Dalle sei del mattino mi metto in vedetta. L’ingresso del porto è bello, c’è tanto verde, la città conta quasi 200.000 abitanti. Questa isola ha una penisola, Tahiti. Il solo nome evoca Gauguin e le sue donne con fiori nei capelli. Scendiamo alle nove, accolti con danze canti e fiori da un gruppo allegro e colorato. Il fiore che ci offrono è il tiare, sembra un mughetto più grande dei nostri, è bianco e profumatissimo. Troviamo subito il Mercato comunale, una costruzione luminosa e moderna dove sono esposti a piano terra generi alimentari e souvenir di paglia, al primo piano tessuti, perle e oggetti vari. La perla nera o grigia con venature argentee o verdastre è la regina.
Nel pomeriggio andiamo verso la costa orientale, piccole spiagge, mare aperto molto mosso. Vediamo l’approdo dei primi navigatori, la spiaggetta dei soffioni, senza sabbia, coperta da coralli e madrepore, luoghi panoramici, chioschetti dove le donne vendono banane mignon. La guida ci dice che le genti polinesiane amano il passato, rispettano anziani e anziane, vivono serenamente. Sanno non pensare, è questo forse che ha incantato Gauguin?
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Nel pomeriggio usciamo da soli, entriamo nella piccola e semplice cattedrale di Notre Dame impreziosita da una Via Crucis naive e da un ostensorio di legno. Efficaci.
Dopo cena, nuova passeggiata: non c’è una movida in senso italiano o europeo. È venerdì, a pochi metri dalla nave ci sono le “roulottes”, camioncini attrezzati che diventano ristoranti: in un momento dal cassone escono tavoli sedie tovaglie di plastica fornelli stoviglie. L’aspetto igienico mi sembra trascurato, ma la gente che mangia, le famigliole con i bambini sono allegre e in salute. Cerchiamo qualche bar, qualche posto da giovani, non per noi ovviamente, ma per vedere e capire: un bar schiera all’ingresso due pirati di cartapesta, ci sono ragazze, ragazzi e musica live; un altro mi sembra dedicato alle coppie omosessuali. In diretta assisto a un appassionato abbraccio lesbico. Piove a scrosci brevi ma violenti. Vorremmo ripararci da qualche parte, mi affaccio nel secondo bar ma l’invito pressante di una ragazza a sedermi accanto a lei non mi convince. Preferiamo i portici, finché non smette di piovere. Donne che sembrano vecchie intrecciano profumate corone di fiori freschi da vendere. Ma io non ne compro perché non sono tahitiana e soprattutto… perché non c’è Gauguin!
Quando leggemmo l’itinerario, ci chiedemmo che necessità ci fosse di stare due giorni a Papeete. Ora lo sappiamo, e se invece di due i giorni fossero stati tre o quattro, ne saremmo stati ancora più felici.
Usciamo presto, liberi da vincoli ed escursioni organizzate: passeggiata serena, altre sorprese ci attendono. Il Parco Bouganville è un piccolo giardino pieno di fiori e piante in centro, dietro l’ufficio postale (ormai mi sento una papeetese!).
Ci sono, sul limite che affaccia verso il mare, delle bancarelle con parei perle magneti e monoi. Ma ci sono anche uomini colorati che suonano e cantano, accompagnando una fanciulla (di Gauguin ?) che danza dolcemente, avvolgendo intorno al corpo i suoi parei. Ci sediamo e subito arriva una persona che ci offre degli spicchi di frutta. Non sappiamo se sia uomo o donna. È vestita truccata e pettinata da donna, ma ha i lineamenti maschili, la voce baritonale, la barba rasata ma visibile. Ci ricordiamo quello che ci ha raccontato la guida Gerald: in famiglia il terzo figlio, se maschio, deve essere educato come una femmina perché dovrà curarsi dei genitori. Lo vestono lo educano lo abituano gli parlano come a una bambina. In qualche modo, sono i genitori a indicargli (indicarle) la strada. Alcuni poi si sposano, hanno figli, ma quella preparazione alla vita nel sesso diverso li condiziona per sempre. Gerald ha detto che sono tanti, che non dobbiamo giudicarli o condannarli… sono il frutto di una tradizione antica.
Che lunga digressione, torno alla danzatrice che noi guardiamo rapiti.
Come tutte le donne, ha un fiore fra i capelli. Dicono che se è messo a destra, vuol dire che la ragazza è libera, se è a sinistra, che è impegnata. E se i fiori sono due? Forse la donna vuol far sapere che è impegnata, ma potrebbe liberarsi.
Finita la danza, mi si avvicina e mi chiede di danzare con lei. Le dico di no in modo deciso, ma lei insiste, insiste molto e non sono capace di resistere. Mi sembrerebbe di offenderla. Vado con lei al centro della piazza, mi mette sui fianchi un pareo e mi invita a seguire i suoi movimenti, un leggero ancheggiare, un movimento morbido delle braccia e delle mani, un girare ora a destra ora a sinistra ora su me stessa. Piero fotografa. Io sono felice, anche se so che non sono giovane e magra come lei, né so ballare come lei.
Nel pomeriggio, nuova passeggiata, dopo l’acquisto di una camicia per Piero: non è la tahitiana blu a fiori gialli o rossi, ma una raffinata chemise (qui parliamo in francese da mattino a sera!) bianca con disegni geometrici grigi sul lato destro. Ottimo il cotone, liscio e leggero come seta. La proprietaria dell’elegante boutique mi ha venduto anche alcune deliziose donnine polinesiane magnetiche di legno, fatte palesemente a mano. Mi ha fatto notare che alcune avevano il reggiseno a triangolo, altre due noci di cocco, le coconettes. Naturalmente ho scelto queste ultime e la signora gentilmente, pur in presenza di altri clienti, le ha cercate in un mucchio, indicandomi anche i colori dei costumi. Insomma, mi ha dedicato un bel po’ di tempo per oggettini che costano meno di un euro!
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Altro parco, lato mare, già visto dalla nave. Aiuole, fontane, ninfee, prati verdi, canoe sovrapposte sulla spiaggia. Sotto ampi padiglioni ricoperti di foglie di un albero tipo palma ci sono persone che leggono, una festa di bambine e bambini con palloncini e senza schiamazzi, amiche e amici che parlano pacatamente. C’è gente che si riposa o legge sul prato. Tutto è silenzio e serenità. Ci sono anche tanti “monumenti”, semplici maestose pietre che ricordano la conquista dell’autonomia, gli esperimenti nucleari (e le vittime), i governanti saggi.
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