Le terme di Diocleziano: metamorfosi di un monumento

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La terza parte dell’itinerario racconta il diverso riutilizzo che i romani hanno fatto di ciò che restava del complesso termale, e in questa storia spicca una figura femminile: quella di Caterina Sforza di Santafiora, che ha voluto la costruzione della chiesa di S. Bernardo, dedicandola al santo borgognone Bernardo da Chiaravalle (1090-1153), fondatore dell’Ordine dei Cistercensi, al quale la nobildonna era particolarmente devota.

Figlia di Vincenzo Nobili, nipote di Giulio II della Rovere, e moglie del Conte Nobili Sforza di Santa Fiora, acquistò il terreno degli Orti del cardinale Bellay nel 1593 con i resti dell’ambiente termale, finanziò i lavori di trasformazione, affidando la chiesa ai francesi dell’ordine dei Cistercensi Riformati di san Bernardo, i Foglianti.

I granai

In occasione del Giubileo del 1575 il papa Gregorio XIII ordinò la realizzazione del primo granaio pubblico della capitale, che doveva servire da deposito delle scorte alimentari della città per un intero anno. Fu scelta l’area delle antiche terme, perché era spaziosa, ventilata e riparata dalle inondazioni del Tevere; gli antichi muri perimetrali vennero riadattati alle nuove esigenze con l’inserimento di tre diversi livelli, dove il grano veniva prima rivoltato, poi asciugato e infine conservato. Si aprirono delle finestre sfondando in più punti il muro e l’ingresso al granaro fu aperto sul fronte dell’odierna piazza Termini. Gli ambienti erano tra di loro comunicanti, successivamente furono sventrati dall’apertura di via Cernaia.

In copertina. Resti dei granai gregoriani

Sotto il pontificato di Paolo V, tra il 1609 e il 1612, fu creato un nuovo granaio che si aggiunse a quello gregoriano. Urbano VIII (1623-1644) realizzò un ulteriore ampliamento dei granai, e l’ultimo granaio fu realizzato da Clemente XI nel 1705 su progetto dell’architetto Fontana.

Benedetto XIV (1740-1758) fece costruire in un’aula delle Terme, già facente parte del granaio paolino, la piccola chiesa di S. Isidoro, la cui facciata è tuttora visibile su via Parigi.

FOTO 1. Chiesa di Sant’Isidoro alle Terme

Tra il 1763 e il 1764, sotto Clemente XIII, altri locali termali furono adibiti alla conservazione dell’olio: ancora oggi il portale dell’Annona olearia, restaurato nel 1999, è riconoscibile tra il granaio gregoriano e l’ingresso alla chiesa di S. Maria degli Angeli.

FOTO 2.  Portale Annona olearia e chiesa di Santa Maria degli Angeli

Successivamente, diventata ormai inutile la funzione dell’Annona, tutta la zona fu destinata a opere assistenziali: ospizio per i poveri, carceri, con sezioni maschili e femminili, ospizio per sordomuti, orfanotrofio, Scuola Normale Femminile, ospizio dei ciechi. Intanto alcuni ambienti, rimasti in abbandono, erano stati utilizzati come botteghe di maniscalchi, carbonari, deposito di vetture o trattoria. Furono tutti abbattuti a partire dai primi del Novecento, mentre già nel 1894 era stato inaugurato il Grand Hotel, sorto in seguito alla demolizione dell’ospizio dei sordomuti. Agli inizi del ‘900 si cominciò a profilare per tutta quest’area un intento di musealizzazione, che si realizzò pienamente solo nel 1936. Furono abbattuti i vecchi granai, l’area di fronte al Grand Hotel fu adibita a zona commerciale con l’apertura della Galleria Esedra, e furono aperte nuove strade, come via Parigi, che consentiva un collegamento col palazzo del Ministero delle Finanze.

La scuola normale femminilepreparava le donne alla prima professione “intellettuale” cui loro potessero accedere e che rappresentava anche l’opportunità di procurarsi un’autonomia economica, spesso necessaria alternativa al matrimonio. Si trasformerà poi, con la legge Baccelli n. 896 del 25 giugno 1882, nell’istituto superiore di magistero Femminile, con sede a Roma e a Firenze.

Aula ottagona

L’aula ottagona era l’ambiente posto all’angolo sud-ovest del complesso delle Terme di Diocleziano, corrispondente a un ambiente simile all’angolo opposto, ora distrutto. La costruzione, in pietra cementizia e laterizio, era rivestita di lastre marmoree ed era decorata nelle parti alte con stucchi, ormai perduti. L’assenza di sistemi di riscaldamento, l’estesa luminosità, le porte di comunicazione fanno pensare a una funzione di passaggio. L’esistenza di una vasca, testimoniataci da un disegno di Baldassarre Peruzzi, della prima metà del Cinquecento, rimanda a una sorta di frigidario minore per abluzioni.

La pianta dell’aula è quadrata all’esterno, ottagona all’interno, e il raccordo è realizzato con quattro grandi nicchie semicircolari negli angoli. La copertura è a cupola a ombrello; il piano del pavimento attuale non corrisponde a quello antico, che si trovava a un livello più basso. Verso la fine del Cinquecento anche questa aula fu adibita a granaio (detto granaro tondo), e fu modificata con l’inserimento di tre livelli. Nell’Ottocento i granai furono trasformati nel Pio Istituto Giovanile di Carità e l’ambiente era utilizzato a livello terreno per le cucine, e ai due livelli superiori come cappella rispettivamente per gli uomini e per le donne.

Nel 1878 con l’apertura di via Cernaia l’aula ottagona ebbe vita autonoma, diventando dapprima la sede della Scuola Normale di Ginnastica, poi la sala per proiezioni cinematografiche Minerva, infine nel 1928 la sede del Planetario, per proiezioni astronomiche. Di quest’ultima funzione si è voluto conservare l’elegante intelaiatura in reticolo geometrico poggiato su colonnine metalliche con capitelli di ghisa. L’esterno dell’edificio fu ripristinato secondo i canoni dell’architettura fascista: due colonne doriche sostengono una trabeazione dominata dalle aquile imperiali. Dal 1979 la Soprintendenza archeologica ha iniziato un progetto di musealizzazione.

FOTO 3. Aula ottagona

Santa Maria degli Angeli

Nel 1561 le rovine delle grandiose Terme di Diocleziano furono consacrate da Pio IV e si avviò la costruzione di una chiesa dedicata a Santa Maria degli Angeli, ricavata nel grandioso corpo centrale delle distrutte terme; in questo, che era stato uno dei più maestosi edifici pubblici della Roma di Diocleziano, il grande persecutore dei cristiani, abbandonato e trasformato dall’incuria del tempo in ruderi imponenti, sorse una delle più belle creazioni del tardo rinascimento romano, quasi una rivincita della cristianità sul paganesimo. I primi progetti di riutilizzazione di quest’area risalgono al 1516 e portano i nomi di Giovanni da Sangallo e Baldassarre Peruzzi. Ma solo più tardi il grande Michelangelo, ormai ultraottantenne, ebbe l’incarico di costruire la chiesa.

Il grosso problema fu di trasformare le terme in chiesa ricorrendo il meno possibile a nuove costruzioni, dato anche l’esiguo impegno economico disposto dal Pontefice. Si scelse la soluzione di utilizzare la pianta centrale a forma di croce greca in cui la grande aula del tepidarium fosse una lunga e unica navata, e l’edificio fu assegnato ai Certosini, per cui fu necessario costruire un monastero e un chiostro, collocati nell’antico frigidarium.

Con l’ingresso all’estremità dell’attuale braccio destro del transetto, entrando, si aveva la straordinaria ed emozionante visione della sala centrale delle terme, lunga più di 90 metri, trasformata in chiesa. Dell’antica costruzione romana furono usate le colossali colonne granitiche. Non è più visibile quasi nulla della sistemazione michelangiolesca, i rifacimenti settecenteschi rivestirono completamente l’edificio originario salvando solo le colonne e le volte.

Infatti, a partire dal 1700 i Certosini operarono delle grandi trasformazioni che stravolsero il progetto originario di Michelangelo, chiudendo l’ingresso previsto dal Buonarroti sull’attuale via Cernaia, realizzando una grande meridiana sul pavimento chiamata “Linea Clementina” in onore del pontefice Clemente XI e adornandola di un rilevante numero di tele donate in più riprese dai pontefici che resero la chiesa simile a una pinacoteca. Nel 1749 i Certosini invitarono il Vanvitelli a restaurare il complesso. A lui si deve anche la facciata, molto sobria, verso piazza della Repubblica e il raccordo tra la pavimentazione della chiesa e quella della piazza che era più alta.

FOTO 4. Facciata vanvitelliana

Nel 1800 Santa Maria degli Angeli fu requisita dalle truppe francesi e adibita a caserma. Nel 1896, vi si celebrò il matrimonio di Vittorio Emanuele III con Elena di Montenegro e con questa cerimonia la chiesa assunse un ruolo di rappresentanza nazionale, ospitando tutte le cerimonie ufficiali dello Stato italiano. Nel 1910 fu smantellata la facciata del Vanvitelli e si ripristinò la facciata disadorna, in cotto, quale doveva essere quella del calidarium delle terme di Diocleziano.

Elena di Montenegro, seconda regina d’Italia, fu una figura completamente diversa dalla suocera, prima regina d’Italia. Mentre Margherita amava la vita di corte, i balli, il lusso, i gioielli, Elena era schiva, riservata e amava la sua privacy.

Jelena Petrovic era chiamata la pastora, perché era nata nel 1873 a Cettigne, un grosso borgo fra le montagne montenegrine abitato per lo più da pastori, figlia del futuro re del piccolo regno del Montenegro, Nicola I. Aveva studiato in un collegio di Pietroburgo. Fu la regina Margherita ad appoggiare la sua candidatura a sposa del figlio. Il matrimonio, celebrato il 24 ottobre 1896 in Santa Maria degli Angeli, fu una cerimonia ricca, ma non sfarzosa. Elena assisteva il marito in tutto, gli faceva da traduttrice per il russo, il serbo e il greco moderno; aveva anche imparato il piemontese, per capire il marito quando le si rivolgeva in dialetto. La sua semplicità e il poco interesse che nutriva per i fasti del regno lasciavano perplessa la regina Margherita che, invece, aveva dedicato tutta la sua vita alla regalità. Dal matrimonio nacquero cinque figli: Jolanda, poi la sfortunata Mafalda, quindi l’erede Umberto, infine Giovanna e Maria. Elena, cosa riprovevole per la suocera, si dedicava alla cura del marito, dei figli e della casa. Preferiva gli arredi moderni, semplici e funzionali, ai mobili antichi e austeri che riempivano i palazzi di famiglia. Chiamava ad alta voce il personale da una camera all’altra, indossava il grembiule per dirigere le cameriere; insegnava alle figlie a cucire, a lavorare a maglia, a fare i dolci. Faceva venire regolarmente una sartina a palazzo per riadattare i vestiti suoi e quelli delle figlie.

La coppia reale fu sempre oggetto di critiche e pettegolezzi. Elena era più alta di Vittorio Emanuele e le gravidanze l’avevano resa matronale. Per il tragico terremoto di Messina del 1908, si dedicò personalmente ai soccorsi; durante la prima guerra mondiale Elena fece l’infermiera a tempo pieno e trasformò il Quirinale in un ospedale. Finanziò opere benefiche a favore degli encefalitici, per madri povere, per i tubercolotici, per gli ex combattenti ecc. Sembra che sia intervenuta presso il re anche a favore degli ebrei ai tempi delle leggi razziali. Terminata la guerra, il 9 maggio del 1946, Vittorio Emanuele III abdicò a favore del figlio Umberto e andò in esilio con Elena ad Alessandria d’Egitto, ospite di re Farouk. Elena rimase in Egitto fino alla morte del marito, avvenuta il 28 dicembre del 1947, dopo diciannove mesi d’esilio, poi si trasferì a Montpellier, dove morì di cancro il 28 novembre del 1952.

FOTO 5. Elena di Montenegro

La chiesa di san Bernardo

Alla fine di via Torino si erge il profilo curvo della chiesa di S. Bernardo, la cui costruzione faceva parte del recinto esterno delle terme, nel lato di sud ovest, opposta a un’altra rotonda, in parte ancora visibile in via del Viminale. Nelle terme l’aula circolare aveva quattro ingressi disposti a croce e durante i lavori di costruzione della chiesa vennero rinvenute grandi quantità di piombo. Questo fece pensare che l’ambiente fosse probabilmente un deposito d’acqua rivestito di piombo; secondo altri invece doveva essere uno spheristerium, sala per i giochi con la palla, delle terme.

I lavori, iniziati nel 1598, furono terminati nel 1600, anno giubilare. Per costruire la chiesa fu necessario apportare molti cambiamenti: dei quattro ingressi, uno fu ampliato per accogliere il coro, i due laterali furono utilizzati per collocarvi due altari, e l’ultimo rimase aperto per fungere da entrata. Le quattro nicchie che si aprivano lungo il perimetro interno della rotonda furono raddoppiate affinché potessero accogliere le otto statue di Mariani. E’ conosciuta come la “chiesa senza finestre”, perché prende luce solamente dall’impluvium, il grande foro circolare (oggi chiuso da un lanternino) posto al centro della grande cupola del diametro di 22 metri, ornata di file concentriche di cassettoni ottagonali decrescenti verso la sommità.

FOTO 6. Chiesa di San Bernardo alle terme

Camillo Mariani (1567-1611), scultore vicentino, è l’autore delle otto statue disposte nei nicchioni, realizzate in stucco. Esse rappresentano Sant’Agostino, S. Monica, S. Maria Maddalena, S. Francesco, S. Bernardo, S. Caterina da Siena, S. Girolamo e S. Caterina d’Alessandria. Sono rivolte alternativamente a destra e a sinistra e creano, nell’andamento curvo della Chiesa, quasi un dialogo binario.

Santa Monica(Tagaste, 331 – Ostia, 387), nata in un’agiata famiglia cristiana, poté studiare e meditare sulla Bibbia. Convertì al cristianesimo il marito Patrizio, che la lasciò vedova a trentanove anni. Ebbe tre figli, e seguì a Roma il primogenito Agostino, che, convertitosi anche lui al cristianesimo, fu filosofo, teologo e vescovo. Monica, anche se all’epoca alle donne non era permesso prendere la parola, partecipava con sapienza ai discorsi del figlio, che volle trascrivere nei suoi scritti le parole della madre.

Santa Caterina da Siena, nata Caterina Benincasa (Siena, 1347 – Roma, 1380), è stata proclamata patrona d’Italia nel 1939 da Papa Pio XII (assieme a San Francesco D’Assisi) e compatrona d’Europa da Papa Giovanni Paolo II nel 1999.

Figlia di un tintore di panni, ventiquattresima di venticinque figli, votatasi al Signore, rifiutò il matrimonio, e a sedici anni entrò a far parte delle Terziarie Domenicane, che a Siena si chiamavano Mantellate per il mantello nero che copriva la loro veste bianca. Non sapendo né leggere né scrivere, più che alle preghiere, allora recitate in latino, si dedicò all’assistenza di malati e bisognosi, e fu attiva soprattutto presso l’ospedale di Santa Maria della Scala, assistendo soprattutto quei malati che nessuno assisteva, o perché non avevano parenti, o perché erano afflitti da malattie contagiose.

Iniziò poi a essere accompagnata dalla “Bella brigata”, un gruppo di uomini e donne che la seguivano, la sorvegliavano nelle sue lunghe estasi, la aiutavano in ogni modo nelle attività caritative. Scrisse tante lettere, anche a personalità importanti dell’epoca, nelle quali affrontava problemi religiosi, ma anche morali e politici.

Secondo la leggenda, nell’aprile 1375 Caterina ricevette le stimmate nella chiesa di Santa Cristina a Pisa, stimmate che solo lei poteva vedere, e che furono rese visibili poco prima della sua morte. Al Papa, trasferitosi ad Avignone, chiese insistentemente di tornare a Roma e il 18 giugno 1376 ad Avignone fu ricevuta dal Papa.

Caterina era una visionaria. La notte di carnevale del 1367 le apparve Cristo accompagnato dalla Vergine e da una folla di santi, donandole un anello visibile solo a lei, e sposandola misticamente. Dopo essere stata accolta dalle Mantellate, frequenti furono le sue estasi, continui i colloqui con Gesù Cristo suo Sposo.

Fu sepolta a Roma, nel cimitero di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato. Ma l’anno successivo, nel 1381, le fu staccata la testa per portarla a Siena come reliquia.

Santa Caterina d’Alessandriaè venerata come santa dalla Chiesa cattolica, e da tutte le Chiese Cristiane che ammettono la venerazione dei Santi. Incerta è la sua data di nascita (probabilmente il 287), e altrettanto poco si sa della sua vita, tanto che è difficile distinguere la realtà storica dalle leggende popolari e addirittura si dubita della reale esistenza di una santa Caterina d’Alessandria d’Egitto.  Secondo la Leggenda Aurea, che risale al XIII, Caterina sarebbe stata una bella giovane egiziana, orfana del re Costa, e educata nelle arti liberali. Nonostante fosse stata chiesta in sposa da molti uomini importanti, non volle sposarsi, avendo avuto la visione della Madonna con il Bambino che le infilava l’anello al dito facendola suora.

Nel 305 un imperatore romano la condannò al martirio su una ruota dentata, avendo lei rifiutato di onorare gli dei pagani; ma lo strumento di tortura si ruppe e fu necessario decapitarla: dalla sua testa sgorgò latte, simbolo della sua purezza. Nel XIX secolo la studiosa Anna Jameson identificò molte caratteristiche comuni tra santa Caterina d’Alessandria e Ipazia, la matematica e filosofa pagana uccisa proprio ad Alessandria d’Egitto nel 415 da una setta di fanatici cristiani. La stessa Chiesa cattolica ha spesso espresso dei dubbi, resta comunque il permesso di festeggiarla come santa.

 

 

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Laureata in Lettere moderne con indirizzo storico-artistico alla Federico II di Napoli, è stata docente di Storia dell’arte nei licei dal 1976 al 2010. Socia cofondatrice e vicepresidente di Toponomastica femminile, è tra le organizzatrici e le relatrici dei convegni nazionali, allestisce mostre fotografiche e documentarie sulle attività femminili, pubblica articoli sulle stesse tematiche per giornali on line e riviste cartacee, segue i progetti didattici dell’associazione e presiede la giuria nel concorso nazionale “Sulle vie della parità”.