notte”.

Le persone ricordate dal basso nel Percorso della Memoriae nelle Stolpersteine sono sia vittime innocenti e inconsapevoli della violenza, sia caduti a causa di una propria precisa scelta contro quella stessa violenza; differenti sono le loro scelte di vita, uguale la violenza che annienta le loro vite. Importante è ricordare sia ciò che le accomuna, sia ciò che le distingue; solamente in questo modo, forse, si riuscirà a far passare, una volta per tutte, il passato che non passa.

 

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Nata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.